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Le novità della riforma estiva in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari

Decreto Legge 83/2015, convertito nella Legge 132/2015
Le novità della riforma estiva in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari
Le novità della riforma estiva in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari

Parte II

Dopo aver analizzato la nozione di “contratti pendenti”, di cui al novellato articolo 169-bis l.f. (v. Le novità della riforma estiva (Decreto Legge 83/2015, convertito nella Legge 132/2015) in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari. Parte I), veniamo ora, più nel dettaglio, alla specifica questione relativa all’applicabilità della norma ai contratti di anticipazione bancaria su crediti del debitore verso terzi pendenti al momento della domanda di concordato o di pre-concordato. Come si è avuto modo di anticipare, è dibattuto se suddette operazioni siano suscettibili di sospensione o scioglimento ai sensi della norma citata pur se non si siano ancora concluse con la riscossione dei crediti anticipati e, quindi, con il fisiologico rientro della banca; il problema si pone perché tali contratti, sebbene strutturalmente bilaterali, dal punto di vista funzionale operano alla stregua di fattispecie unilaterali sul rilievo che la banca, con l’erogazione dell’anticipo, ha esaurito la propria prestazione, talché residua il solo credito relativo alla controprestazione del debitore concordatario. Può il rapporto essere considerato “pendente” ove l’erogazione sia posta in essere prima della presentazione del ricorso ma l’ente finanziatore non abbia ancora proceduto all’incasso?

Per rispondere al quesito, in via preliminare, pare opportuno soffermarsi sulle peculiarità che connotano le fattispecie di cui trattasi. Il contratto di anticipazione bancaria, come noto, è un contratto d’apertura di credito in cui la banca anticipa al cliente l’importo di crediti non ancora scaduti che questi vanta nei confronti di terzi. L’anticipo generalmente avviene mediante cessione pro solvendo di crediti -in funzione solutoria o di garanzia, a seconda del concreto assetto regolamentare stabilito dalle parti- ovvero tramite mandato irrevocabile all’incasso: in tal caso, il cliente (mandante) conferisce alla banca (mandatario) un mandato irrevocabile ad incassare il proprio credito vantato verso un terzo; diversamente da quanto accade nella prima ipotesi, qui non viene trasferita al mandatario la titolarità del credito, ma solo la legittimazione a riscuoterlo. È bene precisare che può discutersi dell’applicabilità dell’articolo 169-bis l.f. ai contratti di anticipazione bancaria contro cessione di crediti solo ed esclusivamente allorquando la cessione non abbia efficacia solutoria ma assolva ad una mera funzione di garanzia della restituzione delle somme. La cessione del credito difatti, a differenza del mandato all’incasso, integra un negozio traslativo i cui effetti si esauriscono al momento del perfezionamento dell’accordo talché, non appena le somme vengano erogate, il contratto potrà ritenersi interamente eseguito da entrambe le parti. In tal caso, la prestazione di erogazione del credito cui è tenuta la banca risulta esaurita, al pari della controprestazione del cliente in concordato (cessione alla banca dei propri crediti verso terzi) giacché, sin dal momento del perfezionamento del contratto, in forza del principio consensualistico di cui all’articolo 1376 del codice civile, si è prodotto l’effetto traslativo del credito del terzo a favore della banca, salva l’ipotesi in cui la cessione abbia effetti meramente obbligatori, avendo ad oggetto, ad esempio, un credito futuro. Deve escludersi, pertanto, che il negozio di cessione in funzione solutoria possa essere travolto dal provvedimento giudiziale di autorizzazione allo scioglimento, il quale, operando con efficacia ex nunc non potrebbe caducare un effetto traslativo che si è già verificato. Per le medesime ragioni vi è incompatibilità ontologica tra cessione del credito e patto di compensazione, atteso che il credito ceduto, nel momento del perfezionamento del contratto di anticipazione bancaria ed in virtù degli effetti traslativi tipici della cessione, diviene immediatamente di spettanza della banca che non ha alcun obbligo di restituire la somma al proprio debitore.

Ad ogni modo, che si tratti di anticipazione su crediti contro mandato all’incasso o contro cessione, si è dinanzi ad un collegamento negoziale tra un’apertura di credito e un contratto di mandato in rem propriam o di cessione del credito, cui generalmente si accompagna un patto di compensazione tra il credito restitutorio derivante dalle anticipazioni e il debito che trova titolo nelle riscossioni. La cessione o il mandato costituiscono la controprestazione dell’apertura di credito, giacché garantiscono alla banca il rientro dell’anticipazione.

L’individuazione dell’ambito di operatività dell’articolo 169-bis l.f. con riferimento a tali contratti richiede, in via prioritaria, l’analisi del concreto assetto che assumono le operazioni de quibus nella prassi bancaria. Generalmente, la pattuizione consta di un contratto-quadro nell’ambito del quale trovano titolo e disciplina le singole operazioni di anticipazione in conto corrente contro cessione o mandato all’incasso di crediti che il cliente vanti verso terzi, a tempo determinato o indeterminato e fino ad un tetto massimo convenuto. L’affidato che richieda l’ammissione ad una procedura di concordato preventivo potrà senza dubbio rivolgersi al giudice per ottenere la sospensione o lo scioglimento ex articolo 169-bis l.f. del contratto-quadro che sia ancora in piedi e l’eventuale accoglimento della suddetta istanza comporterà il venir meno (temporaneamente o in via definitiva) della possibilità di chiedere alla banca l’anticipazione di crediti a fronte del conferimento del mandato all’incasso ovvero alla cessione degli stessi. Ferma tale evenienza, il vero punctum dolens attiene alla possibilità -nonché agli effetti- della richiesta di scioglimento o di sospensione delle singole operazioni di anticipazione bancaria in corso, relativamente alle quali l’erogazione creditizia da parte della banca abbia avuto luogo prima del deposito del ricorso, mentre la riscossione del credito a copertura delle anticipazioni sia successiva a tale momento.

La questione merita approfondimento sotto due diversi profili: in primo luogo, ci si chiede se i rapporti di cui trattasi possano essere oggetto di scioglimento o sospensione ai sensi dell’articolo 169-bis l.f., in ragione del peculiare atteggiarsi della nozione di pendenza con riguardo ai contratti bancari che prevedano linee di credito autoliquidanti, ove il carattere diacronico delle prestazioni che compongono il sinallagma rende tali fattispecie, di fatto, unilaterali; in secondo luogo, il tema si lega indissolubilmente al divieto di pagamento dei debiti anteriori in sede concordataria, giacché il mantenimento del rapporto - ed, in particolare, del patto di compensazione che generalmente è incluso in tali contratti - è suscettibile di determinare la soddisfazione preferenziale del credito derivante dall’anticipazione erogata al debitore concordatario ancora in bonis.

A tale ultimo proposito, in via preliminare, è bene chiarire che, con riferimento al concordato preventivo, il divieto di pagamento dei debiti anteriori alla data di deposito del ricorso, pur non espressamente previsto dalla legge, si evince dalla disciplina dei relativi effetti: l’articolo 167 l.f. limita il potere dispositivo del debitore durante la procedura in un’ottica di tutela delle ragioni creditorie; la disposizione successiva prevede che, dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore: tale preclusione sottende il divieto di pagamento di debiti anteriori, atteso che sarebbe irragionevole che il creditore possa ottenere spontaneamente dal debitore ciò che il principio della par condicio creditorum gli preclude di conseguire in via coattiva. Ancora, l’articolo 184 nel prevedere che il concordato  sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l’ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dal sistema. Da ultimo, con riferimento al concordato in continuità, l’articolo 182-quinquies l.f. configura il pagamento dei crediti sorti prima del deposito del ricorso alla stregua di evenienza del tutto eccezionale, possibile solo in presenza di determinate condizioni e, comunque, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. 

Alla luce delle considerazioni svolte, ci si può domandare se, in ipotesi di anticipazione bancaria su crediti regolata in conto corrente contro cessione o mandato all’incasso, sia legittima la condotta della banca che, pur dopo il deposito del ricorso per l’accesso al concordato, trattenga le somme versate da terzi e le annoti sul conto ad attivo del debitore correntista, ma in compensazione delle partite di segno opposto, oppure se sia tenuta a consegnare dette somme all’imprenditore in concordato preventivo. Ciò perché, come s’è osservato, l’incameramento di dette somme da parte della banca è suscettibile di infrangere il divieto di pagamento dei debiti anteriori nella misura in cui determina una soddisfazione preferenziale del credito avente titolo nelle anticipazioni concesse al debitore ante concordato, credito che si riduce per effetto dell’incasso delle somme corrisposte dai terzi debitori.

La questione si pone allorquando esista una pattuizione che -in deroga al principio della cristallizzazione della massa debitoria e della inesigibilità dei crediti vantati da terzi nei confronti del debitore concordatario posta a tutela della par condicio creditorum- attribuisca alla banca il diritto di soddisfare, anche dopo l’accesso alla procedura, il credito sorto in virtù dell’anticipazione erogata prima di tale momento, attraverso l’incameramento delle somme riscosse durante il concordato. In proposito, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, al fine di individuare l’ambito di applicazione del divieto di pagamento dei debiti anteriori nella procedura di concordato preventivo, occorre distinguere a seconda che la pattuizione relativa all’operazione di anticipazione di ricevute bancarie regolata in conto preveda o meno una clausola che attribuisca alla banca il diritto di ritenere le somme riscosse, ossia il c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto, in virtù del quale la banca ha diritto di “compensare” il debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito avente titolo nelle operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che il credito sia anteriore all’accesso alla procedura ed il debito posteriore (cfr., di recente, Cass. n. 17999/2011; più risalenti Cass. n. 7194/1997 e Cass. n. 6870/1994; con riguardo alla giurisprudenza di merito v. Tribunale di Monza, 27 novembre 2013, secondo cui “si deve ritenere che il menzionato patto [di compensazione, n.d.r.] specificamente correlato all’anticipazione non ponga problemi di opponibilità alla procedura concorsuale dal momento che quando il rapporto bancario nel suo complesso prosegue in corso di procedura […] con piena efficacia di tutte le clausole pattizie ad esso riconducibili, è necessariamente antecedente all’apertura della procedura, con la conseguenza che il patto di compensazione inscindibilmente interdipendente all’operazione creditizia è destinato ad operare in corso di procedura, finché non intervenga una causa di scioglimento del rapporto, e ciò in deroga al principio di parità di trattamento dei creditori che impedisce il pagamento (e, tantomeno, “l’autopagamento”) dei crediti anteriori”). Dal momento che l’ammissione alla procedura di concordato preventivo non determina lo scioglimento del rapporto di conto corrente bancario e di quelli che ad esso accedono, la prosecuzione riguarda la convenzione nel suo complesso e si estende, perciò, a tutte le clausole che la compongono, incluso suddetto patto di compensazione; esso è indissolubilmente connesso al negozio di credito bancario ed è strutturalmente collegato al potere attribuito alla banca (in forza di un mandato o per effetto di una cessione di credito) di riscuotere il credito del correntista. Tale correlazione, che impone una speciale regolamentazione delle modalità di soddisfazione del credito della banca, conforma la causa del complessivo assetto regolamentare e, perciò, determina un vincolo inscindibile tra il contratto e la clausola specifica, talché, in assenza del patto di compensazione, l’operazione non sarebbe stata posta in essere.

La reciproca dipendenza delle pattuizioni fa sì che nel programma convenuto fra il debitore concordatario e la banca la riscossione dei crediti costituisca una mera modalità di rientro del finanziatore dall’anticipazione concessa. In altri termini, la banca viene legittimata dal debitore ad incassare i crediti di quest’ultimo verso terzi esclusivamente ai fini dell’estinzione dell’obbligazione che funge da controprestazione all’anticipazione, talché non vi è alterità ontologica tra la residua prestazione di rimborso cui è tenuto il debitore ed il negozio di cessione o di mandato all’incasso dei crediti di quest’ultimo, né si può considerare la riscossione quale prestazione ulteriore della banca piuttosto che modalità di pagamento del cliente. Sulla scorta di tali considerazioni la giurisprudenza di legittimità ritiene “inammissibile, prima ancora sul piano logico che su quello giuridico, qualsiasi costruzione giuridica incentrata sulla prosecuzione - nel corso di una procedura concorsuale minore - del complesso unitario rapporto di conto corrente bancario, compresa l’obbligazione di dare esecuzione all’incarico di incassare le ricevute, ma con esclusione del patto (va ribadito, inscindibile rispetto a quel rapporto) di “compensazione” attraverso il mezzo tecnico della annotazione in conto delle somme riscosse ad elisione delle partite di debito verso la banca” (cfr. Cass., n. 2539/1998).

Traendo le fila del discorso, quindi, è possibile affermare che la fuoriuscita dal concorso delle somme incassate dalla banca nel contesto di un’operazione di anticipazione che contempli, altresì, il patto di compensazione richiede la pendenza, al momento dell’avvio della procedura concordataria, della regolamentazione contrattuale nel suo complesso. Per contro, l’eventuale scioglimento del rapporto di credito investirà anche le pattuizioni che ad esso accedono e, quindi, il patto di compensazione, se previsto, precludendo alla banca la possibilità di operare la compensazione tra debiti e crediti con obbligo di riversare alla procedura le somme incassate dopo (l’avvio della procedura e) lo scioglimento del contratto.

I Parte

Parte II

Dopo aver analizzato la nozione di “contratti pendenti”, di cui al novellato articolo 169-bis l.f. (v. Le novità della riforma estiva (Decreto Legge 83/2015, convertito nella Legge 132/2015) in tema di contratti pendenti nel concordato preventivo, con particolare riferimento ai contratti bancari. Parte I), veniamo ora, più nel dettaglio, alla specifica questione relativa all’applicabilità della norma ai contratti di anticipazione bancaria su crediti del debitore verso terzi pendenti al momento della domanda di concordato o di pre-concordato. Come si è avuto modo di anticipare, è dibattuto se suddette operazioni siano suscettibili di sospensione o scioglimento ai sensi della norma citata pur se non si siano ancora concluse con la riscossione dei crediti anticipati e, quindi, con il fisiologico rientro della banca; il problema si pone perché tali contratti, sebbene strutturalmente bilaterali, dal punto di vista funzionale operano alla stregua di fattispecie unilaterali sul rilievo che la banca, con l’erogazione dell’anticipo, ha esaurito la propria prestazione, talché residua il solo credito relativo alla controprestazione del debitore concordatario. Può il rapporto essere considerato “pendente” ove l’erogazione sia posta in essere prima della presentazione del ricorso ma l’ente finanziatore non abbia ancora proceduto all’incasso?

Per rispondere al quesito, in via preliminare, pare opportuno soffermarsi sulle peculiarità che connotano le fattispecie di cui trattasi. Il contratto di anticipazione bancaria, come noto, è un contratto d’apertura di credito in cui la banca anticipa al cliente l’importo di crediti non ancora scaduti che questi vanta nei confronti di terzi. L’anticipo generalmente avviene mediante cessione pro solvendo di crediti -in funzione solutoria o di garanzia, a seconda del concreto assetto regolamentare stabilito dalle parti- ovvero tramite mandato irrevocabile all’incasso: in tal caso, il cliente (mandante) conferisce alla banca (mandatario) un mandato irrevocabile ad incassare il proprio credito vantato verso un terzo; diversamente da quanto accade nella prima ipotesi, qui non viene trasferita al mandatario la titolarità del credito, ma solo la legittimazione a riscuoterlo. È bene precisare che può discutersi dell’applicabilità dell’articolo 169-bis l.f. ai contratti di anticipazione bancaria contro cessione di crediti solo ed esclusivamente allorquando la cessione non abbia efficacia solutoria ma assolva ad una mera funzione di garanzia della restituzione delle somme. La cessione del credito difatti, a differenza del mandato all’incasso, integra un negozio traslativo i cui effetti si esauriscono al momento del perfezionamento dell’accordo talché, non appena le somme vengano erogate, il contratto potrà ritenersi interamente eseguito da entrambe le parti. In tal caso, la prestazione di erogazione del credito cui è tenuta la banca risulta esaurita, al pari della controprestazione del cliente in concordato (cessione alla banca dei propri crediti verso terzi) giacché, sin dal momento del perfezionamento del contratto, in forza del principio consensualistico di cui all’articolo 1376 del codice civile, si è prodotto l’effetto traslativo del credito del terzo a favore della banca, salva l’ipotesi in cui la cessione abbia effetti meramente obbligatori, avendo ad oggetto, ad esempio, un credito futuro. Deve escludersi, pertanto, che il negozio di cessione in funzione solutoria possa essere travolto dal provvedimento giudiziale di autorizzazione allo scioglimento, il quale, operando con efficacia ex nunc non potrebbe caducare un effetto traslativo che si è già verificato. Per le medesime ragioni vi è incompatibilità ontologica tra cessione del credito e patto di compensazione, atteso che il credito ceduto, nel momento del perfezionamento del contratto di anticipazione bancaria ed in virtù degli effetti traslativi tipici della cessione, diviene immediatamente di spettanza della banca che non ha alcun obbligo di restituire la somma al proprio debitore.

Ad ogni modo, che si tratti di anticipazione su crediti contro mandato all’incasso o contro cessione, si è dinanzi ad un collegamento negoziale tra un’apertura di credito e un contratto di mandato in rem propriam o di cessione del credito, cui generalmente si accompagna un patto di compensazione tra il credito restitutorio derivante dalle anticipazioni e il debito che trova titolo nelle riscossioni. La cessione o il mandato costituiscono la controprestazione dell’apertura di credito, giacché garantiscono alla banca il rientro dell’anticipazione.

L’individuazione dell’ambito di operatività dell’articolo 169-bis l.f. con riferimento a tali contratti richiede, in via prioritaria, l’analisi del concreto assetto che assumono le operazioni de quibus nella prassi bancaria. Generalmente, la pattuizione consta di un contratto-quadro nell’ambito del quale trovano titolo e disciplina le singole operazioni di anticipazione in conto corrente contro cessione o mandato all’incasso di crediti che il cliente vanti verso terzi, a tempo determinato o indeterminato e fino ad un tetto massimo convenuto. L’affidato che richieda l’ammissione ad una procedura di concordato preventivo potrà senza dubbio rivolgersi al giudice per ottenere la sospensione o lo scioglimento ex articolo 169-bis l.f. del contratto-quadro che sia ancora in piedi e l’eventuale accoglimento della suddetta istanza comporterà il venir meno (temporaneamente o in via definitiva) della possibilità di chiedere alla banca l’anticipazione di crediti a fronte del conferimento del mandato all’incasso ovvero alla cessione degli stessi. Ferma tale evenienza, il vero punctum dolens attiene alla possibilità -nonché agli effetti- della richiesta di scioglimento o di sospensione delle singole operazioni di anticipazione bancaria in corso, relativamente alle quali l’erogazione creditizia da parte della banca abbia avuto luogo prima del deposito del ricorso, mentre la riscossione del credito a copertura delle anticipazioni sia successiva a tale momento.

La questione merita approfondimento sotto due diversi profili: in primo luogo, ci si chiede se i rapporti di cui trattasi possano essere oggetto di scioglimento o sospensione ai sensi dell’articolo 169-bis l.f., in ragione del peculiare atteggiarsi della nozione di pendenza con riguardo ai contratti bancari che prevedano linee di credito autoliquidanti, ove il carattere diacronico delle prestazioni che compongono il sinallagma rende tali fattispecie, di fatto, unilaterali; in secondo luogo, il tema si lega indissolubilmente al divieto di pagamento dei debiti anteriori in sede concordataria, giacché il mantenimento del rapporto - ed, in particolare, del patto di compensazione che generalmente è incluso in tali contratti - è suscettibile di determinare la soddisfazione preferenziale del credito derivante dall’anticipazione erogata al debitore concordatario ancora in bonis.

A tale ultimo proposito, in via preliminare, è bene chiarire che, con riferimento al concordato preventivo, il divieto di pagamento dei debiti anteriori alla data di deposito del ricorso, pur non espressamente previsto dalla legge, si evince dalla disciplina dei relativi effetti: l’articolo 167 l.f. limita il potere dispositivo del debitore durante la procedura in un’ottica di tutela delle ragioni creditorie; la disposizione successiva prevede che, dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore: tale preclusione sottende il divieto di pagamento di debiti anteriori, atteso che sarebbe irragionevole che il creditore possa ottenere spontaneamente dal debitore ciò che il principio della par condicio creditorum gli preclude di conseguire in via coattiva. Ancora, l’articolo 184 nel prevedere che il concordato  sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l’ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dal sistema. Da ultimo, con riferimento al concordato in continuità, l’articolo 182-quinquies l.f. configura il pagamento dei crediti sorti prima del deposito del ricorso alla stregua di evenienza del tutto eccezionale, possibile solo in presenza di determinate condizioni e, comunque, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. 

Alla luce delle considerazioni svolte, ci si può domandare se, in ipotesi di anticipazione bancaria su crediti regolata in conto corrente contro cessione o mandato all’incasso, sia legittima la condotta della banca che, pur dopo il deposito del ricorso per l’accesso al concordato, trattenga le somme versate da terzi e le annoti sul conto ad attivo del debitore correntista, ma in compensazione delle partite di segno opposto, oppure se sia tenuta a consegnare dette somme all’imprenditore in concordato preventivo. Ciò perché, come s’è osservato, l’incameramento di dette somme da parte della banca è suscettibile di infrangere il divieto di pagamento dei debiti anteriori nella misura in cui determina una soddisfazione preferenziale del credito avente titolo nelle anticipazioni concesse al debitore ante concordato, credito che si riduce per effetto dell’incasso delle somme corrisposte dai terzi debitori.

La questione si pone allorquando esista una pattuizione che -in deroga al principio della cristallizzazione della massa debitoria e della inesigibilità dei crediti vantati da terzi nei confronti del debitore concordatario posta a tutela della par condicio creditorum- attribuisca alla banca il diritto di soddisfare, anche dopo l’accesso alla procedura, il credito sorto in virtù dell’anticipazione erogata prima di tale momento, attraverso l’incameramento delle somme riscosse durante il concordato. In proposito, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che, al fine di individuare l’ambito di applicazione del divieto di pagamento dei debiti anteriori nella procedura di concordato preventivo, occorre distinguere a seconda che la pattuizione relativa all’operazione di anticipazione di ricevute bancarie regolata in conto preveda o meno una clausola che attribuisca alla banca il diritto di ritenere le somme riscosse, ossia il c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione nel conto delle partite di segno opposto, in virtù del quale la banca ha diritto di “compensare” il debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito avente titolo nelle operazioni regolate nel medesimo conto corrente, a nulla rilevando che il credito sia anteriore all’accesso alla procedura ed il debito posteriore (cfr., di recente, Cass. n. 17999/2011; più risalenti Cass. n. 7194/1997 e Cass. n. 6870/1994; con riguardo alla giurisprudenza di merito v. Tribunale di Monza, 27 novembre 2013, secondo cui “si deve ritenere che il menzionato patto [di compensazione, n.d.r.] specificamente correlato all’anticipazione non ponga problemi di opponibilità alla procedura concorsuale dal momento che quando il rapporto bancario nel suo complesso prosegue in corso di procedura […] con piena efficacia di tutte le clausole pattizie ad esso riconducibili, è necessariamente antecedente all’apertura della procedura, con la conseguenza che il patto di compensazione inscindibilmente interdipendente all’operazione creditizia è destinato ad operare in corso di procedura, finché non intervenga una causa di scioglimento del rapporto, e ciò in deroga al principio di parità di trattamento dei creditori che impedisce il pagamento (e, tantomeno, “l’autopagamento”) dei crediti anteriori”). Dal momento che l’ammissione alla procedura di concordato preventivo non determina lo scioglimento del rapporto di conto corrente bancario e di quelli che ad esso accedono, la prosecuzione riguarda la convenzione nel suo complesso e si estende, perciò, a tutte le clausole che la compongono, incluso suddetto patto di compensazione; esso è indissolubilmente connesso al negozio di credito bancario ed è strutturalmente collegato al potere attribuito alla banca (in forza di un mandato o per effetto di una cessione di credito) di riscuotere il credito del correntista. Tale correlazione, che impone una speciale regolamentazione delle modalità di soddisfazione del credito della banca, conforma la causa del complessivo assetto regolamentare e, perciò, determina un vincolo inscindibile tra il contratto e la clausola specifica, talché, in assenza del patto di compensazione, l’operazione non sarebbe stata posta in essere.

La reciproca dipendenza delle pattuizioni fa sì che nel programma convenuto fra il debitore concordatario e la banca la riscossione dei crediti costituisca una mera modalità di rientro del finanziatore dall’anticipazione concessa. In altri termini, la banca viene legittimata dal debitore ad incassare i crediti di quest’ultimo verso terzi esclusivamente ai fini dell’estinzione dell’obbligazione che funge da controprestazione all’anticipazione, talché non vi è alterità ontologica tra la residua prestazione di rimborso cui è tenuto il debitore ed il negozio di cessione o di mandato all’incasso dei crediti di quest’ultimo, né si può considerare la riscossione quale prestazione ulteriore della banca piuttosto che modalità di pagamento del cliente. Sulla scorta di tali considerazioni la giurisprudenza di legittimità ritiene “inammissibile, prima ancora sul piano logico che su quello giuridico, qualsiasi costruzione giuridica incentrata sulla prosecuzione - nel corso di una procedura concorsuale minore - del complesso unitario rapporto di conto corrente bancario, compresa l’obbligazione di dare esecuzione all’incarico di incassare le ricevute, ma con esclusione del patto (va ribadito, inscindibile rispetto a quel rapporto) di “compensazione” attraverso il mezzo tecnico della annotazione in conto delle somme riscosse ad elisione delle partite di debito verso la banca” (cfr. Cass., n. 2539/1998).

Traendo le fila del discorso, quindi, è possibile affermare che la fuoriuscita dal concorso delle somme incassate dalla banca nel contesto di un’operazione di anticipazione che contempli, altresì, il patto di compensazione richiede la pendenza, al momento dell’avvio della procedura concordataria, della regolamentazione contrattuale nel suo complesso. Per contro, l’eventuale scioglimento del rapporto di credito investirà anche le pattuizioni che ad esso accedono e, quindi, il patto di compensazione, se previsto, precludendo alla banca la possibilità di operare la compensazione tra debiti e crediti con obbligo di riversare alla procedura le somme incassate dopo (l’avvio della procedura e) lo scioglimento del contratto.

I Parte