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L’impatto del Covid-19 sulla responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.lgs. n. 231/2001

The imapct of Covid-19 on the administrative liability of legale entities under legislative decree no. 231/2001
Covid-19
Covid-19

Articolo pubblicato nella sezione Gli input esterni alla compliance del numero 1/2020 della Rivista "Sistema 231".

 

Abstract

Gli Autori, entrambi componenti dell’ufficio legislativo di Confindustria, analizzano i fattori di complicazione dell’organizzazione delle imprese in conseguenza della pandemia causata dal Covid-19 e individuano le misure più efficaci per prevenire il rischio della responsabilità da reato degli enti configurata dal decreto legislativo 231/2001.

The authors, both members of the legislative office of Confindustria, analyze the complicating factors of the organization of companies as a result of the pandemic caused by Covid-19 and identify the most effective measures to prevent the risk of corporate liability for crime as configured by the legislative decree 231/2001.

 

Sommario

1. Premessa

2. La natura dei rischi 231 ai tempi del Covid e le conseguenze sui modelli organizzativi: rischi diretti e indiretti

3. Rischi indiretti

4. Rischi diretti

5.Il ruolo dell’organismo di vigilanza

6.Conclusioni

 

Summary

1. Introduction

2. The nature of the 231 risks at the time of Covid and the consequences on organizational models: direct and indirect risks

3. Indirect risks

4. Direct Risks

5. The role of the supervisory board

6. Conclusions

 

1. Premessa

Il grave momento di crisi globale ha travolto, anzitutto dal punto di vista umano, la quotidianità collettiva, incidendo in modo significativo anche sulle imprese, chiamate, tra le altre cose, ad adattare la propria struttura organizzativa e il modo di gestire le prestazioni lavorative al fine di garantire la tutela della salute dei propri lavoratori.

Per inquadrare il problema, è utile partire dai dati resi noti dal Centro Studi di Confindustria, che stima un calo del PIL italiano del 10,0% nel 2020 e un recupero del 4,8% nel 2021. Nei primi due trimestri del 2020 la tempesta perfetta, causata da un doppio shock di domanda e offerta indotto dal blocco normativo delle attività in numerosi settori dell’industria e dei servizi e dalle limitazioni agli spostamenti delle persone, ha prodotto conseguenze dirompenti per l’economia: il PIL 2020 -10,0% 2021 +4,8%. Il recupero del PIL dovrebbe proseguire in modo graduale dal primo trimestre del 2021, a condizione che la diffusione del COVID-19 sia contenuta in maniera efficace. Tuttavia, il rimbalzo del PIL italiano nel 2021 compenserà solo parzialmente il crollo di quest’anno.[1]

In un contesto così difficile, l’impegno e la responsabilità dei datori di lavoro per il contenimento dei rischi di contagio all’interno dell’impresa sono stati tra i temi più discussi nel dibattito pubblico, con l’obiettivo comune di garantire un adeguato contemperamento delle diverse esigenze in campo.

In primo luogo, naturalmente la salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro ma anche, al contempo, l’esigenza degli imprenditori di operare in un contesto di regole certe in ordine ai propri doveri e responsabilità.

In questa direzione, si è reso quindi necessario approfondire, tra gli altri, il tema della responsabilità del datore di lavoro anche sotto il profilo dell’impatto della pandemia sul sistema della responsabilità amministrativa degli enti, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001.

La ratio perseguita dal legislatore del 2001, in una logica di contrasto preventivo dei fenomeni della criminalità del profitto, è stata di affidare alle imprese virtuose un ruolo proattivo nella prevenzione, mediante l’adozione dei modelli organizzativi e il collegato effetto premiale in termini di esenzione da responsabilità. In questo senso, per incentivare la diffusione della cultura dei controlli interni e della trasparenza gestionale nelle imprese, Confindustria, già nel 2002, si è dotata delle linee guida 231, ovvero un insieme di “istruzioni” per orientare le imprese nella costruzione dei modelli di organizzazione[2].

Nella stessa logica il tema della responsabilità 231 è stato affrontato in questa fase emergenziale, attraverso indicazioni operative rivolte alle imprese sui potenziali profili di rischio 231 e sui possibili impatti sul contenuto dei modelli organizzativi, oltre che sul ruolo dell’organismo di vigilanza (anche ODV o organismo) [3].

Dall’analisi condotta, che costituisce la base di partenza per le valutazioni e gli approfondimenti svolti in questa sede, è emerso che la compliance 231, di fronte al Covid-19 e al complicato equilibrio tra “spinte” contrapposte che esso impone in vari campi, può rivelarsi una risorsa, a condizione che sia interpretata e vissuta dagli operatori con un approccio non formalistico, bensì ispirato all’effettività.

In questo senso, le azioni da porre in essere devono essere focalizzate non tanto sull'aggiornamento dei modelli – che come evidenziato nel seguito, non rappresenta in via generale una conseguenza automatica del Covid – bensì, da un lato, sulla corretta implementazione delle misure anti-contagio e, dall’altro, sui controlli da parte dell'ODV e su rafforzati flussi informativi, a supporto di tali controlli, “da” e “verso” l’ente.

Infatti, in un contesto di crisi pandemica dalla durata indeterminabile e dalle molteplici complessità, interconnessioni e ricadute normative, economiche e sociali, occorre puntare sul più ampio rafforzamento dell’approccio integrato e multidisciplinare, sulla catena dei controlli e sulla condivisione delle informazioni, che sono i capisaldi del sistema 231.

L’implementazione all’interno delle imprese di una solida infrastruttura 231 può, quindi, rappresentare un importante presidio per garantire quell’effettività dei protocolli e delle misure anti-contagio, che inevitabilmente continuerà a rappresentare uno dei principali aspetti di attenzione e di operatività nei prossimi tempi, caratterizzati dalla convivenza con il virus.

Alla luce di questo inquadramento del tema, il presente lavoro ripercorre gli approfondimenti e le riflessioni che motivano le conclusioni appena richiamate.

 

2. La natura dei rischi 231 ai tempi del Covid e le conseguenze sui modelli organizzativi: rischi diretti e indiretti

L’analisi dell’impatto dell’emergenza sanitaria sul sistema della responsabilità amministrativa degli enti non può che prendere le mosse dal cd. risk assessment, ovvero dall’analisi dei rischi potenziali in ambito 231 riconducibili al Covid-19.

Seguendo tale approccio, emerge che il Covid-19 determina o amplifica alcuni potenziali profili di rischio, che possono essere distinti in due diverse tipologie di fattispecie: rischi “indiretti” e rischi “diretti”. In particolare, la differenza tra le due categorie risiede nella indiretta o diretta riconducibilità del rischio al fenomeno epidemiologico.

 

3. Rischi indiretti

Nel dettaglio, ci si riferisce ai cosiddetti rischi indiretti con riferimento a quelle ipotesi in cui l’epidemia può rappresentare un’ulteriore occasione di commissione di alcune fattispecie di reato già incluse all’interno del catalogo dei reati presupposto della disciplina 231 ma, in sé considerate, non strettamente connesse alla gestione del rischio Covid-19 in ambito aziendale

Infatti, per far fronte all’emergenza sanitaria, le imprese hanno dovuto apportare modifiche, in molti casi anche significative, alla propria organizzazione, alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e porre in essere una serie di nuovi adempimenti resi necessari dalla molteplicità di provvedimenti e misure eccezionali introdotte dal Governo.

Questo scenario può avere inciso sulle dinamiche di rischio 231.

Il riferimento è, a titolo di esempio, ai reati contro la pubblica amministrazione: basti pensare all’intensificazione dei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione in termini, ad esempio, di oneri dichiarativi e certificativi per il proseguimento dell’attività produttiva (si pensi, ad es., a i vari Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (di seguito DPCM) che si sono susseguiti per l’individuazione delle attività autorizzate alla prosecuzione e di quelle invece sospese), per l’accesso ai vari strumenti di sostegno introdotti, per la partecipazione alla gare semplificate relative gli approvvigionamenti di beni prioritari per la gestione dell’emergenza.

Analogo ragionamento vale per i reati tributari, di ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio e, più in generale, di criminalità organizzata, in considerazione del fatto che le difficoltà in termini di disponibilità di risorse finanziarie, che può essere stata acuita dall’emergenza sanitaria, può aver determinato una maggior esposizione al rischio di condotte illecite riconducibili a queste fattispecie di illecito.

Inoltre, il massivo ricorso allo smart working e, dunque, l’aumentato utilizzo di supporti informatici, può avere determinato nuove e maggiori occasioni di compimento di condotte illecite riconducibili ai reati informatici.

Rispetto a tali situazioni, in considerazione del fatto che non si tratta di nuove fattispecie di reato ma di possibili ulteriori occasioni di configurazione di illeciti già contemplati nel decreto 231 e dall’impatto trasversale rispetto alle diverse categorie di operatori economici, si ritiene che l’aggiornamento del modello organizzativo aziendale non sia una conseguenza automatica. Si tratta, infatti, di illeciti rispetto ai quali le imprese dotate di un codice di condotta dovrebbero aver già implementato presidi di controllo efficaci.

Al riguardo, è comunque opportuno verificare la tenuta e l’efficacia di tali presidi e delle procedure interne rispetto alle modifiche intervenute nell’organizzazione aziendale in conseguenza dell’emergenza ed eventualmente valutarne il rafforzamento sul piano operativo.

 

4. Rischi diretti

Accanto ai rischi indiretti fin qui considerati, esaminiamo ora quelli diretti, ovvero quelli conseguente all’esposizione al contagio da Covid-19.

Per poter comprendere l’impatto di questo rischio sulla responsabilità delle imprese in chiave 231 e quindi sul modello organizzativo, è opportuno svolgere anzitutto qualche riflessione sulla natura del fenomeno biologico e dunque sulle conseguenze in termini di riparto di competenze e responsabilità tra Istituzioni pubbliche e soggetti privati.

In proposito, come ormai noto, il rischio da contagio Covid-19 interessa indistintamente tutta la popolazione mondiale, a prescindere dall’attività lavorativa svolta dal singolo e si connota, sul piano biologico, per la novità, la natura e il decorso ancora incerti della malattia e per l’ancora scarsa conoscenza dell’efficacia di possibili cure e vaccini.

Pertanto, partendo da questo quadro fenomenologico eccezionale e dai contorni non consolidati neppure in sede scientifica e dalle prescrizioni dell’art. 2087 c.c., è ragionevole sostenere che i datori di lavoro non hanno a disposizione le esperienze e le tecniche consolidate richieste dalla legge, né le competenze scientifiche necessarie a valutare adeguatamente un rischio di tal genere e le sue conseguenze.

Alla luce di queste valutazioni, il datore di lavoro non può essere chiamato a individuare autonomamente le misure necessarie a contenere il rischio da contagio da Covid-19[4] e che tale compito dovesse essere demandato alle Autorità pubbliche. Solo queste, infatti, disponevano e dispongono, anche attraverso appositi Comitati scientifici, di informazioni e competenze necessarie a valutare il rischio e individuare le misure necessarie per farvi fronte.

E infatti, le Autorità pubbliche hanno individuato una serie di misure di contenimento del contagio, contenute in diverse fonti normative (es. decreti-legge e DPCM), nonché nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali il 14 marzo scorso e poi successivamente integrato e allegato al DPCM del 26 aprile 2020[5] (e, da ultimo, nel DPCM 17 maggio 2020)[6][7].

Di fronte a questo scenario, si deve dunque concludere che in capo al datore di lavoro non è rinvenibile alcun margine di decisione o di discrezionalità sulle misure anti-contagio da applicare e che lo stesso debba “limitarsi” all’attuazione scrupolosa di quelle che le Autorità adottano, anche in raccordo coi rappresentanti delle imprese, nonché alla vigilanza volta ad assicurarne il rispetto da parte dei lavoratori.

Sulla base di queste valutazioni, nei mesi scorsi è andata rafforzandosi nel modo imprenditoriale l’esigenza di un intervento normativo che delineasse in modo certo e univoco il perimetro della responsabilità del datore di lavoro, soprattutto in vista della graduale ripresa delle attività produttive e lavorative.

Tale esigenza è divenuta ancora più netta all’indomani dell’introduzione dell’art. 42 del d.l. n. 17 marzo 2020, n. 18 (meglio noto come Decreto Cura Italia), che ha equiparato il contagio da Covid-19 a infortunio sul lavoro. Al riguardo, a ridimensionare, seppur parzialmente, la portata della novella normativa, è intervenuto l’INAIL, precisando che tale equiparazione rileva ai soli fini assicurativi, con esclusione di alcun automatismo in termini di accertamento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro in caso di contagio[8].

Sul punto, è poi intervenuto il legislatore, dapprima con l’art. 1, comma 14, d.l.16 maggio 2020, n. 33 laddove ha previsto che Le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali.”, sanzionando con la sospensione il mancato rispetto di tale prescrizione.

Successivamente, recependo le istanze del mondo produttivo, in sede di conversione del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (cosiddetto Decreto Liquidità), è stato chiarito che i datori di lavoro adempiono agli obblighi conseguenti alla previsione generale di cui all’art. 2087 c.c. mediante l’applicazione e il mantenimento delle misure anti-contagio previste dai più volte richiamati Protocolli di sicurezza[9][10].

Da ultimo, a definire il quadro, è intervenuto il DPCM 11 giugno 2020, di attuazione delle disposizioni di cui ai dd.ll. 25 marzo 2020, n. 19 e 16 maggio 2020, n. 33, che ha previsto l’obbligo per tutte le attività produttive industriali e commerciali, su tutto il territorio nazionale, di rispettare il contenuto del Protocollo di sicurezza firmato dalle parti sociali e, per i rispettivi ambiti di competenza, degli altri Protocolli settoriali.

Tali interventi hanno dunque chiarito definitivamente e in linea con le istanze delle imprese, l’efficacia di legge dei Protocolli di sicurezza sottoscritti dalle parti sociali e, al contempo, hanno riempito di contenuto l’obbligo di tutela di cui all’art. 2087 c.c. quanto alla prevenzione del rischio di contagio da Covid-19[11]. Resta fermo, in ogni caso, l’onere del datore di lavoro di dare piena attuazione alle misure anti-contagio previste nei richiamati Protocolli e di assicurare un’adeguata attività di monitoraggio e controllo del rispetto di tali misure da parte dei lavoratori.

Chiariti quindi i termini essenziali relativi alla natura del rischio sanitario e ai doveri del datore di lavoro, risulta più agevole comprenderne le ricadute sul sistema 231, rispetto al quale si anticipa che la logica del ragionamento non è dissimile da quella sviluppata per i rischi indiretti.

Come detto, ciò che l’esposizione dei lavoratori al rischio da contagio nei luoghi di lavoro determina, per il datore di lavoro, è l’obbligo di predisporre le adeguate misure organizzative che tutelino i lavoratori da tale rischio. Un rischio che, sebbene si presenti come “nuovo” nelle sue caratteristiche biologiche, non costituisce una fattispecie di illecito ulteriore rispetto a quelle già contemplate dalla disciplina 231.

Infatti, anche prima dell’emergenza epidemiologica, i reati in materia di salute e sicurezza erano presupposto della responsabilità amministrativa degli enti. Al riguardo, ai sensi dell’articolo 30 del d.lgs. 81/2008, recante il Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro [12], ciò che si richiede al modello 231 è di prevedere il complesso dei presidi generali idonei ad assicurare, in loro attuazione, un efficace sistema gestionale, che contenga tutte le specifiche misure necessarie a prevenire la commissione dei reati in materia prevenzionistica.

Sulla base di questi presupposti, il Covid-19 non sembra imporre, anche con riferimento al rischio da contagio, un’automatica revisione del modello 231 che già contempli il complesso dei presidi generali, i quali, nei termini appena indicati, individuino le basi per l’adozione di un sistema gestionale idoneo. In questo senso, gli adattamenti e le modifiche alle modalità di lavoro e di organizzazione dell’attività apportate dal datore impatteranno non sul modello ma sul sistema operativo, integrandolo.

Deve, quindi, essere predisposto un protocollo aziendale, che declini in modo puntuale le misure poste in essere per recepire quelle contenute nel Protocollo di sicurezza generale e devono essere documentate per iscritto tutte le singole attività realizzate e le decisioni assunte dal datore in attuazione di tali misure, le informative rivolte ai dipendenti, nonché le relazioni elaborate dagli organi preposti alle verifiche in ordine al rispetto delle nuove procedure.

Infine, si ritiene opportuno segnalare l’esistenza di situazioni differenti da quelle appena considerate, ovvero quelle nelle quali l’impresa abbia declinato già all’interno del Modello i presidi e i protocolli specifici in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In tal caso, andrà valutata, caso per caso, l’opportunità di aggiornare tali procedure alla luce delle misure anti-contagio. Tale eventuale aggiornamento potrà essere declinato in un addendum al modello 231, anche in considerazione della natura eccezionale e temporanea delle misure.

 

5. Il ruolo dell’organismo di vigilanza

L’organismo di vigilanza nel sistema 231 ha il compito di valutare l’adeguatezza del modello 231 dell’impresa, vigilare sulla sua corretta ed effettiva implementazione e suggerirne eventuali aggiornamenti al mutare di determinate circostanze, fermo restando che le decisioni gestionali e l’aggiornamento del modello sono e restano di competenza dell’impresa.

L’ODV riveste un ruolo chiave anche nel contesto dell’emergenza sanitaria.

Infatti, posto che l’esigenza principale, ai fini qui considerati, è quella di assicurare l’effettività dei protocolli anti-contagio all’interno dell’impresa, l’ODV ha un compito determinante, in quanto presidio di vigilanza e di coordinamento dei diversi livelli di controllo e dei relativi flussi informativi.

In questo contesto, diverse sono dunque le attività che l’organismo è chiamato a compiere.

Anzitutto, nonostante l’epidemia non determini, in via generale, alcun automatico aggiornamento dei modelli organizzativi, sia con riferimento ai rischi diretti che a quelli diretti, l’ODV dovrà comunque continuare a verificare, nel corso del tempo, la necessità di proporne una revisione o un’integrazione in conseguenza dell’eccezionale intensità o frequenza dei rischi già mappati. Resta in ogni caso ferma in capo all’ente la prerogativa gestoria e decisionale, in linea con i principi di autonomia e indipendenza dell’ODV.

Ciò detto, la funzione principale dell’organismo, che gli appartiene in via ordinaria e che risulta di prioritaria rilevanza in questa fase, è quella di vigilare sulla corretta ed efficacia implementazione del modello organizzativo esistente, nonché delle misure attuate dal datore di lavoro in ottemperanza alle prescrizioni delle autorità pubbliche.

Ai fini di tale vigilanza, è opportuno che gli ODV, in attuazione del requisito della continuità d’azione, intensifichino il numero e la frequenza delle proprie riunioni e delle interviste rivolte ai soggetti interni all’ente, eventualmente anche rivedendo il piano d’azione adottato all’inizio del proprio lavoro.

Inoltre, l’organismo dovrà rafforzare i flussi informativi, interloquendo con maggiore frequenza con i vertici dell’impresa, con il comitato costituito per l’emergenza e con le funzioni aziendali interessate, al fine di una piena condivisione delle informazioni sulle decisioni assunte dall’ente e sulle misure concretamente implementate, sollecitando l’adeguamento o l’adozione delle misure anti-contagio in caso di inerzia dell’impresa.

In tal senso, occorre che l’ODV mantenga uno stretto coordinamento, volto alla condivisione delle informazioni e delle conseguenti decisioni assunte dall’ente, con tutti i soggetti chiamati a: i) declinare le precauzioni individuate nei provvedimenti delle Autorità e nei Protocolli anti-contagio; ii) effettuare i controlli operativi sull’effettivo rispetto di tali precauzioni, tra cui in primis il richiamato Comitato interno.

In particolare, è opportuno che l’ODV, da un lato, si accerti che il quadro normativo di riferimento, collegato all’evoluzione del quadro sanitario, sia costantemente monitorato dall’impresa e, dall’altro, ottenga in modo tempestivo dal datore di lavoro, dalle funzioni aziendali coinvolte (es. risorse umane, legale) e dagli organi preposti alla gestione del rischio (es. medico competente, RSPP) adeguati flussi informativi sulle misure concretamente implementate all’interno dell’impresa in chiave anti-contagio e sull’esito delle attività di relativo monitoraggio, al fine di valutarne l’adeguatezza rispetto ai provvedimenti emananti.

Inoltre, l’organismo è destinatario, nella sua attività di vigilanza, di eventuali segnalazioni in ordine a violazioni del modello e delle precauzioni implementate in azienda, ed è chiamato esso stesso a sottoporre ai vertici aziendali e alle funzioni preposte eventuali criticità riscontrate nella propria attività di vigilanza, affinché ne venga assicurata la soluzione.

In altre parole, e in sintesi, ciò che si richiede all’ODV è un engagement rafforzato sulla vigilanza in ordine all’attuazione delle prescrizioni, vigilanza che passa attraverso un adeguato e rafforzato sistema di flussi informativi.

 

6. Conclusioni

In questo contesto di crisi globale dai tratti imprevedibili e inediti, l’infrastruttura 231 e, quindi, l’insieme dei presidi e dei protocolli implementati dall’impresa per mitigare il rischio di commissione dei reati presupposto e delle specifiche misure anti-contagio legate al Covid-19, unitamente al meccanismo dei controlli e dei flussi informativi, può rappresentare una best practice per affrontare l’emergenza, assicurando una tutela bilanciata ed efficace delle diverse esigenze in campo.

Ciò a patto di assicurare l’effettività dei controlli sui presidi implementati e col beneficio di poter far leva su questi ultimi anche per gestire le successive fasi di “convivenza” col virus, anche nei contesti aziendali.

 

[1] Si confronti l’ultimo rapporto di previsione elaborato dal Centro Studi di Confindustria “Un cambio di paradigma per l’economia italiana: gli scenari di politica economica”, autunno 2020.

[2] Le linee guida 231 di Confindustria sono state più volte aggiornate nel corso degli anni per dare atto delle novità normative e giurisprudenziali intervenute.

[3] Si confronti il Position Paper pubblicato da Confindustria a giugno 2020 “La responsabilità amministrativa degli enti ai tempi del COVID-19. Prime indicazioni operative”.

[4] In questo senso, cfr. la nota n. 89 del 13 marzo 2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, in tema di “Adempimenti datoriali - Valutazione rischio emergenza coronavirus”.

[5] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/04/27/20A02352/sg.

[6] Allo stesso modo, per alcune specificità settoriali, rilevano anche il Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, nonché il Protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica.

[7] Per approfondire il tema della natura giuridica e della valenza del Protocollo firmato dalle parti sociali, si veda “Sistema di prevenzione aziendale, emergenza coronavirus ed effettività” di Paolo Pascucci, pagg. 8-10, in giustiziacivile.com.

[8] Cfr. la circolare dell’INAIL n. 22 del 20 maggio scorso, nella quale l’Istituto afferma che: “Non possono confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro” che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative. In questi casi, infatti, oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro. […] Pertanto, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33.”.

[9] Cfr. l’art. 29-bis del DL n. 23/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40.

[10] In questo senso, si veda anche la proposta del Piano del Comitato di esperti in materia economica e sociale recante “Iniziative per il rilancio Italia 2020 2022", cd. Piano Colao, laddove si suggerisce che “Per quanto attiene al rischio di responsabilità penale, questo è fortemente ridotto laddove si preveda che l’adozione, e di poi l’osservanza, dei protocolli di sicurezza, predisposti dalle parti sociali (da quello nazionale del 24 aprile 2020, a quelli specificativi settoriali, ed eventualmente integrativi territoriali), costituisce adempimento integrale dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 del codice civile. Si evidenzia che essendo la materia della sicurezza sul lavoro, intesa come contenuto dell’obbligo di sicurezza, e quella relativa ai contratti, di competenza Statale esclusiva, è la legislazione nazionale che deve prevedere questo meccanismo, a garanzia dell’uniformità su tutto il territorio nazionale di una disciplina prevenzionale”.

[11] Si veda, sul punto, “Il rischio di contagio da COVID-19 nei luoghi di lavoro: obblighi di sicurezza e art. 2087 c.c. (prime osservazioni sull’art. 29-bis della l. n. 40/2020)” di Arturo Maresca, in DSL 2-2020.

[12] L’art. 30 del d.lgs. n. 81/20028 prevede, al comma 1, che “Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici”.