Memorie conclusionali nel processo tributario: verso la naturalizzazione civilistica?
L’articolo 27, comma 2, del D.L. 137/2020 introduce l’istituto delle memorie conclusionali unitamente alle consequenziali repliche nel processo tributario; strumento, quest’ultimo, tipico del sistema processuale civilistico meglio conosciuto come articolo 190 codice procedura civile.
Tuttavia la norma suddetta, varata d’urgenza dall’esecutivo, pone all’evidenza giuridica una sottile questione da tenere in considerazione: la differenza strutturale (genetico-giuridica) tra il processo tributario ed il processo civile.
È risaputo che la dottrina sia ancora nettamente divisa: da una parte chi ritiene che il processo tributario sia molto simile a quello amministrativo (poiché finalizzato all’annullamento di un provvedimento lesivo degli interessi del contribuente); dall’altra parte chi ritiene che il processo tributario, pur considerata la sua struttura impugnatoria, abbia comunque una base-pilastro “dichiarativa” e cioè di stampo civilistico (attesa la finalità di accertamento dell’obbligazione tributaria).
Da tale premessa discende che propendendo per la prima delle due teorie non si potrebbe che considerare l’articolo 27, co. 2, del D.L. 137/2020 poco in linea con lo spirito di un processo tributario partorito sulle garanzie metodologiche del sistema amministrativo; in caso contrario, qualora dovesse ricondursi il contenzioso tributario nell’alveo giuridico della seconda dottrina (cioè quella civilistica) andrebbe considerato che il rapporto tra cittadino-contribuente e potere amministrativo, nell’odierno ordinamento, ha come riferimenti primari imprescindibili la legge n. 241/1990 (trasparenza e procedimento) nonché la legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente).
A ben vedere, se il problema che il legislatore ha voluto affrontare con il D.L. 137/2020 (in particolare con la norma innanzi riportata) è garantire un contraddittorio pieno ed effettivo nell’ottica del Giusto processo di cui all’articolo 111 della Costituzione italiana allora, visto il quadro normativo esistente, ci si ritroverebbe a dover fare i conti con una sorta di bis in idem quanto a strumenti giudiziali (funzionali allo stesso modo a garantire, appunto, il contradditorio tra le parti).
In primis v’è l’istituto dell’articolo 32 del Decreto legislativo 546/92 il quale già prevede la possibilità di controdeduzione memoriale finalizzata a rendere effettive le dinamiche di Giusto processo evitandone, tra l’altro, l’allungamento dei tempi di trattazione e decisione; la ratio sta nel fatto che il processo tributario nasce per l’annullamento dell’atto emanato dalla Pubblica Amministrazione o di sua longa manus (come, ad esempio, gli esattori privati) ritenuti illegittimi dal contribuente. Chiara caratteristica dei giudizi impugnatori.
Perdipiù, ove si volesse considerare non sufficiente tale ultimo strumento, v’è il rimando esplicito della disciplina contenziosa tributaria al codice di procedura civile: si tratta dell’articolo 1, co. 2, del Decreto legislativo 546/92 il quale prevede che i giudici tributari sono tenuti ad applicare, per quanto non disposto dalla normazione appena citata, il codice di procedura civile se compatibile.
A ben vedere, quindi, l’articolo 27, co. 2, del D.L. 137/2020 va oltre rispetto al passato: si aumentano i termini della trattazione contenziosa tributaria prevedendo, addirittura, la notificazione dell’istanza di pubblica trattazione alla controparte (anche se già costituita) ai fini del rinvio del ruolo di udienza; il tutto affinché sia poi concesso il c.d. “termine non inferiore a dieci giorni prima dell'udienza per deposito di memorie conclusionali e di cinque giorni prima dell'udienza per memorie di replica”.
Il confine costituzionale dell’articolo 111 rende, però, l’idea di come l’irragionevole durata processuale sia comunque un fatto riservato alla normazione ordinaria. Principio costituzionale, quest’ultimo, che si allinea certamente all’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Tutto ciò con l’unico dilemma, ancora una volta, di dover ridiscutere l’inquadramento del sistema di giustizia tributaria rispetto alle esigenze di celerità processuali e di pronta realizzazione della pretesa fiscale che, sul piano valoriale, non sono ovviamente più importanti della capacità complessive di risposta del contribuente in termini in difesa (nell’ottica dell’articolo 24 Cost.). Sono tutte questioni, quindi, che debbono stare sullo stesso piano potendosi dedurre che l’articolo 27 del D.L. 137/2020, in realtà, racconti un ulteriore avviamento della giustizia tributaria verso la naturalizzazione processuale civilistica: esigenza dello Stato, quest’ultima, legata all’impossibilità finanziaria di specializzare giudici tributari (incaricati da altre giurisdizioni e professioni in base al Decreto legislativo 545/1992).
Tuttavia non si può dimenticare che, cronologicamente parlando in termini giuridici, non si tratterebbe di un vero e proprio passo verso la naturalizzazione civilistica atteso che già l’articolo 9 del codice procedura civile (ben prima della normazione sulle Commissioni tributarie) assegna competenza esclusiva al giudice ordinario in materia di imposte e tasse (salvo norme speciali ed ultimamente la decisione della Corte Cost. n. 114/2018).
Si attendono, pertanto, gli esisti di discussione parlamentare sul D.L. 137/2020: eventuali modifiche o conferme contribuiranno a definire (in piccolo o meno) il nuovo assetto del contenzioso tributario che di tutta evidenza non contempera le divisioni della dottrina.