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L’Impero Celeste

Cina
Cina

Circa ottomila chilometri ad oriente dell’impero romano si estendeva un Paese altrettanto vasto e potente: la Cina.

I cinesi conoscevano Roma come Da Chin e verso di essa esportavano seta attraverso l’omonima Via.

Questo commercio era fonte di gioia per la popolazione femminile romana, ma di impoverimento delle casse dello stato per la fuoriuscita di argento. Inoltre, eminenti politici sostenevano che rischiava di pregiudicare la morale dell’impero, in quanto del corpo femminile avvolto in tale tessuto nulla era lasciato all’immaginazione.

La Cina importava scarsi prodotti da Roma, in quanto produceva al suo interno tutto ciò di cui potesse avere bisogno.

L’unica merce ambita, che reperiva nella valle di Ferghana (nei pressi degli odierni Uzbekistan, Kyrgyzstan e Tajikistan) erano i cavalli, necessari per fronteggiare le incursioni delle popolazioni nomadi diffuse a settentrione della Grande Muraglia. Questa, a sua volta, segnava il confine tra due mondi dalle economie inconciliabili: il mondo cinese, stanziale ed agricolo, e quello nomade, basato sull’allevamento e sulle scorrerie.

Come nel bacino del Mediterraneo erano presenti come lingue franche il greco ed il latino, così nell’Asia orientale era diffuso il cinese scritto in un’area che includeva l’attuale Vietnam (rimasto per mille anni parte dell’impero), la Corea ed il Giappone (quest’ultimo conquistato culturalmente a partire dal VI secolo della nostra era).

Gli ideogrammi in origine erano riservati ad una schiere ristretta (sacerdoti, sovrano), ma si diffusero in seguito anche tra la popolazione. I più antichi ritrovamenti in proposito risalgono a circa 3.500 anni orsono e sono incisi su carapaci di tartaruga, che venivano messi a contatto con un ferro rovente e sviluppavano delle crepe dalle quali si poteva interpretare il fato.

Di fatto sono rappresentazioni grafiche di concetti, di oggetti materiali (un uomo, una montagna, un fiume, etc.) o di idee astratte (ad esempio il bene, rappresentato da una donna accanto ad un bimbo).

Il mondo occidentale e quello cinese presentavano, tuttavia, notevoli differenze, sull’origine delle quali 

è interessante la posizione di uno studioso cinese del secolo passato, Feng Yu-lan, il quale sosteneva che il primo derivava dalla polis greca, aperta al commercio verso l’esterno e formata da individui, mentre il secondo aveva come base economica l’agricoltura, come fondamento sociale il clan famigliare ed era chiuso e ripiegato su se stesso.

Il significato del nome Cina (in cinese zhong guo) è Paese centrale ed in effetti aveva adottato una concezione sinocentrica che lo poneva al centro del mondo come unico Paese civilizzato, attorniato da regni progressivamente meno civili a mano a mano che aumentava la distanza dai propri confini e dalla propria influenza civilizzatrice. Le relazioni con gli altri Stati erano mantenute tramite alleanze cementate da matrimoni tra principesse cinesi e sovrani limitrofi. I tributi che affluivano erano ricambiati con merci di valore maggiore per dimostrare la superiorità dell’impero.

Era giustificata questa concezione di superiorità?

Da un punto di vista scientifico certamente. La Cina mantenne il primato mondiale della conoscenza scientifica fino alla metà del Cinquecento.

Sue erano state invenzioni quali la carta, la carriola, la polvere da sparo (utilizzata per confezionare mortaretti che scacciassero gli spiriti maligni), la bussola (strumento indispensabile ai geomanti per la costruzione di case e tombe per gli antenati), la stampa (nel XIII secolo, durante la pax mongolica, venivano stampate mediante xilografia banconote e lasciapassare validi su un territorio vastissimo, cosa che risultò utile a mercanti quali i Polo).

Altre invenzioni in largo anticipo sul resto del mondo sono ad esempio la vaccinazione antivaiolosa (pustole del vaiolo venivano pestate in un mortaio ed inoculate mediante una cannuccia per via nasale), il sismografo (un vaso di porcellana che conteneva un pendolo sensibilissimo collegato a testine di drago poste esternamente; queste ultime avevano una pallina nella bocca, che si apriva alla minima sollecitazione lasciando cadere il contenuto nella bocca di una rana, anch’essa in porcellana, posta alla base del vaso; ciò avveniva nel caso di un terremoto, del quale così era segnalata anche la direzione al fine di inviare aiuti e truppe per sedare eventuali rivolte).

Il potere del sovrano non era assoluto, ma riconducibile ad un mandato ricevuto dal Cielo. Secondo la concezione del fenomenismo terremoti, siccità, inondazioni, epidemie, eclissi, etc. erano tutti segni che il sovrano aveva trasgredito ai propri obblighi di governo e che quindi il popolo era autorizzato a ribellarsi ed a deporre la dinastia.

Altro limite era costituito dai princìpi di governo elaborati dal confucianesimo, basati su giustizia, gentilezza, rispetto delle convenzioni, saggezza, sincerità.

L’imperatore doveva considerare il Paese come una famiglia ed amministrarlo come fa un padre. I princìpi confuciani presupponevano una gerarchizzazione della società: nella famiglia il padre era superiore ai figli, il marito alla moglie, il fratello maggiore lo era nei confronti del fratello minore, etc.

Tutto questo, sebbene evitasse cesure tra generazioni, manteneva tuttavia immobile la società, in quanto ogni innovazione veniva vista come una mancanza di rispetto verso gli antenati, ai quali nella parte settentrionale di ogni casa era situato un altare apposito.

La concezione confuciana di armonia sociale era contestata dai pensatori taoisti, i quali traevano ispirazione dalla natura e ritenevano che migliore governante è colui che non governa, evitando così di alterare un funzionamento che solo ad essa deve ispirarsi.

I taoisti, sublimi poeti e valenti ricercatori, componevano poesie eccelse spesso sotto gli effetti di bevande alcoliche ed adottavano spesso lo stile di vita degli eremiti che, sui monti, vivevano alla ricerca dell’elisir di lunga vita e sperimentavano gli effetti delle sostanze naturali (animali, vegetali, minerali) sul corpo umano. Essi non condividevano la divisione gerarchica tra uomini e donne e, essendo ispirati ad ideali di longevità, notavano che quelle vivevano più degli uomini, così come è lo scorrere dell’acqua (elemento femminile) a prevalere su una roccia (elemento maschile).

Terza gamba del tripode culturale cinese era costituita dal buddhismo, corrente arrivata in Cina dall'India nel I secolo e diffusasi a partire dal VI secolo.

Questa dottrina non presupponeva un dio creatore, ma un percorso di risveglio che ogni uomo era tenuto ad intraprendere per recuperare l’unità con l’Universo.

A differenza di quanto avvenne in Occidente, dove frequenti furono gli scontri fra le varie religioni, in Cina ogni uomo trovava nelle tre componenti del tripode risposte diverse a diverse problematiche incontrate nel corso della vita: nel caso di un litigio con un altro cittadino si rivolgeva al magistrato, il quale dirimeva la questione in base alla dottrina confuciana; se doveva fronteggiare una malattia contattava un eremita taoista, esperto nella medicina naturale; in occasione di lutti incaricava monaci buddhisti di effettuare i riti necessari ad una buona reincarnazione del defunto.

Altro aspetto non secondario della società era la mobilità sociale. Poteva essere nominato funzionario chiunque superasse gli esami tenuti nei templi della letteratura (cioè i templi confuciani). Questo sistema funzionò fino al XIX secolo, epoca durante la quale l’impero entrò in una crisi definitiva.

Si può affermare che la civiltà cinese, che ancora oggi influenza la maggior parte dei Paesi dell’Asia orientale, fu talmente dominante che trasformò in cinesi varie dinastie straniere che si impossessarono del Paese nel corso dei secoli.