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Molestie sessuali sui luoghi di lavoro

Molestie sessuali sui luoghi di lavoro
Molestie sessuali sui luoghi di lavoro

Riportiamo di seguito una nota che nasce da riflessioni personali negli anni, da interventi pubblicati sulla carta stampata, da recenti approfondimenti legali via internet, nonché dall’interscambio di documenti e contributi con il personale network (v. segnalazione documento CTN altrimenti non conosciuto).

 

RIEPILOGO:

1) Definizione ex lege

2) Giurisprudenza

3) Profilo molestatore

4) Istituti a difesa

5) Considerazioni in termini di danno

 

1) DEFINIZIONE

Il decreto legislativo 145 del 2005 ha in primis dettato i criteri entro cui ricomprendere il concetto di “molestie sessuali sui luoghi di lavoro” e così si recita.

Sono molestie sul lavoro “i comportamenti indesiderati posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

Poi la definizione è stata altresì ripresa all’articolo 26 del Codice delle pari opportunità D.lgs. 11/4/2006.

Vediamo ora di tentare una prima interpretazione applicativa.

- conta, nel definire la molestia, la percezione di chi la riceve.

- sua intenzionalità o meno

- la  conseguente  determinazione  di  un  ambiente  degradante  ed  intimidatorio,  ove  la persona offesa sia portata a subire senza poter reagire.

Questi sono pertanto i criteri che concretizzano la violazione.

Peraltro il succitato decreto ha apportato (come poi trasfuso nell’articolo 26 del codice delle pari opportunità) l’equiparazione fra molestie sessuali e discriminazioni di genere.

2) GIURISPRUDENZA

Secondo gli esperti in materia, e le loro conclusioni sono ragionevolmente comprensibili, in genere da parte datoriale si tende a monetizzare l’abuso in via extra giudiziale, e la persona offesa poi preferisce non rientrare nello stesso ambiente di lavoro.

Il punto più problematico è la documentazione della lesione patita, in quanto è altamente immaginabile che l’aggressione avvenga “a porte chiuse o comunque senza testimoni”.

In tema di regime probatorio preme sottolineare la fondamentale sentenza della CASSAZIONE n. 23286/2016 che ha affermato l’equiparazione fra molestie sessuali e discriminazioni di genere (di cui all’articolo26 del d.lgs. n.198/2006 c.d. codice pari opportunità), in tema dello specifico regime probatorio previsto all’articolo 40 di questo decreto.

Pertanto la S.C. ha sviluppato un approccio, giusto il quale, in materia, si ritengono come ammissibili anche INDIZI NON GRAVI, QUALORA SIANO PRECISI E CONCORDANTI.

In via puramente semplificativa

- la circostanza che altri abbiano subito consimili trattamenti.

- registrazioni di messaggi o telefonate via cellulare.

- raccogliere e conservare mail del disturbatore.

- annotare il momento, vale dire circostanziata in termini di spazio /tempo

Poi ci sono le eventuali testimonianze

- infine raccogliere, se possibile, testimonianze dei colleghi più sensibili. (Nel diritto del lavoro sono ovviamente fisiologicamente più disponibili quelli che hanno lasciato).

L’articolo 40 pone a carico del convenuto nel giudizio l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione. Allorché il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti la presunzione di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso.

Tale orientamento ha prodotto un dibattito in dottrina fra quanti hanno suggerito trattarsi di una vera e propria inversione dell’onere della prova in capo al convenuto e fra chi ha sostenuto invece trattarsi di una attenuazione del principio per il ricorrente.

In questo dibattito si è inserita la S.C. del 2013 (Cassazione 5/6/2013 n.14206) affermando che non è stata attuata un’inversione dell’onere della prova, ma che è stato introdotto un onere probatorio “asimmetrico”, atteso che al ricorrente è stato chiesto il conseguimento di un grado di certezza minore rispetto a quello consueto.

In conclusione, sulla scorta delle indicazioni della pronuncia richiamata, si può asserire che il codice delle pari opportunità garantisce una procedura di gran lunga più favorevole rispetto a quella prevista in via ordinaria.

Si è voluto tener conto del carattere diabolico della prova cui si costringerebbe le persone offese a fronte di un fenomeno che tende a realizzarsi in mancanza di testimoni senza il dettato di cui all’articolo 40.

3) PROFILO MOLESTATORE

È la cosa più banale a pensarci, ma sono gli esperti ad aiutarci a comprendere meglio.

Di solito si tratta di un comportamento SERIALE, nel senso che il molestatore si ripete sino alla sua eventuale rimozione dall’incarico.

Questo tuttavia può per converso aiutare sul piano probatorio, perché non è impensabile purtroppo che questi prima o poi non lasci una traccia evidente.

È evidente che la molestia, spesso si relaziona ad uno squilibrio di potere. E la presenza femminile ai vertici nel nostro Paese non è di norma una costante.

 

4) ISTITUTI A DIFESA

Nelle Società strutturate, magari multinazionali, in genere esistono dei CENTRI DI ASCOLTO per le lamentele dei dipendenti, cui questi possono rivolgersi.

L’idea è sicuramente valida, ma è l’azionabilità allorché nominativa, via mail dal proprio posto di lavoro che la rende poco appetibile sempre per il timore di esporsi.

Forse andrebbero sviluppati, in via creativa, dei canali più appropriati quali persone dedicate e qualificate “figure di garanzia”, in grado di stabilire un contatto riservato con la persona.

Altra iniziativa riscontrata a livello territoriale è UN ACCORDO QUADRO CONTRO LA VIOLENZA NEI LUOGHI DI LAVORO NEL TERRITORIO PRATESE, siglato dalle parti sociali.

In buona sostanza il 31.1.2017 le parti sociali e le associazioni di categoria pratesi hanno sottoscritto un accordo quadro in materia in attuazione dell’accordo europeo del 26 aprile 2007. L’intesa ha lo scopo di aumentare la consapevolezza dei datori di lavoro, dei lavoratori e loro rappresentanti sul tema e quindi prevenire, individuare i casi di molestia e di violenza sui luoghi di lavoro.

E lei imprese sono chiamate a rilasciare una dichiarazione di inaccettabilità di ogni atto comportamento che configuri molestie sul luogo di lavoro.

Fra l’altro, sul piano concreto, si prevede l’assistenza di apposito personale dell’ASL di Prato. E poi un monitoraggio dell’iniziativa su base annuale.

5) CONSIDERAZIONI IN TERMINI DI DANNO

Premesso che il comportamento offensivo ed indesiderato può avvenire da superiori o colleghi, diversi sono gli istituti applicabili in termini di danno.

- per cui, di norma nel secondo caso, colleghi cioè pari grado od inferiori, come nell’ambito delle controversie fra privati, trova applicazione l’articolo 2043 del Codice civile, in tema di responsabilità extracontrattuale.

- ma corre altresì la responsabilità contrattuale ex art 2087 del datore di lavoro in via diretta allorché ne sia autore o in via indiretta, qualora sapeva o doveva ragionevolmente sapere e non è intervenuto per fare cessare le molestie.

Attenzione perché poi le due azioni ex 2043 e 2087 possono ben coesistere in relazione ai soggetti cui si riferiscono.

Diversa nei due casi è il periodo di prescrizione dal fatto illecito.

- 5 anni ex 2043

- 10 anni ex 2087

Come pure criteri diversi valgono sul piano probatorio.

Chi ricorre ex 2043 deve provare il fatto illecito, danno e nesso causale, colpa o dolo.Chi ricorre ex 2087 dovrà provare si la sussistenza dei comportamenti illegittimi ma graverà sul datore di lavoro la prova di avere adottato tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore.

In termini di competenza oggi si tende invece a riconoscere in entrambi i casi, 2043 o 2087, la competenza del giudice del lavoro.

Sussiste poi un terzo profilo di responsabilità per il datore di lavoro ex articolo 2049, per cui egli è tenuto a rispondere per il danno arrecato dal fatto illecito compiuto da un suo dipendente, nell’esercizio dell’incombenze cui è adibito.

Per finire in merito alla valutazione del danno sicuramente, nel caso di specie qualora sia provata la lesione, ricorrono gli estremi del risarcimento del danno patrimoniale, alla salute/danno biologico o della sofferenza non patrimoniale/danno morale.

Ma viene anche in considerazione nel caso delle molestie sessuali per la sua intima ed innegabile connessione, come fattispecie autonoma, il danno esistenziale proprio come danno tipico.

Danno esistenziale, una volta provata l’aggressione, in re ipsa, senza ulteriore prova.

Del resto il danno esistenziale trova il suo fondamento nel combinato disposto articolo 2043 (o 2087 o 2049 a seconda dell’autore) e articolo 41, 2 comma della costituzione.

Per concludere l’accertamento della responsabilità garantisce alla vittima il diritto al risarcimento di tutti i danni patiti patrimoniali e non patrimoniali. Quanto ai primi vengono in considerazione i danni causati dalla perdita della possibilità di promozione, dal demansionamento, ovvero dalle spese mediche per la cura delle patologie derivanti dalle vessazioni.

Quanto ai danni non patrimoniali, nonostante la Cassazione a Sezioni Unite abbia sancito nel 2008 811/11/2008 n.26972 e 26973) l’unificazione dei diversi profili di danno, una consolidata corrente giurisprudenziale continua ad affermare la tripartizione in biologico esistenziale e morale (v. Cassaz. 30/12/2011 n. 30668).

 

RIFERIMENTI

Per quanto concerne i cap. 1 e 3 vedasi Allegato n.47 (Sette) del 23 novembre 2017 del Corriere della Sera.

Con riferimento al cap. 2 si rinvia per quanto attiene al regime probatorio ex articolo 40 al commento di F.

Di Noia. Le molestie sessuali tra inversione e alleggerimento dell’onus probandi sul “IL LAVORO NELLA GIURISPRUDENZA” n.  2/2017 pagg. 138 ,139 e 141.

Sempre riguardo al cap.2 in tema di regime probatorio ex articolo 40,l’articolo del codice delle pari opportunità consente che la prova dei fatti sia fornita per presunzioni: “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativo alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione di carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onera della prova sull’insussistenza della discriminazione”.

Relativamente al cap. 4 vedasi Accordo Quadro contro la violenza nei luoghi di lavoro nel territorio pratese del 31/1/2017