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Le collaborazioni nella pubblica amministrazione

Abstract

L’articolo 7, comma 6 del Decreto legislativo n. 165/2001, come modificato dalle recenti riforme, contiene la disciplina di base sui presupposti e limiti dell’utilizzo del lavoro autonomo nella Pubblica Amministrazione. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria (requisito questo introdotto dalla legge finanziaria 2008). Al fine di combattere gli abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di apposite istruzioni fornite con Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, le amministrazioni redigono, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, ai nuclei di valutazione o ai servizi di controllo interno di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato (Legge n. 102/2009)

Premessa

La giurisprudenza è costante nell’interpretare rigorosamente i limiti previsti dalla legge. In particolare il giudice contabile, sul presupposto dell’eccezionalità del conferimento di incarichi di collaborazione esterna, ha più volte affermato che gli stessi possono essere affidati soltanto quando ricorrono tutte le seguenti condizioni (Adunanza della Corte dei Conti n. 6 del 15 febbraio 2005): la professionalità che si intende acquisire deve essere assolutamente carente nella struttura dell’Ente e l’affidamento esterno non deve comportare dunque una duplicazione delle funzioni svolte dal personale interno; il collaboratore deve essere effettivamente in possesso di competenze specifiche; la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata e contenere i criteri di scelta del prestatore d’opera; l’oggetto dell’incarico non deve essere generico, né di durata indefinita; il compenso, infine, determinato con precisione e proporzionato all’utilità conseguita dall’amministrazione. Per le pubbliche amministrazioni pertanto l’utilizzo di questa forma di reperimento di risorse umane può avvenire solo in alcuni casi e secondo le rigide disposizioni sopra esposte. Il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, può fare ricorso a forme di lavoro non subordinato solo entro limiti ben precisi: gli incarichi possono essere conferiti ad esperti di provata competenza solo quando siano presenti esigenze cui le amministrazioni non possono far fronte con personale in servizio. Infatti “le esigenze di copertura della dotazione organica, intese come esigenze di carattere continuativo e duraturo e quindi permanente, devono trovare soddisfazione esclusivamente con le assunzioni a tempo indeterminato” (articolo 36 del Decreto legislativo n.165/2001.

1. Ambito di applicazione

Come accennato in premessa, la legge finanziaria 2008 ha ridotto ulteriormente l’ambito di applicazione dei contratti flessibili. Per l’affidamento di incarichi a collaboratori esterni con l’eccezione per organismi di controllo di valutazione e di monitoraggio di investimenti, è richiesta una “particolare e comprovata specializzazione universitaria” (La flessibilità nel rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, a cura di Luigi Capogna e Roberto Tomei 2008, Padova Cedam. p. 243).

Il dipartimento della Funzione Pubblica chiarisce che con “l’espressione particolare e comprovata specializzazione universitaria” si debba intendere il requisito minimo della laurea magistrale o di un titolo equivalente (Dipartimento della Funzione Pubblica nota prot. 3407 del 21 gennaio 2008). La legge n. 133/08 all’art. 46 conferma quella che era una condivisibile interpretazione che si era fatta strada all’indomani della finanziaria 2008: si prescinde dal possesso della laurea in quelle fattispecie in cui la professionalità è data dall’iscrizione all’albo o è inerente all’incarico conferito: arte, spettacolo e mestieri artigiani (Bruno Caruso, La flessibilità (ma non solo) del lavoro pubblico nella l.133/08, in LPA, vol. XI , 2008, p. 485) In questo caso (secondo comma) art. 46, l’amministrazione deve comunque aver accertato, “la maturata esperienza nel settore”, e si deve dar vita a un contratto d’opera ex art. 2222 o 2230 c.c per le professioni intellettuali, vale a dire ad una prestazione occasionale e non coordinata e continuativa.

La possibilità di affidare incarichi di collaborazione riguarda sia quelli di natura occasionale sia quelli di tipo coordinato e continuativo, essendo eliminata dalla stessa legge n. 133/08 la differenziazione descrittiva tra consulenze, incarichi di studio e di ricerca. L’elemento fondamentale individuabile in tutti i tipi di collaborazione è il carattere autonomo della prestazione; diversamente sarebbero violate le norme sull’accesso alla Pubblica Amministrazione tramite concorso pubblico, nonché i principi di buon andamento e imparzialità sanciti dall’art. 97 della Costituzione. La dottrina pressoché unanimemente, già precedentemente alla c.d. riforma Brunetta, si era assestata su una condivisa unitarietà regolativa delle categorie degli incarichi e delle collaborazioni abbandonando la minoritaria tesi del doppio binario con l’incarico che avrebbe avuto un fondamento giuridico diverso dai rapporti di collaborazione (Giancarlo Ricci, Gli incarichi professionali e i rapporti di collaborazione nelle P.A, in LPA n. 2 Vol. XI, 2008 p. 254).

A sostegno di tale impostazione è la Circolare del DFP-UPPA del 19 marzo 2008 n. 2 che riconduce la disciplina del lavoro autonomo per intero all’art. 7, comma 6, escludendo espressamente, peraltro, che i rapporti di collaborazione possano essere inquadrati nella diversa cornice dell’art. 36, d.lgs. n. 165/2001 come riformato dalle recenti riforme.

2. Elementi principali dei rapporti di collaborazione

“Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria” (Art. 46 l.133/08).

Gli elementi fondanti di tali collaborazioni, nonché i presupposti, sono:

- l’oggetto della prestazione che deve essere corrispondente alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obbiettivi e progetti specifici e determinati;

- il preventivo accertamento da parte dell’ amministrazione di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

- la temporaneità della prestazione con conseguente necessaria definizione del termine di scadenza, non essendo ammissibili collaborazioni indeterminate;

- l’alta qualificazione della prestazione, non potendo coinvolgere professionalità c.d. “medio-basse”;

- la predeterminazione di alcuni elementi del contratto quali la durata, il luogo, il compenso e l’oggetto in modo da delineare il perimetro dei principali diritt ie obblighi dei contraenti.

I limiti sostanziali ribaditi a più riprese dalla giurisprudenza contabile entro i quali poter effettuare conferimenti esterni alle pubbliche amministrazioni sono connessi essenzialmente a tre condizioni di legalità: interesse pubblico, causa del potere, logica e imparzialità, oltre che ad un principio di carattere generale secondo il quale l’attività della P.A. deve essere svolta prioritariamente dai propri uffici potendo ricorrere all’esterno solo in casi eccezionali (La flessibilità (ma non solo) del lavoro pubblico nella l.133/08, 253). Sopravvive alle ultime innovazioni legislative anche la previsione, e non potrebbe essere altrimenti, di specifici vincoli di natura procedimentale: l’obbligo ex art. 7 comma 6 bis d.lgs. n. 165/2001 per le amministrazioni a disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. Finalmente con tale disposizione si è cercato di porre fine alla prassi del conferimento di incarichi di collaborazione ad personam, in spregio dei principi di pubblicità, trasparenza e obiettività dei meccanismi di reclutamento che debbono genericamente ritenersi riferibili a tutti i sistemi di attribuzione di incarico o reclutamento (Giancarlo Ricci, Gli incarichi professionali e i rapporti di collaborazione nella P.A.).

D’altronde, come ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, si tratta di “elementari e indefettibili” canoni di legalità che impongono alla P.A, allorquando essa si determini a ricercare sul libero mercato, regolato dal diritto privato, le forniture di cui ha bisogno per il suo funzionamento (siano esse forniture di servizi, di beni e di lavori, oppure di mano d’opera e di collaborazione professionale), di agire in modo imparziale e trasparente, predefinendo criteri di selezione e assicurando un minimo di pubblicità della propria intenzione negoziale e un minimo di concorso dei soggetti in astratto interessati e titolati a conseguire l’incarico (T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, 24 gennaio 2008, n.382). Fondamentale risulta nell’ambito della procedura l’accurata lettura e valutazione dei curricula, senza escludere la possibilità di un colloquio che integri gli elementi di valutazione sui candidati e soprattutto, si rivela imprescindibile l’esigenza di una motivazione posta alla base della decisione del dirigente che non sia di mero orpello, ma che serva in concreto a supportare l’esito della valutazione, documentando il confronto tra candidati e consentendo la valutazione dell’iter logico-giuridico seguito(Giancarlo Ricci,opera citata sopra).

Trasparenza e pubblicità nei rapporti tra pubblica amministrazione e soggetti esterni ad essa non si esauriscono nella fase precedente all’istaurarsi della collaborazione, ma anzi, in base alla legge finanziaria 2008, si caricano di un significato uguale se non maggiore nella fase successiva all’attribuzione dell’incarico stesso, dove si stabilisce che le P.A. che si avvalgono di collaboratori esterni “sono tenuti a pubblicare sul proprio sito web i provvedimenti di incarico o di collaborazione completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato”(art. 3, c. 54).

Dall’omessa pubblicazione derivano importanti conseguenze: i contratti relativi a rapporti di “consulenza” sono considerati privi di efficacia in base all’art. 3, c. 18 sempre della legge n. 244/07 e la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto (art. 3, comma 54).

Tale procedura comparativa sarebbe davvero eccessiva per le collaborazioni occasionali che sono effettivamente tali quando non superano, convenzionalmente, il tetto dei cinquemila euro o la durata dei trenta giorni anche se gli ordinamenti interni potrebbero individuare diversi requisiti (Circ. della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 2/2008).

3. Le collaborazioni coordinate e continuative

Per quanto attiene alle collaborazioni coordinate e continuative esse sono una particolare species del più ampio genus del lavoro autonomo e la nozione convenzionale è desunta da dalla lettera dell’art. 409, n. 3 c.p.c, così come novellato dalla legge n. 533 del 1973 di riforma del processo del lavoro.

In base all’art. 409, n. 3 i rapporti di collaborazione sono quelli “che si concretano in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato”. Alla luce di tale norma e tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Cassazione (n. 7785 del 1997), per ritenere l’esistenza dei suddetti rapporti di collaborazione devono sussistere i seguenti requisiti: continuità, che siccome quando la prestazione non è occasionale, ma perdura nel tempo e che importa un impegno costante del prestatore a favore del committente; coordinazione intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o più in generale nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzate dall’ingerenza di quest’ultimo nelle novità del prestatore; la personalità che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull’opera svolta dai collaboratori”.

La coordinazione rappresenta senz’altro l’elemento che maggiormente distingue tale tipo di lavoro autonomo da quello subordinato. In quest’ultimo caso, infatti, il prestatore di lavoro è inserito nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro ed è per questo sottoposto al suo potere direttivo e disciplinare, con conseguente limitazione della propria autonomia nell’esecuzione della prestazione. Nelle co.co.co. il rapporto tra questi elementi è per così dire rovesciato: il collaboratore esegue, infatti, la prestazione personalmente ed in piena autonomia ma poiché essa è strumentale alla realizzazione del programma produttivo del committente e deve essere utile economicamente a quest’ultimo, egli deve interagire e coordinarsi con la struttura organizzativa del destinatario della prestazione.

Principale requisito richiesto per l’instaurarsi di una collaborazione coordinata e continuativa è che la prestazione che deve essere resa da un soggetto munito di comprovata esperienza tale da evidenziare come caratteristiche essenziali un’elevata autonomia nello svolgimento della prestazione di lavoro autonomo coordinato. Il caso contrario rappresenterebbe un aggiramento delle norme che regolano l’accesso al lavoro nella Pubblica Amministrazione tramite l’istituto del concorso pubblico (art. 51 e 97 della Costituzione). Infatti il ricorso a questo tipo contrattuale dovrà essere posto in relazione alla carenza di personale e la prestazione oggetto della collaborazione dovrà quindi concretizzarsi in un’attività per il cui espletamento ordinario occorrano professionalità non disponibili quantitativamente (nell’ente sono presenti quelle figure ma risultano già impegnate),o qualitativamente (nell’ente non sono presenti figure con livelli di conoscenza o esperienza richiesti) (Ferretti M. Prospettive di armonizzazione tra le “vecchie” co.co.co nelle pubbliche amministrazione e la nuova disciplina del lavoro a progetto in LPA, 2004, p.569). Come ammonisce il Dipartimento della Funzione Pubblica, “il ricorso ad incarichi di collaborazione coordinata e continuativa deve costituire un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari per le quali l’amministrazione necessita dell’apporto di specifiche tecniche e competenze professionali” (Circolare 15 luglio 2004 n.4 del Dipartimento della Funzione Pubblica). In maniera consequenziale, la stessa legge n. 133/08 da pochissimo modificata in alcuni punti (dal decreto legge n. 78/2009 convertito dalla legge 102/2009) prevede all’art. 46: “l’utilizzo di collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.

Anche nel recentissimo D.l. n. 78/2009 rimane fermo il principio per cui le esigenze connesse al fabbisogno ordinario vengono soddisfatte con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato contenuto espressamente nel D.lgs n. 368/2001 (Paola Fuso, Le misure della manovra anti-crisi di impatto sulla pubblica amministrazione e il lavoro pubblico. Primo commento al Decreto Legge 1 luglio 2009, Bollettino Adapt 6 luglio 2009). Al riguardo la Funzione pubblica chiarisce (nota U.P.P.A. del 16 luglio 2009) che la finalità del legislatore di combattere gli abusi del lavoro flessibile «rimane forte» e segue la strada di una maggiore responsabilizzazione della dirigenza. Nonostante il recente intervento normativo il Dipartimento sottolinea come siano comunque vietate forme di elusione dei limiti temporali del contratto di lavoro a tempo determinato, ricorrendo ad altre tipologie contrattuali di tipo flessibile: «si tratterebbe, infatti, di porre in essere comportamenti in frode alla legge di cui dovrebbero rispondere i responsabili dei relativi atti».

In sostanza, attraverso l’obbligo di invio del rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere ai nuclei di valutazione o ai servizi di controllo interno, il Legislatore sembrerebbe voler introdurre un più penetrante controllo dell’operato dei dirigenti pubblici che - sottolinea la Funzione pubblica – “devono adottare misure volte a combattere le forme di precariato e non certo soluzioni che possano favorirle”. Sulla base di tali premesse, si chiarisce pertanto che il ricorso al medesimo lavoratore con un’altra tipologia contrattuale potrà avvenire legittimamente solo nel rigoroso rispetto:

- dei principi di imparzialità e trasparenza che devono caratterizzare le singole procedure di reclutamento;

- delle regole previste dalla normativa di settore che escludono di utilizzare tipologie contrattuali flessibili legate al fabbisogno ordinario, salvo le esigenze temporanee o eccezionali di cui all’art. 36, c. 2, d.Lgs 165/2001

- seguendo criteri di integrità e correttezza volti a combattere l’abuso del lavoro flessibile ed ogni forma di precariato.

4. Analogie e differenze tra la disciplina pubblica e quella privata

L’art. 36, co 1, del D.Lgs n. 165/2001 dispone che le pubbliche amministrazioni possono avvalersi delle “forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa” . Si ribadisce quindi il principio di tendenziale assimilazione del regime giuridico del lavoro pubblico a quello del lavoro privato (Il lavoro pubblico in Italia a cura di Umberto Carabelli e Maria Teresa Carinci, Cap. X, p. 119), principio espresso chiaramente e in linea generale dall’art. 2, co 2, prima parte, D.Lgs. n.165/2001, ai sensi del quale “i rapporti di lavoro delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”. La scelta legislativa di creare un diritto comune ai rapporti di lavoro privati e pubblici verrebbe confermata anche dal rinvio operato dalla legge alla contrattazione collettiva, che sarebbe privo di un proprio valore precettivo, dal momento che si limiterebbe a riconoscere al contratto collettivo la possibilità di integrare la disciplina legislativa dei singoli schemi negoziali – originariamente dettata, con riferimento al solo lavoro privato- nei limiti ed alle condizioni specificamente previsti da ciascuna di esse (Umberto Carabelli e Maria Teresa Carinci).

Tale previsione normativa contenuta nel comma 2 dell’art. 36 del D.Lgs 165/2001 attribuisce infatti ai contratti collettivi, nei limiti previsti dalle leggi, la disciplina dei contratti di formazione e lavoro, di quelli a tempo determinato, degli altri rapporti formativi, del contratto di somministrazione di lavoro e del lavoro accessorio, aggiunta quest’ultima recentemente ad opera del D.L n. 78/2009. Quindi la parasubordinazione del settore pubblico presenta molti aspetti in comune con la casistica del settore privato, regolato dalle norme contenute dal D.lgs n. 276/03, precisamente all’art. 61, rubricato “il lavoro a progetto” dal cui ambito sono esclusi i rapporti con le pubbliche amministrazioni (Gheido M., R. Casotti, Le collaborazioni coordinate e continuative nella P.A, in DPL n. 47/2003, pag. 3145). L’articolo 61 prescrive al comma 1 che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale senza vincolo di subordinazione di cui all’art. 409, n.3 c.p.c devono risultare riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione di detta attività.

Cosa non dissimile accade nel settore pubblico. Infatti anche il datore di lavoro pubblico che intende stipulare contratti di collaborazione deve identificare il progetto sulla cui base giustificare l’assegnazione dell’incarico, identificare in modo chiaro l’oggetto della prestazione, specificando i criteri di svolgimento dell’incarico, la temporaneità, riconoscere autonomia al soggetto che non è dipendente in servizio, prevedere il raggiungimento di un risultato indipendentemente dal tempo impiegato per la sua esecuzione. Per ciò che attiene ai requisiti di forma previsti dal contratto contenuti nell’art. 62 del D.lgs n. 276/2003 (forma scritta del contratto di lavoro a progetto), essi risultano trasferibili anche al settore del “pubblico impiego”.

È ormai consolidato a livello giurisprudenziale che i contratti stipulati dalla P.A. richiedono la forma scritta a pena di nullità e ciò anche nel caso in cui il contratto fosse a forma libera, questo al fine non solo di identificare il contenuto della volontà negoziale della persona giuridica ma, anche per rispondere alle esigenze di garanzia, trasparenza, di pubblicità dell’atto (Cass. Civ. Sez I, 8/04/1998 n.3662, Cass. Civile sez. III, del 18/11/1994 n. 9762). Inoltre la forma scritta del contratto di collaborazione, consente un controllo effettivo sul rispetto dei requisiti in presenza dei quali il datore di lavoro pubblico è autorizzato ad avvalersi di incaricati esterni (Ferretti M., Prospettive di armonizzazione, op. cit. p. 528) Sulla base di tali considerazioni, il contenuto del contratto di collaborazione nel settore pubblico rispecchia quanto è sancito dall’art. 62 del D.lgs n. 276/03, ai cui sensi il contratto deve contenere: l’indicazione della durata, determinata o determinabile della prestazione lavorativa; l’indicazione del programma o progetto, corrispettivo e criteri per la sua determinazione, le forme di coordinamento del lavoratore al committente sull’esecuzione della prestazione lavorativa, eventuali misure per la tutela della salute del lavoratore.

 Analoghe valutazioni possono essere svolte per gli articoli successivi del Decreto attuativo: l’art. 63 (il corrispettivo deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e tener conto dei compensi normalmente erogati per analoghe prestazioni di lavoro); l’art. 64 (obbligo alla riservatezza); l’art. 65 (invenzioni del collaboratore a progetto); si tratta di criteri aventi una valenza generale e in quanto tali applicabili alla Pubblica Amministrazione. Per quanto riguarda l’art. 67 (estinzione del contratto e preavviso), il primo comma è applicabile alle collaborazioni con la Pubblica Amministrazione perché la durata della “collaborazione” deve essere in entrambi i settori comunque collegata al raggiungimento di un ben preciso risultato che esaurisce il rapporto (come ad esempio l’instaurazione del sofware nel computer aziendale) o comunque ad un’attività del committente destinata anch’essa ad avere un termine (es. l’esecuzione di un appalto); lo stesso dicasi per il secondo comma, secondo cui le parti posso recedere dal contratto prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro, il quale è riconducibile alla disciplina generale dei contratti e dei rapporti di lavoro autonomo (Ferretti M., op. cit. p. 531).

Non mancano ovviamente tra i due settori di lavoro, quello pubblico e quello privato, delle divergenze.

Nell’ordine, l’art. 68 (rinunce e transazioni), che riconosce la possibilità di effettuare rinunce e transazioni, prevista per il lavoro a progetto, non è applicabile alle co.co.co stipulate dalle pubbliche amministrazioni, in quanto a queste non si estendono le procedure di certificazione di cui al titolo V del D.lgs n. 276/2003, ma soprattutto l’art. 69 della legge in questione. Esso riguarda l’ipotesi in cui il contratto di collaborazione sia instaurato senza l’individuazione di un progetto o programma di lavoro o fase di esso, cioè viene a mancare uno dei requisiti legali essenziali della tipologia contrattuale in questione. Poiché l’elemento del progetto è stato inserito per finalità antifraudolente, non è consentita alle parti la stipulazione di contratti di lavoro coordinati atipici, cioè che non rispettano i requisiti legali del “lavoro a progetto” (De Fusco E., Cacciapaglia L., Pizzuti P., Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro in Guida al lavoro n. 42, ottobre 2003, p.18). Quando ciò accada, la norma prevede la conversione automatica del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dal momento della costituzione dei contratti di lavoro. Questa norma non può essere estesa alla P.A. perché, com’è noto, in questo settore esiste un vincolo oggettivo che pone un freno all’applicazione delle regole privatistiche in caso di forme flessibili di assunzione e di impiego del personale ed è rappresentato dal vincolo delle procedure d’accesso, che prevede l’espletamento di un concorso pubblico. Infatti l’ultimo comma dell’art. 36 del D.lgs. n. 165/2001 espressamente impedisce che la violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni possa essere sanzionata mediante l’instaurazione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con lavoratori illegittimamente impiegati. Questa disposizione ha superato il vaglio di legittimità della Corte Costituzionale che l’ha valutata conforme sia ai principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) sia di buon andamento dell’Amministrazione (art.97 Cost) (C.Cost. n.89/20039) perché il divieto di conversione dei rapporti temporanei in rapporti a tempo indeterminato e la conseguente differenza di trattamento giuridico con il lavoro privato sarebbero giustificati dal principio costituzionale del concorso pubblico quale forma generale e ordinaria di reclutamento delle Pubbliche Amministrazioni (Il lavoro pubblico in Italia op. cit. p.120). Questa vistosa disparità di trattamento tra il settore privato, cui l’ordinamento riconosce il preminente interesse al mantenimento del posto di lavoro e il settore pubblico in cui prevale l’interesse pubblico, in applicazione del principio di buon andamento e in quello dell’accesso secondo procedure neutrali, si giustifica anche nella logica del controllo e del contenimento della spesa per il settore del pubblico impiego, dove i costi di gestione degli apparati organizzativi sono a carico della collettività.

La stipulazione di contratti flessibili da parte della p.a in violazione di norme di legge comporta, in forza dell’art. 36, la nullità dei patti medesimi, ma non pregiudica il diritto del lavoratore a ricevere comunque il corrispettivo per la prestazione eseguita ex art. 2126 c.c e da la possibilità al lavoratore di chiedere il risarcimento del danno che recentemente è stata valutata dalla giurisprudenza nella “perdita delle utilità economiche (..) che sarebbero spettate al lavoratore assunto con contratto a termine illegittimo qualora avesse operato il principio di conversione” (Trib. Napoli 12 gennaio 2005). Quanto alla durata di un contratto di collaborazione, la Funzione Pubblica nella nota del 2009 ricorda che la prestazione oggetto del contratto deve essere di natura temporanea e altamente qualificata. “Ciò lascia intendere che un corretto utilizzo dell’istituto deve muoversi in ambiti temporali limitati, coerenti con la durata del progetto che deve essere specifico e determinato”.

In ultimo, le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave e i dirigenti che operano in violazione delle disposizioni sopra menzionate sono responsabili anche ai sensi dell’art. 21 del Decreto Legge n. 78/2009 (convertito dalla legge n. 102/09); secondo la logica della responsabilità dirigenziale presente nel recentissimo decreto legge il dirigente, cui spetta la gestione delle risorse umane ed economiche dell’amministrazione assegnatagli, che risulti essere ricorso illegittimamente al lavoro flessibile, si vedrà privato della parte di retribuzione legata alla produttività.

Abstract

L’articolo 7, comma 6 del Decreto legislativo n. 165/2001, come modificato dalle recenti riforme, contiene la disciplina di base sui presupposti e limiti dell’utilizzo del lavoro autonomo nella Pubblica Amministrazione. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria (requisito questo introdotto dalla legge finanziaria 2008). Al fine di combattere gli abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di apposite istruzioni fornite con Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, le amministrazioni redigono, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, ai nuclei di valutazione o ai servizi di controllo interno di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 nonché alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica che redige una relazione annuale al Parlamento. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato (Legge n. 102/2009)

Premessa

La giurisprudenza è costante nell’interpretare rigorosamente i limiti previsti dalla legge. In particolare il giudice contabile, sul presupposto dell’eccezionalità del conferimento di incarichi di collaborazione esterna, ha più volte affermato che gli stessi possono essere affidati soltanto quando ricorrono tutte le seguenti condizioni (Adunanza della Corte dei Conti n. 6 del 15 febbraio 2005): la professionalità che si intende acquisire deve essere assolutamente carente nella struttura dell’Ente e l’affidamento esterno non deve comportare dunque una duplicazione delle funzioni svolte dal personale interno; il collaboratore deve essere effettivamente in possesso di competenze specifiche; la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata e contenere i criteri di scelta del prestatore d’opera; l’oggetto dell’incarico non deve essere generico, né di durata indefinita; il compenso, infine, determinato con precisione e proporzionato all’utilità conseguita dall’amministrazione. Per le pubbliche amministrazioni pertanto l’utilizzo di questa forma di reperimento di risorse umane può avvenire solo in alcuni casi e secondo le rigide disposizioni sopra esposte. Il datore di lavoro pubblico, a differenza di quello privato, può fare ricorso a forme di lavoro non subordinato solo entro limiti ben precisi: gli incarichi possono essere conferiti ad esperti di provata competenza solo quando siano presenti esigenze cui le amministrazioni non possono far fronte con personale in servizio. Infatti “le esigenze di copertura della dotazione organica, intese come esigenze di carattere continuativo e duraturo e quindi permanente, devono trovare soddisfazione esclusivamente con le assunzioni a tempo indeterminato” (articolo 36 del Decreto legislativo n.165/2001.

1. Ambito di applicazione

Come accennato in premessa, la legge finanziaria 2008 ha ridotto ulteriormente l’ambito di applicazione dei contratti flessibili. Per l’affidamento di incarichi a collaboratori esterni con l’eccezione per organismi di controllo di valutazione e di monitoraggio di investimenti, è richiesta una “particolare e comprovata specializzazione universitaria” (La flessibilità nel rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, a cura di Luigi Capogna e Roberto Tomei 2008, Padova Cedam. p. 243).

Il dipartimento della Funzione Pubblica chiarisce che con “l’espressione particolare e comprovata specializzazione universitaria” si debba intendere il requisito minimo della laurea magistrale o di un titolo equivalente (Dipartimento della Funzione Pubblica nota prot. 3407 del 21 gennaio 2008). La legge n. 133/08 all’art. 46 conferma quella che era una condivisibile interpretazione che si era fatta strada all’indomani della finanziaria 2008: si prescinde dal possesso della laurea in quelle fattispecie in cui la professionalità è data dall’iscrizione all’albo o è inerente all’incarico conferito: arte, spettacolo e mestieri artigiani (Bruno Caruso, La flessibilità (ma non solo) del lavoro pubblico nella l.133/08, in LPA, vol. XI , 2008, p. 485) In questo caso (secondo comma) art. 46, l’amministrazione deve comunque aver accertato, “la maturata esperienza nel settore”, e si deve dar vita a un contratto d’opera ex art. 2222 o 2230 c.c per le professioni intellettuali, vale a dire ad una prestazione occasionale e non coordinata e continuativa.

La possibilità di affidare incarichi di collaborazione riguarda sia quelli di natura occasionale sia quelli di tipo coordinato e continuativo, essendo eliminata dalla stessa legge n. 133/08 la differenziazione descrittiva tra consulenze, incarichi di studio e di ricerca. L’elemento fondamentale individuabile in tutti i tipi di collaborazione è il carattere autonomo della prestazione; diversamente sarebbero violate le norme sull’accesso alla Pubblica Amministrazione tramite concorso pubblico, nonché i principi di buon andamento e imparzialità sanciti dall’art. 97 della Costituzione. La dottrina pressoché unanimemente, già precedentemente alla c.d. riforma Brunetta, si era assestata su una condivisa unitarietà regolativa delle categorie degli incarichi e delle collaborazioni abbandonando la minoritaria tesi del doppio binario con l’incarico che avrebbe avuto un fondamento giuridico diverso dai rapporti di collaborazione (Giancarlo Ricci, Gli incarichi professionali e i rapporti di collaborazione nelle P.A, in LPA n. 2 Vol. XI, 2008 p. 254).

A sostegno di tale impostazione è la Circolare del DFP-UPPA del 19 marzo 2008 n. 2 che riconduce la disciplina del lavoro autonomo per intero all’art. 7, comma 6, escludendo espressamente, peraltro, che i rapporti di collaborazione possano essere inquadrati nella diversa cornice dell’art. 36, d.lgs. n. 165/2001 come riformato dalle recenti riforme.

2. Elementi principali dei rapporti di collaborazione

“Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria” (Art. 46 l.133/08).

Gli elementi fondanti di tali collaborazioni, nonché i presupposti, sono:

- l’oggetto della prestazione che deve essere corrispondente alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obbiettivi e progetti specifici e determinati;

- il preventivo accertamento da parte dell’ amministrazione di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

- la temporaneità della prestazione con conseguente necessaria definizione del termine di scadenza, non essendo ammissibili collaborazioni indeterminate;

- l’alta qualificazione della prestazione, non potendo coinvolgere professionalità c.d. “medio-basse”;

- la predeterminazione di alcuni elementi del contratto quali la durata, il luogo, il compenso e l’oggetto in modo da delineare il perimetro dei principali diritt ie obblighi dei contraenti.

I limiti sostanziali ribaditi a più riprese dalla giurisprudenza contabile entro i quali poter effettuare conferimenti esterni alle pubbliche amministrazioni sono connessi essenzialmente a tre condizioni di legalità: interesse pubblico, causa del potere, logica e imparzialità, oltre che ad un principio di carattere generale secondo il quale l’attività della P.A. deve essere svolta prioritariamente dai propri uffici potendo ricorrere all’esterno solo in casi eccezionali (La flessibilità (ma non solo) del lavoro pubblico nella l.133/08, 253). Sopravvive alle ultime innovazioni legislative anche la previsione, e non potrebbe essere altrimenti, di specifici vincoli di natura procedimentale: l’obbligo ex art. 7 comma 6 bis d.lgs. n. 165/2001 per le amministrazioni a disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. Finalmente con tale disposizione si è cercato di porre fine alla prassi del conferimento di incarichi di collaborazione ad personam, in spregio dei principi di pubblicità, trasparenza e obiettività dei meccanismi di reclutamento che debbono genericamente ritenersi riferibili a tutti i sistemi di attribuzione di incarico o reclutamento (Giancarlo Ricci, Gli incarichi professionali e i rapporti di collaborazione nella P.A.).

D’altronde, come ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, si tratta di “elementari e indefettibili” canoni di legalità che impongono alla P.A, allorquando essa si determini a ricercare sul libero mercato, regolato dal diritto privato, le forniture di cui ha bisogno per il suo funzionamento (siano esse forniture di servizi, di beni e di lavori, oppure di mano d’opera e di collaborazione professionale), di agire in modo imparziale e trasparente, predefinendo criteri di selezione e assicurando un minimo di pubblicità della propria intenzione negoziale e un minimo di concorso dei soggetti in astratto interessati e titolati a conseguire l’incarico (T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, 24 gennaio 2008, n.382). Fondamentale risulta nell’ambito della procedura l’accurata lettura e valutazione dei curricula, senza escludere la possibilità di un colloquio che integri gli elementi di valutazione sui candidati e soprattutto, si rivela imprescindibile l’esigenza di una motivazione posta alla base della decisione del dirigente che non sia di mero orpello, ma che serva in concreto a supportare l’esito della valutazione, documentando il confronto tra candidati e consentendo la valutazione dell’iter logico-giuridico seguito(Giancarlo Ricci,opera citata sopra).

Trasparenza e pubblicità nei rapporti tra pubblica amministrazione e soggetti esterni ad essa non si esauriscono nella fase precedente all’istaurarsi della collaborazione, ma anzi, in base alla legge finanziaria 2008, si caricano di un significato uguale se non maggiore nella fase successiva all’attribuzione dell’incarico stesso, dove si stabilisce che le P.A. che si avvalgono di collaboratori esterni “sono tenuti a pubblicare sul proprio sito web i provvedimenti di incarico o di collaborazione completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato”(art. 3, c. 54).

Dall’omessa pubblicazione derivano importanti conseguenze: i contratti relativi a rapporti di “consulenza” sono considerati privi di efficacia in base all’art. 3, c. 18 sempre della legge n. 244/07 e la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto (art. 3, comma 54).

Tale procedura comparativa sarebbe davvero eccessiva per le collaborazioni occasionali che sono effettivamente tali quando non superano, convenzionalmente, il tetto dei cinquemila euro o la durata dei trenta giorni anche se gli ordinamenti interni potrebbero individuare diversi requisiti (Circ. della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 2/2008).

3. Le collaborazioni coordinate e continuative

Per quanto attiene alle collaborazioni coordinate e continuative esse sono una particolare species del più ampio genus del lavoro autonomo e la nozione convenzionale è desunta da dalla lettera dell’art. 409, n. 3 c.p.c, così come novellato dalla legge n. 533 del 1973 di riforma del processo del lavoro.

In base all’art. 409, n. 3 i rapporti di collaborazione sono quelli “che si concretano in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato”. Alla luce di tale norma e tenendo conto della giurisprudenza della Corte di Cassazione (n. 7785 del 1997), per ritenere l’esistenza dei suddetti rapporti di collaborazione devono sussistere i seguenti requisiti: continuità, che siccome quando la prestazione non è occasionale, ma perdura nel tempo e che importa un impegno costante del prestatore a favore del committente; coordinazione intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale o più in generale nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzate dall’ingerenza di quest’ultimo nelle novità del prestatore; la personalità che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull’opera svolta dai collaboratori”.

La coordinazione rappresenta senz’altro l’elemento che maggiormente distingue tale tipo di lavoro autonomo da quello subordinato. In quest’ultimo caso, infatti, il prestatore di lavoro è inserito nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro ed è per questo sottoposto al suo potere direttivo e disciplinare, con conseguente limitazione della propria autonomia nell’esecuzione della prestazione. Nelle co.co.co. il rapporto tra questi elementi è per così dire rovesciato: il collaboratore esegue, infatti, la prestazione personalmente ed in piena autonomia ma poiché essa è strumentale alla realizzazione del programma produttivo del committente e deve essere utile economicamente a quest’ultimo, egli deve interagire e coordinarsi con la struttura organizzativa del destinatario della prestazione.

Principale requisito richiesto per l’instaurarsi di una collaborazione coordinata e continuativa è che la prestazione che deve essere resa da un soggetto munito di comprovata esperienza tale da evidenziare come caratteristiche essenziali un’elevata autonomia nello svolgimento della prestazione di lavoro autonomo coordinato. Il caso contrario rappresenterebbe un aggiramento delle norme che regolano l’accesso al lavoro nella Pubblica Amministrazione tramite l’istituto del concorso pubblico (art. 51 e 97 della Costituzione). Infatti il ricorso a questo tipo contrattuale dovrà essere posto in relazione alla carenza di personale e la prestazione oggetto della collaborazione dovrà quindi concretizzarsi in un’attività per il cui espletamento ordinario occorrano professionalità non disponibili quantitativamente (nell’ente sono presenti quelle figure ma risultano già impegnate),o qualitativamente (nell’ente non sono presenti figure con livelli di conoscenza o esperienza richiesti) (Ferretti M. Prospettive di armonizzazione tra le “vecchie” co.co.co nelle pubbliche amministrazione e la nuova disciplina del lavoro a progetto in LPA, 2004, p.569). Come ammonisce il Dipartimento della Funzione Pubblica, “il ricorso ad incarichi di collaborazione coordinata e continuativa deve costituire un rimedio eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari per le quali l’amministrazione necessita dell’apporto di specifiche tecniche e competenze professionali” (Circolare 15 luglio 2004 n.4 del Dipartimento della Funzione Pubblica). In maniera consequenziale, la stessa legge n. 133/08 da pochissimo modificata in alcuni punti (dal decreto legge n. 78/2009 convertito dalla legge 102/2009) prevede all’art. 46: “l’utilizzo di collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.

Anche nel recentissimo D.l. n. 78/2009 rimane fermo il principio per cui le esigenze connesse al fabbisogno ordinario vengono soddisfatte con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato contenuto espressamente nel D.lgs n. 368/2001 (Paola Fuso, Le misure della manovra anti-crisi di impatto sulla pubblica amministrazione e il lavoro pubblico. Primo commento al Decreto Legge 1 luglio 2009, Bollettino Adapt 6 luglio 2009). Al riguardo la Funzione pubblica chiarisce (nota U.P.P.A. del 16 luglio 2009) che la finalità del legislatore di combattere gli abusi del lavoro flessibile «rimane forte» e segue la strada di una maggiore responsabilizzazione della dirigenza. Nonostante il recente intervento normativo il Dipartimento sottolinea come siano comunque vietate forme di elusione dei limiti temporali del contratto di lavoro a tempo determinato, ricorrendo ad altre tipologie contrattuali di tipo flessibile: «si tratterebbe, infatti, di porre in essere comportamenti in frode alla legge di cui dovrebbero rispondere i responsabili dei relativi atti».

In sostanza, attraverso l’obbligo di invio del rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere ai nuclei di valutazione o ai servizi di controllo interno, il Legislatore sembrerebbe voler introdurre un più penetrante controllo dell’operato dei dirigenti pubblici che - sottolinea la Funzione pubblica – “devono adottare misure volte a combattere le forme di precariato e non certo soluzioni che possano favorirle”. Sulla base di tali premesse, si chiarisce pertanto che il ricorso al medesimo lavoratore con un’altra tipologia contrattuale potrà avvenire legittimamente solo nel rigoroso rispetto:

- dei principi di imparzialità e trasparenza che devono caratterizzare le singole procedure di reclutamento;

- delle regole previste dalla normativa di settore che escludono di utilizzare tipologie contrattuali flessibili legate al fabbisogno ordinario, salvo le esigenze temporanee o eccezionali di cui all’art. 36, c. 2, d.Lgs 165/2001

- seguendo criteri di integrità e correttezza volti a combattere l’abuso del lavoro flessibile ed ogni forma di precariato.

4. Analogie e differenze tra la disciplina pubblica e quella privata

L’art. 36, co 1, del D.Lgs n. 165/2001 dispone che le pubbliche amministrazioni possono avvalersi delle “forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa” . Si ribadisce quindi il principio di tendenziale assimilazione del regime giuridico del lavoro pubblico a quello del lavoro privato (Il lavoro pubblico in Italia a cura di Umberto Carabelli e Maria Teresa Carinci, Cap. X, p. 119), principio espresso chiaramente e in linea generale dall’art. 2, co 2, prima parte, D.Lgs. n.165/2001, ai sensi del quale “i rapporti di lavoro delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”. La scelta legislativa di creare un diritto comune ai rapporti di lavoro privati e pubblici verrebbe confermata anche dal rinvio operato dalla legge alla contrattazione collettiva, che sarebbe privo di un proprio valore precettivo, dal momento che si limiterebbe a riconoscere al contratto collettivo la possibilità di integrare la disciplina legislativa dei singoli schemi negoziali – originariamente dettata, con riferimento al solo lavoro privato- nei limiti ed alle condizioni specificamente previsti da ciascuna di esse (Umberto Carabelli e Maria Teresa Carinci).

Tale previsione normativa contenuta nel comma 2 dell’art. 36 del D.Lgs 165/2001 attribuisce infatti ai contratti collettivi, nei limiti previsti dalle leggi, la disciplina dei contratti di formazione e lavoro, di quelli a tempo determinato, degli altri rapporti formativi, del contratto di somministrazione di lavoro e del lavoro accessorio, aggiunta quest’ultima recentemente ad opera del D.L n. 78/2009. Quindi la parasubordinazione del settore pubblico presenta molti aspetti in comune con la casistica del settore privato, regolato dalle norme contenute dal D.lgs n. 276/03, precisamente all’art. 61, rubricato “il lavoro a progetto” dal cui ambito sono esclusi i rapporti con le pubbliche amministrazioni (Gheido M., R. Casotti, Le collaborazioni coordinate e continuative nella P.A, in DPL n. 47/2003, pag. 3145). L’articolo 61 prescrive al comma 1 che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale senza vincolo di subordinazione di cui all’art. 409, n.3 c.p.c devono risultare riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione di detta attività.

Cosa non dissimile accade nel settore pubblico. Infatti anche il datore di lavoro pubblico che intende stipulare contratti di collaborazione deve identificare il progetto sulla cui base giustificare l’assegnazione dell’incarico, identificare in modo chiaro l’oggetto della prestazione, specificando i criteri di svolgimento dell’incarico, la temporaneità, riconoscere autonomia al soggetto che non è dipendente in servizio, prevedere il raggiungimento di un risultato indipendentemente dal tempo impiegato per la sua esecuzione. Per ciò che attiene ai requisiti di forma previsti dal contratto contenuti nell’art. 62 del D.lgs n. 276/2003 (forma scritta del contratto di lavoro a progetto), essi risultano trasferibili anche al settore del “pubblico impiego”.

È ormai consolidato a livello giurisprudenziale che i contratti stipulati dalla P.A. richiedono la forma scritta a pena di nullità e ciò anche nel caso in cui il contratto fosse a forma libera, questo al fine non solo di identificare il contenuto della volontà negoziale della persona giuridica ma, anche per rispondere alle esigenze di garanzia, trasparenza, di pubblicità dell’atto (Cass. Civ. Sez I, 8/04/1998 n.3662, Cass. Civile sez. III, del 18/11/1994 n. 9762). Inoltre la forma scritta del contratto di collaborazione, consente un controllo effettivo sul rispetto dei requisiti in presenza dei quali il datore di lavoro pubblico è autorizzato ad avvalersi di incaricati esterni (Ferretti M., Prospettive di armonizzazione, op. cit. p. 528) Sulla base di tali considerazioni, il contenuto del contratto di collaborazione nel settore pubblico rispecchia quanto è sancito dall’art. 62 del D.lgs n. 276/03, ai cui sensi il contratto deve contenere: l’indicazione della durata, determinata o determinabile della prestazione lavorativa; l’indicazione del programma o progetto, corrispettivo e criteri per la sua determinazione, le forme di coordinamento del lavoratore al committente sull’esecuzione della prestazione lavorativa, eventuali misure per la tutela della salute del lavoratore.

 Analoghe valutazioni possono essere svolte per gli articoli successivi del Decreto attuativo: l’art. 63 (il corrispettivo deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e tener conto dei compensi normalmente erogati per analoghe prestazioni di lavoro); l’art. 64 (obbligo alla riservatezza); l’art. 65 (invenzioni del collaboratore a progetto); si tratta di criteri aventi una valenza generale e in quanto tali applicabili alla Pubblica Amministrazione. Per quanto riguarda l’art. 67 (estinzione del contratto e preavviso), il primo comma è applicabile alle collaborazioni con la Pubblica Amministrazione perché la durata della “collaborazione” deve essere in entrambi i settori comunque collegata al raggiungimento di un ben preciso risultato che esaurisce il rapporto (come ad esempio l’instaurazione del sofware nel computer aziendale) o comunque ad un’attività del committente destinata anch’essa ad avere un termine (es. l’esecuzione di un appalto); lo stesso dicasi per il secondo comma, secondo cui le parti posso recedere dal contratto prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro, il quale è riconducibile alla disciplina generale dei contratti e dei rapporti di lavoro autonomo (Ferretti M., op. cit. p. 531).

Non mancano ovviamente tra i due settori di lavoro, quello pubblico e quello privato, delle divergenze.

Nell’ordine, l’art. 68 (rinunce e transazioni), che riconosce la possibilità di effettuare rinunce e transazioni, prevista per il lavoro a progetto, non è applicabile alle co.co.co stipulate dalle pubbliche amministrazioni, in quanto a queste non si estendono le procedure di certificazione di cui al titolo V del D.lgs n. 276/2003, ma soprattutto l’art. 69 della legge in questione. Esso riguarda l’ipotesi in cui il contratto di collaborazione sia instaurato senza l’individuazione di un progetto o programma di lavoro o fase di esso, cioè viene a mancare uno dei requisiti legali essenziali della tipologia contrattuale in questione. Poiché l’elemento del progetto è stato inserito per finalità antifraudolente, non è consentita alle parti la stipulazione di contratti di lavoro coordinati atipici, cioè che non rispettano i requisiti legali del “lavoro a progetto” (De Fusco E., Cacciapaglia L., Pizzuti P., Le collaborazioni dopo la riforma del mercato del lavoro in Guida al lavoro n. 42, ottobre 2003, p.18). Quando ciò accada, la norma prevede la conversione automatica del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dal momento della costituzione dei contratti di lavoro. Questa norma non può essere estesa alla P.A. perché, com’è noto, in questo settore esiste un vincolo oggettivo che pone un freno all’applicazione delle regole privatistiche in caso di forme flessibili di assunzione e di impiego del personale ed è rappresentato dal vincolo delle procedure d’accesso, che prevede l’espletamento di un concorso pubblico. Infatti l’ultimo comma dell’art. 36 del D.lgs. n. 165/2001 espressamente impedisce che la violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni possa essere sanzionata mediante l’instaurazione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con lavoratori illegittimamente impiegati. Questa disposizione ha superato il vaglio di legittimità della Corte Costituzionale che l’ha valutata conforme sia ai principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) sia di buon andamento dell’Amministrazione (art.97 Cost) (C.Cost. n.89/20039) perché il divieto di conversione dei rapporti temporanei in rapporti a tempo indeterminato e la conseguente differenza di trattamento giuridico con il lavoro privato sarebbero giustificati dal principio costituzionale del concorso pubblico quale forma generale e ordinaria di reclutamento delle Pubbliche Amministrazioni (Il lavoro pubblico in Italia op. cit. p.120). Questa vistosa disparità di trattamento tra il settore privato, cui l’ordinamento riconosce il preminente interesse al mantenimento del posto di lavoro e il settore pubblico in cui prevale l’interesse pubblico, in applicazione del principio di buon andamento e in quello dell’accesso secondo procedure neutrali, si giustifica anche nella logica del controllo e del contenimento della spesa per il settore del pubblico impiego, dove i costi di gestione degli apparati organizzativi sono a carico della collettività.

La stipulazione di contratti flessibili da parte della p.a in violazione di norme di legge comporta, in forza dell’art. 36, la nullità dei patti medesimi, ma non pregiudica il diritto del lavoratore a ricevere comunque il corrispettivo per la prestazione eseguita ex art. 2126 c.c e da la possibilità al lavoratore di chiedere il risarcimento del danno che recentemente è stata valutata dalla giurisprudenza nella “perdita delle utilità economiche (..) che sarebbero spettate al lavoratore assunto con contratto a termine illegittimo qualora avesse operato il principio di conversione” (Trib. Napoli 12 gennaio 2005). Quanto alla durata di un contratto di collaborazione, la Funzione Pubblica nella nota del 2009 ricorda che la prestazione oggetto del contratto deve essere di natura temporanea e altamente qualificata. “Ciò lascia intendere che un corretto utilizzo dell’istituto deve muoversi in ambiti temporali limitati, coerenti con la durata del progetto che deve essere specifico e determinato”.

In ultimo, le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave e i dirigenti che operano in violazione delle disposizioni sopra menzionate sono responsabili anche ai sensi dell’art. 21 del Decreto Legge n. 78/2009 (convertito dalla legge n. 102/09); secondo la logica della responsabilità dirigenziale presente nel recentissimo decreto legge il dirigente, cui spetta la gestione delle risorse umane ed economiche dell’amministrazione assegnatagli, che risulti essere ricorso illegittimamente al lavoro flessibile, si vedrà privato della parte di retribuzione legata alla produttività.