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Limiti al cumulo degli incarichi negli organi di controllo di società emittenti

Articolo 148-bis del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza) - Un indebito intervento legislativo dovuto alla carenza di regole deontologiche

Negli anni passati alcuni articoli apparsi sulla stampa economica denunziarono il fatto che vi fossero professionisti (in particolare dottori commercialisti) con ottanta e più incarichi di sindaco di società, indicandone (era ora) il nome e cognome a formare una sorta di pubblica berlina dell’ingordigia professionale.

Ritengo fu giusto ridicolizzare tali posizioni, come ritengo ora doveroso stigmatizzare l’assordante silenzio che ne seguì e che tuttora perdura da parte dei consigli nazionali delle professioni coinvolte che mai hanno emanato adeguate norme e direttive deontologiche in materia (in particolare del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e del Consiglio nazionale dei Ragionieri e Periti commerciali e, dopo la loro unificazione avvenuta nel 2008, il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili).

Mi rendo conto che questo fosse, come è tuttora, un problema delicato e difficile da affrontare, ma sono altrettanto convinto del discredito (per non dire, del ridicolo) che i colleghi più “abbondanti” per cariche ricoperte hanno contribuito a gettare sull’intera categoria professionale cui appartengono.

Le conseguenze di ciò sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Sull’onda degli scandali finanziari che hanno caratterizzato i primi anni 2000 il Legislatore ha emanato alcuni importanti provvedimenti legislativi portanti una più pregnante disciplina dell’informativa societaria, della governance ed in particolare dei controlli [Legge 28 dicembre 2005, n. 262: “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari” e Decreto Legislativo 29 dicembre 2006, n. 303: “Coordinamento con la legge 28 dicembre 2005, n. 262, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B.) e del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.)”].

Con questi nuovi provvedimenti ha visto la luce anche l’articolo 148-bis “Limiti al numero degli incarichi” del Testo Unico Finanza. Esso dispone che “1. Con regolamento della Consob sono stabiliti limiti al cumulo degli incarichi di amministrazione e controllo che i componenti degli organi di controllo delle società di cui al presente capo, nonché delle società emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116, possono assumere presso tutte le società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile. La Consob stabilisce tali limiti avendo riguardo all’onerosità e alla complessità di ciascun tipo di incarico, anche in rapporto alla dimensione della società, al numero e alla dimensione delle imprese incluse nel consolidamento, nonché all’estensione e all’articolazione della sua struttura organizzativa.

2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2400, quarto comma, del codice civile, i componenti degli organi di controllo delle società di cui al presente capo, nonché delle società emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116, informano la Consob e il pubblico, nei termini e modi prescritti dalla stessa Consob con il regolamento di cui al comma 1, circa gli incarichi di amministrazione e controllo da essi rivestiti presso tutte le società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile. La Consob dichiara la decadenza dagli incarichi assunti dopo il raggiungimento del numero massimo previsto dal regolamento di cui al primo periodo

.”.

La ratio delle disposizioni portate dall’articolo 148-bis, secondo Consob, si dovrebbe identificare nella necessità di garantire lo specifico interesse pubblico al corretto svolgimento delle funzioni di controllo al fine di: “ - garantire una adeguata disponibilità in termini temporali, per l’espletamento dell’incarico assunto nelle società quotate da parte dei componenti degli organi di controllo, tenendo conto anche dell’impegno richiesto dagli altri incarichi di amministrazione e controllo nelle società di capitali, anche non quotate; - incentivare la creazione di una categoria di professionisti la cui attività è focalizzata sul controllo delle società quotate e diffuse” (cfr. documento di consultazione Consob del 7 febbraio 2007, pagina 2).

In realtà la Relazione delle Commissioni permanenti VI (Finanze) e X (Attività Produttive, Commercio e Turismo) presentata alla Camera dei Deputati il 18 febbraio 2005 aveva affermato solo che sussiste un generale interesse pubblico, affinché la scelta degli incaricati negli organi di controllo cada su “soggetti cui l’eccesso di occupazioni non impedisca di adempiere effettivamente alle funzioni di controllo, le quali costituiscono presidio per la correttezza e la legalità della gestione societaria”.

In entrambi i casi, a prescindere dalle polemiche interpretative sulla ratio della norma, viene subito da chiedersi:

1 – perché l’eccesso di occupazioni riguarda solo l’attività di sindaco o amministratore, e non ogni altra attività professionale svolta dal soggetto nel libero esercizio della propria attività professionale, la quale può impedire del pari di adempiere effettivamente alle funzioni di controllo;

2 – perché il Legislatore ha usato un cannone per sparare ad una mosca, cioè perché ha usato lo strumento legislativo quando, più propriamente, doveva e poteva bastare un intervento di moral suasion delle Autorità cui compete la vigilanza sul mercato (Consob, Banca d’Italia, Borsa Italiana), al fine di ottenere un effettivo comportamento socialmente responsabile da parte dei destinatari dell’intervento stesso.

A mio parere la risposta si identifica proprio nella successione dei fatti sopra ricordati, cioè nella assenza di norme deontologiche, da un alto, e nel momento di emergenza e di conseguente necessità di regole moralizzatrici, dall’altro.

Sotto il profilo della ratio, dunque, l’articolo 148-bis rappresenta un intervento legislativo dettato da un eccesso di moralismo del Legislatore, una norma di facciata (volta a quietare gli animi dei risparmiatori beffati da Cirio e da Parmalat) che prescinde dunque dall’effettiva utilità nel conseguimento del suo obiettivo.

Ma ciò che conta è che oggi essa esiste ed è operante e dunque tocca a noi operatori del settore ed ai giuristi applicarla e criticarla, dato che essa appare, come è, norma discriminatoria e connotata da forti caratteristiche di illiberalità e forse anche di illegittimità costituzionale.

Infatti, l’articolo 148-bis è destinato ad incidere sul libero esercizio di un’attività lavorativa professionale, quella di sindaco o amministratore di società appunto, e sembra perciò sospetta di contrasto con l’articolo 4 della Costituzione (diritto al lavoro), anche perché i mezzi utilizzati per raggiungere il fine non appaiono certamente idonei a garantire il soddisfacimento dell’interesse pubblico coinvolto.

La norma in discussione discrimina, inoltre, i sindaci (e gli amministratori) di società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII del Codice Civile (cioè delle cosiddette “società commerciali”) rispetto, ad esempio, ai revisori contabili e società di revisione delle medesime società, in quanto l’assunzione di incarichi di mero controllo contabile di cui all’art. 2409-bis c.c. non sono soggetti ad alcuna limitazione. E’ da ritenere infatti che per componenti degli “organi di controllo” debbano intendersi i componenti effettivi del “collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato di controllo sulla gestione” (articolo 144-duodecies, comma 1, lett. a) del Regolamento Emittenti), per cui sono esclusi dagli organi di controllo i revisori contabili o le società di revisione, e quindi il mero incarico di controllo contabile ex art. 2409-bis c.c. (quando non congiunto all’attività di sindaco) non è soggetto ad alcuna limitazione.

Così pure discrimina i sindaci (e gli amministratori) delle medesime “società commerciali” nei confronti degli amministratori, sindaci o revisori di enti pubblici (territoriali o meno), o di consorzi e società consortili, anche se le stesse assumono la veste giuridica delle società commerciali (Consob risposta n. 24 ai quesiti frequenti http://www.consob.it/main/trasversale/operatori/Organi_Controllo/faq.htm#3, in senso contrario Assonime, circolare n. 42/2008, nota n. 18 a pag. 10), o di società cooperative, o di mutue assicuratrici, o di fondazioni di origine bancaria, o di società non residenti in genere, ecc..

In altri termini li discrimina di fronte a situazioni sostanzialmente e di fatto del tutto identiche dal punto di vista dell’attività professionale svolta (quella di sindaco o amministratore, appunto) ma che si differenziano solo per la natura giuridica del destinatario del servizio, quando questa non rientra tra le forme previste dal libro V, titolo V, capi V, VI e VII del Codice Civile. In questo senso, dunque, sembra violato pure il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

L’articolo 148-bis prevede, infine, con dubbia tecnica legislativa, che Consob possa essa stessa pronunziare la decadenza d’ufficio dalla carica acquisita dal sindaco o amministratore, non presso le società emittenti (soggette a vigilanza Consob), bensì presso società terze rispetto alle società stesse, limitando con ciò il diritto delle assemblee di tali società di nominare un amministratore o un sindaco di proprio gradimento, qualora lo stesso sia anche sindaco di una società emittente ed abbia superato la “soglia” stabilita dal regolamento Consob.

Ora delle due l’una: o la norma prevedeva, nel caso di superamento della “soglia” stabilita dal regolamento Consob, un ulteriore motivo di decadenza dalla carica tra quelli elencati nell’articolo 2399 codice civile, primo comma, e allora la decadenza poteva operare automaticamente, senza necessità che qualcuno la pronunziasse; oppure prevedeva un’ipotesi di decadenza dalla carica presso la società emittente, e allora può star bene che sia Consob a pronunziarla, quale Autorità di vigilanza sulle quotate. Ma aver previsto invece che sia Consob a pronunziare la decadenza nei confronti di società commerciali non soggette al suo controllo, significa ammettere un’illegittima quanto inopportuna invasione di campo di Consob nell’ambito delle società non soggette alla sua vigilanza e quindi un palese contrasto con le stesse disposizioni del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza).

Sotto questi profili, dunque, l’articolo 148-bis sembra non solo sospetto di incostituzionalità (anche se più opportunamente lascio ai costituzionalisti il vaglio giuridico della fondatezza o meno di quanto sopra argomentato), ma anche non privo di altri aspetti di illegittimità e di contrasto con il nostro ordinamento che meriterebbero invero ulteriori approfondimenti e giudizi ben più autorevoli dei miei, semplice operatore del settore e non giurista.

All’emanazione del 148-bis è seguito, con non poche difficoltà ed incidenti di percorso, il relativo regolamento Consob, che ha peggiorato ancor più le negative caratteristiche sopra evidenziate, aggiungendo una sorta di “bilancino da farmacista” per il calcolo degli incarichi e dei relativi pesi (cfr. articoli 144-duodecies, 144-terdecies, 144-quaterdecies e 144-quinquiesdecies del Regolamento Emittenti, reperibili sul sito Consob al seguente indirizzo http://www.consob.it).

E’ in ogni caso significativo ricordare che l’iter di emanazione dei provvedimenti regolamentari di Consob, è passato attraverso ben due distinte consultazioni pubbliche sui testi dei provvedimenti regolamentari, la prima in data 7 febbraio 2007 e la seconda in data 6 aprile 2007.

A confermare vieppiù il carattere fortemente discriminatorio della norma già sopra evidenziato merita di essere ricordato che mentre nei testi della prima consultazione Consob si era riportata, quanto all’individuazione degli “enti di interesse pubblico” (imprese di assicurazione, banche, intermediari) alla Direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti, nel secondo documento di consultazione ha dovuto letteralmente riscrivere i testi regolamentari precisando a chiare lettere che doveva in ogni caso trattarsi di società costituite in Italia nella forma di società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile [ciò dopo essersi resa conto che, fatta eccezione per “Sim”, “Sicav” e “Sgr” (tutte obbligatoriamente costituite in forma di società per azioni), non tutti gli altri “enti di interesse pubblico” sono costituiti nelle forme sociali “di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile”, anzi alcuni di essi possono essere anche società cooperative (disciplinate dal Titolo VI del codice civile) o soggetti comunitari od extra comunitari (disciplinate dal Titolo V, Capo XI, del codice civile)].

Non solo, ma per gli adempimenti necessari a dare pratica attuazione al cosiddetto “bilancino da farmacista” (Allegato 5-bis al Regolamento Emittenti) per il calcolo degli incarichi e dei relativi pesi è stata istituita un’apposita e farraginosa procedura informatica (denominata SAIVIC) che sino all’ultimo, di proroga in proroga, ha dato filo da torcere ai sindaci di società quotate per adempiere all’obbligo di legge scadente il 30 settembre 2008, con l’emanazione di ben quattro versioni del manuale tecnico della procedura stessa (l’ultima emanata gli ultimi giorni di settembre) (vedi sito Consob all’indirizzo http://www.consob.it/main/trasversale/operatori/Organi_Controllo/index.html). A sottolineare, per quanto non ce ne fosse ancora bisogno, le difficoltà operative e le complicazioni per dare pratica attuazione al 148-bis, va ricordato infine che per poter accedere all’anzidetta procedura informatica SAIVIC un migliaio mal contato di sindaci di società emittenti ha dovuto recarsi personalmente (o tramite delegato) presso gli uffici Consob di Roma o Milano per poter ritirare le credenziali di accesso alla procedura informatica (vedi sito Consob all’indirizzo http://www.consob.it/main/trasversale/operatori/Organi_Controllo/ritiro_credenziali.html). Evidentemente per Consob la posta raccomandata non esiste o non è stata ritenuta affidabile.

Tralascio volutamente altri aspetti critici dei provvedimenti regolamentari emanati da Consob, basti qui ricordarne uno tra tutti e cioè il fatto che la lettera dell’articolo 148-bis consente al componente dell’organo di controllo di un emittente di assumere “altri” incarichi nel limite massimo stabilito dal regolamento (pari a 6 punti). Nella procedura di calcolo di Consob, invece, il primo incarico, cioè quello presso l’emittente e che da origine all’applicazione della disciplina (il quale ha peso 1) viene sempre compreso nel calcolo (cfr. Allegato 5-bis al Regolamento Emittenti e Assonime, circolare n 42/2008, nota 16 a pag. 10).

In questo senso, dunque, i provvedimenti regolamentari di Consob appaiono viziati anche da un eccesso di discrezionalità nell’esercizio della delega.

Ma veniamo al Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili e quindi a quanto ha fatto il massimo organismo rappresentativo delle professioni coinvolte dall’articolo 148-bis.

Nel corso del travagliato iter di approvazione dei provvedimenti regolamentari di Consob esso è stato sostanzialmente assente, attivandosi solo in occasione del secondo documento di consultazione emanato da Consob.

Successivamente, solo all’approssimarsi della scadenza per l’adempimento delle comunicazioni, il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili è riuscito a far approvare al Governo l’ordine del giorno n. G202 nella seduta n. 40 del Senato della Repubblica del 16/7/2008 (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=307050), con l’impegno (poi non mantenuto) a prorogare di un anno il termine di applicazione della nuova normativa, in modo tale da dare un’attuazione maggiormente meditata alla stessa.

Infine, sul filo di lana della scadenza del 30 settembre 2008, è seguito un accorato appello del Consiglio Nazionale al Ministro dell’Economia con lettera in data 18 settembre 2008 (http://www.cndcec.it/PORTAL/home/jsp/primopiano_dettaglio.jsp?pp=s&cndct=0000003907&cndcp=0000000103).

Da sottolineare comunque che nel suddetto ordine del giorno del Senato si legge finalmente “che la limitazione degli incarichi di amministrazione e controllo che i componenti degli organi di controllo delle società quotate e diffuse possono ricoprire in tutte le società di capitali è un principio fortemente lesivo della libera espressione dell’attività professionale, operata in modo discriminatorio esclusivamente verso un ristretto numero di professionisti;

- che non risulta possibile associare direttamente al numero di incarichi ricoperti la scarsa qualità del controlli effettuati ma piuttosto che la qualità dei controlli dipende invece dalla professionalità e dalla coscienziosità di chi li esegue;…

“.

Emblematico poi che nell’accorato appello al Ministro dell’Economia si affermi, tra l’altro, che “si ritiene sia ormai tempo di riflettere sull’assenza di alcun limite alla numerosità degli incarichi di amministrazione che, certamente, appaiono ugualmente se non maggiormente sensibili rispetto ai requisiti di indipendenza, essenziali in un moderno mercato dei capitali, richiesti per gli incarichi di controllo …” .

In altri termini, il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili si è messo a guardare nel giardino del vicino: perché solo noi sindaci dobbiamo soggiacere a tali limiti, a maggior ragione e per una sana ed equilibrata governace delle società emittenti anche gli amministratori dovrebbero esservi soggetti.

Risultati ottenuti sino ad oggi: nessuno!

A mio sommesso avviso è giusto che sia così, dato che a guardare nel giardino del vicino nulla ci si guadagna e dato che le difese corporative nulla possono se non sono accompagnate da più radicali mutamenti all’interno della “corporazione” che si vuol difendere, ripensando ai propri errori ed agli strumenti per correggerli.

Chiediamoci in primo luogo: che poteva fare Consob se non adeguarsi ad un testo di legge grezzo e motivato da ragioni di pura facciata, quali “la creazione di una categoria di professionisti la cui attività è focalizzata sul controllo delle società quotate e diffuse”!

Ora, è evidente a tutti che nulla vieta all’incaricato di amministrazione o controllo presso una società “quotata” lo svolgimento di altre attività rientranti nella propria professione (diverse da quella di sindaco o amministratore), per cui è dato almeno dubitare che norme di tale tenore possano raggiungere il fine di creare degli “specializzati”, semmai si ottiene l’effetto opposto della perdita di figure di rilievo professionale e specializzate, a scapito del fine stesso che si intendeva perseguire. Sarebbe come stabilire con norma legge che un chirurgo può fare solo cinque appendicectomie al giorno, ma è libero di fare tutti gli altri interventi che vuole. Dunque, lo capirebbe anche un bambino che il 148-bis è e rimane una norma di facciata, puramente demagogica e senza senso.

Ciononostante i commenti della stampa che sono seguiti all’emanazione del 148-bis manifestano una totale incomprensione del fenomeno. Essi hanno messo subito in evidenza gli aspetti più pruriginosi, quali il numero delle “poltrone” di notissimi professionisti ed illustri accademici (che, in quanto tali, mi pare più che legittimo essi abbiano, non fosse altro che in ragione delle loro capacità e qualità professionali). Non solo, ma addirittura ho letto l’auspicio che norme o indirizzi di tal fatta siano estesi anche alle società non quotate e di minori dimensioni.

Ebbene, a mio parere, nulla di più sbagliato! Non è con norme di legge che si risolve il problema. È semplicemente assurdo! La questione è, e deve rimanere, invece una questione deontologica, che va doverosamente affrontata nelle sedi a ciò deputate, cioè in primo luogo dai codici deontologici e poi nell’esercizio della funzione disciplinare, nonché, per le emittenti titoli quotati o diffusi, dai codici di autodisciplina, questi sì coinvolgendo sia gli organi di amministrazione che di controllo.

È su questi punti che occorre fare una giusta campagna di informazione e di sollecito agli enti preposti ed al Legislatore. Ma di qui alle norme di legge coercitive anticostituzionali ed illiberali, per di più filtrate dal “bilancino da farmacista” di Consob (con tutto il rispetto per le sue alte funzioni), ce ne corre e ce ne corre molto!

Mi sembra dunque che il 148-bis sia il gattopardesco tentativo di cambiare qualcosa perché nulla cambi, ma almeno si svecchi, con il ricambio, la “classe dirigente” dei controllori, perché si aprano le porte al nuovo, nella speranza di un rinnovamento. Un pressante invito, perciò, a farci parte propositiva di un cambiamento, che come tale va colto con assoluta tempestività! E quale cambiamento può essere se non quello che prima di tutto avviene all’interno del nostro mondo professionale, mettendo mano per primi alle nostre regole deontologiche.

Al contrario i nostri Ordini, per obbligo derivante dal nuovo ordinamento professionale, sono oggi impegnati a tenere con certosina precisione il “pallottoliere” della Formazione Professionale Continua (90 crediti formativi nel triennio a Tizio: tutto bene!; 80 a Caio: si apra il procedimento disciplinare!), ma non tengono invece il “pallottoliere” dei Tizio e dei Caio che rivestono 80 e più cariche sindacali, peraltro facilmente evidenziabili da una semplice visura nominativa al Registro Imprese! Non è assurdo tutto ciò?

Dunque un limite al numero degli incarichi di sindaco è possibile, lo si può e lo si deve trovare! Se non altro esso è, nel comune sentire, quello che ci fa fare un imbarazzato sorriso quando pensiamo che con 80 cariche sindacali un professionista dovrebbe partecipare ad almeno 400 riunioni del collegio sindacale, a 160 riunioni di consiglio di amministrazione e a 80 e più assemblee all’anno, il tutto in 220 giorni lavorativi, perché le ferie non si negano a nessuno!

È per questo che mi sembra sia giunto il tempo dei ripensamenti e delle proposte costruttive in luogo delle sterili difese corporative e dunque che sia ora che il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili emani specifiche ed organiche direttive deontologiche in materia di numero degli incarichi e che esso si faccia parte propositiva ed attiva per l’inserimento nel codice di autodisciplina di Borsa Italiana di altrettanto precise norme sul cumulo degli incarichi di amministratori e sindaci.

Solo così l’articolo 148-bis apparirà in tutta la sua stupida inutilità e potrà alla fine essere abrogato, con buon risparmio di lavoro per Consob e quindi, in ultima analisi, con buon risparmio di pubblici danari.

Negli anni passati alcuni articoli apparsi sulla stampa economica denunziarono il fatto che vi fossero professionisti (in particolare dottori commercialisti) con ottanta e più incarichi di sindaco di società, indicandone (era ora) il nome e cognome a formare una sorta di pubblica berlina dell’ingordigia professionale.

Ritengo fu giusto ridicolizzare tali posizioni, come ritengo ora doveroso stigmatizzare l’assordante silenzio che ne seguì e che tuttora perdura da parte dei consigli nazionali delle professioni coinvolte che mai hanno emanato adeguate norme e direttive deontologiche in materia (in particolare del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e del Consiglio nazionale dei Ragionieri e Periti commerciali e, dopo la loro unificazione avvenuta nel 2008, il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili).

Mi rendo conto che questo fosse, come è tuttora, un problema delicato e difficile da affrontare, ma sono altrettanto convinto del discredito (per non dire, del ridicolo) che i colleghi più “abbondanti” per cariche ricoperte hanno contribuito a gettare sull’intera categoria professionale cui appartengono.

Le conseguenze di ciò sono oggi sotto gli occhi di tutti.

Sull’onda degli scandali finanziari che hanno caratterizzato i primi anni 2000 il Legislatore ha emanato alcuni importanti provvedimenti legislativi portanti una più pregnante disciplina dell’informativa societaria, della governance ed in particolare dei controlli [Legge 28 dicembre 2005, n. 262: “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari” e Decreto Legislativo 29 dicembre 2006, n. 303: “Coordinamento con la legge 28 dicembre 2005, n. 262, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (T.U.B.) e del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F.)”].

Con questi nuovi provvedimenti ha visto la luce anche l’articolo 148-bis “Limiti al numero degli incarichi” del Testo Unico Finanza. Esso dispone che “1. Con regolamento della Consob sono stabiliti limiti al cumulo degli incarichi di amministrazione e controllo che i componenti degli organi di controllo delle società di cui al presente capo, nonché delle società emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116, possono assumere presso tutte le società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile. La Consob stabilisce tali limiti avendo riguardo all’onerosità e alla complessità di ciascun tipo di incarico, anche in rapporto alla dimensione della società, al numero e alla dimensione delle imprese incluse nel consolidamento, nonché all’estensione e all’articolazione della sua struttura organizzativa.

2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2400, quarto comma, del codice civile, i componenti degli organi di controllo delle società di cui al presente capo, nonché delle società emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116, informano la Consob e il pubblico, nei termini e modi prescritti dalla stessa Consob con il regolamento di cui al comma 1, circa gli incarichi di amministrazione e controllo da essi rivestiti presso tutte le società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile. La Consob dichiara la decadenza dagli incarichi assunti dopo il raggiungimento del numero massimo previsto dal regolamento di cui al primo periodo

.”.

La ratio delle disposizioni portate dall’articolo 148-bis, secondo Consob, si dovrebbe identificare nella necessità di garantire lo specifico interesse pubblico al corretto svolgimento delle funzioni di controllo al fine di: “ - garantire una adeguata disponibilità in termini temporali, per l’espletamento dell’incarico assunto nelle società quotate da parte dei componenti degli organi di controllo, tenendo conto anche dell’impegno richiesto dagli altri incarichi di amministrazione e controllo nelle società di capitali, anche non quotate; - incentivare la creazione di una categoria di professionisti la cui attività è focalizzata sul controllo delle società quotate e diffuse” (cfr. documento di consultazione Consob del 7 febbraio 2007, pagina 2).

In realtà la Relazione delle Commissioni permanenti VI (Finanze) e X (Attività Produttive, Commercio e Turismo) presentata alla Camera dei Deputati il 18 febbraio 2005 aveva affermato solo che sussiste un generale interesse pubblico, affinché la scelta degli incaricati negli organi di controllo cada su “soggetti cui l’eccesso di occupazioni non impedisca di adempiere effettivamente alle funzioni di controllo, le quali costituiscono presidio per la correttezza e la legalità della gestione societaria”.

In entrambi i casi, a prescindere dalle polemiche interpretative sulla ratio della norma, viene subito da chiedersi:

1 – perché l’eccesso di occupazioni riguarda solo l’attività di sindaco o amministratore, e non ogni altra attività professionale svolta dal soggetto nel libero esercizio della propria attività professionale, la quale può impedire del pari di adempiere effettivamente alle funzioni di controllo;

2 – perché il Legislatore ha usato un cannone per sparare ad una mosca, cioè perché ha usato lo strumento legislativo quando, più propriamente, doveva e poteva bastare un intervento di moral suasion delle Autorità cui compete la vigilanza sul mercato (Consob, Banca d’Italia, Borsa Italiana), al fine di ottenere un effettivo comportamento socialmente responsabile da parte dei destinatari dell’intervento stesso.

A mio parere la risposta si identifica proprio nella successione dei fatti sopra ricordati, cioè nella assenza di norme deontologiche, da un alto, e nel momento di emergenza e di conseguente necessità di regole moralizzatrici, dall’altro.

Sotto il profilo della ratio, dunque, l’articolo 148-bis rappresenta un intervento legislativo dettato da un eccesso di moralismo del Legislatore, una norma di facciata (volta a quietare gli animi dei risparmiatori beffati da Cirio e da Parmalat) che prescinde dunque dall’effettiva utilità nel conseguimento del suo obiettivo.

Ma ciò che conta è che oggi essa esiste ed è operante e dunque tocca a noi operatori del settore ed ai giuristi applicarla e criticarla, dato che essa appare, come è, norma discriminatoria e connotata da forti caratteristiche di illiberalità e forse anche di illegittimità costituzionale.

Infatti, l’articolo 148-bis è destinato ad incidere sul libero esercizio di un’attività lavorativa professionale, quella di sindaco o amministratore di società appunto, e sembra perciò sospetta di contrasto con l’articolo 4 della Costituzione (diritto al lavoro), anche perché i mezzi utilizzati per raggiungere il fine non appaiono certamente idonei a garantire il soddisfacimento dell’interesse pubblico coinvolto.

La norma in discussione discrimina, inoltre, i sindaci (e gli amministratori) di società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII del Codice Civile (cioè delle cosiddette “società commerciali”) rispetto, ad esempio, ai revisori contabili e società di revisione delle medesime società, in quanto l’assunzione di incarichi di mero controllo contabile di cui all’art. 2409-bis c.c. non sono soggetti ad alcuna limitazione. E’ da ritenere infatti che per componenti degli “organi di controllo” debbano intendersi i componenti effettivi del “collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato di controllo sulla gestione” (articolo 144-duodecies, comma 1, lett. a) del Regolamento Emittenti), per cui sono esclusi dagli organi di controllo i revisori contabili o le società di revisione, e quindi il mero incarico di controllo contabile ex art. 2409-bis c.c. (quando non congiunto all’attività di sindaco) non è soggetto ad alcuna limitazione.

Così pure discrimina i sindaci (e gli amministratori) delle medesime “società commerciali” nei confronti degli amministratori, sindaci o revisori di enti pubblici (territoriali o meno), o di consorzi e società consortili, anche se le stesse assumono la veste giuridica delle società commerciali (Consob risposta n. 24 ai quesiti frequenti http://www.consob.it/main/trasversale/operatori/Organi_Controllo/faq.htm#3, in senso contrario Assonime, circolare n. 42/2008, nota n. 18 a pag. 10), o di società cooperative, o di mutue assicuratrici, o di fondazioni di origine bancaria, o di società non residenti in genere, ecc..

In altri termini li discrimina di fronte a situazioni sostanzialmente e di fatto del tutto identiche dal punto di vista dell’attività professionale svolta (quella di sindaco o amministratore, appunto) ma che si differenziano solo per la natura giuridica del destinatario del servizio, quando questa non rientra tra le forme previste dal libro V, titolo V, capi V, VI e VII del Codice Civile. In questo senso, dunque, sembra violato pure il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

L’articolo 148-bis prevede, infine, con dubbia tecnica legislativa, che Consob possa essa stessa pronunziare la decadenza d’ufficio dalla carica acquisita dal sindaco o amministratore, non presso le società emittenti (soggette a vigilanza Consob), bensì presso società terze rispetto alle società stesse, limitando con ciò il diritto delle assemblee di tali società di nominare un amministratore o un sindaco di proprio gradimento, qualora lo stesso sia anche sindaco di una società emittente ed abbia superato la “soglia” stabilita dal regolamento Consob.

Ora delle due l’una: o la norma prevedeva, nel caso di superamento della “soglia” stabilita dal regolamento Consob, un ulteriore motivo di decadenza dalla carica tra quelli elencati nell’articolo 2399 codice civile, primo comma, e allora la decadenza poteva operare automaticamente, senza necessità che qualcuno la pronunziasse; oppure prevedeva un’ipotesi di decadenza dalla carica presso la società emittente, e allora può star bene che sia Consob a pronunziarla, quale Autorità di vigilanza sulle quotate. Ma aver previsto invece che sia Consob a pronunziare la decadenza nei confronti di società commerciali non soggette al suo controllo, significa ammettere un’illegittima quanto inopportuna invasione di campo di Consob nell’ambito delle società non soggette alla sua vigilanza e quindi un palese contrasto con le stesse disposizioni del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo Unico della Finanza).

Sotto questi profili, dunque, l’articolo 148-bis sembra non solo sospetto di incostituzionalità (anche se più opportunamente lascio ai costituzionalisti il vaglio giuridico della fondatezza o meno di quanto sopra argomentato), ma anche non privo di altri aspetti di illegittimità e di contrasto con il nostro ordinamento che meriterebbero invero ulteriori approfondimenti e giudizi ben più autorevoli dei miei, semplice operatore del settore e non giurista.

All’emanazione del 148-bis è seguito, con non poche difficoltà ed incidenti di percorso, il relativo regolamento Consob, che ha peggiorato ancor più le negative caratteristiche sopra evidenziate, aggiungendo una sorta di “bilancino da farmacista” per il calcolo degli incarichi e dei relativi pesi (cfr. articoli 144-duodecies, 144-terdecies, 144-quaterdecies e 144-quinquiesdecies del Regolamento Emittenti, reperibili sul sito Consob al seguente indirizzo http://www.consob.it).

E’ in ogni caso significativo ricordare che l’iter di emanazione dei provvedimenti regolamentari di Consob, è passato attraverso ben due distinte consultazioni pubbliche sui testi dei provvedimenti regolamentari, la prima in data 7 febbraio 2007 e la seconda in data 6 aprile 2007.

A confermare vieppiù il carattere fortemente discriminatorio della norma già sopra evidenziato merita di essere ricordato che mentre nei testi della prima consultazione Consob si era riportata, quanto all’individuazione degli “enti di interesse pubblico” (imprese di assicurazione, banche, intermediari) alla Direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti, nel secondo documento di consultazione ha dovuto letteralmente riscrivere i testi regolamentari precisando a chiare lettere che doveva in ogni caso trattarsi di società costituite in Italia nella forma di società di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile [ciò dopo essersi resa conto che, fatta eccezione per “Sim”, “Sicav” e “Sgr” (tutte obbligatoriamente costituite in forma di società per azioni), non tutti gli altri “enti di interesse pubblico” sono costituiti nelle forme sociali “di cui al libro V, titolo V, capi V, VI e VII, del codice civile”, anzi alcuni di essi possono essere anche società cooperative (disciplinate dal Titolo VI del codice civile) o soggetti comunitari od extra comunitari (disciplinate dal Titolo V, Capo XI, del codice civile)].

Non solo, ma per gli adempimenti necessari a dare pratica attuazione al cosiddetto “bilancino da farmacista” (Allegato 5-bis al Regolamento Emittenti) per il calcolo degli incarichi e dei relativi pesi è stata istituita un’apposita e farraginosa procedura informatica (denominata SAIVIC) che sino all’ultimo, di proroga in proroga, ha dato filo da torcere ai sindaci di società quotate per adempiere all’obbligo di legge scadente il 30 settembre 2008, con l’emanazione di ben quattro versioni del manuale tecnico della procedura stessa (l’ultima emanata gli ultimi giorni di settembre) (vedi sito Consob all’indirizzo http://www.consob.it/main/trasversale/operatori/Organi_Controllo/index.html). A sottolineare, per quanto non ce ne fosse ancora bisogno, le difficoltà operative e le complicazioni per dare pratica attuazione al 148-bis, va ricordato infine che per poter accedere all’anzidetta procedura informatica SAIVIC un migliaio mal contato di sindaci di società emittenti ha dovuto recarsi personalmente (o tramite delegato) presso gli uffici Consob di Roma o Milano per poter ritirare le credenziali di accesso alla procedura informatica (vedi sito Consob all’indirizzo http://www.consob.it/main/trasversale/operatori/Organi_Controllo/ritiro_credenziali.html). Evidentemente per Consob la posta raccomandata non esiste o non è stata ritenuta affidabile.

Tralascio volutamente altri aspetti critici dei provvedimenti regolamentari emanati da Consob, basti qui ricordarne uno tra tutti e cioè il fatto che la lettera dell’articolo 148-bis consente al componente dell’organo di controllo di un emittente di assumere “altri” incarichi nel limite massimo stabilito dal regolamento (pari a 6 punti). Nella procedura di calcolo di Consob, invece, il primo incarico, cioè quello presso l’emittente e che da origine all’applicazione della disciplina (il quale ha peso 1) viene sempre compreso nel calcolo (cfr. Allegato 5-bis al Regolamento Emittenti e Assonime, circolare n 42/2008, nota 16 a pag. 10).

In questo senso, dunque, i provvedimenti regolamentari di Consob appaiono viziati anche da un eccesso di discrezionalità nell’esercizio della delega.

Ma veniamo al Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili e quindi a quanto ha fatto il massimo organismo rappresentativo delle professioni coinvolte dall’articolo 148-bis.

Nel corso del travagliato iter di approvazione dei provvedimenti regolamentari di Consob esso è stato sostanzialmente assente, attivandosi solo in occasione del secondo documento di consultazione emanato da Consob.

Successivamente, solo all’approssimarsi della scadenza per l’adempimento delle comunicazioni, il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili è riuscito a far approvare al Governo l’ordine del giorno n. G202 nella seduta n. 40 del Senato della Repubblica del 16/7/2008 (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=307050), con l’impegno (poi non mantenuto) a prorogare di un anno il termine di applicazione della nuova normativa, in modo tale da dare un’attuazione maggiormente meditata alla stessa.

Infine, sul filo di lana della scadenza del 30 settembre 2008, è seguito un accorato appello del Consiglio Nazionale al Ministro dell’Economia con lettera in data 18 settembre 2008 (http://www.cndcec.it/PORTAL/home/jsp/primopiano_dettaglio.jsp?pp=s&cndct=0000003907&cndcp=0000000103).

Da sottolineare comunque che nel suddetto ordine del giorno del Senato si legge finalmente “che la limitazione degli incarichi di amministrazione e controllo che i componenti degli organi di controllo delle società quotate e diffuse possono ricoprire in tutte le società di capitali è un principio fortemente lesivo della libera espressione dell’attività professionale, operata in modo discriminatorio esclusivamente verso un ristretto numero di professionisti;

- che non risulta possibile associare direttamente al numero di incarichi ricoperti la scarsa qualità del controlli effettuati ma piuttosto che la qualità dei controlli dipende invece dalla professionalità e dalla coscienziosità di chi li esegue;…

“.

Emblematico poi che nell’accorato appello al Ministro dell’Economia si affermi, tra l’altro, che “si ritiene sia ormai tempo di riflettere sull’assenza di alcun limite alla numerosità degli incarichi di amministrazione che, certamente, appaiono ugualmente se non maggiormente sensibili rispetto ai requisiti di indipendenza, essenziali in un moderno mercato dei capitali, richiesti per gli incarichi di controllo …” .

In altri termini, il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili si è messo a guardare nel giardino del vicino: perché solo noi sindaci dobbiamo soggiacere a tali limiti, a maggior ragione e per una sana ed equilibrata governace delle società emittenti anche gli amministratori dovrebbero esservi soggetti.

Risultati ottenuti sino ad oggi: nessuno!

A mio sommesso avviso è giusto che sia così, dato che a guardare nel giardino del vicino nulla ci si guadagna e dato che le difese corporative nulla possono se non sono accompagnate da più radicali mutamenti all’interno della “corporazione” che si vuol difendere, ripensando ai propri errori ed agli strumenti per correggerli.

Chiediamoci in primo luogo: che poteva fare Consob se non adeguarsi ad un testo di legge grezzo e motivato da ragioni di pura facciata, quali “la creazione di una categoria di professionisti la cui attività è focalizzata sul controllo delle società quotate e diffuse”!

Ora, è evidente a tutti che nulla vieta all’incaricato di amministrazione o controllo presso una società “quotata” lo svolgimento di altre attività rientranti nella propria professione (diverse da quella di sindaco o amministratore), per cui è dato almeno dubitare che norme di tale tenore possano raggiungere il fine di creare degli “specializzati”, semmai si ottiene l’effetto opposto della perdita di figure di rilievo professionale e specializzate, a scapito del fine stesso che si intendeva perseguire. Sarebbe come stabilire con norma legge che un chirurgo può fare solo cinque appendicectomie al giorno, ma è libero di fare tutti gli altri interventi che vuole. Dunque, lo capirebbe anche un bambino che il 148-bis è e rimane una norma di facciata, puramente demagogica e senza senso.

Ciononostante i commenti della stampa che sono seguiti all’emanazione del 148-bis manifestano una totale incomprensione del fenomeno. Essi hanno messo subito in evidenza gli aspetti più pruriginosi, quali il numero delle “poltrone” di notissimi professionisti ed illustri accademici (che, in quanto tali, mi pare più che legittimo essi abbiano, non fosse altro che in ragione delle loro capacità e qualità professionali). Non solo, ma addirittura ho letto l’auspicio che norme o indirizzi di tal fatta siano estesi anche alle società non quotate e di minori dimensioni.

Ebbene, a mio parere, nulla di più sbagliato! Non è con norme di legge che si risolve il problema. È semplicemente assurdo! La questione è, e deve rimanere, invece una questione deontologica, che va doverosamente affrontata nelle sedi a ciò deputate, cioè in primo luogo dai codici deontologici e poi nell’esercizio della funzione disciplinare, nonché, per le emittenti titoli quotati o diffusi, dai codici di autodisciplina, questi sì coinvolgendo sia gli organi di amministrazione che di controllo.

È su questi punti che occorre fare una giusta campagna di informazione e di sollecito agli enti preposti ed al Legislatore. Ma di qui alle norme di legge coercitive anticostituzionali ed illiberali, per di più filtrate dal “bilancino da farmacista” di Consob (con tutto il rispetto per le sue alte funzioni), ce ne corre e ce ne corre molto!

Mi sembra dunque che il 148-bis sia il gattopardesco tentativo di cambiare qualcosa perché nulla cambi, ma almeno si svecchi, con il ricambio, la “classe dirigente” dei controllori, perché si aprano le porte al nuovo, nella speranza di un rinnovamento. Un pressante invito, perciò, a farci parte propositiva di un cambiamento, che come tale va colto con assoluta tempestività! E quale cambiamento può essere se non quello che prima di tutto avviene all’interno del nostro mondo professionale, mettendo mano per primi alle nostre regole deontologiche.

Al contrario i nostri Ordini, per obbligo derivante dal nuovo ordinamento professionale, sono oggi impegnati a tenere con certosina precisione il “pallottoliere” della Formazione Professionale Continua (90 crediti formativi nel triennio a Tizio: tutto bene!; 80 a Caio: si apra il procedimento disciplinare!), ma non tengono invece il “pallottoliere” dei Tizio e dei Caio che rivestono 80 e più cariche sindacali, peraltro facilmente evidenziabili da una semplice visura nominativa al Registro Imprese! Non è assurdo tutto ciò?

Dunque un limite al numero degli incarichi di sindaco è possibile, lo si può e lo si deve trovare! Se non altro esso è, nel comune sentire, quello che ci fa fare un imbarazzato sorriso quando pensiamo che con 80 cariche sindacali un professionista dovrebbe partecipare ad almeno 400 riunioni del collegio sindacale, a 160 riunioni di consiglio di amministrazione e a 80 e più assemblee all’anno, il tutto in 220 giorni lavorativi, perché le ferie non si negano a nessuno!

È per questo che mi sembra sia giunto il tempo dei ripensamenti e delle proposte costruttive in luogo delle sterili difese corporative e dunque che sia ora che il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili emani specifiche ed organiche direttive deontologiche in materia di numero degli incarichi e che esso si faccia parte propositiva ed attiva per l’inserimento nel codice di autodisciplina di Borsa Italiana di altrettanto precise norme sul cumulo degli incarichi di amministratori e sindaci.

Solo così l’articolo 148-bis apparirà in tutta la sua stupida inutilità e potrà alla fine essere abrogato, con buon risparmio di lavoro per Consob e quindi, in ultima analisi, con buon risparmio di pubblici danari.