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L’iniziativa di fallimento del debitore insolvente

ISTANZA DEL DEBITORE

L’art. 6 riformato della legge fallimentare ha mantenuto in capo al debitore insolvente il diritto di chiedere il proprio fallimento. L’interesse sotteso alla norma è quello di evitare che si produca un aggravamento del dissesto e nel contempo di far cessare le azioni esecutive individuali sul patrimonio, dispersive dello stesso e potenzialmente lesive della parità di trattamento fra i creditori.

L’istanza va presentata con ricorso al tribunale del luogo dove si trova la sede principale dell’impresa. La novella ha cambiato il nome dell’atto, da “richiesta” a “ricorso”, la variazione semantica non sembra comunque aver modificato la sostanza del medesimo.

Problema aperto è se sia necessario il patrocinio di un difensore. Parte della dottrina (cfr., fra gli altri, Ferro, L’istruttoria prefallimentare, Torino, 2001, 179, 113, nello stesso senso Cass. Civ. 18 novembre, n. 2782) propende per la risposta negativa, facendo rientrare il procedimento in quelli unilaterali camerali per i quali non è obbligatorio il patrocinio legale.

Si è invece affermata (Trib. Roma 18 giugno 2008, il Fallimento, 2008, 1202, con nota di Sangiovanni; Trib. Napoli 6 dicembre 2006, in www.fallimentonline.it) la necessità della difesa tecnica, considerando l’iniziativa del debitore come una vera e propria domanda giudiziale, applicandosi in tal modo la regola dell’art. 82 c.p.c.. per la quale, se la legge non stabilisce diversamente, innanzi al tribunale le parti devono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente. Di conseguenza, il ricorso presentato senza l’assistenza di un difensore andrebbe dichiarato inammissibile.

Vi è comunque da osservare che nell’istruttoria pre-fallimentare (art. 15 l.f.) è previsto l’espletamento di una serie di adempimenti procedurali (es. rilascio di copie, notifiche, autenticazioni), che renderebbero necessaria, per lo meno opportuna, la presenza di un avvocato.

Nel ricorso l’istante può indicare il recapito telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla legge fallimentare. La disposizione, introdotta dalla riforma, risponde all’esigenza di semplificare e sveltire il procedimento, in ottemperanza di un preciso imperativo della legge delega.

SOGGETTI LEGITTIMATI AL RICORSO. CASI PARTICOLARI

Nel caso in cui l’impresa appartenga ad un minore o ad un interdetto, l’istanza di fallimento, presentata dal rappresentante legale (art. 75 c.p.c.), dovrà essere autorizzata dal giudice. Così il genitore od il tutore che gestiscono l’impresa appartenente al minore o all’interdetto dovranno chiedere l’autorizzazione al giudice tutelare. Si è anche sostenuto in dottrina (Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1961, 580) la necessità dell’autorizzazione del tribunale, su parere del giudice tutelare, assimilando il ricorso agli atti previsti dall’art. 375 c.c. .

Nel caso di enti collettivi il ricorso andrà presentato dal soggetto investito del potere di rappresentanza. Per le società di capitali, l’istanza andrà proposta dagli amministratori o eventualmente dai liquidatori (C. App. Torino 4 ottobre 2009, in Il Fallimento 2010, 247) , senza la necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea o dei soci (Cass. Civ. 16 settembre 2009 n. 19983, in Il Fallimento 2010, 739). Analogamente l’art. 152 l.f. riformato prevede, in merito alla proposta di concordato fallimentare (applicabile in forza di richiamo di cui all’art. 161, comma 4 anche alla proposta di concordato preventivo), la competenza degli amministratori senza che sia richiesta una delibera assembleare.

Nelle società di persone, considerate anche le responsabilità civili e penali che possono derivare dal ritardo, appare preferibile aderire alla tesi che attribuisce all’organo amministrativo ed a ciascun socio illimitatamente responsabile il potere di chiedere il fallimento (Cavalli, La dichiarazione di fallimento, in Ambrosini (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Bologna, 2006, 40; Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, comm. diretto da Jorio, Bologna, 2007, 116).

Anche l’erede del debitore (o del socio illimitatamente responsabile di società personale) può chiedere il fallimento del de cuius. Ciò è espressamente indicato dal secondo comma dell’art. 11, comma 2, l.f., che tuttavia subordina l’iniziativa alla condizione che il patrimonio del debitore defunto non sia ancora confuso con quello dell’erede, cioè quando l’accettazione non è avvenuta od è stata attuata con beneficio di inventario. In tale ipotesi l’istante è esonerato dall’ obbligo della presentazione della documentazione di cui all’art. 14 l.f., resta comunque la necessità della dimostrazione dei requisiti di fallibilità di cui all’art. 1.

Si è invece escluso che gli eredi del socio unico di s.r.l. siano legittimati a presentare istanza di fallimento (Trib. Sulmona 5 luglio 2007, in www.fallimentonline.it).

ONERE PROBATORIO DELL’ISTANTE.

Al debitore istante compete sia la dimostrazione di trovarsi in stato di insolvenza, sia di non rientrare nelle ipotesi di esenzione di cui all’articolo 1 l.f. , comportando questo aspetto un vero e proprio rovesciamento dell’onere della prova (Trib. Monza 24 settembre 2010, in www.ilcaso.it). Si vuole così evitare la presentazione di istanze pretestuose che si concretizzano in artate autodichiarazioni di fallimento.

Nella procedura riformata, infatti, la dichiarazione di fallimento può diventare un’opportunità per il debitore. Si pensi al possibile ricorso all’esdebitazione che permette all’imprenditore insolvente, attraverso un pagamento parziale dei debiti, di chiudere anticipatamente la procedura e ripartire “pulito” (la c.d. fresh start).

Non si può certo configurare l’esistenza di un “diritto di fallire”. I presupposti soggettivo ed oggettivo del fallimento non possono essere infatti rimessi alla volontà negoziale delle parti coinvolte (Trib. Bologna 20 febbraio 2007, in www.ilcaso.it). Il tribunale sarà quindi tenuto a respingere l’istanza, se le dichiarazioni presentate non sono vere o provate e se mancano anche le altre condizioni di fallibilità.

DOCUMENTAZIONE ALLEGATA ALLA DOMANDA

Il ricorso del debitore deve essere accompagnato dal deposito presso la cancelleria del tribunale delle scritture contabili e fiscali obbligatorie inerenti i tre esercizi precedenti, oppure il periodo precedente, se più breve. Deve altresì essere depositato uno stato particolareggiato ed estimativo delle attività, l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti, l’indicazione dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi tre esercizi, l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso con l’indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto.

Lo scopo è quello di acconsentire al tribunale la verifica puntuale della sussistenza dei presupposti del fallimento.

DIRITTO-DOVERE AL RICORSO

L’iniziativa del debitore è di regola una facoltà dello stesso, diventa invece un obbligo penalmente sanzionato quando l’inerzia provoca un aggravamento dell’insolvenza. Per l’art. 217 n.4 l.f. risponde infatti di bancarotta semplice l’imprenditore che “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra colpo grave”.

Perché si configuri il reato occorre quindi un rapporto di causa ad effetto, vale a dire l’omissione da parte del debitore deve aver causato l’aggravamento del dissesto.

RITIRO DEL RICORSO

L’ istanza del debitore non ha di per se alcun valore confessorio, in quanto la procedura fallimentare attiene a diritti indisponibili (Trib. Bologna 20 febbraio 2007,cit.), manca peraltro la controparte alla quale l’istanza viene resa. Conseguentemente il ricorso può essere ritirato fino alla dichiarazione di fallimento.

La novella fallimentare preclude in tal caso la dichiarazione d’ufficio da parte del tribunale, né quest’ultimo potrà procedere alla segnalazione dell’insolvenza del debitore al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 7, n.2 l.f., ponendosi tale iniziativa in contrasto con la posizione di imparzialità e terzietà del giudice (Cass. Civ. 26 febbraio 2009 n. 4632, in Il fallimento 2009, 521, diversamente Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2008, 44).

Nel caso però di potere-dovere di richiedere il fallimento, in relazione alla specifica ipotesi di cui all’art. 217 n.4 l.f., dovrebbe invece configurarsi l’impossibilità di rinunciare al ricorso, dato che l’istanza viene presentata a tutela prevalente di interessi generali e diversi da quelli propri del procedente.



ISTANZA DEL DEBITORE

L’art. 6 riformato della legge fallimentare ha mantenuto in capo al debitore insolvente il diritto di chiedere il proprio fallimento. L’interesse sotteso alla norma è quello di evitare che si produca un aggravamento del dissesto e nel contempo di far cessare le azioni esecutive individuali sul patrimonio, dispersive dello stesso e potenzialmente lesive della parità di trattamento fra i creditori.

L’istanza va presentata con ricorso al tribunale del luogo dove si trova la sede principale dell’impresa. La novella ha cambiato il nome dell’atto, da “richiesta” a “ricorso”, la variazione semantica non sembra comunque aver modificato la sostanza del medesimo.

Problema aperto è se sia necessario il patrocinio di un difensore. Parte della dottrina (cfr., fra gli altri, Ferro, L’istruttoria prefallimentare, Torino, 2001, 179, 113, nello stesso senso Cass. Civ. 18 novembre, n. 2782) propende per la risposta negativa, facendo rientrare il procedimento in quelli unilaterali camerali per i quali non è obbligatorio il patrocinio legale.

Si è invece affermata (Trib. Roma 18 giugno 2008, il Fallimento, 2008, 1202, con nota di Sangiovanni; Trib. Napoli 6 dicembre 2006, in www.fallimentonline.it) la necessità della difesa tecnica, considerando l’iniziativa del debitore come una vera e propria domanda giudiziale, applicandosi in tal modo la regola dell’art. 82 c.p.c.. per la quale, se la legge non stabilisce diversamente, innanzi al tribunale le parti devono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente. Di conseguenza, il ricorso presentato senza l’assistenza di un difensore andrebbe dichiarato inammissibile.

Vi è comunque da osservare che nell’istruttoria pre-fallimentare (art. 15 l.f.) è previsto l’espletamento di una serie di adempimenti procedurali (es. rilascio di copie, notifiche, autenticazioni), che renderebbero necessaria, per lo meno opportuna, la presenza di un avvocato.

Nel ricorso l’istante può indicare il recapito telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla legge fallimentare. La disposizione, introdotta dalla riforma, risponde all’esigenza di semplificare e sveltire il procedimento, in ottemperanza di un preciso imperativo della legge delega.

SOGGETTI LEGITTIMATI AL RICORSO. CASI PARTICOLARI

Nel caso in cui l’impresa appartenga ad un minore o ad un interdetto, l’istanza di fallimento, presentata dal rappresentante legale (art. 75 c.p.c.), dovrà essere autorizzata dal giudice. Così il genitore od il tutore che gestiscono l’impresa appartenente al minore o all’interdetto dovranno chiedere l’autorizzazione al giudice tutelare. Si è anche sostenuto in dottrina (Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1961, 580) la necessità dell’autorizzazione del tribunale, su parere del giudice tutelare, assimilando il ricorso agli atti previsti dall’art. 375 c.c. .

Nel caso di enti collettivi il ricorso andrà presentato dal soggetto investito del potere di rappresentanza. Per le società di capitali, l’istanza andrà proposta dagli amministratori o eventualmente dai liquidatori (C. App. Torino 4 ottobre 2009, in Il Fallimento 2010, 247) , senza la necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea o dei soci (Cass. Civ. 16 settembre 2009 n. 19983, in Il Fallimento 2010, 739). Analogamente l’art. 152 l.f. riformato prevede, in merito alla proposta di concordato fallimentare (applicabile in forza di richiamo di cui all’art. 161, comma 4 anche alla proposta di concordato preventivo), la competenza degli amministratori senza che sia richiesta una delibera assembleare.

Nelle società di persone, considerate anche le responsabilità civili e penali che possono derivare dal ritardo, appare preferibile aderire alla tesi che attribuisce all’organo amministrativo ed a ciascun socio illimitatamente responsabile il potere di chiedere il fallimento (Cavalli, La dichiarazione di fallimento, in Ambrosini (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Bologna, 2006, 40; Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, comm. diretto da Jorio, Bologna, 2007, 116).

Anche l’erede del debitore (o del socio illimitatamente responsabile di società personale) può chiedere il fallimento del de cuius. Ciò è espressamente indicato dal secondo comma dell’art. 11, comma 2, l.f., che tuttavia subordina l’iniziativa alla condizione che il patrimonio del debitore defunto non sia ancora confuso con quello dell’erede, cioè quando l’accettazione non è avvenuta od è stata attuata con beneficio di inventario. In tale ipotesi l’istante è esonerato dall’ obbligo della presentazione della documentazione di cui all’art. 14 l.f., resta comunque la necessità della dimostrazione dei requisiti di fallibilità di cui all’art. 1.

Si è invece escluso che gli eredi del socio unico di s.r.l. siano legittimati a presentare istanza di fallimento (Trib. Sulmona 5 luglio 2007, in www.fallimentonline.it).

ONERE PROBATORIO DELL’ISTANTE.

Al debitore istante compete sia la dimostrazione di trovarsi in stato di insolvenza, sia di non rientrare nelle ipotesi di esenzione di cui all’articolo 1 l.f. , comportando questo aspetto un vero e proprio rovesciamento dell’onere della prova (Trib. Monza 24 settembre 2010, in www.ilcaso.it). Si vuole così evitare la presentazione di istanze pretestuose che si concretizzano in artate autodichiarazioni di fallimento.

Nella procedura riformata, infatti, la dichiarazione di fallimento può diventare un’opportunità per il debitore. Si pensi al possibile ricorso all’esdebitazione che permette all’imprenditore insolvente, attraverso un pagamento parziale dei debiti, di chiudere anticipatamente la procedura e ripartire “pulito” (la c.d. fresh start).

Non si può certo configurare l’esistenza di un “diritto di fallire”. I presupposti soggettivo ed oggettivo del fallimento non possono essere infatti rimessi alla volontà negoziale delle parti coinvolte (Trib. Bologna 20 febbraio 2007, in www.ilcaso.it). Il tribunale sarà quindi tenuto a respingere l’istanza, se le dichiarazioni presentate non sono vere o provate e se mancano anche le altre condizioni di fallibilità.

DOCUMENTAZIONE ALLEGATA ALLA DOMANDA

Il ricorso del debitore deve essere accompagnato dal deposito presso la cancelleria del tribunale delle scritture contabili e fiscali obbligatorie inerenti i tre esercizi precedenti, oppure il periodo precedente, se più breve. Deve altresì essere depositato uno stato particolareggiato ed estimativo delle attività, l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti, l’indicazione dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi tre esercizi, l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso con l’indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il diritto.

Lo scopo è quello di acconsentire al tribunale la verifica puntuale della sussistenza dei presupposti del fallimento.

DIRITTO-DOVERE AL RICORSO

L’iniziativa del debitore è di regola una facoltà dello stesso, diventa invece un obbligo penalmente sanzionato quando l’inerzia provoca un aggravamento dell’insolvenza. Per l’art. 217 n.4 l.f. risponde infatti di bancarotta semplice l’imprenditore che “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra colpo grave”.

Perché si configuri il reato occorre quindi un rapporto di causa ad effetto, vale a dire l’omissione da parte del debitore deve aver causato l’aggravamento del dissesto.

RITIRO DEL RICORSO

L’ istanza del debitore non ha di per se alcun valore confessorio, in quanto la procedura fallimentare attiene a diritti indisponibili (Trib. Bologna 20 febbraio 2007,cit.), manca peraltro la controparte alla quale l’istanza viene resa. Conseguentemente il ricorso può essere ritirato fino alla dichiarazione di fallimento.

La novella fallimentare preclude in tal caso la dichiarazione d’ufficio da parte del tribunale, né quest’ultimo potrà procedere alla segnalazione dell’insolvenza del debitore al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 7, n.2 l.f., ponendosi tale iniziativa in contrasto con la posizione di imparzialità e terzietà del giudice (Cass. Civ. 26 febbraio 2009 n. 4632, in Il fallimento 2009, 521, diversamente Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2008, 44).

Nel caso però di potere-dovere di richiedere il fallimento, in relazione alla specifica ipotesi di cui all’art. 217 n.4 l.f., dovrebbe invece configurarsi l’impossibilità di rinunciare al ricorso, dato che l’istanza viene presentata a tutela prevalente di interessi generali e diversi da quelli propri del procedente.