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Pfizer e vaccini: nota a margine di una dichiarazione

Pfizer sapeva se il vaccino fermasse o no la trasmissione?
Pfizer e vaccini
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Pfizer e vaccini: nota a margine di una dichiarazione


Nelle scorse settimane, precisamente nel corso del mese di ottobre 2022, ha suscitato clamore la dichiarazione della Presidente della Sezione della Pfizer preposta allo sviluppo del mercato della Pfizer medesima, Janine Small. La signora Small, interpellata dall'europarlamentare olandese Rob Roos, avrebbe dichiarato innanzi al Parlamento europeo il 10 ottobre 2022: «Mi chiede se sapevamo che il vaccino fermasse o no la trasmissione? No! Noi dovevamo muoverci alla velocità della scienza per capire davvero cosa stesse succedendo sul mercato».

La stampa quotidiana ha dato ampio rilevo alla dichiarazione e le ha riservato diversi commenti (in modo particolare, «La Verità» e «L'Indipendente»).

Dunque, la Pfizer – stando alla dichiarazione della signora Small come riportata dalla stampa – non si era posta il problema se il vaccino fermasse o no i contagi, cioè la trasmissione della pandemia da COVID-19. Come dire: noi abbiamo prodotto, immesso sul mercato e i Sistemi Sanitari dei diversi Paesi hanno inoculato un vaccino di cui non sapevamo e – i diversi Paesi – non sapevano se fosse veramente tale. Il vaccino, infatti, per essere tale, deve portare all'immunità del vaccinato e l'immunità raggiunta statisticamente dev'essere percentualmente elevata per poterlo definire tale.

Il fatto che si sia rinunciato persino a porsi il problema sta a significare che è stato erroneamente (andrebbe accertato se artatamente e dolosamente) definito vaccino ciò che tale non era.

Il problema investe diverse questioni: morali e giuridiche innanzitutto.

Quelle morali riguardano il rispetto della persona umana e dei suoi diritti, a cominciare dal rispetto dell'integrità del suo corpo; l'abuso (eventuale) della credulità popolare che resta una questione etica anche in presenza dell'abrogazione dell'art. 661 CP (avvenuta con D. Lgs. n. 8/2016). Chi ha accettato, infatti, di sottoporsi alla «vaccinazione», lo ha fatto sulla base di informazioni (quanto meno) incomplete e, perciò, non veritiere; anzi lo ha fatto sulla base di informazioni che, alla luce della dichiarazione della signora Small, sarebbero erronee quanto meno per le omissioni.

Quelle giuridiche riguardano la buona fede, le tutele che lo Stato è tenuto a garantire per quel che attiene alle condizioni previe per la legittimità degli interventi sul corpo, il consenso informato, le reazioni avverse e gli effetti collaterali.

Va notato che a seguito dell'accordo Israele/Pfizer del 16 gennaio 2021 (lo Stato di Israele allora si impegnò a praticare la «vaccinazione» obbligatoria di gregge, vale a dire ad imporla a tutti i suoi cittadini) fu cambiata la stessa definizione di vaccino: esso non servirebbe a rendere immune il vaccinato ma solamente a stimolare il suo sistema immunitario. È stato già rilevato che lo scopo della vaccinazione secondo la nuova definizione elaborata dal Centers for Disease Control and Prevention, un ente governativo statunitense, non è quello di rendere «immuni» ma quello di «proteggere». Perciò la vaccinazione è intesa come una «stimolazione». Ciò in contrasto con la normativa europea ed italiana vigente (cfr. Direttiva Europea 2001/83/UE del 6 novembre 2001 e D. Lgs. n. 219/2006). Il che non significa che il cosiddetto nuovo «vaccino» sia assolutamente inutile. Esso può avere, infatti, utilità analoghe all'assunzione di altri «principî». Anche talune vitamine, per esempio, stimolano il sistema immunitario. Non sono, però, - correttamente – definite «vaccini».

La signora Small, però, avrebbe affermato altre due «cose» che lasciano stupiti.

La prima riguarda «la velocità della scienza». La scienza non ha velocità. Tanto meno la scienza sperimentale. La scienza, al contrario, richiede tempi lunghi; impone l'applicazione e il rispetto di metodi rigorosi; postula cautele nella valutazione dei risultati; richiede un’applicazione prudenziale dei suoi risultati.

La «velocità della scienza», invocata, è di per sé un'affermazione che solleva dubbi anche sulla serietà delle parziali ricerche effettuate dalla Pfizer per quel che riguarda il «vaccino stimolante»; in altre parole getta ombre anche sui risultati delle indagini programmate e condotte – si spera – con serietà. Non parliamo, quindi, di quelle omesse, le quali sono illuminanti circa l'oscurità causata dall'ignoranza assoluta delle questioni non considerate. Parliamo di quelle che si dice siano state effettuate e che avrebbero dovuto superare il vaglio di enti come l'EMA europea o l'AIFA, Agenzia italiana del farmaco, per essere considerate idonee a produrre «vaccini» da inoculare ai cittadini che, dopo essere stati ampiamente informati e dopo aver dato il loro libero consenso, avrebbero accettato l'inoculazione.

La seconda affermazione della signora Small riguarda la «comprensione» delle vicende del mercato. Innanzitutto, a questo proposito, è doveroso affermare che il «mercato» non deve avere una supremazia sulla salute dell'individuo umano. Mai. Ognuno può valutare le proprie convenienze economico-finanziarie ma non può, rectius non deve, fare di queste un argomento per immettere sul mercato prodotti non adeguatamente testati, rectius non completamente testati.

Il «mercato», poi, è creato dall'uomo. Nel caso de quo se uno Stato – per esempio Israele – rende obbligatoria la cosiddetta «vaccinazione» di gregge, è chiaro che il prodotto usato a tal fine  garantisce il conseguimento di risultati economico-finanziari notevoli, molto notevoli.

Il «mercato» ha le sue leggi ma esse non sono né «naturali» (come vorrebbero, invece, i liberal-liberisti) né immodificabili: esse dipendono sempre dalle scelte umane e dalle opzioni politiche. Dunque, l'esigenza della comprensione di quanto sta accadendo sul mercato non giustifica né omissioni di metodo né affermazioni improprie. Al «senso comune» esse non paiono giustificazioni per la legittimazione della pratica e tanto meno dell'imposizione di pratiche che ogni persona ha il diritto (naturale) di rifiutare e il diritto soggettivo (positivistico) di non applicare.

La dichiarazione della signora Small deve preoccupare sia per la rivelazione del metodo che sarebbe stato adottato dalla Pfizer nella ricerca farmacologica relativa al vaccino anti-COVID-19, sia per le finalità che, secondo la signora Small, sembrano siano state perseguite, ponendole a monte e simultaneamente a valle dell’impegno profuso dall’industria farmaceutica citata nella produzione e per la produzione, nonché per l’imposizione del cosiddetto «vaccino».

La dichiarazione della signora Small pone sul tavolo diverse domande. La prima è rappresentata dal seguente interrogativo: se il cosiddetto «vaccino» anti-COVID-19 è semplicemente un mezzo per stimolare il sistema immunitario individuale e, perciò, è stato prodotto sulla base di un radicale (forse non necessario e, comunque, a parere di molti sbagliato), cambiamento della definizione classica di vaccinazione (secondo la quale la vaccinazione medesima ha per scopo quello di indurre un’immunità specifica che prevenga l’invasione microbica, elimini i microbi che penetrano nell’ospite, neutralizzi le tossine microbiche), è da considerarsi consigliabile o addirittura imponibile dal Sistema Sanitario Nazionale e ancora prima da parte dei Governi?

La questione si complica ulteriormente quando si consideri che la legittimità della vaccinazione, delle vaccinazioni imposte per legge (quindi, di qualsiasi vaccinazione, non solamente di quella anti-COVID-19), è subordinata secondo la Corte costituzionale italiana (cfr., per esempio, Sentenza n. 5/2018) alle seguenti due condizioni: a) che essa comporti solamente conseguenze lievi e temporanee; b) che non provochi l’insorgenza di lesioni o di infermità che causino menomazioni permanenti dell’integrità psico-fisica; conseguenze che ci sono state anche se solamente in rarissimi casi sono state riconosciute: per lo più, infatti, è stato negato (finora) il riconoscimento del rapporto eziologico fra la vaccinazione e talune cause di infermità e persino di morte. La «velocità della scienza» non consente di approfondire i «casi» che pur ci sono stati, ci sono e probabilmente continueranno a presentarsi?

La terza domanda riguarda il dovere dell’autorità in generale e dei Governi in particolare. È lecito a loro procedere con provvedimenti normativi presi sulla base di informazioni di parte, accettate come scientifiche da organi di controllo che dovrebbero essere indipendenti ma che alla prova dei fatti si sono rivelati sostanzialmente dipendenti? È lecito subordinare la salute dei cittadini – dichiarando di prendere provvedimenti sanitari a sua tutela e difesa – alle finalità dichiarate dalla signora Small e favorite da Governi come, per esempio, quello israeliano? Per essere ancora più chiari, è lecito che un Governo concordi la fornitura di dosi vaccinali a prezzo calmierato alla condizione di rendere obbligatoria per norma la vaccinazione medesima?

La questione – ovviamente- non riguarda solamente Israele e la Pfizer. Essa è generale. Con termine più appropriato si dovrebbe dire che la questione è globale e imposta attraverso la globalizzazione, sia quella praticata «in aperto» sia quella praticata «in cieco».