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Presunzione di Felicità

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Presunzione di Felicità
 

“Che cos’è la Felicità?”

Che c’entra questa domanda con “Umanesimo Manageriale”?

Ci vorrebbe forse un tempo potenzialmente infinito per trovare la risposta e forse non riusciremmo a trovarla mai.

Sono però convinta che le domande importanti, proprio quelle a cui non riusciamo a dare risposte “preconfezionate”, quelle che in fondo ci accompagnano per tutta la vita, riescono a farci crescere, evolvere, diventare persone migliori.

Per questo, nonostante l’impossibilità di arrivare ad una risposta, tendere alla Felicità dovrebbe essere principio base e fine ultimo di ogni persona e di ogni insieme di persone, compresa la Pubblica Amministrazione!

Quando si parla di Pubblica Amministrazione, spesso sembra di sentir parlare di una entità astratta, distante anni luce dal mondo…ma che cos’è la Pubblica Amministrazione se non un gruppo di persone, parte di una collettività più ampia, il cui scopo è quello di creare “benessere”? I principi fondamentali della Costituzione del nostro Paese, in fondo, non sanciscono proprio questo? Garantire il bene degli individui che ne fanno parte?

Persone che stanno bene con se stesse contribuiscono a costruire una società migliore e in quest’ottica praticare “Umanesimo Manageriale” in Pubblica Amministrazione e in generale nei contesti lavorativi, aiuta a costruire una società più sana.

Questo ce lo spiega molto bene Daniel Goleman nei suoi libri (“Intelligenza Emotiva” e “Essere Leader” per esempio) quando parla di Risonanza Emotiva.

Secondo questo approccio, Felicità non è, quindi, tanto una questione personale, ma relazionale.

Escludendo la vuota retorica, le frasi fatte e di circostanza, quelle che troviamo nei baci Perugina o nei biglietti di auguri, non si può dare una definizione certa di Felicità, non si può rinchiudere in un principio, in una formula con lettere o numeri: fai questa scelta di vita, applica questa formula e sarai sicuramente felice, formula “soddisfatti o rimborsati”, come nei migliori slogan pubblicitari…

Totò sosteneva che la Felicità non esiste, esistono forse, “momentini minuscolini di Felicità” (intervista ad Oriana Fallaci) John Lennon affermava che il “mestiere da fare da grandi” è essere felici, Benigni conferma, in uno dei suoi monologhi, che sicuramente la Felicità ce l’abbiamo e dobbiamo trovarla magari rovesciando “…i cassetti, i comodini che c'abbiamo dentro”, magari quelli più segreti.

Recentemente, il pianista Stefano Bollani, in un episodio della sua trasmissione “Via dei matti n. 0”, spiegava perché piacciono tanto i notturni di Chopin.

La risposta è data dalla “tensione emotiva” che riesce a produrre l’alternanza tra suoni di “tonica” e “dominante”.

Ogni nota è in fondo una frequenza sonora che trasferisce vibrazioni, in grado di suscitare emozioni: la “tonica”, che rappresenta la stabilità, è la nota su cui si appoggia tutta una scala e restituisce senso di appagamento; “dominante” è la frequenza che genera il senso di maggior tensione, la “sensibile” il suono che precede la tonica, ecc…

Già da questi appellativi si può intuire molto. Una melodia fatta di un susseguirsi di uno stesso suono, per quanto rassicurante, non la potremmo mai definire musica, o quanto meno la giudicheremmo come banale o monotona.

Così come una melodia che produca continui movimenti di tensione o vada in dissonanza sarebbe inascoltabile, quanto meno striderebbe al nostro orecchio.

In una composizione musicale, la giusta alternanza di momenti di tensione a momenti di stabilità, genera bellezza. I grandi musicisti come Chopin questo lo sanno bene.

Un po’ come avviene in una partitura musicale, i concetti legati a stabilità, uniformità, abitudinarietà, certo rassicurano, ma si corre sempre il rischio di degenerare in routine; e la routine non è certo sinonimo di Felicità, soprattutto perché non ci permetterà mai di migliorare ed evolvere come persone.

Ma nemmeno possiamo vivere di soli momenti di tensione, concetto che spesso degenera in quello che siamo soliti chiamare stress, termine più che abusato nei nostri tempi (è stato addirittura introdotto il termine “stress correlato” con riferimento all’ambiente lavorativo).

Analogamente, la pubblica amministrazione non può certo andare avanti a forza di “burocrazia difensiva” o peggio alla “necrofilia amministrativa” come la definisce Carlo Mochi Sismondi. Ma sicuramente le norme servono, così come serve il governo, pilastri portanti della nostra società (a tal proposito è molto bello il commento del costituzionalista Gustavo Zagrebelsky sull’Antigone di Sofocle).

Unico metodo per raggiungere un sano equilibrio, è sviluppare e valorizzare la consapevolezza, termine che ritroviamo sempre e comunque anche in tutti i percorsi di Coaching e Team Building, dai più tradizionali ai più sofisticati come il metodo delle 5 sedie di Louise Evans, l’ “intelligenza spirituale” e i percorsi di Daniel Lumera, Luca Mazzucchelli, ecc...

Consapevolezza è riconoscere che il proprio percorso è bello, proprio perché è dato dall’alternanza di momenti di tensione emotiva (dolore, delusione, insuccesso) a momenti di appagamento. E gli uni rendono accettabili e vivibili gli altri.

Come abbiamo detto e ripetuto il concetto di Felicità è davvero troppo astratto che, secondo alcuni autori, provare a darne una definizione può risultare addirittura dannoso. (cit. Luca Mazzucchelli). Dare un senso alle nostre azioni, a quello che viviamo, a quello che facciamo, è però possibile.

Dare un senso significa farsi le domande giuste. Siamo in un’epoca in cui l’importanza delle risposte è sopravvalutata rispetto a quella delle domande. Le risposte, oggi come oggi, le riescono a dare tutti, persino i sistemi di intelligenza artificiale. Le domande però no, le domande sanno porle e sanno porsele solo gli uomini. Porsi le domande, non tanto trovare le risposte (cit. Domenico Ventriglia). È questa capacità che ci rende umani, è questo “l’umano che c’è nell’uomo” (cit. Vasilij Grossman “Tra ideologie e domande eterne”).

Ma allora qual è la domanda giusta che dobbiamo porci?

Nel lavoro di tutti i giorni, forse, non è poi così importante quanto sia difficile, quanto sia faticoso o stressante quello che facciamo; è importante capire se ne vale la pena oppure no. In questo modo, se non pensiamo alla fatica, ma al senso, costruiamo una società basata sulla pienezza, in cui la capacità di immaginare il futuro, restituisce significato profondo alle nostre azioni.

In questo approccio, il lavoro in Pubblica Amministrazione dovrebbe essere “cuore pulsante” e generativo di proposte e iniziative in cui i valori e la dimensione umana rappresentano il vero motore dell’azione amministrativa.

La formula segreta della Felicità potrebbe essere proprio questa? Dai sempre un senso alle cose che fai, perché il senso va oltre ogni fatica; insegui i sogni, genera idee, avvia progetti, costruisci un futuro migliore!

(e questa, sicuramente, va dritta dritta nei baci Perugina!! 😊)