Confini territoriali o confini dello Stato di diritto?

tra alba e tramonto
Ph. Luca Martini / tra alba e tramonto

Abstract

Gli Stati europei attuano politiche migratorie sempre più restrittive che determinano un impatto significativo sul diritto d’asilo e sul principio di non refoulement.

Le riammissioni informali dall’Italia verso la Slovenia, in applicazione di un accordo tra i due Paesi risalente al 1996, si inseriscono in queste politiche migratorie restrittive.

Il Governo italiano rivendica la legittimità delle riammissioni informali ma il Tribunale di Roma ne ha sancito l’illegittimità.

European states are implementing increasingly restrictive migration policies which, have a significant impact both on the right to asylum and on the principle of non-refoulement.

The informal readmissions from Italy to Slovenia carried out under a 1996 agreement are part of these restrictive migration policies. 

The Italian government claims the legitimacy of informal readmissions, however, a court in Rome has confirmed their illegitimacy.

 

La rotta dei migranti attraverso la Bosnia Erzegovina

A marzo 2016 con l’accordo Unione Europea -Turchia l’UE ha affidato a Erdogan il compito di fermare i migranti in cambio di sei miliardi di euro.

I confini degli Stati lungo la rotta balcanica sono stati resi invalicabili, circa 60mila persone o sono state cacciate indietro più volte o sono rimaste bloccate nei campi profughi in condizioni disastrose, con l’unica assistenza delle ONG.

Gli stranieri bloccati in Serbia, Bulgaria e Grecia, soprattutto dinanzi ai muri impenetrabili eretti nel 2018 dalla Ungheria di Orban ai confini con la Serbia, hanno intrapreso una nuova rotta verso l’Europa occidentale attraverso la Bosnia Erzegovina e la Croazia, precedentemente esclusa dal loro percorso per il terreno montagnoso e la carenza di infrastrutture, stradali e ferroviarie.

Da allora in poi, l’arrivo in Croazia attraverso la Bosnia Erzegovina dovrebbe rappresentare la porta d’ingresso dei migranti verso l’Europa Occidentale, perché il successivo approdo è la Slovenia, primo Paese sul percorso che fa parte dell’area Schengen. Si tratta, però, di un sentiero impervio sia per la presenza di fitte foreste sia per l’intransigenza delle autorità croate nel permettere il passaggio, anche attraverso violenza perpetrata in danno delle persone.

A fine luglio 2020 anche il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti, Felipe González Morales, ha inviato una lettera alle Autorità Croate denunciando il respingimento violento dei migranti senza passare attraverso una procedura ufficiale, una valutazione individuale o altre garanzie.

Sino al 2020 questa catena di respingimenti verso la Bosnia, vedeva coinvolte Slovenia e Croazia.

 

Anche l’Italia coinvolta nella catena dei respingimenti: l’applicazione dell’Accordo Italia-Slovenia del 3 settembre 1996 e la Direttiva Europea 2008/115/CE sui rimpatri

L’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ha poi dato il pretesto ai Paesi UE di attuare politiche di controllo dei confini ancora più rigide e ha svelato completamente il sipario sul coinvolgimento anche dell’Italia in questi respingimenti a catena, che il nostro Paese giustifica sulla base dell’accordo bilaterale con la Slovenia del 3 settembre 1996.

Sul punto, occorre premettere che l’art. 6, par. 3 della Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, in presenza di accordi bilaterali già esistenti come quello tra Italia e Slovenia (e non più consentiti dopo l’entrata in vigore della Direttiva) e di un cittadino straniero che si trovi sul territorio di uno dei due Stati in posizione irregolare, permetta allo Stato in cui è avvenuto il rintraccio di non adottare una decisione di rimpatrio nei confronti dello straniero, ma di trasferirlo nel territorio dell’altro Stato con procedure sicuramente semplificate. Sarà lo Stato in cui lo straniero “è riammesso” a valutare la condizione giuridica dello straniero e, ove ritenga la sua posizione non accoglibile, a emettere il provvedimento di rimpatrio.

In ogni caso, però, il provvedimento di “riammissione” deve essere notificato all’interessato e, soprattutto, la procedura semplificata non può applicarsi ai richiedenti protezione internazionale, per i quali la normativa della UE è chiarissima: la domanda di protezione internazionale, sempre e senza alcuna eccezione, deve essere registrata. Dal momento della registrazione di tale domanda, per il regolamento di Dublino III, ha avvio la procedura della determinazione dello Stato membro competente ad accogliere lo straniero e il suo eventuale trasferimento.

 

Per il Tribunale di Roma le riammissioni informali in Slovenia sono illegittime (R.G. 56420/2020, ordinanza del 18/01/2021)

a) il fatto

La vicenda è quella di un cittadino pachistano fuggito dal proprio paese in ragione del proprio orientamento sessuale che, dopo avere attraversato la c.d. rotta balcanica passando per la Croazia, dove sarebbe stato sottoposto a trattamenti inumani e a gravi maltrattamenti, sarebbe infine giunto alla frontiera di Trieste, manifestando la volontà di proporre domanda di protezione internazionale. In poche ore, però, sarebbe stato respinto, senza la notifica di alcun provvedimento, in Slovenia e poi da lì in Croazia e dalla Croazia in Serbia e successivamente in Bosnia, ove al momento della presentazione del ricorso si trovava privo di qualsiasi mezzo di supporto;

b) il ricorso

Nel ricorso è stata sostenuta sia la violazione del diritto alla protezione internazionale, perché questa persona aveva dichiarato di avere manifestato la volontà di chiedere protezione internazionale una volta arrivata in Italia sia la violazione, da parte dell’Italia, dell’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, sul presupposto che l’Italia debba essere considerata non soltanto responsabile della riammissione in Slovenia ma di tutta la catena della riammissione successiva, perché sapeva perfettamente ciò che sarebbe accaduto dopo.

c) la posizione del Ministero

Il Ministero non si è costituito in giudizio, salvo poi affermare che non gli sia stato consentito da parte del Giudice di raccontare come siano andati i fatti.

Successivamente, ha proposto reclamo con esito vittorioso. Il reclamo, però, non ha scardinato l’impianto dell’ordinanza giacché il provvedimento favorevole al Ministero è stato reso esclusivamente sul presupposto che il cittadino pachistano non avrebbe dimostrato di essere effettivamente entrato in Italia

d) il contenuto dell’ordinanza

L’accordo bilaterale Italia-Slovenia del 3 settembre 1996 è stato oggetto di due interrogazioni parlamentari: la prima, nel luglio del 2020, in cui il sottosegretario Variati ha ammesso che le riammissioni avvengono anche nei confronti dei richiedenti protezione internazionale e la seconda, il 13 gennaio 2021, in cui la ministra Lamorgese ha negato tale circostanza. In entrambi i casi è stata, però, sostenuta la legittimità dell’accordo.

Il provvedimento in esame, Giudice Designata dott.ssa Silvia Albano, è stato emesso dopo pochi giorni dalla seconda interrogazione (il 18 gennaio 2021) e si articola su due differenti piani: la violazione del diritto di accesso alla procedura d’asilo, del diritto all’informazione, le violazioni connesse al Regolamento di Dublino (se lo Stato italiano si fosse ritenuto incompetente ad esaminare quella domanda, avrebbe dovuto comunque applicare il Regolamento di Dublino) e poi, a prescindere dallo status di richiedente asilo, la violazione del diritto ad un ricorso effettivo, per i respingimenti avvenuti in assenza di qualsiasi provvedimento scritto e l’esposizione consapevole della persona, oltre che ai respingimenti a catena, a trattamenti inumani e degradanti.

Viene innanzitutto premesso che l’accordo bilaterale tra Italia e Slovenia mai è stato ratificato dal Parlamento italiano e, pertanto, ai sensi dell’art. 80 Cost, non può prevedere modifiche o derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione Europea o derivanti da fonti di diritto internazionale.

E, tuttavia, si legge nell’ordinanza, sono numerose le leggi italiane, comunitarie e internazionali che sono state violate.

d1) Violazione del diritto a proporre domanda di protezione internazionale.

In ordine a tale aspetto, il Tribunale, prendendo innanzitutto in considerazione la risposta data dal Ministero degli Interni alla interrogazione parlamentare discussa il 24 luglio 2020, incentra l’attenzione sul fatto che la misura della riammissione, per esplicito riconoscimento del Ministero, venga adottata “anche qualora sia manifestata l’intenzione di richiedere protezione internazionale” e sulla circostanza che “non si provvede all’invito in Questura per la formalizzazione dell’istanza” concludendo che, per questo, c’è stata una violazione dell’art. 10 co. 3 Cost. La disposizione costituzionale viene dunque ritenuta direttamente applicabile al caso di specie e viene ordinato allo Stato italiano, il cui comportamento è ritenuto illecito, di consentire il rientro dello straniero in Italia per proporre la domanda di protezione internazionale. Sul punto vi è giurisprudenza conforme della Corte di Cassazione.

Nell’ordinanza, al riguardo, si legge testualmente: La domanda di asilo deve potere essere esaminata: altrimenti il diritto di asilo semplicemente non esiste.

d2) Violazione di diritti che devono essere garantiti a tutti (stranieri o italiani).

Indipendentemente dalla posizione dei richiedenti asilo, secondo il Tribunale, vi sono alcuni diritti fondamentali che devono essere assicurati a tutti e che, invece, le riammissioni violano: per esempio, non viene emesso alcun provvedimento amministrativo nei confronti dello straniero soggetto a respingimento e, pertanto, non essendovi un provvedimento scritto e motivato, lo straniero non è reso edotto di ciò che sta accadendo, non può contestare ciò che subisce e né darne prova.

Questa prassi, per il Tribunale di Roma, si pone in aperto contrasto con gli artt. 24 Cost., 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che sanciscono il diritto di difesa e il diritto a un ricorso effettivo.

Le riammissioni implicherebbero anche la violazione dell’art. 13 Cost. giacché le persone vengono sottoposte a restrizioni della loro libertà personale senza che nei loro confronti sia stato adottato alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria (il cittadino pachistano aveva dichiarato di essere stato caricato insieme ad altri suoi connazionali su un furgone e condotto dalle autorità di pubblica sicurezza italiane ai confini della Slovenia).

Soprattutto, però, si legge nell’ordinanza, lo Stato italiano non avrebbe dovuto fare ricorso ai respingimenti informali in mancanza di garanzie sull’effettivo trattamento che gli stranieri avrebbero avuto in Croazia, ove subiscono trattamenti inumani e degradanti. Secondo il Tribunale, lo Stato italiano era in condizioni di sapere delle vere e proprie torture inflitte dalla polizia croata e dunque, la riammissione viola l’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo, che prevede il divieto di trattamenti inumani e degradanti e l’obbligo di non respingimento nel caso in cui vi sia il rischio che lo straniero possa subire questi trattamenti (principio di non refoulement). In sostanza, viene affermata una sorta di responsabilità indiretta dello Stato che, pur se non materialmente autore di violenze, non impedisce che questi trattamenti avvengano nel luogo dove la persona è allontanata.

Rispetto al nostro diritto interno, questa impostazione è coerente con la novella 173/2020 che ha parzialmente abrogato i decreti Salvini. La nuova formulazione dell’art. 19 T.U. P.S: chiarisce infatti, in modo tassativo, che è vietato il respingimento e dunque la riammissione in un Paese, anche dell’Unione, quando la persona rischi di essere rinviata in altro Stato in cui non sia protetta dalle persecuzioni. Dunque, vieta il respingimento o la riammissione, diretta o indiretta, sia al comma 1 che al comma 2, quando vi sia il rischio di tortura o di trattamenti inumani o degradanti: nella valutazione di tali rischi, si deve tenere conto delle violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani da parte dei Paesi che lo straniero attraversa nella catena di respingimenti.

Secondo il Tribunale di Roma, perciò, la condotta dello Stato italiano, non può che essere considerata antigiuridica perché era bene a conoscenza della situazione cui andavano incontro gli stranieri respinti e, ciò, sia per i rapporti delle più accreditate ONG che per notizie provenienti da fonti ufficiali come, per esempio, la lettera del 7 dicembre 2020 della Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa sulla situazione dei migranti in Bosnia.

 

Confini territoriali o confini dello Stato di diritto?

Come sopra esposto, in sede di reclamo, è stata accolta la richiesta del Ministero sul presupposto che il cittadino pachistano non avrebbe dato prova di essere entrato in territorio italiano.

Il problema dei respingimenti, però, è proprio l’impossibilità per le persone di potere provare il loro passaggio in un Paese, considerato che spesso i loro documenti vengono distrutti e a fronte di procedure che non sono solo semplificate ma, addirittura, private di un atto amministrativo che consenta loro la facoltà di impugnare e, quindi, di trovarsi di fronte un Giudice cui raccontare le cose.

La sfida che incontra il Giudice, allora, è quella di dare rigorosa effettività alla tutela giudiziaria per evitare che i confini territoriali diventino anche i confini dello Stato di diritto e, dunque, per impedire che sui confini si consumi la violazione del diritto di accesso alla giustizia previsto sia dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che dal nostro art. 24 Cost.

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Contributi esaminati dal Webinar di Magistratura Democratica del 26 marzo 2021:

Mariarosaria Guglielmi, segretaria generale di Magistratura democratica

Emanuela Bigattin, magistrato di Sorveglianza di Trieste

Gianfranco Schiavone, direttivo ASGI

Luca Minniti, Tribunale di Firenze;

Contributi esaminati dal Webinar dell’Università di Palermo del 10 febbraio 2021

Fabrizio Micari, Magnifico Rettore dell’Università di Palermo

Giusto Picone, Coordinatore scientifico CIR Migrare, Università di Palermo

Aldo Schiavello, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo

Anna Brambilla, ASGI – RiVolti ai Balcani

Daniele Papa, Clinica Legale per i Diritti Umani (CLEDU)