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L’istituzione dei liberi consorzi di comuni in Sicilia e la trappola dell’art. 15 dello Statuto speciale

In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale sul tentato, quanto temerario, riordino delle Province operato dal Governo Monti con decreto-legge Province[1], anche per valutarne gli eventuali riflessi sulla programmata riforma dell’ente intermedio della Regione Sicilia, ci piace tornare a riflettere proprio sulla peculiarità siciliana[2].

Il tema dell’ente intermedio siciliano, con particolare riferimento al libero consorzio di comuni, è già stato da noi indagato[3],  ancora prima che il legislatore regionale approvasse la legge 27 marzo 2013 n. 7, ma le disposizioni normative contenute nella citata legge meritano un ulteriore sforzo interpretativo.

Il comma 1 dell’articolo unico della citata legge regionale così recita: “Entro il 31 dicembre 2013 la Regione, con propria legge, in attuazione dell’art. 15 dello Statuto speciale della Regione Siciliana, disciplina l’istituzione dei liberi Consorzi comunali per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta, in sostituzione delle Province regionali. Gli organi di governo dei liberi Consorzi comunali sono eletti con sistema indiretto di secondo grado. Con la predetta legge sono disciplinate le modalità di elezione, la composizione e le funzioni degli organi suddetti”.

La lettura della presente disposizione dà luogo a due osservazioni tra loro strettamente connesse. La prima, che ancora oggi i liberi consorzi comunali previsti dall’art. 15 dello Statuto non risultano istituiti. La seconda, che l’ente intermedio presente nell’ordinamento regionale è rappresentato dalle Province regionali.

Il legislatore siciliano, implicitamente, sembra non volere più accettare l’impostazione, ratione temporis, della innovativa legge regionale n. 9/86 attraverso la quale si sono istituiti i nove liberi consorzi comunali denominati “Province regionali”. Il problema, evidentemente, non è solo terminologico, siamo infatti in presenza di un gioco di parole che nasconde il punctum pruriens della questione. Il legislatore della legge n. 7/2013 vuole infatti sostituire l’attuale modello di ente intermedio con quello espressamente previsto dall’art. 15 dello Statuto ritenendolo, evidentemente, differente non solo sotto il profilo formale. Se fosse solo un fatto di nomen iuris non avrebbe senso la disposizione normativa approvata dall’A.R.S., così come, verosimilmente, non avrebbe avuto molto senso ri-disciplinare l’ente intermedio modificando l’attuale l.r. n. 9/86. Ciò che vuole fare il legislatore regionale è cambiare radicalmente modello di ente intermedio, introducendo nell’ordinamento siciliano il modello istituzionale che prevede l’art. 15 dello Statuto e cioè il libero consorzio comunale (di funzioni e/o di servizi poco importa in questa sede).

Per comprendere meglio ciò che il legislatore siciliano non dice espressamente, bisogna definire i contorni istituzionali del libero consorzio di comuni così come quelli dell’ente Provincia, ancorchè regionale. Tutto ruota attorno alla qualificazione di ente territoriale. Infatti, mentre il libero consorzio di comuni ha tradizionalmente (art. 31 del TUEL), ma anche secondo le previsioni di cui all’art. 20 della l.r. 18 marzo 1955 n. 17 ed all’art. 13 del d.l. del Presidente della regione n. 6 del 29/10/1955, “…natura di ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia amministrativa e finanziaria” ed avente natura associativa e strumentale rispetto agli enti che vi partecipano, la Provincia regionale è, anche per espressa volontà del legislatore (art. 4, comma 3, L.r. n. 9/86) un ente pubblico territoriale che realizza l’autogoverno della comunità consortile e sovrintende, nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato sviluppo economico e sociale della comunità medesima. Secondo il Giudice delle leggi, “La provincia è, per sua natura ente territoriale e tale è anche la provincia siciliana, la quale, sia pure con l’attuale regime di amministrazione straordinaria, sopravvive fino a quando verranno creati i liberi consorzi tra comuni (art. 266 dell’ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana”[4].

L’ente consortile costituisce certamente un’entità soggettiva autonoma e distinta dai singoli Comuni che ne fanno parte, sicchè ogni attività svolta dai propri organi va imputata esclusivamente all’ente che essi rappresentano e non ai vari soggetti che di questo fanno parte e che hanno contribuito a costituire, pertanto “l’ente consorziale gode di propria soggettività”[5]. Tuttavia, l’ente consortile non può contare sulla rete di protezione costituzionale, invece prevista per gli enti locali, in quanto sprovvisto del requisito dell'autonomia politica sotteso allo status di ente di governo territoriale. Infatti, “Il Consorzio d’ambito (quantunque composto dai Comuni rientranti nell’A.T.O.) non può essere annoverato tra gli enti dotati di <<autonomia>> costituzionalmente protetta”[6]. Per l’esatto contrario si registra un precedente giurisprudenziale secondo cui “gli enti locali non possono farsi rientrare nel concetto di enti pubblici regionali o vigilati dalla Regione, trattandosi di enti autonomi che nella legislazione regionale vengono generalmente indicati come  <<enti locali territoriali>>”[7].

Il libero consorzio di comuni è quindi un ente che presenta solo due tipi di autonomia, quella amministrativa e quella finanziaria, risultando sprovvisto della terza autonomia, quella politica, di cui è invece dotato l’ente territoriale sia comunale che provinciale. Dello stesso avviso è la recente giurisprudenza del Tar Palermo[8], secondo cui “l’art. 15 dello Statuto attribuisce, evidentemente, una diversa configurazione all’assetto istituzionale sovra comunale rispetto a quello attualmente esistente e scaturito dalla l.r. 6/5/1986, n. 9 e s.m.i. che ha attuato la norma costituzionale solo apparentemente secundum legem nel momento in cui ha determinato l’organizzazione delle province nella Regione Siciliana, come nel resto dell’Italia, quali enti locali territoriali dotati di autonomia anche politica e non solo amministrativa e finanziaria”.

Orbene, appare evidente che il legislatore siciliano vuole sostituire l’attuale ente pubblico territoriale (Provincia regionale) con un ente pubblico non territoriale (libero consorzio comunale). Le ragioni di tale scelta al momento sfuggono e non ci sembra questa la sede per commentare, quello che ci occupa concerne solamente l’aspetto giuridico-istituzionale della prospettata ipotesi di riforma dell’ente intermedio e, soprattutto, la compatibilità del modello di ente intermedio sia con lo Statuto siciliano che con i principi di sistema contenuti nella Costituzione.

1. La conformità alla previsione statutaria

Ancorchè datato[9], lo Statuto della Regione Sicilia è pur sempre una norma di rango costituzionale (art. 116, comma 1, Cost.) e come tale in grado di orientare la legislazione ordinaria. In tale contesto, la l.r. n. 9/86, attuativa dell’art. 15 dello statuto siciliano, appare prima facie, “contra statutum” poiché, in luogo di liberi consorzi di comuni - enti pubblici non territoriali dotati di autonomia amministrativa e finanziaria – sono stati istituiti enti territoriali dotati non solo di autonomia amministrativa e finanziaria ma anche di autonomia politica. Essa quindi ha ampliato decisamente la sfera di autonomia regionale, ma ciò ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e soprattutto lo spirito della disposizione costituzionale statutaria, che fonda il proprio modello di organizzazione istituzionale delle autonomie locali sui comuni e su articolazioni degli stessi quali sono i liberi consorzi di comuni, senza alcuna intenzione di alterarne il disegno ordinamentale. La Corte Costituzionale, in proposito, ha sempre affermato che “la capacità additiva si esprime pur sempre nell’ambito dello spirito dello Statuto e delle sue finalità e – come s’è pure rilevato – nel rispetto dei principi costituzionali”[10].

A giustificazione della legittimità costituzionale della l.r. n. 9/86 neppure potrebbe invocarsi una sorta di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo. Si tratterebbe infatti, in ambedue i casi, di istituti o fonti di integrazioni sconosciute al livello di norme costituzionali e comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida. In altri termini non sembrerebbe possibile sostenere che la sussistenza delle Province regionali per oltre 25 anni costituirebbe di per sé una riprova della sua costituzionalità. Infatti non può ritenersi che la permanenza di una norma nell’ordinamento, per un periodo più o meno lungo, costituisca garanzia di costituzionalità, come dimostrano gli esempi dei Consigli comunali e provinciali in tema di contenzioso elettorale amministrativo[11], dei Consigli di Prefettura[12] o, ancora, delle giunte provinciali amministrative[13].

Peraltro, l’Alta Corte per la Regione Siciliana[14] aveva già censurato la fictio iuris operata dal legislatore regionale[15] nella istituzione dei primi liberi consorzi di comuni con le caratteristiche dell’ente territoriale di governo, individuando il carattere “non consortile della provincia regionale”.

Inoltre l’aggettivazione “libero” che precede il “consorzio di comuni”, ancorchè non esplicitata, esclude l’ipotesi che l’aggregazione consortile possa essere imposta dal legislatore. Senza il riconoscimento in capo ai singoli Comuni della libertà di autodeterminare il consorzio a cui aderire non saremmo in presenza di un libero e volontario consorzio, ma di un consorzio obbligatorio che non troverebbe cittadinanza giuridico-organizzativa nell’ordinamento regionale. In questa direzione argomentativa si registra quanto già statuito dall’Alta Corte per la Regione Siciliana con la citata sentenza, secondo cui, “Tali consorzi non possono non avere origine dalla volontà dei rappresentanti comunali, ai quali spetterebbe precisare le finalità, i mezzi, gli organi pur nel quadro di una legge regionale, mentre le province regionali, sia pure con la definizione legislativa di liberi consorzi, sono istituite dalla Regione per legge che ne definisce i caratteri, i fini, gli organi, e ogni altro elemento istituzionale. L’unica facoltà lasciata ai comuni è quella di potere riunirsi, sotto date condizioni e formalità, in nuove province, e quella di poter passare da una provincia all’altra. Si tratta di una notevole facoltà, che però lascia intatto l’ordinamento prestabilito e non dà modo di instaurare il libero consorzio”.

2. La conformità ai principi di sistema della Costituzione

Anche se datato e, verosimilmente superato dal nuovo quadro istituzionale in materia di autonomie locali, appare azzardato sostenere che l’art. 15 dello Statuto siciliano è incostituzionale perché non prevede quale ente intermedio le Province ancora oggi previste dall’art. 114 Cost.[16]. Come affermato dalla Corte Costituzionale[17] un istituto disciplinato da uno statuto regionale, approvato con legge costituzionale, per definizione non può essere di per sé contrastante con la Costituzione, ma ciò non toglie che anche la legge costituzionale (come lo statuto speciale regionale) possa essere soggetta al sindacato di legittimità costituzionale[18]. Condivisibile è pertanto l’affermazione, sostenuta in dottrina, secondo cui, “Chi ritiene i liberi consorzi comunali incostituzionali dovrebbe giocoforza allora ritenere di trovarsi di fronte ad una norma costituzionale incostituzionale, nonostante nessuno finora l’abbia dichiarata tale (com’è successo, per altre disposizioni statutarie, quali ad esempio quelle sull’Alta Corte siciliana)”[19]. Pertanto, l’art. 15, come del resto tutti gli altri articoli che compongono lo Statuto siciliano, è costituzionalmente legittimo fino a prova contraria, cioè fino a quando la Corte Costituzionale non dovesse dichiararne l’illegittimità come ha già fatto, nel tempo, per altre disposizioni.

Lo statuto siciliano, pur anteriore alla Costituzione, prevede similmente (articolo 14, comma 1) che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato. Non si è mai dubitato quindi che la competenza primaria della Regione Siciliana dovesse osservare i principi della Costituzione[20], così come anche i principi fondamentali delle leggi di riforma economico-sociale[21]. Peraltro, pur nel mutato assetto, la Corte non ha mancato di sottolineare come, “nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato sia pur sempre riservata, nell’ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all’articolo 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le potestà legislative (articolo 117, primo comma) e dal riconoscimento dell’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento stesso (articolo 120, secondo comma). E tale istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto – lo Stato, avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento”[22].

Inoltre, in riferimento alle problematiche rilevate e di non agevole soluzione, che emergono anche dal nuovo Titolo V°, e con riferimento alla questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo, se, a fronte, dell’ampliamento delle competenze legislative regionali derivante dalla attribuzione di competenza generale residuale, non debba contrapporsi, anche per le Regioni a Statuto speciale, la riserva di legislazione esclusiva a favore dello Stato così come elencata all’articolo 117 secondo comma. Al riguardo, la Corte Costituzionale ha pronunciato alcune decisioni in cui si afferma che il nuovo Titolo V° non si applica alle Regioni a Statuto speciale, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite[23]. In tale contesto andrebbe riconsiderata la “definizione stipulativa” secondo cui l’autonomia della Regione Siciliana, in quanto Regione a Statuto speciale, ricomprende solo tutto ciò che deve essere garantito nei confronti delle potestà spettanti ai livelli di governo superiori, ma non tutto ciò che permette di comprimere l’autonomia del livello di governo inferiore. La citata sent. n. 83 della Corte Costituzionale è in grado di offrire un ulteriore elemento di riflessione sul punto. In essa si afferma che “la garanzia delle comunità territoriali minori non può subire, nel suo nucleo essenziale, significative alterazioni quando, anziché il sistema della autonomie ordinarie, venga in considerazione quello delle autonomie speciali ove sono presenti competenze regionali (e provinciali) esclusive”.

Con particolare riferimento alla materia dell’ordinamento degli enti locali nelle Regioni a Statuto speciale, la Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza[24] ha ammesso che il legislatore regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni. In particolare, la medesima Corte[25] ha affermato che una disposizione come quella di cui all’art. 5 della Costituzione certamente impegna la Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia speciale, a riconoscere e a promuovere le autonomie, ed ha anche aggiunto che le leggi regionali possono bensì regolare l’autonomia degli enti locali, ma mai comprimere fino a negarla. Analogamente, si è ritenuto doveroso il “coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento”, in considerazione “dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta”[26].

Ciò significa che la Regione Siciliana non è vincolata all’osservanza di una specifico modello istituzionale analogo alla legislazione statale per disciplinare l’assetto degli enti locali ma, come già affermato per la consorella Regione Friuli-Venezia-Giulia, “deve rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le sue autonome determinazioni <<deve favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali>>”[27], magari utilizzando il criterio storico per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale per “quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico”[28].

Appare evidente la necessità, contenuta nel disegno costituzionale, di non consentire ad una parte dell’ordinamento (Regioni a Statuto speciale) di concretizzare attraverso l’uso autonomo della legislazione esclusiva, lesioni ai “principi di sistema”. In tale contesto, importanti pronunciamenti, anche se sul piano più istituzionale che legislativo, si sono registrati nel tempo con l’Intesa Interistituzionale formalizzata a Cagliari il 20/03/2003 tra tutte le Regioni a Statuto speciale e Province autonome con le rappresentanze degli enti locali dei rispettivi territori che è finalizzata a sancire un’interpretazione di favor per Comuni e Province in ordine all’estensione della garanzie di maggiore autonomia previste dal nuovo quadro costituzionale, e con alcuni ordini del giorno approvati al Senato il 27/05/2003 contestualmente all’approvazione della l. cost. n. 3/2001 a beneficio degli enti locali ricompresi nelle Regioni a Statuto speciale, “tenendo conto che le autonomie più a rischio non dispongono di forme di garanzia ad hoc, quale l’accesso alla Corte Costituzionale, previste invece in altri ordinamenti (come Germania e Spagna) e postulate, tra l’altro, in documenti sovranazionali di particolare rilievo, come la Carta europea dell’autonomia locale del 1985”[29].

Dalla lettura delle illustrate posizioni della Corte Costituzionale emergono due punti fermi che meritano di essere evidenziati per provare ad azzardare alcune conclusioni:

a) la Regione Siciliana, in quanto Regione a Statuto speciale, non risente delle novità apportata dal nuovo Titolo V° della Costituzione, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite. Pertanto, a nulla rileva l’eccezione più volte sollevata in dottrina secondo cui l’art. 114 della Costituzione, in cui risulta previsto l’ente territoriale Provincia tra i diversi livelli istituzionali che compongono la Repubblica, prevale sull’art. 15 dello Statuto siciliano che, quale ente intermedio, prevede l’ente non territoriale “libero consorzio di comuni”. Questione, per la verità, già affrontata dall’Alta Corte per la Regione Siciliana con la citata sentenza 21/07/1955 – 4/10/1955 n. 90, in cui venne statuito che gli articoli 114, 118, 128, 129 e 133 della Costituzione non sono applicabili per la Sicilia date le speciali disposizioni degli articoli 15 e 16 dello Statuto, che facendo parte delle legge costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 della Costituzione prevalgono, per un principio generale, sulle disposizioni diverse della stessa Costituzione.

b) la Regione Siciliana, in quanto Regione a Statuto speciale, dotata di competenza esclusiva in materia di organizzazione del proprio sistema delle autonomie locali, tramite le sue autonome determinazioni, deve rispettare il principio autonomistico di cui all’art. 5 della Costituzione, favorendo la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali. E poiché gli enti espressione di “autonomia” sono quelli che consentono di partecipare all’adozione di decisioni, incidendo nei processi di deliberazione pubblica che li riguardano, un’ipotesi di riforma dell’art. 15 dello Statuto in direzione dell’introduzione dell’ente Provincia quale ente territoriale di governo (in uno alle città metropolitane anch’esse sconosciute dall’ordinamento regionale) sarebbe certamente da preferire rispetto alla formale, quanto rischiosa ed incerta, istituzione di enti consortili privi di autonomia politica quali sono i liberi consorzi comunali.

3. Considerazioni finali

In attesa di leggere le motivazioni della citata sentenza della Corte Costituzionale sul tentato riordino delle Province e nelle more di assistere all’annunciata estirpazione delle Province per via costituzionale, un insegnamento che ci viene consegnato è che le scorciatoie legislative sempre più spesso adottate dal legislatore non sono idonee per fare le riforme di cui tanto si parla.

Il legislatore siciliano, anch’esso contagiato dall’esigenza di donare in fretta all’opinione pubblica l’agnello sacrificale delle Province regionali, rischia di inciampare sugli ostacoli costituzionali dello Statuto siciliano che, ancorchè cristallizzato al 1946, rimane pur sempre la bussola di riferimento per l’attività legislativa ordinaria. Pensare di istituire liberi consorzi di comuni magari dotandoli delle medesime, e forse anche più, caratteristiche di cui è dotato l’ente territoriale di governo oggi rappresentato dalla Provincia regionale, oltre a configurare un clamoroso bluff, comporterebbe una manifesta sfida all’Ufficio del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana deputato al controllo preventivo di costituzionalità.

Coglie pienamente nel segno quanto affermato da Francesco Clementi secondo cui “la politica, cioè il legislatore, non può sfuggire al principio di legalità che, si badi bene, è l’altra faccia della responsabilità politica”[30].

[1] Si consenta il rinvio a Massimo Greco “Il canto del cigno delle Province”, su Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo http://WWW.diritto.it, ISSN 1127-8579, 12/01/2012.

[2] La dottrina, per la verità non particolarmente attenta sull’argomento dell’ente intermedio siciliano, dopo l’approvazione della l.r. n. 7/2013, registra alcuni interessanti approfondimenti:  Dario Immordino, “Dalle Province ai liberi consorzi: il riassetto dell’ente intermedio in Sicilia”, StrumentiRes n. 3 del maggio 2013; Andrea Piraino, “Dall’autonomia al federalismo. L’istituzione in Sicilia dei liberi consorzi comunali e delle città metropolitane”, Federalismi.it, 26/06/2013; Antonio Saitta, “La sostituzione delle province con i liberi consorzi comunali in Sicilia e l’impossibile attuazione dell’art. 15 dello Statuto”, Forum di Quaderni Costituzionali, 02/07/2013;

[3] Massimo Greco, “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale”, Amministrazione In cammino, rivista elettronica di diritto pubblico, pubblicata sul web all’indirizzo www.amministrazioneincammino.luiss.it, 24/11/2011; “La temuta incostituzionalità della legge istitutiva delle “Province Regionali in Sicilia”, Forum di Quaderni Costituzionali, 27/06/2012; “Con la trasformazione dell’ente intermedio siciliano da Provincia regionale a Libero consorzio di comuni i cittadini perdono un autorevole alleato a difesa dei propri interessi collettivi”, Filo Diritto, rivista giuridica pubblicata su internet all’indirizzo www.filodiritto.it, 24/04/2013.

[4] Corte Cost. sent. n. 96/68.

[5] Tar Lombardia, sent. n. 644/1993.

[6] Tar Palermo, sez. I, 04/07/2008, n. 881.

[7] Tar Palermo, sez. I, 29/01/1996, n. 28.

[8] Tar Palermo, sent.  19 giugno 2012 n. 1276.

[9] Lo Statuto speciale della Regione Sicilia è stato approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26/02/1948 n. 2.

[10] Corte Cost. nn. 212/1984, 213/1998.

[11] Corte Cost. n. 93/1965.

[12] Corte Cost. n. 55/1966.

[13] Corte Cost. n. 30/1967.

[14] Alta Corte per la Regione siciliana, sent. 21/07/1955 – 4/10/1955 n. 90.

[15] In seguito alla legge regionale del 18 marzo 1955, n. 17, con la quale venne delegata al governo della Regione la potestà di emanare norme per il nuovo ordinamento degli enti locali, il Presidente della Regione, nei termini e nelle forme fissate da detta delega, adottò il 16 giugno 1955 il decreto legislativo di approvazione delle “norme sul nuovo ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana”.

[16] Occorre qui evidenziare che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, discussa nell’udienza del 2 luglio 2013 e non ancora depositata, il Governo nella seduta del Consiglio dei Ministri del 5 luglio 2013 ha approvato un disegno di legge costituzionale attraverso il quale vengono espunte dalla Costituzione le Province.

[17] Corte Costituzionale 27 maggio 1961, n. 8.

[18] Corte Cost. n. 38/1957 sull’Alta Corte siciliana e n. 6/1970 sulla responsabilità penale avanti all’Alta Corte del Presidente della Regione.

[19] Salatore Curreri, “Sì dallo Statuto ai Liberi Consorzi tra Comuni”, Giornale Di Sicilia, 22/11/2010.

[20] Corte Cost. sent. nn. 66/1964, 115/1972.

[21] Corte Cost. sent. nn. 545/1989, 4/2000, 314/2003.

[22] Corte Cost., sent. n. 274/2003.

[23] Corte Cost. ord. n. 377/2002, decisioni nn. 408/2002, 533/2002, 48/2003, 103/2003.

[24] Corte Cost. sent. nn. 378/2000, 286/97, 83/97.

[25] Corte Cost. sent. n. 83/97.

[26] Corte Cost. sent. n. 229/2001.

[27] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[28] Corte Cost. sent. n. 52/1969.

[29] Gian Candido De Martin, “Le garanzie per gli Enti Locali nelle Regioni a Statuto speciale”, dispensa per la S.S.P.A.L.

[30] Francesco Clementi, “Non ci sono scorciatoie giuridiche per le riforme”, Il Sole 24Ore, 05/07/2013.

In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale sul tentato, quanto temerario, riordino delle Province operato dal Governo Monti con decreto-legge Province[1], anche per valutarne gli eventuali riflessi sulla programmata riforma dell’ente intermedio della Regione Sicilia, ci piace tornare a riflettere proprio sulla peculiarità siciliana[2].

Il tema dell’ente intermedio siciliano, con particolare riferimento al libero consorzio di comuni, è già stato da noi indagato[3],  ancora prima che il legislatore regionale approvasse la legge 27 marzo 2013 n. 7, ma le disposizioni normative contenute nella citata legge meritano un ulteriore sforzo interpretativo.

Il comma 1 dell’articolo unico della citata legge regionale così recita: “Entro il 31 dicembre 2013 la Regione, con propria legge, in attuazione dell’art. 15 dello Statuto speciale della Regione Siciliana, disciplina l’istituzione dei liberi Consorzi comunali per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta, in sostituzione delle Province regionali. Gli organi di governo dei liberi Consorzi comunali sono eletti con sistema indiretto di secondo grado. Con la predetta legge sono disciplinate le modalità di elezione, la composizione e le funzioni degli organi suddetti”.

La lettura della presente disposizione dà luogo a due osservazioni tra loro strettamente connesse. La prima, che ancora oggi i liberi consorzi comunali previsti dall’art. 15 dello Statuto non risultano istituiti. La seconda, che l’ente intermedio presente nell’ordinamento regionale è rappresentato dalle Province regionali.

Il legislatore siciliano, implicitamente, sembra non volere più accettare l’impostazione, ratione temporis, della innovativa legge regionale n. 9/86 attraverso la quale si sono istituiti i nove liberi consorzi comunali denominati “Province regionali”. Il problema, evidentemente, non è solo terminologico, siamo infatti in presenza di un gioco di parole che nasconde il punctum pruriens della questione. Il legislatore della legge n. 7/2013 vuole infatti sostituire l’attuale modello di ente intermedio con quello espressamente previsto dall’art. 15 dello Statuto ritenendolo, evidentemente, differente non solo sotto il profilo formale. Se fosse solo un fatto di nomen iuris non avrebbe senso la disposizione normativa approvata dall’A.R.S., così come, verosimilmente, non avrebbe avuto molto senso ri-disciplinare l’ente intermedio modificando l’attuale l.r. n. 9/86. Ciò che vuole fare il legislatore regionale è cambiare radicalmente modello di ente intermedio, introducendo nell’ordinamento siciliano il modello istituzionale che prevede l’art. 15 dello Statuto e cioè il libero consorzio comunale (di funzioni e/o di servizi poco importa in questa sede).

Per comprendere meglio ciò che il legislatore siciliano non dice espressamente, bisogna definire i contorni istituzionali del libero consorzio di comuni così come quelli dell’ente Provincia, ancorchè regionale. Tutto ruota attorno alla qualificazione di ente territoriale. Infatti, mentre il libero consorzio di comuni ha tradizionalmente (art. 31 del TUEL), ma anche secondo le previsioni di cui all’art. 20 della l.r. 18 marzo 1955 n. 17 ed all’art. 13 del d.l. del Presidente della regione n. 6 del 29/10/1955, “…natura di ente pubblico non territoriale, dotato di autonomia amministrativa e finanziaria” ed avente natura associativa e strumentale rispetto agli enti che vi partecipano, la Provincia regionale è, anche per espressa volontà del legislatore (art. 4, comma 3, L.r. n. 9/86) un ente pubblico territoriale che realizza l’autogoverno della comunità consortile e sovrintende, nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato sviluppo economico e sociale della comunità medesima. Secondo il Giudice delle leggi, “La provincia è, per sua natura ente territoriale e tale è anche la provincia siciliana, la quale, sia pure con l’attuale regime di amministrazione straordinaria, sopravvive fino a quando verranno creati i liberi consorzi tra comuni (art. 266 dell’ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana”[4].

L’ente consortile costituisce certamente un’entità soggettiva autonoma e distinta dai singoli Comuni che ne fanno parte, sicchè ogni attività svolta dai propri organi va imputata esclusivamente all’ente che essi rappresentano e non ai vari soggetti che di questo fanno parte e che hanno contribuito a costituire, pertanto “l’ente consorziale gode di propria soggettività”[5]. Tuttavia, l’ente consortile non può contare sulla rete di protezione costituzionale, invece prevista per gli enti locali, in quanto sprovvisto del requisito dell'autonomia politica sotteso allo status di ente di governo territoriale. Infatti, “Il Consorzio d’ambito (quantunque composto dai Comuni rientranti nell’A.T.O.) non può essere annoverato tra gli enti dotati di <<autonomia>> costituzionalmente protetta”[6]. Per l’esatto contrario si registra un precedente giurisprudenziale secondo cui “gli enti locali non possono farsi rientrare nel concetto di enti pubblici regionali o vigilati dalla Regione, trattandosi di enti autonomi che nella legislazione regionale vengono generalmente indicati come  <<enti locali territoriali>>”[7].

Il libero consorzio di comuni è quindi un ente che presenta solo due tipi di autonomia, quella amministrativa e quella finanziaria, risultando sprovvisto della terza autonomia, quella politica, di cui è invece dotato l’ente territoriale sia comunale che provinciale. Dello stesso avviso è la recente giurisprudenza del Tar Palermo[8], secondo cui “l’art. 15 dello Statuto attribuisce, evidentemente, una diversa configurazione all’assetto istituzionale sovra comunale rispetto a quello attualmente esistente e scaturito dalla l.r. 6/5/1986, n. 9 e s.m.i. che ha attuato la norma costituzionale solo apparentemente secundum legem nel momento in cui ha determinato l’organizzazione delle province nella Regione Siciliana, come nel resto dell’Italia, quali enti locali territoriali dotati di autonomia anche politica e non solo amministrativa e finanziaria”.

Orbene, appare evidente che il legislatore siciliano vuole sostituire l’attuale ente pubblico territoriale (Provincia regionale) con un ente pubblico non territoriale (libero consorzio comunale). Le ragioni di tale scelta al momento sfuggono e non ci sembra questa la sede per commentare, quello che ci occupa concerne solamente l’aspetto giuridico-istituzionale della prospettata ipotesi di riforma dell’ente intermedio e, soprattutto, la compatibilità del modello di ente intermedio sia con lo Statuto siciliano che con i principi di sistema contenuti nella Costituzione.

1. La conformità alla previsione statutaria

Ancorchè datato[9], lo Statuto della Regione Sicilia è pur sempre una norma di rango costituzionale (art. 116, comma 1, Cost.) e come tale in grado di orientare la legislazione ordinaria. In tale contesto, la l.r. n. 9/86, attuativa dell’art. 15 dello statuto siciliano, appare prima facie, “contra statutum” poiché, in luogo di liberi consorzi di comuni - enti pubblici non territoriali dotati di autonomia amministrativa e finanziaria – sono stati istituiti enti territoriali dotati non solo di autonomia amministrativa e finanziaria ma anche di autonomia politica. Essa quindi ha ampliato decisamente la sfera di autonomia regionale, ma ciò ha fatto vulnerando non solo la lettera, quanto e soprattutto lo spirito della disposizione costituzionale statutaria, che fonda il proprio modello di organizzazione istituzionale delle autonomie locali sui comuni e su articolazioni degli stessi quali sono i liberi consorzi di comuni, senza alcuna intenzione di alterarne il disegno ordinamentale. La Corte Costituzionale, in proposito, ha sempre affermato che “la capacità additiva si esprime pur sempre nell’ambito dello spirito dello Statuto e delle sue finalità e – come s’è pure rilevato – nel rispetto dei principi costituzionali”[10].

A giustificazione della legittimità costituzionale della l.r. n. 9/86 neppure potrebbe invocarsi una sorta di tacita consuetudine ovvero di convalescenza per decorso del tempo. Si tratterebbe infatti, in ambedue i casi, di istituti o fonti di integrazioni sconosciute al livello di norme costituzionali e comunque inammissibili in un sistema a costituzione rigida. In altri termini non sembrerebbe possibile sostenere che la sussistenza delle Province regionali per oltre 25 anni costituirebbe di per sé una riprova della sua costituzionalità. Infatti non può ritenersi che la permanenza di una norma nell’ordinamento, per un periodo più o meno lungo, costituisca garanzia di costituzionalità, come dimostrano gli esempi dei Consigli comunali e provinciali in tema di contenzioso elettorale amministrativo[11], dei Consigli di Prefettura[12] o, ancora, delle giunte provinciali amministrative[13].

Peraltro, l’Alta Corte per la Regione Siciliana[14] aveva già censurato la fictio iuris operata dal legislatore regionale[15] nella istituzione dei primi liberi consorzi di comuni con le caratteristiche dell’ente territoriale di governo, individuando il carattere “non consortile della provincia regionale”.

Inoltre l’aggettivazione “libero” che precede il “consorzio di comuni”, ancorchè non esplicitata, esclude l’ipotesi che l’aggregazione consortile possa essere imposta dal legislatore. Senza il riconoscimento in capo ai singoli Comuni della libertà di autodeterminare il consorzio a cui aderire non saremmo in presenza di un libero e volontario consorzio, ma di un consorzio obbligatorio che non troverebbe cittadinanza giuridico-organizzativa nell’ordinamento regionale. In questa direzione argomentativa si registra quanto già statuito dall’Alta Corte per la Regione Siciliana con la citata sentenza, secondo cui, “Tali consorzi non possono non avere origine dalla volontà dei rappresentanti comunali, ai quali spetterebbe precisare le finalità, i mezzi, gli organi pur nel quadro di una legge regionale, mentre le province regionali, sia pure con la definizione legislativa di liberi consorzi, sono istituite dalla Regione per legge che ne definisce i caratteri, i fini, gli organi, e ogni altro elemento istituzionale. L’unica facoltà lasciata ai comuni è quella di potere riunirsi, sotto date condizioni e formalità, in nuove province, e quella di poter passare da una provincia all’altra. Si tratta di una notevole facoltà, che però lascia intatto l’ordinamento prestabilito e non dà modo di instaurare il libero consorzio”.

2. La conformità ai principi di sistema della Costituzione

Anche se datato e, verosimilmente superato dal nuovo quadro istituzionale in materia di autonomie locali, appare azzardato sostenere che l’art. 15 dello Statuto siciliano è incostituzionale perché non prevede quale ente intermedio le Province ancora oggi previste dall’art. 114 Cost.[16]. Come affermato dalla Corte Costituzionale[17] un istituto disciplinato da uno statuto regionale, approvato con legge costituzionale, per definizione non può essere di per sé contrastante con la Costituzione, ma ciò non toglie che anche la legge costituzionale (come lo statuto speciale regionale) possa essere soggetta al sindacato di legittimità costituzionale[18]. Condivisibile è pertanto l’affermazione, sostenuta in dottrina, secondo cui, “Chi ritiene i liberi consorzi comunali incostituzionali dovrebbe giocoforza allora ritenere di trovarsi di fronte ad una norma costituzionale incostituzionale, nonostante nessuno finora l’abbia dichiarata tale (com’è successo, per altre disposizioni statutarie, quali ad esempio quelle sull’Alta Corte siciliana)”[19]. Pertanto, l’art. 15, come del resto tutti gli altri articoli che compongono lo Statuto siciliano, è costituzionalmente legittimo fino a prova contraria, cioè fino a quando la Corte Costituzionale non dovesse dichiararne l’illegittimità come ha già fatto, nel tempo, per altre disposizioni.

Lo statuto siciliano, pur anteriore alla Costituzione, prevede similmente (articolo 14, comma 1) che la competenza legislativa primaria si esercita nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato. Non si è mai dubitato quindi che la competenza primaria della Regione Siciliana dovesse osservare i principi della Costituzione[20], così come anche i principi fondamentali delle leggi di riforma economico-sociale[21]. Peraltro, pur nel mutato assetto, la Corte non ha mancato di sottolineare come, “nel nuovo assetto costituzionale scaturito dalla riforma, allo Stato sia pur sempre riservata, nell’ordinamento generale della Repubblica, una posizione peculiare desumibile non solo dalla proclamazione di principio di cui all’articolo 5 della Costituzione, ma anche dalla ripetuta evocazione di un’istanza unitaria, manifestata dal richiamo al rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, come limiti di tutte le potestà legislative (articolo 117, primo comma) e dal riconoscimento dell’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed economica dell’ordinamento stesso (articolo 120, secondo comma). E tale istanza postula necessariamente che nel sistema esista un soggetto – lo Stato, avente il compito di assicurarne il pieno soddisfacimento”[22].

Inoltre, in riferimento alle problematiche rilevate e di non agevole soluzione, che emergono anche dal nuovo Titolo V°, e con riferimento alla questione in esame, sembra opportuno chiedersi, in primo luogo, se, a fronte, dell’ampliamento delle competenze legislative regionali derivante dalla attribuzione di competenza generale residuale, non debba contrapporsi, anche per le Regioni a Statuto speciale, la riserva di legislazione esclusiva a favore dello Stato così come elencata all’articolo 117 secondo comma. Al riguardo, la Corte Costituzionale ha pronunciato alcune decisioni in cui si afferma che il nuovo Titolo V° non si applica alle Regioni a Statuto speciale, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite[23]. In tale contesto andrebbe riconsiderata la “definizione stipulativa” secondo cui l’autonomia della Regione Siciliana, in quanto Regione a Statuto speciale, ricomprende solo tutto ciò che deve essere garantito nei confronti delle potestà spettanti ai livelli di governo superiori, ma non tutto ciò che permette di comprimere l’autonomia del livello di governo inferiore. La citata sent. n. 83 della Corte Costituzionale è in grado di offrire un ulteriore elemento di riflessione sul punto. In essa si afferma che “la garanzia delle comunità territoriali minori non può subire, nel suo nucleo essenziale, significative alterazioni quando, anziché il sistema della autonomie ordinarie, venga in considerazione quello delle autonomie speciali ove sono presenti competenze regionali (e provinciali) esclusive”.

Con particolare riferimento alla materia dell’ordinamento degli enti locali nelle Regioni a Statuto speciale, la Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza[24] ha ammesso che il legislatore regionale possa (nei differenziati ambiti lasciati dalle disposizioni costituzionali o statutarie), in presenza di esigenze di carattere generale, articolare diversamente i poteri di amministrazione locale, con il limite della permanenza di almeno una sfera adeguata di funzioni. In particolare, la medesima Corte[25] ha affermato che una disposizione come quella di cui all’art. 5 della Costituzione certamente impegna la Repubblica, e anche quindi le Regioni ad autonomia speciale, a riconoscere e a promuovere le autonomie, ed ha anche aggiunto che le leggi regionali possono bensì regolare l’autonomia degli enti locali, ma mai comprimere fino a negarla. Analogamente, si è ritenuto doveroso il “coinvolgimento degli enti locali infraregionali alle determinazioni regionali di ordinamento”, in considerazione “dell’originaria posizione di autonomia ad essi riconosciuta”[26].

Ciò significa che la Regione Siciliana non è vincolata all’osservanza di una specifico modello istituzionale analogo alla legislazione statale per disciplinare l’assetto degli enti locali ma, come già affermato per la consorella Regione Friuli-Venezia-Giulia, “deve rispettare il principio autonomistico o – meglio ancora – tramite le sue autonome determinazioni <<deve favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali>>”[27], magari utilizzando il criterio storico per la ricostruzione del concetto di autonomia provinciale per “quel nucleo fondamentale delle libertà locali che emerge da una lunga tradizione e dallo svolgimento che esso ebbe durante il regime democratico”[28].

Appare evidente la necessità, contenuta nel disegno costituzionale, di non consentire ad una parte dell’ordinamento (Regioni a Statuto speciale) di concretizzare attraverso l’uso autonomo della legislazione esclusiva, lesioni ai “principi di sistema”. In tale contesto, importanti pronunciamenti, anche se sul piano più istituzionale che legislativo, si sono registrati nel tempo con l’Intesa Interistituzionale formalizzata a Cagliari il 20/03/2003 tra tutte le Regioni a Statuto speciale e Province autonome con le rappresentanze degli enti locali dei rispettivi territori che è finalizzata a sancire un’interpretazione di favor per Comuni e Province in ordine all’estensione della garanzie di maggiore autonomia previste dal nuovo quadro costituzionale, e con alcuni ordini del giorno approvati al Senato il 27/05/2003 contestualmente all’approvazione della l. cost. n. 3/2001 a beneficio degli enti locali ricompresi nelle Regioni a Statuto speciale, “tenendo conto che le autonomie più a rischio non dispongono di forme di garanzia ad hoc, quale l’accesso alla Corte Costituzionale, previste invece in altri ordinamenti (come Germania e Spagna) e postulate, tra l’altro, in documenti sovranazionali di particolare rilievo, come la Carta europea dell’autonomia locale del 1985”[29].

Dalla lettura delle illustrate posizioni della Corte Costituzionale emergono due punti fermi che meritano di essere evidenziati per provare ad azzardare alcune conclusioni:

a) la Regione Siciliana, in quanto Regione a Statuto speciale, non risente delle novità apportata dal nuovo Titolo V° della Costituzione, se non nelle parti che prevedono forme di autonomie più ampie rispetto a quelle già attribuite. Pertanto, a nulla rileva l’eccezione più volte sollevata in dottrina secondo cui l’art. 114 della Costituzione, in cui risulta previsto l’ente territoriale Provincia tra i diversi livelli istituzionali che compongono la Repubblica, prevale sull’art. 15 dello Statuto siciliano che, quale ente intermedio, prevede l’ente non territoriale “libero consorzio di comuni”. Questione, per la verità, già affrontata dall’Alta Corte per la Regione Siciliana con la citata sentenza 21/07/1955 – 4/10/1955 n. 90, in cui venne statuito che gli articoli 114, 118, 128, 129 e 133 della Costituzione non sono applicabili per la Sicilia date le speciali disposizioni degli articoli 15 e 16 dello Statuto, che facendo parte delle legge costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell’art. 116 della Costituzione prevalgono, per un principio generale, sulle disposizioni diverse della stessa Costituzione.

b) la Regione Siciliana, in quanto Regione a Statuto speciale, dotata di competenza esclusiva in materia di organizzazione del proprio sistema delle autonomie locali, tramite le sue autonome determinazioni, deve rispettare il principio autonomistico di cui all’art. 5 della Costituzione, favorendo la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali. E poiché gli enti espressione di “autonomia” sono quelli che consentono di partecipare all’adozione di decisioni, incidendo nei processi di deliberazione pubblica che li riguardano, un’ipotesi di riforma dell’art. 15 dello Statuto in direzione dell’introduzione dell’ente Provincia quale ente territoriale di governo (in uno alle città metropolitane anch’esse sconosciute dall’ordinamento regionale) sarebbe certamente da preferire rispetto alla formale, quanto rischiosa ed incerta, istituzione di enti consortili privi di autonomia politica quali sono i liberi consorzi comunali.

3. Considerazioni finali

In attesa di leggere le motivazioni della citata sentenza della Corte Costituzionale sul tentato riordino delle Province e nelle more di assistere all’annunciata estirpazione delle Province per via costituzionale, un insegnamento che ci viene consegnato è che le scorciatoie legislative sempre più spesso adottate dal legislatore non sono idonee per fare le riforme di cui tanto si parla.

Il legislatore siciliano, anch’esso contagiato dall’esigenza di donare in fretta all’opinione pubblica l’agnello sacrificale delle Province regionali, rischia di inciampare sugli ostacoli costituzionali dello Statuto siciliano che, ancorchè cristallizzato al 1946, rimane pur sempre la bussola di riferimento per l’attività legislativa ordinaria. Pensare di istituire liberi consorzi di comuni magari dotandoli delle medesime, e forse anche più, caratteristiche di cui è dotato l’ente territoriale di governo oggi rappresentato dalla Provincia regionale, oltre a configurare un clamoroso bluff, comporterebbe una manifesta sfida all’Ufficio del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana deputato al controllo preventivo di costituzionalità.

Coglie pienamente nel segno quanto affermato da Francesco Clementi secondo cui “la politica, cioè il legislatore, non può sfuggire al principio di legalità che, si badi bene, è l’altra faccia della responsabilità politica”[30].

[1] Si consenta il rinvio a Massimo Greco “Il canto del cigno delle Province”, su Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo http://WWW.diritto.it, ISSN 1127-8579, 12/01/2012.

[2] La dottrina, per la verità non particolarmente attenta sull’argomento dell’ente intermedio siciliano, dopo l’approvazione della l.r. n. 7/2013, registra alcuni interessanti approfondimenti:  Dario Immordino, “Dalle Province ai liberi consorzi: il riassetto dell’ente intermedio in Sicilia”, StrumentiRes n. 3 del maggio 2013; Andrea Piraino, “Dall’autonomia al federalismo. L’istituzione in Sicilia dei liberi consorzi comunali e delle città metropolitane”, Federalismi.it, 26/06/2013; Antonio Saitta, “La sostituzione delle province con i liberi consorzi comunali in Sicilia e l’impossibile attuazione dell’art. 15 dello Statuto”, Forum di Quaderni Costituzionali, 02/07/2013;

[3] Massimo Greco, “Dalle Province Regionali ai Liberi Consorzi di Comuni. Riflessioni su una scelta di politica emozionale”, Amministrazione In cammino, rivista elettronica di diritto pubblico, pubblicata sul web all’indirizzo www.amministrazioneincammino.luiss.it, 24/11/2011; “La temuta incostituzionalità della legge istitutiva delle “Province Regionali in Sicilia”, Forum di Quaderni Costituzionali, 27/06/2012; “Con la trasformazione dell’ente intermedio siciliano da Provincia regionale a Libero consorzio di comuni i cittadini perdono un autorevole alleato a difesa dei propri interessi collettivi”, Filo Diritto, rivista giuridica pubblicata su internet all’indirizzo www.filodiritto.it, 24/04/2013.

[4] Corte Cost. sent. n. 96/68.

[5] Tar Lombardia, sent. n. 644/1993.

[6] Tar Palermo, sez. I, 04/07/2008, n. 881.

[7] Tar Palermo, sez. I, 29/01/1996, n. 28.

[8] Tar Palermo, sent.  19 giugno 2012 n. 1276.

[9] Lo Statuto speciale della Regione Sicilia è stato approvato con D.L. 15/05/1946 n. 455, convertito in legge costituzionale 26/02/1948 n. 2.

[10] Corte Cost. nn. 212/1984, 213/1998.

[11] Corte Cost. n. 93/1965.

[12] Corte Cost. n. 55/1966.

[13] Corte Cost. n. 30/1967.

[14] Alta Corte per la Regione siciliana, sent. 21/07/1955 – 4/10/1955 n. 90.

[15] In seguito alla legge regionale del 18 marzo 1955, n. 17, con la quale venne delegata al governo della Regione la potestà di emanare norme per il nuovo ordinamento degli enti locali, il Presidente della Regione, nei termini e nelle forme fissate da detta delega, adottò il 16 giugno 1955 il decreto legislativo di approvazione delle “norme sul nuovo ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana”.

[16] Occorre qui evidenziare che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, discussa nell’udienza del 2 luglio 2013 e non ancora depositata, il Governo nella seduta del Consiglio dei Ministri del 5 luglio 2013 ha approvato un disegno di legge costituzionale attraverso il quale vengono espunte dalla Costituzione le Province.

[17] Corte Costituzionale 27 maggio 1961, n. 8.

[18] Corte Cost. n. 38/1957 sull’Alta Corte siciliana e n. 6/1970 sulla responsabilità penale avanti all’Alta Corte del Presidente della Regione.

[19] Salatore Curreri, “Sì dallo Statuto ai Liberi Consorzi tra Comuni”, Giornale Di Sicilia, 22/11/2010.

[20] Corte Cost. sent. nn. 66/1964, 115/1972.

[21] Corte Cost. sent. nn. 545/1989, 4/2000, 314/2003.

[22] Corte Cost., sent. n. 274/2003.

[23] Corte Cost. ord. n. 377/2002, decisioni nn. 408/2002, 533/2002, 48/2003, 103/2003.

[24] Corte Cost. sent. nn. 378/2000, 286/97, 83/97.

[25] Corte Cost. sent. n. 83/97.

[26] Corte Cost. sent. n. 229/2001.

[27] Corte Cost. sent. n. 238/2007.

[28] Corte Cost. sent. n. 52/1969.

[29] Gian Candido De Martin, “Le garanzie per gli Enti Locali nelle Regioni a Statuto speciale”, dispensa per la S.S.P.A.L.

[30] Francesco Clementi, “Non ci sono scorciatoie giuridiche per le riforme”, Il Sole 24Ore, 05/07/2013.