x

x

L’articolo 50 del Trattato dell’Unione europea: che cos’è e come funziona

art. 50
art. 50

Abstract

L’articolo tratta della procedura di recesso dall’Unione europea prevista dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, nonché della revoca del recesso che è stata ammessa dalla Corte di giustizia europea nel recente caso della Brexit.

The article analyzes the procedure for withdrawal from the European Union, provided for in article 50 of the Treaty on European Union.

 

Indice:

1. Introduzione

2. Le fasi del procedimento di recesso

3. È possibile revocare il recesso

4. Conclusioni

 

1. Introduzione

L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea rappresenta un importante tassello in meno nel complesso puzzle dell’integrazione europea, nonché un rischioso precedente. Che cos’è questo articolo 50 del TUE a norma del quale “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”?

Una clausola che prevedesse il diritto di recesso dall’Unione non era stata riconosciuta dagli Stati fondatori, ovvero Italia, Francia, Germania dell’Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, nei Trattati di Roma a causa della loro profonda fiducia e convinzione nel progetto di integrazione europeo, il cui obiettivo principale era lo sviluppo economico ma, soprattutto, il raggiungimento di una pace duratura.

L’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, introdotto dal Trattato di Lisbona nel 2007, contiene il meccanismo di recesso volontario e unilaterale applicabile nei confronti dello Stato membro che desidera recedere dall’Unione europea. L’obiettivo fondamentale del Trattato di Lisbona fu quello di riformare il modo in cui l’Unione europea operava, a livello istituzionale (con la modifica della presidenza del Consiglio europeo e l’introduzione dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza), e di rendere più equo il processo decisionale, delimitando maggiormente le competenze tra Stati e Unione, all’interno di un’organizzazione internazionale aumentata ormai a 28 Stati membri.

Non solo, in tale occasione, vengono confermati i tre principi fondamentali di uguaglianza democratica, democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa, ma, puntando proprio ad un rafforzamento della democrazia e della libertà all’interno dell’Unione, viene introdotta per la prima volta una procedura formale che prevede l’uscita di uno Stato membro dall’UE.

 

2. Le fasi del procedimento di recesso

La procedura consta di tre fasi principali.

Inizialmente, lo Stato membro deve notificare la sua intenzione di recedere dall’Unione al Consiglio europeo; l’articolo 50 non si esprime sul modo in cui lo Stato debba comunicare la notifica del recesso, ma ne indica soltanto il destinatario e precisa che la dichiarazione formale debba essere chiara ed inequivocabile.

Questo passaggio attiva la procedura dell’articolo 50 e dà inizio alla prima fase, nella quale il Presidente del Consiglio europeo indice una riunione straordinaria del Consiglio europeo. Il Consiglio europeo adotta gli orientamenti sul recesso per consensus, o processo decisionale consensuale, “che permette di riprodurre in un testo l’intesa raggiunta dai partecipanti, ma anche di registrare eventuali posizioni differenziate [della minoranza]”.

Gli orientamenti adottati contengono i principi generali che fungeranno da guida per i negoziati tra l’Unione europea e lo Stato membro in questione, tenendo conto dell’interesse comune di tutti gli Stati che costituiscono l’Unione.

La seconda fase consiste nell’adozione dei suddetti orientamenti da parte della Commissione europea, che in seguito ha il compito di presentare in breve tempo una raccomandazione sull’avvio dei negoziati al Consiglio europeo. La raccomandazione deve essere adottata dal Collegio dei commissari 4 giorni dopo la riunione straordinaria del Consiglio europeo.

Autorizzando l’avvio dei negoziati, il Consiglio apre la terza fase della procedura di recesso ed adotta le direttive di negoziato tramite una votazione a maggioranza qualificata ‘forte’, prevista nei casi in cui il Consiglio deve votare una proposta che non è stata presentata dalla Commissione o dall’alto rappresentante. Tale decisione è adottata se vota a favore almeno il 72% dei membri del Consiglio e se i membri che votano a favore rappresentano almeno il 65% della popolazione dell’UE.

Adottate le direttive, il negoziatore dell’Unione il quale è nominato dal Consiglio, è incaricato ad aprire i negoziati con lo Stato membro in questione. Generalmente, i negoziati devono concludersi entro due anni dal momento in cui l’articolo 50 è stato attivato.

Nel caso in cui alla scadenza del termine non sia stato raggiunto nessun accordo, i trattati cessano automaticamente di applicarsi allo Stato membro che ha proposto il recesso, “salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine”.

Nel caso opposto in cui un accordo sia stato raggiunto, al termine del periodo fissato, il negoziatore dell’Unione porta davanti al Consiglio e al Parlamento europeo una proposta di accordo: l’accordo è adottato previa approvazione del Parlamento europeo che si esprime con votazione a maggioranza semplice, non essendo specificata nell’articolo la modalità di votazione che il Parlamento deve adottare. L’accordo è infine concluso dal Consiglio con votazione a maggioranza qualificata ‘forte’ e con la ratifica da parte dello Stato membro che recede, in conformità con le proprie norme costituzionali.

 

3. È possibile revocare il recesso?

Infine, come espresso esplicitamente dall’articolo 50, qualsiasi Paese uscito dall’Unione europea può successivamente chiedere di aderirvi di nuovo; in tal caso, la nuova adesione dovrà seguire la procedura illustrata dall’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea.

Da notare il fatto che l’articolo 50 rimanga silente sulla possibilità di revocare la notifica di recesso, ossia interrompere la procedura una volta iniziata. A questo proposito, la norma europea deve essere interpretata tramite strumenti di diritto internazionale, nello specifico la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 che, all’articolo 69 disciplina le modalità di revoca di una generica notifica, disponendo esplicitamente quest’ultima può essere revocata “in ogni momento prima che abbia avuto effetto”.

Considerando che la notifica di recesso diventa efficace solo quando il recesso diviene effettivo per lo Stato richiedente, la notifica va considerata revocabile all’interno del periodo di due anni delle negoziazioni, o prima dell’approvazione dell’accordo di recesso.

A conferma di ciò, nella vicenda “Brexit”, è intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione europea. Infatti con la storica sentenza nella causa C-621/18 Wightman e a. / Secretary of State for Exiting the European Union, la Corte di Giustizia ha statuito, in seduta plenaria, che l’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), in forza del quale il 29 marzo 2017 il Governo del Regno Unito aveva notificato al Presidente del Consiglio Europeo l’intenzione di recedere dall’Unione, deve essere interpretato anche nel senso di consentire allo Stato notificante di revocare unilateralmente il recesso, a certe condizioni.

Secondo la Corte, la lettera dell’articolo 50 TUE non autorizza la revoca della notifica di recesso, ma nemmeno la vieta. La norma definisce soltanto la procedura di recesso e consacra il diritto sovrano di uno Stato membro di recedere dall’Unione. Esso costituisce, secondo la Corte, la base giuridica per revocare la notifica di recesso e per conservare lo statuto di Stato Membro, fermo restando che l’articolo 68 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 assicura chiaramente il diritto di revoca.

Dunque, dato che l’Unione è costituita da Stati che volontariamente hanno aderito a tali principi, se non si può obbligare uno Stato ad aderire contro la sua volontà, non si può nemmeno obbligarlo a recedere.

Tale interpretazione nega la tesi della Commissione e del Consiglio Europeo, secondo la quale, al fine di evitare abusi del diritto, se uno Stato Membro notifica l’intenzione di recedere ai sensi dell’articolo 50 TUE, la revoca è possibile solo con l’approvazione all’unanimità dei membri del Consiglio Europeo.

Che si condivida o meno la conclusione della Corte, è difficile sottrarsi all’impressione che tale soluzione giurisprudenziale incida sugli equilibri sottesi alla procedura di recesso così come pensata dai redattori dei trattati all’articolo 50 TUE.

L’impianto dell’articolo 50 TUE sembra orientato a scoraggiare il recesso e, nel caso in cui esso venga usato, ad attribuire all’Unione europea una posizione negoziale molto forte. La notifica del recesso fa, infatti, scattare un termine biennale decorso il quale il recesso si verifica automaticamente anche in assenza di accordo concluso con lo Stato recedente. Quest’ultimo è allora la parte debole del rapporto negoziale, trovandosi in una tale circostanza costretto a scegliere tra accettare le condizioni (anche sfavorevoli) contenute nell’accordo e il recesso tout court, il quale comporta l’immediata esclusione dal mercato interno.

In tale panorama, l’interpretazione dei giudici di Lussemburgo introduce un elemento di riequilibrio (o forse di disequilibrio) dei rapporti di forza sottesi all’articolo 50 TUE a favore dello Stato recedente, aprendo in pratica una via aggiuntiva a quelle già definite all’articolo 50 TUE – deal (recesso negoziato) e il no deal (recesso non negoziato) – ossia la facoltà di ritirare la decisione di recesso fino all’ultimo momento utile.

Poiché il voto contrario di uno solo impedirebbe alla revoca di avere effetto, inevitabilmente lo Stato Membro si troverebbe ad aderire all’Unione contro la sua volontà e il diritto sovrano e unilaterale di revoca diventerebbe un diritto condizionato.

Tuttavia, la Corte pone un limite temporale per poter effettuare la revoca, coincidente con l’entrata in vigore dell’Accordo di recesso, oppure prima che il periodo di due anni previsto ai sensi dell’articolo 50, paragrafo 3, TUE, eventualmente prorogato, abbia termine.

La valenza di questa pronuncia non è tuttavia limitata al solo caso britannico. Essa, infatti, produce per definizione effetti ultra partes e non è dunque limitata al solo caso specifico che ha provocato l’intervento dei giudici di Lussemburgo.

 

4. Conclusioni

Se allora la possibilità di revocare l’intenzione di recedere dall’Unione europea è ormai un diritto nella disponibilità di ogni Paese membro, altri Stati potrebbero essere tentati di considerare il recesso a titolo solo esplorativo, ritirando all’ultimo la domanda di recesso per limitare i rischi connessi al recesso soprattutto se senza accordo.

Come già ricordato ed evocato dal Consiglio e dalla Commissione europea nel procedimento pregiudiziale in esame, una notifica di recesso potrebbe essere così introdotta solo per ottenere concessioni dall’Unione o per mero calcolo di politica interna. La possibilità di un tale uso spregiudicato dell’articolo 50 TUE non deve però essere sovrastimato.

Come illustrato dalla vicenda britannica, la procedura di recesso è particolarmente complessa, per la molteplicità e la delicatezza delle questioni che solleva. In questo senso, l’articolo 50 TUE e la sua lunga procedura fondata sul coinvolgimento di tutte le parti hanno, per così dire, mantenuto le promesse, rivelandosi tutt’altro che una “passeggiata”: il che potrebbe fungere da deterrente naturale anche solo all’attivazione della procedura in esame.