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Magistrati e P2

la decisione della sezione disciplinare del Csm e la “risposta” con l’incriminazione per peculato di cappuccini e il rischio di arresto per i 32 componenti del plenum
P2 e magistrati
P2 e magistrati

In tempi di voci e sospetti sul nuovo scandalo di magistrati in grembiulino, dall’oblio dei ricordi rammentiamo la vicenda dell’iscrizione alla P2 dei diciotto magistrati presenti negli elenchi di Castiglion Fibocchi e la risposta scomposta dell’avvio dell’inchiesta per peculato nei confronti dei 32 componenti del plenum del Csm.

La scoperta degli elenchi mise in fibrillazione l’intera magistratura. Ricostruiamo l’intera vicenda con i ricordi del compianto Francesco Misiani, ex magistrato: “Per molti di noi, la presenza di quei nomi suonava come la conferma dei sospetti e delle denunce che avevamo instancabilmente coltivato in un decennio. E, in qualche modo, quanto si consumò in quei frangenti rivelò anche quale fosse il modus operandi del palazzo di giustizia di Roma”.

Trascorrono i decenni e nulla sembra cambiare. Le notizie sulla loggia di Piazza Ungheria sono la fotocopia sbiadita di quanto accadeva nel marzo del 1981.

Nell’elenco degli iscritti alla loggia P2 compaiono 18 magistrati, di questi 16 erano in servizio all’epoca dei fatti. Tra i magistrati in grembiulino c’è il segretario nazionale di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice dell’Associazione nazionale magistrati che raccoglieva in quel momento circa il 40% dei consensi.

Il legame tra Magistratura indipendente e la P2 passa attraverso il finanziamento da parte di Licio Gelli alla rivista Critica Giudiziaria, il giornale della corrente.

Il procedimento disciplinare avanti il Consiglio Superiore della Magistratura, presidente De Carolis, estensore Zagrebelsky, si concluse il 9 febbraio del 1983.

La sentenza merita di essere letta (link), il plenum del Consiglio dispose l’assoluzione di 4 magistrati, l’espulsione di due, la perdita di due anni di anzianità e il trasferimento di ufficio di uno, la censura di altri 4.

Il Csm con la sentenza disciplinare aveva inviato un messaggio preciso all’intera magistratura e anche indirettamente al palazzo di giustizia di Roma, che si occupava dell’istruzione del processo penale alla loggia P2 a seguito dell’intervento della Cassazione che aveva stabilito di trasferire il procedimento da Milano alla Capitale.

Il palazzo di giustizia romano non rimase inerte e avvenne l’incredibile, qualcosa di difficilmente immaginabile che è raccontato meravigliosamente sempre da Francesco Misiani: “Il 12 marzo 1983, dando seguito a un’interrogazione presentata il 18 ottobre 1982 dal deputato Francesco De Cataldo al presidente del Consiglio e al ministro di Grazia e giustizia sulle spese sostenute dal Consiglio superiore (dalle indennità di trasferta, ai mezzi di trasporto, al consuo di cibo e bevande negli orari di ufficio), Gallucci, forte anche dell’appoggio del procuratore generale Franz Sesti, inquisisce l’intero Consiglio superiore della magistratura, ipotizzando nei confronti dei suoi trentadue componenti il reato di peculato aggravato e continuato.

Il presidente della Repubblica e del Csm Sandro Pertini viene informato dallo stesso Gallucci con una lettera algida, in cui viene invitato, secondo quanto previsto dalla legge in questi casi, a valutare l’opportunità dell’immediata sospensione dalle funzioni dell’intero Consiglio superiore.

Il 15 marzo il presidente Pertini riunisce in seduta straordinaria il Consiglio superiore. E sorprende il procuratore di Roma Gallucci. Decide di non porre all’ordine del giorno dei lavori la questione della sospensione dei consiglieri a seguito dell’esistenza di un’inchiesta penale. E questo spiega perché la legge prevede la semplice facoltatività della sospensione. È un artificio, ma ha la forza di un ceffone.

Il giorno successivo, Gallucci risponde. L’inchiesta passa all’ufficio istruzione. Cudillo invia la sera stessa 32 mandati di comparizione in cui si contesta il reato di peculato aggravato continuato, mentre nelle redazioni dei giornali si insegue la voce che siano imminenti possibili arresti.

Il 17 marzo il procuratore generale presso la Corte di cassazione Giuseppe Tamburrino, membro di diritto del Consiglio superiore risparmiato dal mandato di comparizione di Cudillo, solleva la legittima suspicione nei confronti dell’ufficio istruzione di Roma. Se il processo deve essere celebrato – sostiene – ebbene che questo avvenga lontano da Roma, in una cornice non avvelenata da quello che appare un intento persecutorio strumentale.

Per Gallucci è il colpo decisivo. L’isolamento è completo e, nelle more della decisione della Cassazione, decide di anticipare i tempi del suo pensionamento. Chiede e ottiene un congedo straordinario per malattia da cui, di fatto, farà ritorno solo per formalizzare la conclusione della sua carriera in magistratura.

A doversi sfilare dalla grana dei cappuccini restano dunque il solo Cudillo e il procuratore aggiunto Giuseppe Volpari. Che, dopo la pronuncia della Cassazione con cui il processo viene mantenuto a Roma, scelgono di chiudere la vicenda. Cudillo incaricò il suo aggiunto renato Squillante di scrivere la parola fine.

Cosa che avvenne il 12 luglio 1983. Sentenza di pieno proscioglimento per tutti i 32 componenti il Csm, perché il fatto non sussiste.

La vicenda insegna che i mali della magistratura partono da molto lontano e proclami e auspici non bastano per eliminare le bande e le cordate che infestano i palazzi di giustizia.

Purtroppo, suona sinistro ma vero il pensiero di Francisco de Quevedo, scrittore spagnolo del XVI secolo, “Fanno meno danno cento delinquenti che un cattivo giudice”.