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Phishing - Cassazione Penale: risponde di frode informatica l’intestatario della carta prepagata utilizzata per attività di phishing

Phishing - Cassazione Penale: risponde di frode informatica l’intestatario della carta prepagata utilizzata per attività di phishing
Phishing - Cassazione Penale: risponde di frode informatica l’intestatario della carta prepagata utilizzata per attività di phishing

Secondo quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione, integra il reato di frode informatica e non quello di indebita utilizzazione di carte di credito, la condotta di colui che, servendosi di una carta di credito falsificata e di un codice d’accesso fraudolentemente captato in precedenza, penetri abusivamente nel sistema informatico altrui effettuando operazioni illecite per trarne profitto per sé o per altri.

In particolare, ha ulteriormente specificato la Cassazione, il soggetto che concorre con altri, attivando una carta prepagata successivamente utilizzata per condurre operazioni illecite, risponde del reato in esame, configurandosi in questa fattispecie l’ipotesi di dolo indiretto.

 

Fatti in causa 

Nel caso di specie, la vicenda processuale concerne la condanna inflitta in primo grado all’imputato per il reato di frode informatica.

A seguito di una serie di denunce pervenute alla Polizia Postale, in merito alla ricezione di messaggi inviati a mezzo di posta elettronica che invitavano ad inserire codici di accesso personali al servizio bancario online, in conseguenza dei quali risultavano sul conto delle vittime dei movimenti mai effettuati, era emerso che parte delle somme prelevate erano state infine trasferite su una carta prepagata Postepay intestata all’imputato e appositamente attivata.

In particolare, le indagini svolte in precedenza avevano consentito di ricostruire il fenomeno del cosiddetto phishing, da intendersi, ai sensi dell’articolo 640-ter del Codice Penale, come una condotta fraudolenta realizzata attraverso la rete Internet, con il solo scopo di ingannare gli utenti mediante l’invio di messaggi di posta elettronica apparentemente innocui. 

L’imputato, lamentando l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, ha pertanto proposto ricorso in Cassazione, la quale, respingendolo ne ha sancito l’inammissibilità per infondatezza dei motivi.

 

Motivi della decisione 

Dopo un’attenta valutazione delle tesi difensive dell’imputato, la Cassazione ha chiarito la distinzione tra il reato di frode informatica e altre fattispecie, tra le quali, il reato di truffa e l’indebita utilizzazione di carte di credito. Richiamando la propria giurisprudenza precedente, la Cassazione ha specificato che il reato di frode informatica si differenzia di per sé dal reato di truffa, in quanto “l’attività fraudolenta investe non la persona – ovvero, soggetto passivo – bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, al fine di ottenerne profitto per sé o per altri”.

Inoltre, aderendo a quanto precedentemente affermato dalla Corte d’Appello, la Cassazione ha ribadito che, in relazione all’elemento soggettivo del reato, la “volontà di concorrere nel reato - materialmente ascrivibile ad altri - non presuppone necessariamente un previo accordo o comunque la reciproca consapevolezza del concorso altrui”.

Secondo la Cassazione, integra la condotta in esame qualsiasi comportamento esteriore in grado di fornire “un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell’altrui proposito criminoso”, al fine di realizzare un unico obiettivo, perseguito successivamente in diversa misura dagli imputati.

Per ciò che concerne il caso di specie, il fatto che il conto Postepay fosse stato appositamente attivato e intestato a nome di persone in condizioni economiche disagiate – anche se materialmente estranee all’accesso abusivo – che si limitavano a ricevere un compenso “per il solo fatto dell’apertura del rapporto sottostante il rilascio della carta prepagata”, è stato ritenuto sufficiente ai fini della configurazione del dolo indiretto, a carico del singolo concorrente.

Di conseguenza, la Cassazione riconferma le motivazioni espresse in precedenza dai giudici di merito, non potendo rinvenire altro motivo - oltre alla possibilità di ottenere un profitto - tale da indurre l’imputato che, per sua stessa ammissione versava in condizioni economiche disagiate, ad acquisire e attivare una carta prepagata per poi consegnarla a terzi.

(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza del 24 ottobre 2018 n. 48553)