Migranti: cosa succede quando vengono respinti dall’Italia alla Slovenia?
Abstract
In virtù di un accordo bilaterale tra Italia e Slovenia del 3 settembre 1996 i migranti che varcano i nostri confini attraversando la rotta balcanica vengono rinviati in Slovenia.
L’avvocatessa slovena Ursula Reygar, al webinar organizzato da Magistratura Democratica il 26 marzo 2021, ha raccontato cosa accade oltre il confine orientale.
By virtue of a bilateral agreement between Italy and Slovenia dated September 3, 1996, migrants who cross our borders through the Balkan route are sent back to Slovenia.
Slovenian lawyer Ursula Reygar, at the webinar organized by Magistratura Democratica on March 26, 2021, told what happens across the eastern border.
Accordi bilaterali tra Stati per riammettere i migranti al Paese confinante
La proliferazione di accordi bilaterali tra Paesi dell’Unione Europea per impedire l’accesso di stranieri sul loro territorio ha dato luogo sulla rotta balcanica a una serie di respingimenti a catena, determinando l’impossibilità per le persone di potere presentare domanda di protezione internazionale.
Ciò avviene non solo da parte di Autorità statali straniere (in particolare dalle forze di polizia croata) ma anche da parte dell’Italia che, per attuare le riammissioni in Slovenia, ha applicato un accordo bilaterale Italia-Slovenia del 3 settembre 1996, mai ratificato dal Parlamento italiano.
Dinanzi all’attraversamento dei confini italiani in data 21 novembre 2021 di 45 migranti di nazionalità pachistana, bengalese, indiana, irachena e iraniana rintracciati in Italia, località Aquilinia e in via dell’Istria e accompagnati presso la struttura della Polizia di Frontiera a Fernetti, si torna a discutere dell’applicazione dell’accordo di riammissione Italia-Slovenia, da alcuni considerato strumento idoneo per fermare l’arrivo di stranieri in Italia.
Ma cosa succede ai migranti quando arrivano in Slovenia?
Una volta arrivati in Slovenia i migranti, in applicazione di un accordo bilaterale questa volta tra Slovenia e Croazia, vengono respinti in Croazia e dalla Croazia alla Bosnia.
Nel 2020, cita l’avvocatessa slovena Ursula Revgar al Webinar organizzato il 26 marzo scorso da Magistratura Democratica e dedicato ai temi della rotta balcanica, più di 1600 persone sono state rinviate in Slovenia dopo esservi state riammesse dall’Italia e la maggior parte sono state poi rinviate in Croazia, con palese violazione, aggiunge l’avvocatessa, non solo del divieto di refoulement ma, anche, dei divieti di respingimenti a catena e di respingimenti collettivi, previsti dal diritto della UE e dal diritto internazionale.
I respingimenti dalla Slovenia verso la Croazia
L’accordo di riammissione Slovenia-Croazia viene attuato quando le persone straniere che varcano la frontiera slovena vengono intercettate dalla polizia e sottoposte a un procedimento di polizia.
Se tale procedimento ritiene applicabile l’accordo di riammissione con la Croazia, si conclude con la notifica alla Croazia che lo straniero considerato irregolare verrà ivi rinviato entro le 72 ore successive all’attraversamento della frontiera.
Il procedimento di rinvio in esecuzione dell’accordo di riammissione è informale: le persone interessate non ottengono alcuna decisione in forma scritta, non possono impugnare la decisione, non hanno diritto a gratuita difesa legale, spesso non sono assistite da un interprete. Conseguentemente gli stranieri non hanno la possibilità di ottenere un sindacato della decisione di rinvio in relazione al principio di non refoulement, la cui possibile violazione nemmeno è vagliata dalla polizia.
Concluso questo sbrigativo procedimento, gli stranieri vengono dunque rinviati in Croazia dove, secondo quanto riferisce l’avvocatessa Revgar (che raccoglie la testimonianza di stranieri e ONG) prima di essere nuovamente respinti in Bosnia, subiscono per mano delle autorità di polizia croate trattamenti inumani e degradanti e, in alcuni casi, torture.
Peraltro, nell’ulteriore respingimento dalla Croazia verso la Bosnia vi è assenza assoluta di qualsivoglia procedura di cooperazione tra le autorità dei due Paesi: semplicemente le persone vengono trasportate dove finisce il territorio croato e, con violenza, vengono forzate ad entrare nel territorio bosniaco.
Le prime notizie di pushback alle frontiere slovene risalgono a metà del 2018, quando alcune ONG sono venute a conoscenza di istruzioni formali rivolte dal Ministro degli Interni a funzionari di polizia dalle quali si evince inequivocabilmente che i pushback erano diventati un’attività coordinata e sistemica.
Da allora il numero di respingimenti è aumentato: nel 2020 la polizia ha rilevato circa 15mila attraversamenti irregolari alla frontiera slovena ma soltanto 4mila persone circa hanno domandato protezione internazionale con l’accoglimento di 200 domande all’anno circa.
Più di 11mila persone, invece, sono state rinviate in Croazia, in attuazione degli accordi di riammissione tra Croazia e Slovenia.
Il diritto alla protezione internazionale in Slovenia e i nuovi progetti di legge
Teoricamente, ove i migranti nel corso del procedimento di polizia esprimessero la loro volontà di richiedere protezione internazionale, dovrebbero essere rinviati al procedimento d’asilo che la Costituzione slovena prevede come un diritto assoluto, non soggetto a sospensioni o deroghe in alcun tipo di circostanza e, se l’accordo bilaterale è con uno Stato dell’Unione Europea (quindi non con la Croazia), dovrebbe essere applicato il Regolamento di Dublino.
Nella pratica, numerose testimonianze hanno dimostrato che, della volontà degli stranieri di domandare protezione internazionale, la polizia slovena non tiene conto, dando comunque corso alle riammissioni in Croazia e così negando alle persone l’accesso al procedimento d’asilo.
Si replica, dunque, il sistema che troviamo alle frontiere sloveno-italiana e sloveno-austriaca, con il ricorso ad accordi di riammissione.
Il Parlamento sloveno sta discutendo, inoltre, una nuova proposta di legge che consentirebbe alle Autorità Slovene di chiudere l’accesso al Paese e negare il diritto d’asilo ai potenziali richiedenti. La polizia sarebbe cioè autorizzata a decidere se consentire o meno la presentazione della richiesta d’asilo adottando un provvedimento amministrativo che, pur se impugnabile, non verrebbe sospeso. Queste disposizioni violerebbero la Convenzione relativa allo Statuto dei diritti dei rifugiati, il diritto dell’Unione Europea e la stessa Costituzione slovena.
In ordine alla violazione della Costituzione slovena va sottolineato che analoghe disposizioni approvate dal Parlamento nell’anno 2016 sono state poi abrogate dalla Corte Costituzionale slovena per violazione del divieto di tortura.