Lavoro - Cassazione: il pubblico impiegato deve risarcire il danno da lesione dell’interesse legittimo

La Corte di Cassazione, con una sentenza di fine luglio, ritorna sulla annosa questione della distinzione delle situazioni giuridiche soggettive tra diritti soggettivi e interessi legittimi e sulla risarcibilità della loro lesione. In particolare, la Suprema Corte giunge ad affermare il principio della risarcibilità del danno da lesione di un interesse legittimo, che comporta in capo al pubblico dipendente, che abbia adottato, o concorso ad adottare, nell’esercizio delle proprie funzioni, atti amministrativi lesivi di tale situazione giuridica, l’obbligo di risarcire il danno cagionato.

Nel caso in esame, un professore universitario, in virtù di una convenzione stipulata tra la sua Università e l’USL locale, avrebbe dovuto essere nominato dirigente del reparto di oculistica di una struttura sanitaria, in quanto designato dalla stessa Università. L’amministratore straordinario dell’azienda sanitaria, tuttavia, ritenendo irrilevante la designazione compiuta dall’Università, provvedeva ad emanare un bando per la scelta del dirigente, esigendo dai candidati requisiti non posseduti dal professore designato dall’Ateneo.

Quest’ultimo impugnava gli atti dell’azienda sanitaria davanti al tribunale, chiedendo la condanna al risarcimento del danno subito in seguito alla mancata nomina dirigenziale. Il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione.

La Corte d’appello confermava il difetto di giurisdizione, affermando che la lesione lamentata dalla parte attorea consisteva in un interesse legittimo e che di tale danno i pubblici impiegati non possono essere chiamati a rispondere.

Tale pronuncia era impugnata davanti alla Corte di Cassazione che, pronunciandosi a Sezioni Unite, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, dal quale discendeva l’inammissibilità della domanda attorea di risarcimento danni proposta avverso l’azienda sanitaria e della domanda proposta avverso l’Università, e rinviava ad una diversa sezione della stessa corte la decisione sulla risarcibilità da parte di un pubblico dipendente della lesione di un interesse legittimo.

La parte attorea lamentava violazione di legge nella decisione del giudice di merito, per non aver questo condannato il pubblico dipendente al risarcimento del danno, sulla base della seguente motivazione: il danneggiato, lamentando la mancata assegnazione di un incarico dirigenziale, ha subito la lesione di un interesse legittimo; il pubblico impiegato che, nell’esercizio delle sue funzioni, causi a terzi un danno ne risponde solo se si tratta di un diritto; nel caso di specie, il pubblico impiegato non risponde del danno cagionato.

La Suprema Corte ritiene tale ragionamento erroneo. “Il “danno ingiusto” di cui all’articolo 2043 del Codice Civile può consistere tanto nella lesione di un diritto soggettivo assoluto, quanto nella lesione di un diritto soggettivo relativo, quanto nella lesione di un interesse legittimo e di ogni situazione giuridica presa in considerazione dall’ordinamento”, citando così la fondamentale sentenza a Sezioni Unite n. 500 del 1999.

La lesione di un interesse legittimo non può che derivare da una condotta della pubblica amministrazione, nell’esercizio dei propri poteri autoritativi, ma in tema di responsabilità aquiliana vige la regola della equivalenza delle condotte di cui all’articolo 2055 del Codice Civile. Se la Pa con un proprio provvedimento viola l’interesse legittimo, a provocare tale danno concorre anche il funzionario che quel provvedimento adotta ovvero non ostacola.

Tale ragionamento, secondo la Corte, non osta con il dettato dell’articolo 23 del d.P.R. n. 3 del 1957 (“è danno ingiusto quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave”) che deve essere letto alla luce del mutato quadro normativo e giurisprudenziale, nel quale la risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi è espressamente prevista dalla legge (articolo 7, comma 4, Decreto Legislativo n. 104/2010) e riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, con riferimento inoltre ai principi costituzionalmente tutelati di uguaglianza (articolo 3 Costituzione) e piena tutela dei diritti e interessi legittimi (articolo 24 Costituzione).

La “violazione dei diritti dei terzi” deve intendersi “violazione degli interessi protetti dei terzi”. Ogni diversa interpretazione creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra chi ha visto ledere dall’amministrazione un proprio diritto e chi ha visto ledere un interesse legittimo, in palese contrasto con l’articolo 24 Costituzione.

In conclusione, la Corte di Cassazione, affermando il principio della necessaria risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo in capo al pubblico dipendente che adotta o non ostacola l’atto lesivo, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. 

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 31 luglio 2015, n. 16276)

La Corte di Cassazione, con una sentenza di fine luglio, ritorna sulla annosa questione della distinzione delle situazioni giuridiche soggettive tra diritti soggettivi e interessi legittimi e sulla risarcibilità della loro lesione. In particolare, la Suprema Corte giunge ad affermare il principio della risarcibilità del danno da lesione di un interesse legittimo, che comporta in capo al pubblico dipendente, che abbia adottato, o concorso ad adottare, nell’esercizio delle proprie funzioni, atti amministrativi lesivi di tale situazione giuridica, l’obbligo di risarcire il danno cagionato.

Nel caso in esame, un professore universitario, in virtù di una convenzione stipulata tra la sua Università e l’USL locale, avrebbe dovuto essere nominato dirigente del reparto di oculistica di una struttura sanitaria, in quanto designato dalla stessa Università. L’amministratore straordinario dell’azienda sanitaria, tuttavia, ritenendo irrilevante la designazione compiuta dall’Università, provvedeva ad emanare un bando per la scelta del dirigente, esigendo dai candidati requisiti non posseduti dal professore designato dall’Ateneo.

Quest’ultimo impugnava gli atti dell’azienda sanitaria davanti al tribunale, chiedendo la condanna al risarcimento del danno subito in seguito alla mancata nomina dirigenziale. Il Tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione.

La Corte d’appello confermava il difetto di giurisdizione, affermando che la lesione lamentata dalla parte attorea consisteva in un interesse legittimo e che di tale danno i pubblici impiegati non possono essere chiamati a rispondere.

Tale pronuncia era impugnata davanti alla Corte di Cassazione che, pronunciandosi a Sezioni Unite, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, dal quale discendeva l’inammissibilità della domanda attorea di risarcimento danni proposta avverso l’azienda sanitaria e della domanda proposta avverso l’Università, e rinviava ad una diversa sezione della stessa corte la decisione sulla risarcibilità da parte di un pubblico dipendente della lesione di un interesse legittimo.

La parte attorea lamentava violazione di legge nella decisione del giudice di merito, per non aver questo condannato il pubblico dipendente al risarcimento del danno, sulla base della seguente motivazione: il danneggiato, lamentando la mancata assegnazione di un incarico dirigenziale, ha subito la lesione di un interesse legittimo; il pubblico impiegato che, nell’esercizio delle sue funzioni, causi a terzi un danno ne risponde solo se si tratta di un diritto; nel caso di specie, il pubblico impiegato non risponde del danno cagionato.

La Suprema Corte ritiene tale ragionamento erroneo. “Il “danno ingiusto” di cui all’articolo 2043 del Codice Civile può consistere tanto nella lesione di un diritto soggettivo assoluto, quanto nella lesione di un diritto soggettivo relativo, quanto nella lesione di un interesse legittimo e di ogni situazione giuridica presa in considerazione dall’ordinamento”, citando così la fondamentale sentenza a Sezioni Unite n. 500 del 1999.

La lesione di un interesse legittimo non può che derivare da una condotta della pubblica amministrazione, nell’esercizio dei propri poteri autoritativi, ma in tema di responsabilità aquiliana vige la regola della equivalenza delle condotte di cui all’articolo 2055 del Codice Civile. Se la Pa con un proprio provvedimento viola l’interesse legittimo, a provocare tale danno concorre anche il funzionario che quel provvedimento adotta ovvero non ostacola.

Tale ragionamento, secondo la Corte, non osta con il dettato dell’articolo 23 del d.P.R. n. 3 del 1957 (“è danno ingiusto quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave”) che deve essere letto alla luce del mutato quadro normativo e giurisprudenziale, nel quale la risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi è espressamente prevista dalla legge (articolo 7, comma 4, Decreto Legislativo n. 104/2010) e riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, con riferimento inoltre ai principi costituzionalmente tutelati di uguaglianza (articolo 3 Costituzione) e piena tutela dei diritti e interessi legittimi (articolo 24 Costituzione).

La “violazione dei diritti dei terzi” deve intendersi “violazione degli interessi protetti dei terzi”. Ogni diversa interpretazione creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra chi ha visto ledere dall’amministrazione un proprio diritto e chi ha visto ledere un interesse legittimo, in palese contrasto con l’articolo 24 Costituzione.

In conclusione, la Corte di Cassazione, affermando il principio della necessaria risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo in capo al pubblico dipendente che adotta o non ostacola l’atto lesivo, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata. 

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 31 luglio 2015, n. 16276)