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Processo per crimini di guerra e mandato d’arresto internazionale Putin

Vladimir Putin
Vladimir Putin

Processo per crimini di guerra e mandato d’arresto internazionale Putin


La CPI, tribunale con sede all’Aja, in Olanda, ha emesso un mandato d’arresto contro il presidente russo Putin e la commissaria per i diritti dei bambini presso il Cremlino. La Russia non riconosce la Corte e non concede l’estradizione dei suoi cittadini. Potrebbe rischiare l’arresto immediato se dovesse visitare uno dei 123  Paesi che aderiscono allo Statuto di Roma nonostante non venga consegnato.

The ICC, a court based in The Hague, the Netherlands, has issued an arrest warrant against Russian President Putin and the Commissioner for Children’s Rights in the Kremlin. Russia does not recognize the Court and does not grant the extradition of its citizens. He could risk immediate arrest if he were to visit one of the 123 countries that adhere to the Rome Statute despite not being delivered.
 

Il mandato di arresto che la Corte Penale Internazionale de L’Aja ha spiccato nei confronti di Vladimir Putin prevede che sia valido solo nei 123 paesi che hanno sottoscritto lo Statuto di Roma. Tra i quali non ci sono Stati Uniti, Israele, Cina e Ucraina. Senza l’arresto e la consegna il processo non si può svolgere. La decisione della Corte dell’Aia è stata salutata ed accolta come storica da Volodymyr Zelensky; mentre il Cremlino ha liquidato la questione definendo la scelta inaccettabile, non condivisibile e senza alcun valore legittimo. Tra i giudici che hanno accusato ufficialmente Putin di crimini di guerra c’è anche un italiano. Si tratta di Rosario Aitala, 55 anni, originario di Catania. Ma in ogni caso è e rimarrà complesso vedere lo Zar alla sbarra in esecuzione di tale accusa. Anche nel caso in cui si recasse ab esterno dalla Russia, il paese ospitante potrebbe far valere il principio dell’immunità dei Capi di Stato esteri. Come successe nel 2015 con il presidente del Sudan Omar al-Bashir in visita in Sudafrica.
 

La “russificazione” e i bambini rapiti quali atti inumani

La Russia ha smesso di riconoscere la Corte internazionale nel 2016. In ogni caso non concede l’estradizione dei suoi cittadini. Appare difficile che il presidente russo e la Commissaria per i Diritti dei Bambini Maria Alekseyevna Lvova-Belova, vengano consegnati a L’Aja. Almeno fino a quando sarà in piedi l’attuale regime a Mosca.

Putin e Lvova Belova sono accusati di «deportazione illegale di popolazione (bambini)». E di trasferimento illegale. I crimini sarebbero stati commessi in Ucraina a partire dal 24 febbraio scorso. Secondo Kiev in totale potrebbero essere oltre 16 mila. Mentre la Corte ha parlato di centinaia di bambini prelevati da orfanotrofi e case di accoglienza. Alcuni appelli risalgono addirittura al 2014. La Commissaria qualche giorno fa aveva annunciato trionfante l’adozione di una 15 enne proveniente da Mariupol. Nell’aprile scorso si parlava di almeno 10 casi di bambini spariti.

Alcune segnalazioni all’epoca arrivavano da KievIrpinZaporizhiaMariupol e Odessa. E c’erano anche 200 casi aperti e certificati di adolescenti spariti nel nulla, probabilmente rapiti. Le famiglie, ancora vive, hanno denunciato la scomparsa.

Un gruppo per i diritti umani della Crimea ha denunciato la scomparsa di 200 minori. «Trasferiti nella direzione di Donetsk occupata e del Taganrog russo», aveva detto all’epoca Olha Skrypnyk. Tra questi c’era Kira, 12 enne resa orfana dalla guerra. Kira aveva cercato di fuggire a piedi da Mariupol insieme alla compagna del padre. Ma dopo essere rimasta ferita nello scoppio di una mina, la 12 enne è stata portata in un ospedale a Donetsk. Controllata dai separatisti ucraini riconosciuti da Mosca, che hanno ha sfruttato norme che concedono la cittadinanza russa ai minori per inserirli in famiglie adottive. Una serie di ostacoli burocratici impedivano ai genitori di mantenere i contatti con i figli. Spariti definitivamente.

Ma quello nei confronti di Putin rimane un processo articolato e complesso. Se non impossibile.

Al momento dell’arresto la persona deve essere tradotta dinanzi all’autorità giudiziaria competente dello Stato di custodia. Una volta consegnato alla Corte penale internazionale, è fissata un’udienza di comparizione dinanzi alla Camera preliminare. E’ necessaria la convalida delle imputazioni prima del processo concreto. Senza l’arresto e la consegna il processo non inizia.

Il presidente russo V. Putin può essere processato per presunti crimini di guerra, come accaduto in altri processi storici, tra cui quelli «nei confronti dei nazisti, o come quello che ha visto coinvolto l’ex presidente jugoslavo Slobodan Milošević o ancora l’ex leader liberiano Charles Taylor».

Sono le parole del procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan, dopo l’emissione del mandato di arresto che la Corte Penale Internazionale de L’Aja ha spiccato nei confronti del presidente russo, per essere processato per i presunti crimini di guerra compiuti durante la guerra di Mosca contro Kiev e, in particolare per un presunto piano di deportazione di bambini ucraini in Russia.

«Tutti questi leader erano incredibilmente potenti, eppure si sono trovati nelle aule dei tribunali», ha proseguito Khan nella sua intervista alla Cnn, sottolineando che non è escluso che anche Putin possa finire davanti alla corte, malgrado le perplessità sulla possibile sua cattura, e sul fatto che il presidente russo possa essere giudicato in aula e non eventualmente in contumacia. Non solo. Il procuratore capo della Corte penale internazionale ha anche sottolineato che: «Putin è il primo capo di Stato di un membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite contro cui è stato emesso un mandato di arresto».
 

La Risposta di Mosca

Di altro ragionamento e contrariata nella reazione, ovviamente, la Russia, che considera almeno in via ufficiale “carta igienica” la pronuncia della Cpi, come ha esposto verbalmente l’ex premier Dmitry Medvedev.

Ad analizzare la posizione di Mosca sul mandato d’arresto nel quadro di lontanissimi ma eventuali negoziati di pace è stata la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova. Un eventuale accordo per l’Ucraina, ha detto la portavoce, dovrà comprendere «la cancellazione delle sanzioni e di tutte le cause legali contro la Russia nelle Corti internazionali». Per giungere alla pace, ha continuato Zakharova in una dichiarazione postata sul sito del ministero degli Esteri di Mosca, è inoltre necessario che «cessino i rifornimenti di armi e mercenari all’Ucraina», nonché il ritorno di Kiev a uno status neutrale e il riconoscimento internazionale delle nuove realtà territoriali.

Sotto il profilo delle indagini sulla crisi Ucraina, in data 17 marzo 2023, la Pre-Trial Chamber II della Corte Penale internazionale, sulla base delle richieste della Procura del 22 febbraio 2023, ha emesso due mandati di arresto nei confronti Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova (vedi: Lorenzo Roccatagliata, La Corte Penale Internazionalem emette un manda di arresto nei confronti di Vladimir Putin per crimini di guerra in Ucraina; in: Giurisprudenza Penale, 17 marzo 2023.).

Gli illeciti contestati sono il crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa (artt. 8(a)(vii) e 8(b)(viii) dello Statuto di Roma).

Vladimir Putin, in qualità di Presidente della Federazione Russa, sarebbe personalmente responsabile per aver commesso gli atti direttamente, congiuntamente con altri e/o attraverso altri, (e (ii.) Statuto di Roma) per non aver esercitato un controllo adeguato sui subordinati civili e militari che hanno commesso gli atti, o hanno permesso la loro commissione, e che erano effettivamente sotto la sua autorità e il suo controllo, in virtù della responsabilità del superiore (art. 28(b) dello Statuto di Roma).

Maria Alekseyevna Lvova-Belova, nata il 25 ottobre 1984, in qualità di Commissario per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente della Federazione Russa, sarebbe personalmente responsabile per aver commesso gli atti direttamente, congiuntamente ad altri e/o tramite altri (art. 25(3)(a) dello Statuto di Roma).

I crimini sarebbero stati commessi nel territorio occupato dell’Ucraina  a partire dal 24 febbraio 2022.

I Giudici preliminari hanno deciso di mantenere secretati i mandati, per proteggere le vittime e i testimoni, nonché per salvaguardare le indagini. Tuttavia, considerando che la condotta appare essere ancora in corso, la Camera ha autorizzato la pubblica divulgazione dell’esistenza dei mandati, il nome degli indagati, i reati per i quali sono stati emessi i mandati e le modalità di responsabilità stabilite, perché essa può contribuire a prevenire l’ulteriore commissione di reati, così realizzando l’interesse della giustizia.

In data, 17 marzo 2023, la Camera preliminare II della Corte penale internazionale ("CPI" o "la Corte") ha emesso mandati di arresto per due persone nel contesto della situazione in Ucraina: Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova si legge nel contributo di Cuno Tarfusser già Giudice e Vice Presidente presso la Corte. Vladimir Vladimirovich Putin, nato il 7 ottobre 1952, Presidente della Federazione Russa, è presumibilmente responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di bambini e del trasferimento illegale dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa. I crimini sarebbero stati commessi nei territori occupati ucraini almeno dal 24 febbraio 2022. Vi sono ragionevoli motivi per ritenere che Putin abbia la responsabilità penale individuale per i suddetti crimini, (i) per aver commesso gli atti direttamente, congiuntamente con altri e/o attraverso altri (art. 25, paragrafo 3, lettera a), dello Statuto di Roma), e (ii) per la sua incapacità di esercitare adeguatamente il controllo sui subordinati civili e militari che hanno commesso gli atti, o consentiti per la loro commissione, e che erano sotto la sua effettiva autorità e controllo, in virtù di una responsabilità superiore (art. 28 (b) dello Statuto di Roma). La Camera preliminare II, ha ritenuto, sulla base dell’accusa del 22 febbraio 2023, che vi siano ragionevoli motivi per ritenere che ciascun indagato sia responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale della popolazione e del trasferimento illegale della popolazione dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione russa, a danno dei minori ucraini.

Tuttavia, consapevole del fatto che la condotta affrontata nella presente situazione è presumibilmente in corso e che la conoscenza pubblica dei mandati può contribuire alla prevenzione di ulteriori commettere reati, la Camera ha ritenuto che sia nell’interesse della giustizia autorizzare la cancelleria a rivelare pubblicamente l’esistenza dei mandati, il nome degli indagati, i reati per i quali sono emessi i mandati e le modalità di responsabilità stabilite dalla Camera. I suddetti mandati di arresto sono stati emessi in base alle domande presentate dalla Procura il 22 febbraio 2023.

Ciò in un’intervista al quotidiano “La Repubblica”, l’ex procuratrice dell’Aja, Carla Del Ponte, protagonista del processo a Slobodan Milosevic: “Putin vuole sradicare l’identità di un popolo e quindi deve risponderne penalmente”, aggiunge inoltre.  In Un’inchiesta del network di giornalismo investigativo dell’Ebu (European Broadcasting Union) rivela che molti di questi bambini, provenienti dal Donbass, appartengono a una famiglia e sono stati portati in Russia con l’inganno o senza il loro consenso.

Questa è una decisione storica che porterà a responsabilità storiche. Il capo di uno stato terrorista e un altro funzionario russo sono diventati ufficialmente sospettati di un crimine di guerra: la deportazione di bambini ucraini. Il trasferimento illegale di migliaia di nostri bambini nel territorio di uno stato terrorista.m Ringrazio tutto il team del Procuratore Karim Khan per il lavoro svolto”. Le parole di;Volodymyr Zelensky (44 anni, presidente dell’Ucraina, dal 2019).

Gli Stati Uniti, da parte loro, “non hanno dubbi” sul fatto che la Russia stia commettendo crimini di guerra in Ucraina e sostengono che i dirigenti russi siano “responsabili” Anche L’Unione europea ha accolto con favore il mandato d’arresto della Corte penale internazionaleQuesta è una decisione importante della giustizia internazionale e per il popolo ucraino. all’Unione europea abbiamo sempre detto che i responsabili dell’aggressione illegale contro l’Ucraina devono essere assicurati alla giustizia”. Sono state le parole di: Josep Borrell  (75 anni, Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri). La Russia d’altrocanto, nega di aver commesso tali crimini, respinge ogni accusa di atrocità e attacchi alle infrastrutture civili e considera la decisione della Corteoltraggiosa e inaccettabile”. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha osservato che la Russia non riconosce la giurisdizione della Corte penale internazionale e considera “qualsiasi decisione nulla dal punto di vista della legge”.

La Russia non è parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale e non ha alcun obbligo nei suoi confronti. La Russia non collabora con questo organismo” e i mandati d’arresto provenienti dalla Corte Penale Internazionalesaranno legalmente nulle per noi”, ha replicato Maria Zacharova, portavoce del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov.

Tali crimini sarebbero stati commessi nel territorio occupato dall’Ucraina almeno a partire dal 24 febbraio 2022, è quanto si legge nel mandato di arresto della Camera preliminare II della Corte Penale Internazionale emessa il 17 marzo 2023, e “ci sono ragionevoli motivi per ritenere che Putin abbia una responsabilità penale individuale per i suddetti crimini“. Una responsabilità “diretta, congiuntamente con altri” o per procura, ma anche per “non aver esercitato un controllo adeguato sui subordinati civili e militari che hanno commesso gli atti, o hanno permesso la loro commissione”. Per quanto riguarda Lvova-Belova, “sarebbe responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale” a livello individuale.

Nonostante i mandati de quo fossero inizialmente segreti o secretati nelle parti d’accusa, “per proteggere le vittime e i testimoni e anche per salvaguardare le indagini”, è stato però considerato dalla stessa Camera della Corte Penale Internazionale che “la condotta oggetto della presente situazione è presumibilmente in corso” e che “la conoscenza pubblica dei mandati può contribuire a prevenire l’ulteriore commissione di reati”. Da ciò la necessità di rendere noti i nomi degli indagati, i reati e le modalità di responsabilità stabilite all’AiaNemmeno a Mosca si fa più segreto delle adozioni forzate, come testimoniano alcuni video della commissaria Lvova-Belova che ringrazia Putin per averle rese possibili e confermando di aver lei stessa “adottato” una ragazzina 15enne di Mariupol. (Vedi: articolo dott. Maurizio Delli Santi, 19 marzo 2023, su: www.editorialedomani.it).

 Il crimine che ha suscitato la più grave esecrazione della comunità internazionale: la deportazione dei bambini ucraini in Russia. La notizia del mandato d’arresto del Presidente Putin è comunque destinata a suscitare polemiche internazionali. Ma sono diverse le prospettive per considerare invece l’importanza della affermazione della giustizia penale internazionale, anche per definire meglio un quadro giuridico per un percorso di pace e sollecitare il popolo russo ad una maggiore consapevolezza delle proprie responsabilità di fronte all’umanità. Nonostante gli scettici ed i reazionari, non si è fermato il percorso della giustizia penale internazionale per perseguire i crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati in particolare contro la popolazione civile in Ucraina. All’esordio del conflitto l’avvio di indagini da parte della Corte penale internazionale era stato annunciato dal Prosecutor Karim Khan, anche grazie alla scelta iniziale intrapresa da 43 Stati, fra cui comparve l’Italia, di promuovere l’azione congiunta di referral sulla situazione Ucraina. Da allora si è giunti a definire un modello giurisdizionale ad hoc inquadrato nel sistema della Corte, dove in osservanza al principio di complementarietà si è tenuto conto delle prove acquisite dalla procura ucraina ma, anche per garantire neutralità e indipendenza della giurisdizione, si è concepito un nuovo modello di cooperazione basato su squadre investigative comuni e su intese con le Nazioni Unite, Eurojust, il Consiglio d’Europa, la Rete europea contro il genocidio e le varie autorità giudiziarie europee.  Il crimine che ha suscitato una grave esecrazione della comunità internazionale e su cui gli elementi di prova possono ritenersi più ampiamente riscontrati: persino un report della Yale University ha potuto documentare la deportazione di 6 mila bambini ucraini in 43strutture rieducativerusse, mentre altre inchieste di Ong indipendenti hanno parlato di oltre 16mila minori trasferiti in Russia di cui non si hanno notizie. Il procuratore Khan in una dichiarazione ufficiale ha quindi lanciato il monito: «I bambini non possono considerarsi come un bottino di guerra». Le imputazioni sono circoscritte ai due principali responsabili, con l’evidente intenzione di confermare la giurisdizione della Corte dell’Aja di perseguire prioritariamente i c.d. leadership crimes. Il comunicato ufficiale dei giudici dell’Aja indica quali destinatari del mandato d’arresto dunque il Presidente della Federazione Russa Vladimir Vladimirovich Putin e il Commissario per i diritti dei minori presso l’ufficio del presidente della Federazione russa Maria Alekseyevna Lvova-Belova. Le responsabilità sono ricondotte essenzialmente a due principali capi d’accusa. Il primo concerne il crimine di guerra di «deportazione illegale della popolazione (bambini)» e di «trasferimento illegale di popolazione (bambini)» dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa, condotta sanzionate dallo Statuto di Roma all’art. 8 para 2 lett. a (sub VII), in quanto violazioni gravi alla Convenzione di Ginevra sulla tutela della popolazione civile, e all’ art. 8 par. 2, lett. b (sub VIII), in quanto «violazione alle leggi e agli usi applicabili nel quadro consolidato del diritto internazionale sui conflitti armati internazionali». L’altro capo d’accusa concerne invece il tipo di responsabilità soggettiva di cui sono diversamente ritenuti imputabili i due attori. Per il commissario per i diritti dei minori Lvova-Belova si tratta della responsabilità penale configurabile a titolo individuale e anche di concorso insieme ad altre persone (art. 25, par. 3, lett. a dello Statuto di Roma), il che fa presumere che tanto la Corte dell’Aja quanto le autorità giudiziarie ucraine abbiano in corso altri procedimenti a carico di vari soggetti nei cui confronti potranno adottarsi analoghi provvedimenti. Più seria e articolata è invece la posizione di Vladimir Putin, dove oltre alla stessa responsabilità a titolo individuale e di concorso viene imputata anche la «responsabilità di comando» prevista dall’art. 28 dello Statuto di Roma, e segnatamente per avere consentito la commissione dei crimini da parte dei suoi sottoposti civili e militari, e/o per non avere esercitato il dovuto controllo. In tal caso, il percorso della giustizia penale internazionale viene ad assumere un valore universale in quanto si conferma un principio che qualcuno ancora aveva posto in discussione, ovvero che anche per un capo di Stato in carica per in crimini internazionali previsti dallo Statuto della Corte penale internazionale non vigono regole di immunità, ed anzi ad esso si imputa la più ampia «responsabilità di comando». La vicenda del mandato d’arresto nei confronti del presidente Putin è comunque destinata a suscitare polemiche soprattutto da parte di chi si pone nei confronti del percorso della giustizia penale internazionale con scetticismo dubbio profondo e occhio negativo, distacco ideologico o con la logica della c.d. realpolitik delle relazioni internazionali. Una prima obiezione potrebbe essere sollevata dalla osservazione che, tanti altri crimini sono purtroppo stati molto eclatanti nella guerra in Ucraina. Esodi coatti; violenze carnali; violenze di vario grado e genere; saccheggi, vilipendi ignobili della rabbia degli occupanti lasciati sui cadaveri; danneggiamenti alle strade e nelle fosse comuni si sono avuti a Bucha, Makariv, Kramatorsk, Mariupol e in altre città martoriate da assedi a dir poco medievali o di “rituali tribali”. Esplosioni devastanti hanno colpito palazzi abitati da famiglie, ospedali, scuole, centri culturali e religiosi, e si hanno riscontri dell’impiego di armi termobariche e di bombe a grappolo, messe al bando dalle Convenzioni internazionali, mentre si è giunti anche ai bombardamenti su acquedotti e centrali elettriche, volti solo a fiaccare la popolazione in violazione di ogni regola di «necessità bellica». Bisogna comunque considerare quanto ufficialmente anticipato dallo stesso procuratore Khan che in questa fase e procedura si è voluto concentrare ogni investigazione e presa d’atto sui crimini più documentati: «Non esiteremo a presentare ulteriori richieste di mandato d’arresto quando le prove ci consentiranno di farlo». I pregiudizi sul ruolo della giurisdizione penale internazionale comunque sono più insidiosi quando si sostiene che il provvedimento nei confronti di Putin da un lato potrebbe inasprire il quadro già compromesso di un possibile negoziato e dall’altro rilevarsi di fatto insufficiente, inefficace e blando. Tali osservazioni vanno ostacolate anzi si può obiettare con due indirizzi di risposta: 1) nessun segnale è venuto da Putin circa la reale intenzione di far cessare la guerra, e neanche la Cina è stata finora capace di convincerlo a riprendere la via del dialogo diplomatico.  2 )L’argomento per cui sarà difficile eseguire il mandato d’arresto è pure scontato, ma in ogni caso Putin e i suoi funzionari non potranno recarsi all’estero, perché vale il principio di universalità dei crimini internazionali, e non solo nei 123 Stati che hanno ratificato lo Statuto della Corte. Il mandato d’arresto della Corte penale internazionale rimarrà una spada di Damocle per tutta la vita e ovunque: i crimini internazionali non prevedono prescrizioni o immunità e sono perseguibili senza limiti di territorialità, atteso che qualunque Stato, anche se non ha ratificato lo Statuto, può comunque affermare la giurisdizione della corte e richiamare i principi del diritto internazionale consuetudinario. In ogni modo evidenti sono solo i pregiudizi poco attenti ai risvolti internazionali le tesi di chi ritiene che la Corte penale internazionale sia irrilevante, mentre si può facilmente obiettare che, come il sistema delle sanzioni, anche quello della giustizia penale rappresenta una forma di condanna all’isolamento internazionale di un autocrate che ha deliberatamente scelto di violare le norme fondamentali dell’International Law, fino a segnare i momenti più infimi di arretramento rispetto ai principi umanitari affermati in particolare con le Convenzioni di Ginevra. Alle Nazioni Unite, cioè  di più di 70mila crimini internazionali imputabili alla Russia per la sua ostinata guerra condotta soprattutto contro la popolazione, e non è escluso che le prossime imputazioni per Putin e la sua nomenclatura possano essere quelle per i «crimini dei crimini» una sorta di aggravante speciale ed oltre: l’aggressione internazionale e il genocidio. Potrebbe essere anche questa prospettiva a far allargare ancora il numero delle adesioni dei già 141 Stati che alle Nazioni Unite hanno approvato le Risoluzioni di condanna per la Russia e a definire meglio un quadro giuridico per un percorso di pace che risulti valido e sostenibile. Uno scenario che, nel già compromesso “fronte interno”, potrebbe sollecitare quel popolo russo – che pure si interroga con molti dubbi sulla scelta della guerra – ad una maggiore conoscenza e consapevolezza delle personali responsabilità di fronte all’umanità; si dovrebbe parlare a detta di chi scrive, di una sorta di “responsabilità umana, dell’uomo e per ogni uomo”.

Investigatori e magistrati che indagano sui crimini compiuti durante il conflitto spiegano che questo filone di indagine ha sempre avuto la priorità perché “bambini e adolescenti non possono essere trattati come bottino di guerra”.  Al termine di verifiche complesse, anche per quanto riguarda la procedibilità, i tre giudici, che sostengono quanto supra detto, l’italiano Rosario Aitala, la giapponese Tomoko Akane e il costaricano Sergio Ugalde, hanno accolto le richieste del procuratore Karim Khan. “Le decisioni della Corte penale internazionale non hanno alcun significato per il nostro Paese, nemmeno dal punto di vista legale”, ha commentato la portavoce del Cremlino, Maria Zakharova, mentre Kyiv definisce la decisionestorica”: “Continuiamo la stretta collaborazione con la Corte penale nei casi di deportazione forzata di bambini ucraini. “Oltre 40 volumi di fascicoli, più di 1000 pagine di prove già condivise con la Corte”, ha scritto su Twitter il procuratore generale dell’Ucraina, Andrij Kostin. In base a quanto accertato dai giudici coordinati da Aitala, il commissario russo per i diritti dei bambini, Maria Lvova-Belova, avrebbe ordinato l’invio degli adolescenti e dei bambini nelle strutture controllate da Mosca sin dalle prime settimane dopo l’invasione dell’Ucraina e nel maggio 2022; I minori sarebbero inviati nei campi di rieducazione russi e poi affidati a famiglie per l’adozione definitiva. Il mandato di cattura internazionale è stato emesso perché ai capi di Stato non viene riconosciuta l’immunità nei casi che coinvolgono crimini di guerra, crimini contro l’umanità o genocidio. Si tratta di un atto che comunque limita i movimenti del presidente russo e inevitabilmente apre nuovi scenari nel conflitto.

Il 16 marzo 2023, è stato pubblicato anche il rapporto della commissione d’inchiesta dell’Onu che accusa Mosca di aver commesso “un numero considerevole di crimini di guerra in quattro regioni ucraine nelle prime settimane dopo l’invasione russa” e specificano come “le situazioni esaminate riguardanti il trasferimento e la deportazione di bambini, rispettivamente all’interno dell’Ucraina e nella Federazione Russa, violano il diritto umanitario internazionale e costituiscono un crimine di guerra”.

Un dettagliato rapporto dell’università di Yale, pubblicato nel febbraio 2023, dal titolo: “Il sistematico programma della Russia per la rieducazione e l’adozione dei minori ucraini”, tra febbraio 2022 fino a gennaio 2023: “sono stati trasferiti più di 6.000 giovani di età compresa fra 4 mesi di età e 17 anni”. I ricercatori hanno individuato “43 strutture di detenzione e rieducazione, di cui 12 attorno al mar Nero, 7 nella Crimea occupata, 10 attorno alle città di Mosca, Kazan ed Ekaterinburg, mentre gli altri nelle regioni dell’estremo oriente russo, di cui 2 in Siberia”. Nel dossier si specifica che: “i genitori sono stati costretti, ingannati con la promessa di un trasferimento temporaneo o non interpellati del tutto e i moduli di affido compilati con firme false”. In ogni caso, la capacità dei genitori di fornire un consenso effettivo viene considerata dubbia, perché: “lo stato di guerra e la minaccia implicita delle forze di occupazione rappresentano una forma di costrizione costante”. (Vedi: Alessandro Di Bussolo, articolo, Vatican News, sito online, 19 marzo 2023).

Si veda: M. PEDRAZZI: “L’aggressione russa all’Ucraina, l’Europa e la comunità internazionale”; in EuroJust, 14 marzo 2022.

Le indagini in corso (melius, in affannosa corsa) della Corte penale internazionale sui diversi  accadimenti da attenzionare insieme alle indagini aperte dalla Corte penale internazionale in Ucraina, Anzitutto va detto che: il 16 marzo 2023 il Procuratore capo della Corte, l’inglese Karim Khan si è recato personalmente in Ucraina e in Polonia per prendere contatto con i vertici giudiziari, tra cui la Procuratrice generale ucraina, Iryna Venediktova, e il Ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro, per avviare una stretta cooperazione sulle indagini.

Palese è la sfida immediata di documentare il più possibile, cristallizzare ed assicurare le prove.

 All’iniziale referral della Lituania17 si è infatti presto aggiunta la comunicazione inviata formalmente dalla Gran Bretagna a nome di 38 Stati, inclusa l’Italia e tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, insieme a Australia, Canada, Colombia, Costa Rica, Georgia, Islanda, Lichtenstein, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera, Regno Unito e Irlanda18 . Nella breve lettera di referral gli Stati firmatari affermano di avere “deciso di riferire la Situazione in Ucraina al Procuratore della Corte penale internazionale al fine di richiedere al Procuratore di indagare ogni atto integrante crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, potenzialmente commessi sul territorio dell’Ucraina dal 21 novembre 2013 in avanti, incluse le attuali denunce di commissione di crimini in corso su tutto il territorio ucraino, con ciò chiedendo alla Corte di esercitare la sua giurisdizione rispetto all’ambito di accettazione [di giurisdizione della Corte] da parte dell’Ucraina” . Come si accennava, a questi si sono poi aggiunti ulteriori due Stati, il Giappone il 9 marzo  e la Macedonia, portando così il numero totale a 41

Ostacoli e prospettive. Il Procuratore non nasconde la “miriade di ostacoli” che l’indagine in Ucraina rappresenta, ma si mostra determinato a procedere . Evidente che la Corte non ha mai risposto in maniera celere così come messa di fronte allo scoppiare di un conflitto armato. In realtà un precedente può essere visto nel 2011, quando il Procuratore di allora, Luis Moreno Ocampo, avviò le indagini sui presunti crimini commessi in Libia a poche settimane dallo scoppio delle rivolte contro il regime di Gheddafi, violentemente represse dal regime stesso. Anche in quella occasione un sentimento diffuso, quasi di positivismo , si levò nella comunità degli 17 https://www.icc-cpi.int/itemsDocuments/ukraine/1041.Vedi inoltr:https://www.reuters.com/world/icc-faces-myriad-challenges-prosecute-war-crimes-ukraine-2022-03-04/. 6 studiosi e osservatori della Corte dell’Aia una speranza, probabilmente ingenua, che l’emissione tempestiva di quei tre mandati di arresto nei confronti di Gheddafi stesso e due membri stretti del suo entourage (compreso suo figlio Saif), potesse rappresentare un freno al conflitto che stava chiaramente degenerando in una guerra civile. E tuttavia l’impasse della Corte in quella situazione fu subito evidente e gli entusiasmi vennero presto smorzati. La differenza fondamentale tra la situazione “Libia” e quella “Ucraina”, tra un fallimento e un possibile successo dell’intervento dell’ICC, può oggi dipendere anche dal ruolo che giocheranno gli Stati, in particolare quelli che hanno presentato il referral alla Corte, se saranno in grado di rispondere alle richieste della Corte adeguatamente (a differenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu in Libia, che nei fatti ha mancato di fornire il necessario supporto alla Corte). In occasione della sua visita in Ucraina e Polonia dell’altro giorno, il Procuratore ha ricordato l’importanza di mantenere il supporto collettivo all’operato della Corte, ivi incluso dotare la Corte delle risorse finanziarie necessarie ed adeguate per potere condurre indagini del genere. In questo senso è da emulare l’esempio della Lituania che, dopo essere stata il primo paese a presentare il referral alla Corte, è anche stato il primo ad annunciare di avere stanziato un consistente budget extra per permettere le indagini. In questo senso è una notizia non da poco che 41 paesi, tra cui tutti quelli europei assieme ad altri importanti paesi, tra cui l’Australia, il Canada, il Giappone e il Regno Unito, siano compatti nel confermare fiducia nell’operato della Corte penale internazionale e determinati a ricorrere alla giustizia penale internazionale nel vivo del conflitto. La cosa interessante è che persino gli Stati Uniti, che, come è noto, non sono parte dello Statuto di Roma e si sono in questi anni strenuamente opposti alla estensione della giurisdizione della ICC su cittadini di Stati non-parte (nella situazione che riguarda loro in Afghanistan, ma anche, ad esempio, in Israele/Palestina), hanno in questi giorni più volte dichiarato il loro supporto bipartisan alla Corte rispetto alle indagini in Ucraina. C. MELONI, Il Procuratore della Corte penale internazionale annuncia l’apertura formale delle indagini in Libia, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2011.  C. MELONI, L’ONU porta Gheddafi davanti alla Corte penale internazionale, in Dir. pen. cont., 28 febbraio 2011. C. MELONI, L’impasse della Corte penale internazionale sulla Libia, in Dir. pen. cont., 1 giugno 2012.  Si veda la pagina sul sito della Corte: https://www.icc-cpi.int/libya.  C. LYNCH, America’s ICC Animus Gets Tested by Putin’s Alleged War Crimes, in Foreign Policy, 15 marzo 2022. 7 sanzioni (nell’era Trump) contro la Procuratrice della Corte per avere osato aprire le indagini in Afghanistan che riguardavano anche presunti gravi crimini commessi dalle forze armate statunitensi e dalla Cia. L’ordine, per la cronaca, è stato revocato dal nuovo Presidente Biden solo in data 1 aprile 2021, a mezzo di un nuovo ordine che dichiara la “termination of emergency”, ossia la fine dell’emergenza rispetto alla ICC. Sempre per la cronaca, il 27 settembre 2021, una delle prime decisioni del nuovo Procuratore della Corte a seguito del suo insediamento è stata di “stralciare” il filone di indagine che riguardava le presunte responsabilità statunitensi, tra cui moltissimi casi di torture e uccisioni di prigionieri, in Afghanistan. Quanto all’estensione delle indagini, come subito chiarito dalla Procura, l’indagine sarà a 360 gradi e riguarderà anche potenziali crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dalle forze ucraine, che del resto erano già stati inclusi in fase di analisi preliminare della situazione. E il crimine di aggressione? Tra gli innegabili limiti all’intervento della Corte, tuttavia, vi è il fatto che non potrà avere giurisdizione sul crimine di aggressione. La definizione di tale fattispecie è stata inserita nello Statuto di Roma, all’art. 8-bis, in un secondo momento, ossia in occasione della prima Conferenza di revisione dello Statuto nel 2010 a Kampala. Il crimine di aggressione prevede un regime particolare: ai sensi dell’art 15-bis (5) dello Statuto, perché vi sia giurisdizione si richiede che entrambi gli Stati coinvolti siano membri della Corte, cosa che né la Russia né l’Ucraina sono. C. MELONI, L’Executive Order di Trump contro la Corte penale internazionale, in questa Rivista, 16 giugno 2020. 28 https://www.whitehouse.gov/briefing-room/presidential-actions/2021/04/01/executive-order-on-thetermination-of-emergency-with-respect-to theinternationalcriminalcourt/.https://www.icc-cpi.int/.

E’ certa ormai, l’impossibilità, cui si accennava, per la Corte penale internazionale di giudicare eventuali responsabilità russe per il crimine di aggressione. In tal senso i promotori ritengono che istituire un tribunale ad hoc potrebbe rappresentare una valida alternativa per chiudere il gap di impunità. Per quanto suggestiva, l’idea ha subito attratto molte critiche, tra cui la mancanza di opportunità di istituire un secondo tribunale internazionale per la medesima situazione e la dubbia utilità dello strumento. Senza soffermarmi di nuovo sulle diverse obiezioni e critiche, rimandando sul punto a quanto già espresso nel precedente commento, si può sottolineare un aspetto alquanto controverso di questa iniziativa che è stato ulteriormente rimarcato nei giorni passati, ossia che il promotore sia proprio l’ex premier britannico. (Non è chiaro poi chi avrebbe il potere di istituire un tale tribunale ad hoc, data la non perseguibilità del modello conosciuto e finora adottato rispetto alla situazione in exJugoslavia (nel 1993) e in Ruanda (1994), ove fu il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a istituire i Tribunali ad hoc. Vi è chi, sulla base di una interpretazione molto ampia della Risoluzione “Uniting for Peace”, suggerisce che possa essere l’Assemblea Generale dell’Onu a istituire un tale tribunale. Ma, nonostante l’intento condivisibile, lo scetticismo rispetto alla possibilità che l’Assemblea Generale possa sostituirsi al 31 Autore del bel libro East West Street. On the origins of genocide and crimes against humanity ambientato proprio a L’viv (Leopoli) negli anni della Seconda guerra mondiale. Il libro è anche tradotto in italiano da Guanda (2017). Per una recensione in inglese: https://www.theguardian.com/books/2016/may/22/east-weststreet-origin-genocide-crimes-against-humanity-philippe-sands-review.https://gordonandsarahbrown.com/wp-content/uploads/2022/03/Combined-Statement-andDeclaration.pdf.Si vedano in tal senso anche le riflessioni di L. JOHNSON, United Nations response options to Russia’s aggression, in Just Security, 1 marzo 2020.Si veda, K.J. HELLER, Creating a Special Tribunal for Ukraine is a bad idea, in Opinio Juris, 7 marzo 2022.Si veda S. VASILIEV, Aggression against Ukraine: avenues for Accountability for Core Crimes, in EJIL:Talk!, 3 marzo 2022. C. MELONI, Il senso della giustizia penale internazionale di fronte alla guerra in Ucraina, in Questione giustizia, 11 marzo 2022. 37 Si veda l’eccellente riflessione di R. WILDE, Hamster in a Wheel: International Law, Crisis, Exceptionalism, Whataboutery, Speaking Truth to Power, and Sociopathic, Racist Gaslighting, in Opinio Juris, 17 marzo 2022. Sulla stessa linea, nei giorni precedenti, si veda anche, K.J. HELLER, Creating a Special Tribunal for Ukraine is a bad idea, in Opinio Juris, 7 marzo 2022. 38 Si tratta di una Risoluzione del 1950 in base alla quale l’Assemble Generale potrebbe agire quando il Consiglio di Sicurezza è bloccato dal prendere decisioni in talune circostanze a causa del veto posto da uno dei 5 membri permanenti. L. JOHNSON, United Nations response options to Russia’s aggression, in Just Security, 1 marzo 2020. 9 Consiglio di Sicurezza e istituire un tale tribunale non avendo poteri coercitivi ci pare più che fondato. Nei giorni passati si sono ulteriormente fatte strada altre opzioni, tra cui quella che siano delle corti interne a occuparsi di perseguire anche i responsabili del crimine di aggressione. Tali procedimenti potrebbero essere ancorati sia ai normali criteri di territorialità e nazionalità, sia al principio della giurisdizione universale41 . In teoria, infatti, i responsabili di tali crimini potrebbero essere portati a giudizio davanti alle corti interne dello Stato territoriale (l’Ucraina) o dello Stato di nazionalità (la Russia e la Bielorussia) in quanto sia il codice penale russo, sia quello ucraino, sia quello bielorusso prevedono la fattispecie di aggressione, nonché i crimini di guerra. Come già si notava, escludendo che le corti dello Stato di nazionalità dei responsabili abbiano alcuna intenzione di procedere in tal senso, la fattibilità di tali processi dipenderà da come evolverà la situazione militare sul campo e dalla capacità dell’Ucraina di arrestare i responsabili. Quanto al principio della giurisdizione universale, nella sua forma pura non è formalmente richiesto alcun legame, né territoriale né di nazionalità, con la commissione del crimine e nemmeno la presenza del sospettato sul territorio dello Stato che intende procedere. Esso è stato ad esempio alla base degli importanti processi celebrati in Germania negli ultimi anni, riguardanti i crimini contro l’umanità commessi in Siria (da cittadini siriani contro cittadini siriani). Crimini di guerra e contro l’umanità possono essere perseguiti in molti Stati europei ed extra europei in base al principio della giurisdizione universale. Sono più rari – a quanto pare una ventina – i paesi che (come, ad esempio, l’Olanda) estendono la propria giurisdizione penale, in assenza di link territoriali, al crimine di aggressione . In proposito, occorrerà vedere nelle prossime settimane se alle notizie sull’avvio di indagini in paesi terzi, quali Polonia, Spagna e Germania ne seguiranno altre e che sviluppi avranno. Si può però fin d’ora notare che certamente uno degli ostacoli maggiori, specie rispetto al crimine di aggressione, rimane quello dalle immunità davanti alle corti domestiche il cui riconoscimento si presenta in modo diverso rispetto che ai tribunali internazionali. Sebbene sia ormai diffusa, ma non 40 In tal senso T. TANNENBAUM, Mechanisms for criminal prosecution of Russia’s aggression against Ukraine, in Just Security, 10 marzo 2022. 41 Si veda ancora T. TANNENBAUM, TANNENBAUM, Mechanisms for criminal prosecution of Russia’s aggression against Ukraine, in Just Security, 10 marzo 2022.Si veda S. VASILIEV, Aggression against Ukraine: Avenues for Accountability for Core Crimes, in EJIL:Talk!, 3 marzo 2022.Più diffusamente su questi processi si veda C. MELONI e M. CRIPPA, Torture di Stato in Siria. I procedimenti in corso in Germania per crimini internazionali commessi sotto il regime di Bashar al-Assad, in questa Rivista, 27 luglio 2020.S. VASILIEV, Aggression against Ukraine: Avenues for Accountability for Core Crimes, in EJIL:Talk!, 3 marzo 2022. https://www.thefirstnews.com/article/polish-prosecutors-launch-investigation-into-russias-attack-onukraine-28331.https://www.justiceinfo.net/fr/88438-ukraine-enquete-de-la-justice-espagnole-sur-des-violations-gravesdu-droit-international-humanitaire-par-la-russie.html. https://www.justiceinfo.net/en/88416-german-prosecutors-launch-probe-into-ukraine-war-crimes.html. 10 universalmente accettata, l’opinione che le immunità funzionali non siano applicabili a fronte della commissione di crimini internazionali, questa opinione non comprende solitamente la commissione dell’aggressione, come si evince anche dai lavori della International Law Commission (ILC) dell’Onu sul punto . Sarebbe difficilmente ipotizzabile, ad esempio, un mandato di arresto spiccato da un procuratore di uno stato terzo nei confronti dei vertici russi per la loro responsabilità nella commissione del crimine di aggressione. Infine, è stata delineata un’ulteriore opzione che potrebbe presentare dei vantaggi sia in termini di costi che di fattibilità. Si tratta della possibile istituzione di un tribunale ibrido, creato in seno al sistema giudiziario ucraino con il possibile supporto del Consiglio d’Europa. Tale tribunale ibrido supportato a livello regionale potrebbe assomigliare a quello creato in Senegal a suo tempo per processare l’ex dittatore ciadiano Hissène Habré, che è stato effettivamente un esempio di successo, sebbene vi siano voluti tempi biblici per giungere finalmente alla condanna dell’accusato nel 2016. Gli sviluppi in seno al Consiglio d’Europa degli ultimissimi giorni, tuttavia, rendono questa opzione già meno percorribile, avendo la Russia nel frattempo lasciato tale organo.

5. Dubbi e (alcune, possibili) conclusioni. In questo assai ricco e variegato quadro, non manca chi mette in guardia rispetto ai rischi di avere corti di giustizia che operano a conflitti ancora in corso, addirittura equiparandole a possibili “armi da guerra”. Certamente occorre rimanere vigili rispetto a possibili distorsioni ed abusi della giustizia, se utilizzata per fini che non le sono propri. Personalmente continuo a ritenere che l’avvio tempestivo delle indagini da parte della Corte penale internazionale nella situazione in questione sia un dato molto positivo e che la Corte sia uno strumento concreto e promettente attualmente a disposizione per accertare le responsabilità dei tanti crimini (prima facie) commessi in relazione all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Mi convince il fatto che si tratta di un tribunale indipendente, quindi non imbrigliato dalla paralisi dell’Onu, ed istituito ex ante e per mezzo di un trattato. Fondamentale è inoltre l’irrilevanza davanti alla Corte di qualsiasi immunità, compresa quella dei capi di Stato o di Governo, ai sensi dell’art. 27 dello Statuto. È chiaro che la Russia è sempre più isolata a livello internazionale e che si sta verificando quello che Oona Hataway e Scott Shapiro, due professori di diritto di Yale, hanno ben descritto nel loro libro “The Internationalists” come “outcasting”; ossia una alternativa non violenta di fronte alle violazioni implicanti l’uso della forza militare da https://www.cambridge.org/core/journals/american-journal-of-international-law/ajil-unbound-bysymposium/the-present-and-future-of-foreign-official-immunity.https://documents-dds ny.un.org/doc/UNDOC/LTD/G17/186/33/PDF/G1718633.pdf?OpenElement. 50 K.J. HELLER, The best option: an Extraordinary Ukrainian Chamber for aggression, in Opinio Juris, 16 marzo 2022. 51 https://www.hrw.org/tag/hissene-habre. 52 M. DONINI, Sottoporre gli Stati al diritto per non tornare al diritto di guerra, in questa Rivista, 17 marzo 2022. 11 parte di uno Stato che consiste nel: “denying the disobedient the benefits of social cooperation and membership” 53 . In questo quadro, in cui la Russia di fatto è già stata posta fuori dall’ordine giuridico mondiale, un mandato di arresto internazionale, in ipotesi anche nei confronti dei massimi vertici militari e politici russi per crimini di guerra o crimini contro l’umanità, non è affatto uno scenario impossibile, al di là delle difficoltà di esecuzione. C’è davvero ancora spazio per Putin nello scacchiere mondiale? Ci sono margini per scendere a patti? Se crediamo nel processo che è stato avviato da Norimberga in avanti, non possiamo che auspicare che i meccanismi della responsabilità, anche individuale, anche penale, vengano effettivamente applicati tempestivamente a fronte delle violazioni del diritto internazionale di tale gravità e distruttività. Piuttosto, ciò che preoccupa in questi giorni, in cui la forza e compattezza della risposta sul piano internazionale all’aggressione della Russia è pressoché totale, è riflettere sulla mancanza di altrettanta forza e compattezza di fonte ad altre situazioni di violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani che possono per molti aspetti dirsi altrettanto gravi. Situazioni ove è mancata la risposta compatta, ove non si è riusciti ad imporre sanzioni, ove non si è voluto procedere ad istituire un tribunale internazionale e in molti casi neanche un meccanismo di indagine. Situazioni dove i profughi non sono stati affatto accolti bensì criminalizzati e respinti, dove persino la solidarietà nei confronti delle vittime dei crimini è stata mistificata al punto da essere vista con sospetto. Situazioni in cui abbiamo continuato a fare affari, a esportare armi, a ricompensare con accordi economici sempre più vantaggiosi, paesi con una costante e lunga storia di disprezzo dei diritti fondamentali e dei principi generali del diritto internazionale. Porsi la domanda obbliga a risposte scomode, che non vogliamo forse accettare, perché non è facile spiegare fino in fondo cosa abbia fatto la differenza tra la (sacrosanta) attenzione per l’Ucraina oggi e la mancanza di altrettanta attenzione per l’Afghanistan, l’Iraq, la Palestina, lo Yemen, il Myanmar, la Siria e le altre situazioni di conflitti in relazione ai quali abbiamo enormi responsabilità anche per non essere stati in grado di reagire adeguatamente e tempestivamente alle violazioni commesse. In conclusione, in questi giorni violenti e confusi, forse la lettura più illuminante e scomoda che posso consigliare è l’articolo di Ralph Wilde, docente di diritto presso l’Università di Londra, che ci inchioda con le sue puntuali riflessioni che confutano le presunte scuse avanzate per tentare di giustificare una irreparabile mancanza di coerenza nella risposta del diritto dello Stato venerdì 17 marzo 2023
 

Sulla Contestazione della deportazione ed il trasferimento illegale di bambini dall’Ucraina alla Russia

Non si tratta di reati commessi e non più reiterati. “La condotta oggetto della presente situazione - spiega il presidente del Tribunale Piotr Hofmański - è presumibilmente in corso e che la conoscenza pubblica dei mandati può contribuire a prevenire l’ulteriore commissione di crimini”.

V’è da rilevare che: il primo anno di inchiesta della Commissione internazionale indipendente sull’Ucraina ha concluso il suo primo anno di indagine con una relazione che parla di «crimini di guerra che includono uccisioni volontarie, attacchi a civili, reclusione illegale, torture, stupri, trasferimenti forzati e deportazione di bambini». Per quella che viene definita: «ipotesi di genocidio», condensata in 18 pagine, corredate da centinaia di allegati fotografici, filmati, esami balistici e di medici legali.

In una lunga nota il procuratore capo Karim Khan ha spiegato cosa ha condotto il suo ufficio a chiedere l’arresto di Putin. “Sulla base delle prove raccolte e analizzate nell’ambito delle indagini indipendenti, la Camera preliminare ha confermato che esistono ragionevoli motivi per ritenere che il Presidente Putin e la signora Lvova-Belova - spiega Khan - siano responsabili penalmente della deportazione e del trasferimento illegali di bambini ucraini dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa”. Gli episodi identificati includono la deportazione “di centinaia di bambini prelevati da orfanotrofi e case di accoglienza. Molti di questi bambini, secondo noi, sono stati dati in adozione nella Federazione Russa. La legge è stata modificata nella Federazione Russa, attraverso decreti presidenziali emanati dal Presidente Putin, per accelerare il conferimento della cittadinanza russa, rendendo più facile l’adozione da parte di famiglie russe”. All’epoca dei trasferimenti forzati “i bambini ucraini erano persone protette dalla Convenzione di Ginevra”, ricorda Khan. In altre parole, la loro identità e i loro legami non erano “a disposizione” per le adozioni all’estero senza prima verificare l’effettiva esistenza di familiari o altri adulti di riferimento o ancora la disponibilità delle autorità ucraine a farsene carico. Non si tratta di episodi, ma di un piano con modalità e ordini precisi. “Nella nostra richiesta abbiamo anche sottolineato che la maggior parte degli atti di questo schema di deportazione - aggiunge il procuratore capo - sono stati effettuati nel contesto degli atti di aggressione commessi dalle forze militari russe contro la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, iniziati nel 2014”. Le ricadute di questi crimini e “l’impatto umano è emerso chiaramente anche durante la mia ultima visita in Ucraina. In quell’occasione - ricorda -, ho visitato una delle case di accoglienza da cui sarebbero stati prelevati i bambini, vicino alle attuali linee del fronte del conflitto. I racconti di coloro che si erano presi cura di questi bambini e i loro timori su cosa ne fosse stato di loro hanno sottolineato l’urgente necessità di agire”.

Alla base della drammatica guerra che il presidente russo Vladimir Putin sta scatenando contro l’Ucraina, c’è una grave violazione del diritto internazionale: il riconoscimento da parte della Russia delle repubbliche separatiste del Donbass.  Facciamo il punto con il prof. Fabrizio Marrella, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione europea al Dipartimento di Economia di Ca’ Foscari. Professore, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia può trovare fondamento nel diritto internazionale? Il professore ritiene che: Separando la retorica politica dalle norme, qui siamo di fronte a gravissimi illeciti di diritto internazionale in quanto la Federazione Russa ha ampiamente superato la strategia della pressione (con esercitazioni militari entro i propri confini) finalizzata ad ottenere una super-negoziazione circa la neutralizzazione dell’Ucraina. Come in un tragico spettacolo teatrale, dapprima, in un lungo discorso televisivo il Presidente Putin ha annunciato il “riconoscimento” - ma solo da parte della Federazione Russa - delle c.d. Repubbliche separatiste del Donetsk e Luhansk- nell’Ucraina orientale - come Stati indipendenti. Poi, ha annunciato la firma di trattati di amicizia e mutua assistenza con i due presunti “Stati indipendenti”. Si tratta di un gravissimo atto di ostilità nei confronti dell’Ucraina in quanto si tratta di due regioni dell’Ucraina e non si tratta affatto di Stati dal punto di vista del diritto internazionale. Immaginate se l’Austria facesse lo stesso con l’Alto Adige! Quei trattati peraltro sono invalidi e sono conclusi con dei Governi fantoccio. Ulteriore paradosso è che, all’epoca della redazione del celebre parere della Corte internazionale di giustizia circa la dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, proprio la Russia aveva riaffermato il principio fondamentale dell’integrità territoriale degli Stati. Un’eccezione può concepirsi solo a determinate condizioni.Tuttavia, tali condizioni dovrebbero essere limitate a circostanze veramente estreme, come un attacco armato totale da parte dello Stato -nel ns caso l’Ucraina- che, minaccia l’esistenza stessa del popolo in questione. In caso contrario, dovrebbero essere compiuti tutti gli sforzi per risolvere la tensione tra lo Stato territoriale e la comunità etnica interessata nel quadro dello Stato esistente.” (par. 88 della memoria scritta dalla Federazione Russa).

L’ultimo atto, infine, è l’aggressione che, iniziata con delle manovre militari, si è tradotta in una vera e propria invasione dell’Ucraina. Parliamoci chiaro: un’operazione del genere necessita un anno e mezzo di preparativi, non certo di un paio di settimane di chiacchiere politiche in tv. A questo punto, siamo di fronte a una palese violazione dell’art. 2, par. 4, della Carta dell’ONU, ai sensi del quale gli Stati Membri, dunque anche la Russia, “devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”. Com’è noto, le eccezioni a tale divieto si basano sull’art.51 della Carta ONU e prevedono la legittima difesa individuale (dell’Ucraina) o collettiva (in questo caso della NATO se attaccata, l’Ucraina però non è uno Stato membro della NATO). Ma qui siamo di fronte ad una guerra di aggressione che, oggi, oltre che illecita, è un crimine internazionale.

Ma allora come giustifica la Russia la propria condotta? Per conoscere alcune delle principali motivazioni addotte dal Presidente Putin, basti ascoltare il discorso del 24 febbraio 2022 in cui egli lamenta le violazioni gravi del diritto internazionale commesse dagliOccidentali” a trazione statunitense negli ultimi vent’anni: dalla seconda guerra in Irak (un’invasione basata su prove inesistenti), alla caduta del regime di Gheddafi in Libia o ancora al disastro della Siria e dell’Afghanistan. Indubbiamente sono stati commessi dei gravi errori di diritto internazionale in tali recenti – criticati in Europa - interventi militari dell’ “Occidente” e sussistono gravi responsabilità (peraltro in parte “coperte” dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU ove però i Russi non hanno esercitato in pieno il loro diritto di veto). Ciò però non giustifica oggi in alcun modo l’invasione dell’Ucraina.  Intendiamoci bene: dai documenti declassificati americani, tedeschi, inglesi e francesi, è chiaro che dai tempi di Gorbaciov, la Nato promise ai leader del Cremlino che non si sarebbe mai allargata verso Est. Il Presidente Putin l’ha ricordato più volte: la NATO ha violato quel patto – una sorta di nuovo (e segreto) accordo di Yalta – inglobando molti Stati dell’Europa dell’Est, gli Stati baltici, provandoci in Georgia ed ora, appunto, tentando di espandersi in Ucraina. E questo è stato un grave errore di valutazione politica da parte dei Paesi NATO. Ma se si può comprendere la rabbia del Cremlino, aumentata dalle sanzioni adottate da molti Paesi occidentali (a cui fanno riflesso le controsanzioni russe), non si può in alcun modo giustificare una guerra convenzionale fratricida per arrivare alla neutralità dell’Ucraina. Ex iniuria ius non oritur! (da un atto illecito non può nascere un diritto).

Senza dubbio, quanto è accaduto cementa la coesione degli Stati membri dell’Unione europea e rafforza quella degli Stati membri della NATO che d’improvviso ha ritrovato tutta la sua raison d’être (si ricordi che il Presidente Macron aveva recentemente affermato che la NATO era in stato di morte cerebrale!). Chi avesse avuto dei dubbi sull’Unione europea e sulla necessità di sviluppare le sue competenze anche nel senso di un’ “Europa militare -ovvero d’armi-” (ossia della difesa) oggi non può più esitare: ne va della nostra sopravvivenza collettiva nonché dell’autonomia decisionale del nostro continente che deve essere in grado di mediare nelle grandi crisi internazionali (oggi la Russia, domani la Cina) solo se è unito, anche all’interno della NATO. Si è visto, poi, quanto sia inutile organizzare dei vertici bilaterali Francia-Russia, Germania-Russia, Italia-Russia etc.: gli Stati europei ormai contano solo se stanno insieme. E non dimentichiamoci che anche i Russi sono europei ed è partendo dalle comuni radici europee che può essere possibile costruire la pace in via multilaterale.
 

Ai posteri la reale sentenza. Qual è il ‘pacchetto di sanzioni’ che l’UE si appresta ad attuare contro la Russia? 

 Si discute di un rafforzamento forte delle sanzioni economiche nei confronti della Russia ed il Consiglio UE ha già adottato una prima risoluzione di condanna. Dal 2014, a partire dall’annessione della Crimea e della destabilizzazione dell’Ucraina, l’UE impone diversi tipi di misure restrittive: misure diplomatiche; misure restrittive individuali (congelamento dei beni e restrizioni di viaggio di persone blacklisted); restrizioni alle relazioni economiche con la Crimea e Sebastopoli (divieti di importazione ed esportazione); restrizioni alla cooperazione economica. Si tratta di reazioni all’illecito internazionale che possono essere aumentate ben oltre il livello a cui sono fissate ora. Ma si badi bene, per essere efficaci, non bastano la UE, gli USA ed eventualmente l’Australia; finora ben poco hanno fatto gli altri Paesi, da quelli dell’America latina agli Stati africani a molti Paesi asiatici. Sarà interessante verificare la posizione della Cina che, oggi alleata della Russia, potrebbe persino approfittare di tale precedente in vista delle proprie mire su Taiwan e sul Mar della Cina meridionale. Nel suddetto contesto, e, nonostante il deciso monito del Segretario Generale ONU Guterres, il Consiglio di Sicurezza è oggi, tecnicamente bloccato: presieduto proprio dalla Russia, con il veto di quest’ultima non può adottare alcuna risoluzione a tale riguardo. Ciò rende lo spettro di una hobbesiana bellum omnium contra omnia un po’ più reale e speriamo che tutti abbiano imparato qualcosa dalla storia di due guerre mondiali (si rilegga il Preambolo della Carta dell’ONU). E’ fuori discussione che, saranno guai per le nostre imprese che commerciano con la Russia perché le nuove sanzioni economiche colpiranno i loro contratti internazionali e provocheranno numerose controversie. Giunto ormai il tempo di un sano check up contrattuale con dei professionisti specializzati in diritto internazionale.

*Pasquale De Sena, professore ordinario di Diritto internazionale presso l’università di Palermo. Presidente della Società italiana di Diritto internazionale e di Diritto dell’Unione europea (2021). 

Giuseppe Amara  Professor De Sena, Nelle ultime settimane abbiamo registrato dichiarazioni che sembrano ulteriormente aggravare lo scacchiere politico internazionale e che inducono taluno a ritener che sia in atto una “guerra per procura”. Penso, in particolare, alle parole del segretario della difesa Lloyd Austin il quale ha detto: “vogliamo vedere la Russia indebolita al punto di non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina”. Queste dichiarazioni modificano gli scenari? Introducono logiche preventive compatibili con il diritto internazionale?  Ancora: L’art. 5 del Trattato Nato prevede che un attacco armato contro uno o più stati aderenti in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti e, di conseguenza, scaturirà un obbligo di assistenza, anche militare se necessario. Ritiene che tale disposizione possa essere attivata nell’attuale emergenza, anche a mente il successivo art. 6 e le dichiarazioni di Putin che, più volte, ha ribadito come verranno ritenuti obiettivi militari legittimi i mezzi di trasporto Usa-Nato che riforniscono di munizioni e armi il territorio ucraino?

Pasquale De Sena  Alla prima questione vorrei rispondere più avanti, essendo questa strettamente legata alla conformità dell’azione del Governo italiano all’articolo 11 della Costituzione. Sulla questione riguardante l’obbligo di assistenza militare, ex-art. 5 del Trattato NATO, va anzitutto detto che tale obbligo è destinato a scattare, non per un incidente – come può essere il caso di un veicolo NATO colpito per errore – né per una scaramuccia che corrisponda ad un uso “minimo” della forza. Ai sensi dell’art. 5, da interpretarsi in connessione con l’art. 51 della Carta dell’ONU (che stabilisce il principio della legittima difesa individuale e collettiva), per attacco armato deve intendersi l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato. L’art. 6 del Trattato NATO vi include sì, ed espressamente, i casi in cui un simile attacco sia condotto contro forze terrestri, navali o aeree o di uno degli Stati parti sul territorio di altri Stati parti; ritengo però difficile che la Russia si spinga sino a colpire - per esempio, in territorio polacco - mezzi di trasporto NATO che movimentino armi. D’altra parte, neppure in un caso del genere, l’art. 5 opererebbe automaticamente, se si tiene presente, che nel caso dell’intervento statunitense in Afghanistan, la sua attivazione fu oggetto di una specifica delibera del Consiglio Atlantico; delibera, quest’ultima, che dovrebbe intervenire, a maggior ragione, in un caso come il nostro, date le gravissime implicazioni che esso presenta. Inoltre, vi è da specificare che il Trattato NATO non impone ai membri dell’Alleanza, anche nel caso di attivazione dell’articolo 5, di mandare direttamente truppe in aiuto dell’aggredito. La partecipazione alla difesa militare di uno Stato membro può essere prestata in diverse forme. La mente corre, ancora una volta, all’invocazione dell’articolo 5 dopo l’attacco sul suolo USA alle “Twin Towers”, che fu imputato all’Afghanistan, e che vide i Paesi dell’Alleanza contribuire in forme diverse alle operazioni militari della NATO in quel Paese.

Giuseppe Amara  Ancora, a mente le recenti dichiarazioni di Biden sulle conseguenze di un potenziale attacco cibernetico su larga scala, va modificata la nozione di attacco armato, intendendosi anche quello arrecato in via informatica?

Pasquale De Sena  Non vi sono precedenti che attestino una conclusione del genere. Per quanto riguarda specificamente il trattato NATO, l’articolo 5 è stato attivato – come ho appena detto - solo nel contesto della reazione rispetto all’attacco alle “Twin Towers”, e la sua formulazione testuale risale a un periodo in cui lo stato della tecnologia era molto meno avanzato rispetto ad oggi. Nel 2007 l’Estonia subì una paralisi del suo sistema informatico, di cui quel Paese accusò la Russia, in prima battuta. In assenza di prove inequivocabili di un coinvolgimento russo (diretto o indiretto), l’articolo 5 non venne però invocato. Nell’ipotesi in cui un attacco cibernetico ad un Paese NATO risultasse certamente riconducibile alla Russia, bisognerebbe dunque vedere, se i membri dell’Organizzazione sarebbero pronti ad un’interpretazione estensiva (se non proprio a un’applicazione analogica) dell’articolo 5. Mi pare, peraltro, che una simile operazione risulterebbe giuridicamente plausibile, solo ove l’attacco fosse in grado di produrre effetti affini a quelli di un attacco armato, rivelandosi in grado di pregiudicare l’esercizio delle funzioni sovrane essenziali dello Stato destinatario, ovvero di attentare alla sua indipendenza politica. In mancanza, un attacco cibernetico direttamente sferrato - o tollerato – dalla Russia, pur non rilevando come attacco armato, potrebbe costituire comunque un illecito internazionale, configurandosi, per esempio come una violazione del divieto di ingerenza negli affari interni (se direttamente sferrato), o, secondo alcuni, come una violazione del divieto di utilizzare il proprio territorio per atti nocivi nei confronti di uno Stato straniero (se operato da privati).

Giuseppe Amara  Come cambierebbe lo scenario internazionale con un eventuale ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia e, a mente il disposto di cui all’art. 10 del Trattato, norma che richiede un accordo unanime, come spiega la posizione della Turchia?

Pasquale De Sena  A stare alle dichiarazioni del Presidente della Federazione russa, questa prospettiva non verrebbe considerata, di per sé, una minaccia per la sicurezza di quel Paese. In altri termini, un’eventuale reazione militare parrebbe destinata a commisurarsi rispetto alle implicazioni concrete della partecipazione di Svezia e Finlandia (ad es., installazione di basi missilistiche lungo il confine russo-finlandese), ferma restando, naturalmente, l’eventualità dell’adozione di ritorsioni di vario genere (un cenno non meglio precisato è stato fatto alla prospettiva dell’adozione di reazioni di carattere politico). Sul piano giuridico, non vi è dubbio poi che anche l’opposizione di una sola parte sia in grado di bloccare l’ingresso dei due Stati in questione nell’Alleanza, in virtù della disposizione sopra richiamata.  Né vi è dubbio che il processo di adesione alla NATO possa prendere un certo tempo, com’è accaduto, del resto, per la stessa vicenda relativa all’adesione dell’Ucraina. Di questo Erdogan è perfettamente consapevole, benché non sia chiaro se la dichiarata contrarietà della Turchia alla prospettiva in questione costituisca una mossa “tattica”, ovvero rivesta un valore strategico. Vi è peraltro da sottolineare che un modello in qualche misura alternativo rispetto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO è ricavabile dallo “Statement” bilaterale fra Regno Unito e Finlandia dell’11 maggio scorso. “Statement” nel quale i due Stati hanno stabilito di assistersi vicendevolmente, anche sul piano militare, nel caso di un attacco esterno. Per quanto tale “Statement” non rivesta un carattere formalmente vincolante (né intenda sostituirsi al sistema NATO), esso è senz’altro significativo, e può costituire, per l’appunto, un modello di cooperazione bilaterale, eventualmente suscettibile di essere riprodotto anche sotto forma di trattato, ed idoneo ad operare, già prima che l’ingresso nell’Alleanza si realizzi, ovvero, in grado di affiancarsi a quest’ultima, ove tale ingresso non si realizzasse.

Giuseppe Amara  Intravede, dal segno opposto, un disegno unitario di Cina e Russia per ridiscutere l’ordine giuridico e politico internazionale costituito?

Pasquale De Sena  Non vi è dubbio che Cina e Russia siano portatrici di una visione dell’ordine giuridico-politico internazionale che diverge da quello consolidatosi al termine della guerra fredda, all’insegna dell’unipolarismo statunitense. Una visione che, perlomeno per ora, non sembrerebbe intesa a pregiudicare le Nazioni Unite, e la vigenza dello stesso divieto dell’uso della forza, peraltro clamorosamente violato con l’invasione. Come si evince da un importante documento congiunto fra i due Paesi, adottato il 4 febbraio scorso, si tratterebbe di dar vita ad un assetto non più riconducibile al solo predominio degli Usa e dei loro alleati occidentali, ma multipolare; tale da ammettere, cioè, due o tre poli e le rispettive aree di influenza, connotate dai loro diversi modelli di “democrazia”, dalla parziale diversità dei diritti fondamentali tutelati. L’affermazione di una simile prospettiva è da mettersi anche in correlazione con lo scenario indo-pacifico, nel quale la Cina è interessata ad impedire il costituirsi di alleanze sul modello NATO, e dove la competizione con gli USA è fortissima: ciò spiega l’appoggio dato all’esigenza, fatta valere dalla Russia, di contrastare l’espansione della NATO in Europa orientale.  È difficile dire, peraltro, se la visione in questione darà vita ad una vera e propria strategia unitaria da parte dei due Stati, ed, in particolare, se essa sarà in grado di incidere significativamente – ed in che modo - sulle nozioni di sicurezza internazionale e di minaccia alla pace (art. 39 Carta Onu), così come queste si sono venute configurando negli ultimi trent’anni. È però un dato di fatto che la Cina, non solo si è costantemente astenuta sui progetti di risoluzione di condanna dell’aggressione russa - sia in Consiglio di Sicurezza, che in Assemblea generale ONU - ma si è costantemente opposta alle sanzioni adottate dagli Stati occidentali e dall’Unione europea contro la Russia. Ed è ugualmente un dato di fatto che il numero di Stati che si sono astenuti, insieme alla Cina, in Assemblea generale, non solo è stato di per sé consistente (si pensi che la decisione di sospendere la Russia dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite è stata adottata con 24 voti contrari e ben 58 astensioni), ma corrisponde altresì a più di un terzo della popolazione mondiale. Non ci è concesso invece di prevedere con certezza se quest’insieme di Stati sarà in grado di costituire un ampio blocco contro-egemonico, fondato sui principi cui accennavo poc’anzi, e guidato, in qualche modo, da Cina e Russia.  

Giuseppe Amara  “Considerando la catastrofe che investirebbe tutta l’umanità nel caso di un conflitto nucleare e la conseguente necessità di compiere ogni sforzo per stornarne il pericolo e di prendere le misure atte a garantire la sicurezza dei popoli”. Questo l’incipit del Trattato di non proliferazione nucleare sottoscritto a Londra, Mosca e Washington il 1° luglio 1968. Ritiene che, oggi, vi sia un pericolo reale di un conflitto nucleare e cosa potrebbe provocarlo?

Pasquale De Sena  È una domanda cui, da giurista, non mi riesce facile rispondere. Ciò premesso, mi preoccupa che l’utilizzazione dell’arma nucleare sia stata chiaramente prospettata, in alcune dichiarazioni ufficiali di organi di vertice della Federazione russa, sia pure come “extrema ratio” difensiva, nel caso in cui “interessi vitali”, ovvero l’esistenza di quello Stato dovessero esser messi in pericolo. È chiaro, infatti, che a decidere sul ricorrere di una simile ipotesi non potrebbe che essere la stessa Federazione russa; ed è chiaro, altresì, che la percezione complessiva di una sorta di accerchiamento sanzionatorio e strategico (si pensi, per l’appunto, alla prospettiva di adesione alla NATO di Svezia e Finlandia), da parte occidentale, in risposta all’invasione dell’Ucraina, potrebbe costituire il presupposto di una simile – folle – decisione.

Giuseppe Amara  Esistono – quanto meno in astratto – giustificazioni giuridiche nel diritto internazionale alla guerra di Mosca, con peculiare riferimento alla situazione che, dal 2014, nella regione del Donbass vede contrapporsi forze separatiste filorusse ed esercito ucraino e che, poi, nel febbraio di quest’anno, aveva condotto al riconoscimento delle repubbliche di Lugansk e Donetsk da parte di Mosca ed alla firma di accordi di «amicizia e mutuo soccorso» usati come pretesto per l’inizio dell’invasione?

Pasquale De Sena  No, a mio avviso, nessuna delle circostanze fatte valere dalla Russia costituisce, sul piano del diritto internazionale vigente, una valida causa di giustificazione dell’intervento armato in Ucraina. Non lo è l’argomento della legittima difesa preventiva (argomento già prospettato, in passato, dagli Stati Uniti, nel contesto della “guerra al terrorismo”, seguita all’attacco alle “Twin Towers” del 2001); né lo è il preteso genocidio delle popolazioni russe del Donbass. Ove pure il sussistere di tale genocidio (sconfessato, per ora, sia pure “prima facie”, in sede cautelare, dalla stessa Corte internazionale di giustizia, chiamata a decidere su una controversia fra Russia ed Ucraina a questo riguardo) dovesse essere provato, non vi è alcun elemento certo per concludere che esso avrebbe giustificato l’intervento russo.  A parte la circostanza che tale intervento - perlomeno nella sua prima fase – ha interessato in realtà tutto il territorio ucraino, è da ritenersi che l’uso della forza militare a fini umanitari sia tutt’altro che consolidato sul piano del diritto internazionale, se si pensa che lo stesso intervento militare NATO in Jugoslavia del 1999 – effettuato in assenza di un’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza - venne avversato da una parte consistente della comunità internazionale. Proprio l’insostenibilità delle ragioni fatte valere dalla Russia sul piano giuridico, evidenziano, invece, a mio avviso, come la controversia con l’Ucraina sia essenzialmente una controversia di carattere politico, avente ad oggetto, cioè, il progressivo schierarsi di questo Stato con gli Stati europei occidentali e con la NATO, ed il suo progressivo inserimento nella sfera di influenza degli Stati Uniti, già evidenziato dal ruolo giocato da questi ultimi nei fatti di Piazza Maidan del 2014.    

Giuseppe Amara  Lo scorso 22 aprile è stato firmato un secondo decreto interministeriale sugli aiuti militari per l’Ucraina con apposizione del vincolo di segretezza concordato con il Copasir. Cosa ne pensa? Ha senso parlare di una distinzione nell’invio tra armi difensive ed armi offensive e fino a che punto tali politiche sono compatibili con l’art. 11 Cost.?

Pasquale De Sena  Sul decreto interministeriale del 22 aprile, mi chiedo se il coinvolgimento del COPASIR – che è composto paritariamente da maggioranza e opposizione, e che, come si è giustamente osservato (De Fiores) non è dotato di poteri di indirizzo, essendo preordinato al controllo dei servizi segreti - esaurisca davvero il ruolo che sarebbe proprio del Parlamento. Quanto alla seconda questione, mi pare che, più che sulla distinzione fra armi offensive e armi difensive, abbia senso concentrarsi sulla finalizzazione dell’aiuto militare occidentale all’Ucraina. A seguito delle dichiarazioni rese il 27 aprile scorso dal Segretario alla Difesa americano, Austin, nonché a seguito del vertice NATO allargato di Ramstein ci si può chiedere infatti se tale aiuto, nel suo complesso, abbia solo carattere difensivo, ovvero miri ad una sorta di logoramento della Federazione, onde prevenire altre possibili aggressioni da parte della Russia ad altri Stati, come espressamente affermato da Austin. Così l’azione di legittima difesa tenderebbe a trasformarsi in azione preventiva, in contrasto col diritto internazionale, giacché la prevenzione di aggressioni future attraverso (l’uso e) il contributo all’uso della forza armata non è consentita né dal diritto delle Nazioni Unite (art. 51 della Carta), né dal diritto internazionale generale, che permettono eccezionalmente l’uso della forza, solo in risposta ad attacchi armati già sferrati. Agire a titolo di protezione preventiva di altri Stati finirebbe per assomigliare parecchio, e paradossalmente, proprio all’azione “preventiva”, invocata, come ho detto poco sopra, in modo insostenibile da Putin, per giustificare l’attacco russo, nonché, già in precedenza, dal presidente americano G.W. Bush, per fondare giuridicamente la “preemptive war”, come mezzo di reazione, da parte degli Stati Uniti, al terrorismo internazionale. Malgrado siffatto precedente, però, né la Carta delle Nazioni Unite, né il diritto internazionale generale permettono – lo ribadisco -  di usare la forza o di contribuire all’uso della forza a fini di prevenzione di attacchi armati, per di più a protezione di altri Stati. Ne consegue che, se l’aiuto militare occidentale va orientandosi davvero in questo senso, la partecipazione italiana è suscettibile di entrare in conflitto con l’art. 11, dal momento che tale disposizione va interpretata alla luce della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale generale. L’esigenza di un dibattito parlamentare e un voto sono -sarebbero- di importanza fondamentale, anche perché la continuazione del supporto militare italiano potrebbe fuoruscire, in questa ipotesi, dal (sia pur ampio) mandato conferito al Governo dal Parlamento con la Risoluzione del primo marzo scorso.

Giuseppe Amara nel delucidare la vicenda spiega:  La Corte penale internazionale il 28 febbraio ha aperto un’indagine sui crimini di guerra commessi dalla Russia nell’invasione dell’Ucraina. È noto come, nel 2014 e nel 2015, l’Ucraina – che non è parte della Convenzione di Roma – ha accettato con due dichiarazioni la competenza della Corte per i crimini commessi dalla Russia sul proprio territorio. In particolare, la seconda dichiarazione non indica un limite finale di tempo, divenendo così la base giurisdizionale per la Corte per perseguire (e indagare) i crimini commessi nel territorio ucraino, ad eccezione di quello di aggressione (art. 15 bis par. 5 statuto di Roma). Cosa ne pensa e come opera il personale chiamato ad indagare per garantire un accertamento imparziale?

Pasquale De Sena  Io credo che la repressione dei crimini di guerra e contro l’umanità commessi dai russi, e da chiunque altro sul territorio ucraino (non bisogna dimenticare che gravi violazioni dei diritti umani erano state documentate da una missione OSCE, a carico di milizie ucraine nel corso del conflitto civile nel Donbass), sia una questione seria ed importante; e ritengo altresì che gli accertamenti compiuti dall’Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale diano adeguate garanzie di imparzialità. Mi auguro che altrettante garanzie siano offerte dagli investigatori ucraini - visto che i primi procedimenti per crimini di guerra iniziano ad essere intentati, proprio nell’ambito della giurisdizione ucraina – nonché dagli investigatori russi che, a quanto se ne sa, si stanno occupando di crimini commessi da parte ucraina. A tal fine, come suggerito il 12 aprile scorso da una specifica missione di controllo dell’OSCE, sarebbe opportuno che entrambe le parti indagassero anche su violazioni commesse da propri soldati o ufficiali. E questo, fermo restando che la stessa missione cui mi riferisco, pur ritenendo ancora incerta l’ipotesi di un attacco sistematico alla popolazione civile ucraina – tale, cioè, da far presumere la commissione di crimini contro l’umanità - ha già verificato l’esistenza di violazioni estesissime dei diritti di detta popolazione, da parte russa, tali da far presumere, invece, la commissione, su larga scala, di crimini di guerra, peraltro da accertare caso per caso. Fermo restando che la raccolta delle prove esige un’estrema rapidità, resta allora il dubbio che una fretta eccessiva nell’operare la repressione dei crimini in questione nasconda in realtà - da parte ucraina e da parte russa - la volontà di sanzionare la controparte, più che quella di raggiungere un accertamento obbiettivo di fatti e responsabilità individuali.  Ci si può chiedere poi se l’accento, posto da più parti, sull’esigenza di far operare le responsabilità personali del presidente della federazione russa e dei vertici politico-militari di quest’ultima, pur ispirandosi a principi fondamentali del diritto internazionale vigente, sia tempestiva. Da questo punto di vista, qualche perplessità in effetti, neppure manca di porsi; basti pensare che la prospettiva che si verifichi un “regime change” in Russia non è particolarmente verosimile, e che, perciò, è ipotizzabile che, proprio con costoro, una composizione del conflitto dovrebbe essere negoziata… Simili perplessità investono quindi anche la proposta, avanzata da Gordon Brown, e sottoscritta da molti prestigiosi colleghi di vari Paesi, di istituire un tribunale “ad-hoc” per giudicare il crimine di aggressione commesso da Putin e dai componenti delle istituzioni russe che hanno deciso l’intervento in Ucraina. A parte la difficoltà di immaginare il meccanismo giuridico di creazione di un tribunale di questo tipo (essendo irrealistico, per ovvie ragioni, che sia il Consiglio di Sicurezza a poterlo istituire, ed essendo assai difficile che, in assenza di un “regime change”, un processo possa essere celebrato su altre basi, per esempio convenzionali - come nel caso del Tribunale di Norimberga – ovvero sul presupposto di una risoluzione dell’Assemblea generale, totalmente sprovvista di competenze al riguardo), mi pare evidente che un giudizio a carico di Putin, in questa fase, sarebbe senza dubbio in grado di recare nocumento a qualsiasi prospettiva di tipo negoziale.

Giuseppe Amara  Il segretario generale dell’ONU Guterres, all’indomani della visita a Kiev conclusasi con il lancio di missili russi sulla capitale, ha parlato di fallimento del consiglio di sicurezza. Cosa ne pensa e come l’organizzazione delle nazioni unite può ancora entrare nel conflitto per risolverlo e ristabilire la pace e della sicurezza mondiale?

Pasquale De Sena  In realtà il Consiglio di Sicurezza è stato messo fuori gioco più volte nel corso degli anni 2000; basti solo pensare che l’intervento in Irak del 2003 (cui sono seguiti quasi centomila morti), e lo stesso intervento della NATO in Jugoslavia del 1999, sono stati entrambi effettuati senza il suo avallo. Espressa in questi termini, mi sembra dunque che l’opinione di Guterres provi … troppo rispetto al conflitto in corso, e … troppo poco rispetto al pregresso. D’altro canto la portata dell’aggressione russa è apparsa, sin dall’inizio, tale da poter mettere in discussione – come ho già osservato – non tanto l’ONU in sé e per sé, ma proprio l’evoluzione dell’azione Consiglio di sicurezza prodottasi negli ultimi trent’anni; come pensare, dunque, che proprio il Consiglio di sicurezza avrebbe potuto, in qualche modo, “governare” una crisi simile? A questo si aggiunge poi un’altra considerazione; e cioè che il Consiglio di Sicurezza, pur essendo stato pretermesso - sul piano delle decisioni relative all’uso della forza - sia nella vicenda irachena che in quella jugoslava, si è comunque ritagliato un ruolo, in entrambe le vicende, intervenendo variamente a regolare le situazioni post-conflittuali determinatesi nei territori coinvolti, una volta cessate le ostilità. Un’analoga prospettiva può forse immaginarsi anche per il conflitto in Ucraina; sempre, però, che le condizioni politiche per il raggiungimento della pace vengano a maturare. A tal fine ben poco può il Consiglio, inteso come organo dell’ONU, e cioè come organo di un ente distinto rispetto agli Stati che ne sono membri; è a questi ultimi che spetta operare.

Giuseppe Amara  Cosa ne pensa della questione della qualificabilità e del trattamento come terroristi dei miliziani di Azovstal?

Pasquale De Sena  Anzitutto non mi sembra condivisibile l’argomento secondo cui, seppure i membri del battaglione Azov avessero compiuti atti di terrorismo, essi non sarebbero punibili dalla Russia, perché ricadrebbero nella giurisdizione ucraina (S. Cassese). A parte che l’affermazione è priva di fondamento (dal momento che senz’altro di tali atti saranno stati vittime anche soldati russi, giustificandosi così l’esercizio della giurisdizione da parte di quel Paese, in base al principio della personalità passiva), ragionare in termini di "terrorismo", in un contesto di conflitto armato internazionale, non ha molto senso. Ed infatti, seppure tale battaglione non risultasse inquadrato nell’apparato militare ucraino (ciò che è da accertare), esso si qualificherebbe, con ogni probabilità, come un movimento di resistenza organizzata (ciò che può, certo, non piacere viste le sue tendenze ideologiche), e, dunque, come gruppo di legittimi combattenti. Naturalmente se si accertasse che tale formazione si è comportata in violazione delle norme del diritto di guerra, i suoi membri non avrebbero diritto a beneficiare della protezione dovuta ai combattenti legittimi (art. 4, lettera A, 2), della Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra del 1949).

Il diritto internazionale nell’evoluzione del conflitto in Ucraina. Intervista di Giuseppe Amara a Pasquale De Sena in:  “LE INTERVISTE DI GIUSTIZIA INSIEME.it” , 27 MAY 2022.

Da un punto d’osservazione squisitamente giuridica, occorre sviluppare due osservazioni tra loro complementari.  La Bielorussia, ha messo il proprio territorio a disposizione delle forze russe per lanciare operazioni armate in territorio ucraino, questo Stato si è reso corresponsabile di aggressione (articolo 3 lettera f della succitata definizione di aggressione) 13 ; Ed ancora, nell’ipotesi  vi  sia una violazione grave di una norma imperativa, cui certamente corrisponde l’aggressione contro l’Ucraina, l’art. 41 co. 2 degli Articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati (o Progetto di articoli) impone agli Stati terzi di non riconoscere la situazione creatasi in seguito ad una violazione grave (definita all’art. 40 del medesimo testo) e vieta inoltre di prestare aiuto o assistenza nel mantenere tale situazione.

Ne discende, che è fatto divieto di fornire alla Russia assistenza militare che possa essere utilizzata per portare avanti l’aggressione contro l’Ucraina. Chiarito ciò, è opportuno aggiungere un’osservazione critica su alcune condotte di Paesi occidentali, negli ultimi ventitré anni, alquanto discutibili o in violazione del divieto di uso della forza armata nelle relazioni internazionali. Ci si riferisce alla già menzionata campagna di bombardamenti aerei contro la Serbia, all’invasione dell’Iraq (2003) e all’utilizzo dell’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza all’uso della forza per proteggere la popolazione civile libica, in particolare nell’area di Bengasi, allo scopo di perseguire in realtà l’obiettivo di rovesciare il Governo di Gheddafi (2011)15. Rammentando queste circostanze critiche imputabili ai Paesi occidentali, l’intenzione non è di addurre circostanze attenuanti rispetto all’aggressione in corso contro l’Ucraina, che resta del tutto ingiustificata e ingiustificabile alla luce del diritto internazionale. Bisogna prendere coscienza del fatto che la disinvoltura mostrata da Paesi occidentali nelle crisi  sorte dagli eventi, ha contribuito a danneggiare la qualità della cooperazione all’interno del Consiglio di Sicurezza (un elemento essenziale per la sua efficacia), ha ulteriormente rafforzato una tendenza cominciata in realtà nell’ultimo scorcio del XX secolo, ovvero una progressiva erosione del divieto dell’uso della forza armata nelle relazioni internazionali, e ha infine creato una serie di (pericolosi) precedenti che altri (la Russia nel caso che ci occupa) hanno poi strumentalizzato per i propri interessi e obiettivi.

Le bombe sulla Serbia in relazione alle violazioni massicce dei diritti umani in Kosovo sono del resto diventate discussione di una recriminazione ricorrente nella retorica russa e il riferimento al Kosovo è presente persino nelle argomentazioni relative all’aggressione contro l’Ucraina. Bisogna stare accorti per evitare di cadere nella tenaglia di lasciare supporre o “diagnosticare” una qualche attenuante (inesistente) all’attacco contro l’Ucraina per via degli errori o delle azioni alquanto discutibili da parte di Paesi occidentali, specialmente dal Kosovo a seguire. A dimostrazione del  fatto che proprio la stessa Serbia, alleata storica di Mosca e “sagoma di attacco” dei bombardamenti della NATO nel 1999, ha votato a favore della Risoluzione dell’Assemblea generale del 2 marzo 2022 di condanna (senza se e senza ma) dell’aggressione contro l’Ucraina. diritto-del-commercio-internazionale/ Per un’analisi approfondita, con particolare riferimento alle misure coercitive dell’Unione europea, v. in particolare Mirko Sossai, Sanzioni delle Nazioni Unite e organizzazioni regionali, Roma, 2020, spec. p. 101 ss. Cfr. anche Giulio Pugliese, Japan Responds to Russia’s War: Strong Solidarity with Ukraine with an Eye on China, in IAI Commentaries 22|11 March 2022, Istituto Affari Internazionali (online: https://www.iai.it/sites/default/files/iaicom2211.pdf), nonché Antonio Bultrini, EU "Sanctions" and Russian Manoeuvring: Why Brussels Needs to Stay its Course while Shifting Gears, in IAI Commentaries 20|46 June 2020, Istituto Affari Internazionali (online: https://www.iai.it/sites/default/files/iaicom2046.pdf). 13

L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha dichiaratamente stigmatizzato la partecipazione della Bielorussia nell’aggressione contro l’Ucraina: Consequences of the Russian Federation’s aggression against Ukraine, Opinion 300 (2022) del 15 marzo 2022, punto 18.2, disponibile online: https://pace.coe.int/en/files/29885/html 14 In materia v. inter alios Benedetto Conforti e Massimo Iovane, Diritto Internazionale, Napoli, 2021, p. 418 ss., Andrea Gioia, Diritto internazionale, Milano 2019, p. 473 ss., Carlo Focarelli, Diritto internazionale, Milano, 2021, p. 670 ss. 15 Sulla vicenda libica v. Antonio Bultrini (e i riferimenti ivi citati), Reapprasing the Approach of International Law to Civil Wars: Aid to Legitimate Governments or Insurgents and Conflict Minimization, in Canadian Yearbook of International Law, Vol. 56 2018, spec. p. 200 s., nonché in particolare Natalino Ronzitti, NATO’s Intervention in Libya: a Genuine Action to Protect a Civilian Population in Mortal Danger or an Intervention Aimed at Regime Change?, in The Italian Yearbook of International Law, 2011, p. 9 ss. 5

 A conclusione dell’analisi del primo profilo, è utile aggiungere che la qualificazione dell’azione russa come aggressione o attacco armato16 è rilevante anche analizzando la questione della fornitura di armi all’Ucraina, aspetto che com’è noto coinvolge ormai anche l’Italia. L’Italia è uno Stato terzo, quindi non belligerante, rispetto al conflitto in corso in Ucraina. Il diritto tradizionale di neutralità, parte del diritto internazionale dei conflitti armati, imporrebbe dunque una serie di obblighi di neutralità rispetto ai belligeranti, anche per quanto concerne la fornitura diretta di armi. Malgrado, gran parte della dottrina è del pensiero evidente che nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, le norme tradizionali sulla neutralità subiscano una deroga nel caso di aggressione17 . Nel momento in cui intervenga un accertamento istituzionale a livello delle Nazioni Unite dell’avvenuta aggressione (nel nostro caso la già citata Risoluzione del 2 marzo 2022, vista l’impossibilità per il Consiglio di Sicurezza di pronunciarsi per via del ricorso al potere di veto da parte della Russia sin dal 26 febbraio 202218), gli obblighi di neutralità cedono il passo al diritto di assistere lo Stato aggredito, sempre che quest’ultimo non richieda un intervento diretto a titolo di legittima difesa collettiva da parte di Stati terzi disposti a prestare il loro aiuto (opzione sin qui esclusa nel caso del conflitto in Ucraina). La fornitura di armi da parte dell’Italia va dunque inquadrata in questo contesto giuridico, sebbene i provvedimenti legislativi in trattazione rilevano alcuni vuoti in confronto alla normativa alla compravendita di armi19 .  In una prospettiva di tutela dei diritti umani Putin arrivò al potere nel 1999 (fu nominato primo ministro il 9 agosto), proprio in concomitanza con l’inizio della seconda guerra in Cecenia, che cominciò con pesanti bombardamenti tra agosto e settembre 1999.

Oggettiva la constatazione della brutalità nella condotta delle ostilità in Ucraina purtroppo non è da meravigliarsi e non appare come novità. La seconda guerra in Cecenia, in particolare, fu contrassegnata da gravissime violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario dei conflitti armati, poi accertate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) in una lunga serie di sentenze di condanna della Russia20. Benché la Russia fosse stata ammessa nel Consiglio d’Europa nel 1996, proprio durante la prima guerra cecena (conclusasi – a differenza della seconda - con un accordo tra Governo russo e separatisti), la situazione dei diritti umani in Russia andò degradandosi già a partire dall’inizio degli anni duemila. La giornalista dissidente Anna Politkovskaja venne del resto uccisa nel 2006 (il 7 ottobre, giorno anniversario di compleanno di Vladimir Putin): «A partire dal 1999 Politkovskaja aveva cominciato a seguire il conflitto in Cecenia per il periodico indipendente Novaja Gazeta. Il suo impegno in difesa dei diritti umani, i reportage dalle zone di guerra e la sua opposizione alle derive autoritarie del governo di Vladimir Putin le valsero il Global award di Amnesty International per il giornalismo in difesa dei diritti umani nel 2001, e il premio dell’Osce per il giornalismo e la democrazia nel 2003».

In termini sostanziali I due concetti coincidono in larga misura: Cfr: Maurizio Arcari, Violazione del divieto di uso della forza, pp.475-477. 17 Vedi: Natalino Ronzitti, Diritto internazionale, pp. 349-354; Russia blocks Security Council action on Ukraine, https://news.un.org/en/story/2022/02/1112802.; Carenze evidenziate da Pierfrancesco Rossi, La compatibilità con la Costituzione italiana e il diritto internazionale dell’invio di armi all’Ucraina, SIDIblog, 8 marzo 2022, online: http://www.sidiblog.org/2022/03/08/la-compatibilita-con-la-costituzione-italiana-e-il-dirittointernazionale-dellinvio-di-armi-allucraina/ . Sulle primissime sentenze, relative alla seconda guerra cecena, vedi: Antonio Cassese, I diritti umani oggi, Bari, 2019, pp. 115-120. Vedi inoltre: Philip Leach, A Time of Reckoning? Russia and the Council of Europe, in Strasbourg Observers, 17 marzo 2022, online: https://strasbourgobservers.com/2022/03/17/a-time-ofreckoning-russia-and-the-council-of-europe/. Più precisamente un cessate il fuoco, seguito da un accordo che respingeva il ricorso alla forza e una dichiarazione congiunta che riconosceva addirittura il” diritto universamente riconosciuto all’autodeterminazione delle nazioni”.

 Il giorno in cui perì la libertà di informazione in Russia, Amnesty Italia, 7 ottobre 2019, https://www.amnesty.it/anna-politkovskaja-anniversario-morte/ 6 Il processo, contro gli esecutori materiali, non chiarì chi fossero stati i mandanti. Con sentenza del 21 settembre 2021, la Corte EDU ha attribuito ad agenti dello Stato russo la diretta responsabilità per l’omicidio (nello stesso anno 2006) di Aleksandr Litvinenko, ex agente segreto russo che nel frattempo si era rifugiato nel Regno Unito, dove aveva ottenuto l’asilo politico e la cittadinanza britannica. Negli anni successivi i due omicidi, la parabola repressiva-autoritaria non fece che dispiegarsi. Che rapporto tra il peggioramento della situazione dei diritti umani in Russia e l’aggressione all’Ucraina? Gli eventi bellici in atto confermano  la  validità della lezione di René Cassin, giurista francese che aveva vissuto le due guerre mondiali (la prima l’aveva anche combattuta perdendo una gamba), che partecipò alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti umani e cui nel 1968 venne assegnato il Premio Nobel per la Pace. Orbene, René Cassin aveva detto: “non vi sarà Pace mondiale finché i diritti umani verranno violati in qualche parte del mondo”. Lo stretto rapporto di interdipendenza tra tutela dei diritti umani e Pace fu alla base dei primi passi della realizzazione del sistema internazionale di tutela dei diritti umani. Un regime che vìola i diritti umani è un regime di estrema violenza, la cui aggressività rischia prima o poi di travalicare i confini nazionali, in un modo o nell’altro. Lo abbiamo purtroppo sperimentato numerose volte, dopo la fine della seconda guerra mondiale, da ultimo con riferimento alla spirale di violenza in cui è precipitata la Siria, valicandone poi i confini, e con riferimento all’aggressione contro l’Ucraina. La Russia è ormai fuori dal Consiglio d’Europa, che ne ha prima sospeso i diritti di rappresentanza per poi sancirne definitivamente l’uscita dall’organizzazione a partire dal 16 marzo del 2022 24. Ai sensi dell’art. 58 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), lo Stato che cessa di essere membro del Consiglio d’Europa recede automaticamente dalla Cedu allo scadere di un periodo di sei mesi, dunque il 16 settembre 2022. La Corte EDU resta pertanto competente a ricevere ricorsi contro la Russia fino a tale data e questo comprenderà un numero elevato di ricorsi relativi alla guerra in Ucraina (compreso un nuovo ricorso interstatale dell’Ucraina contro la Russia presentato subito dopo l’inizio delle ultime ostilità), per quanto non ci sia da aspettarsi granché in termini di attuazione da parte della Russia delle sentenze che ne scaturiranno, a meno che non intervengano, a un certo punto, un cambiamento ai vertici dello Stato russo e una significativa svolta politica. Contrariamente, oltre alla prevedibile assenza di cooperazione da parte della Russia nei riguardi delle nuove sentenze della Corte EDU (in violazione comunque del diritto internazionale, si intende), le prospettive per la società russa dal punto di vista dei diritti umani sono in piena oscurità. Peraltro, dopo il 16 settembre 2022 la Corte EDU non potrà più ricevere ricorsi da parte di vittime presunte di violazioni dei diritti umani imputabili alla Federazione russa (nel quadro della sovranità territoriale russo o al di fuori, cioè nell’ambito delle azioni di proiezione extraterritoriale – anche armata - da parte delle autorità e forze russe). La sospensione del ricorso alla pena di morte per ora non viene messa in dibattito, per via di una sentenza della Corte costituzionale russa, ma certamente non è dato conoscere quanto questo potrà protrarsi.

Violazione del diritto bellico e crimini di guerra Com’è facilmente percepibile, il conflitto in corso è accompagnato da una serie impressionante di crimini. Ovviamente crimini di guerra più crimine di aggressione, ma l’impianto accusatorio potrebbe portare a formulare anche l’ipotesi di crimini contro l’umanità. Si discute peraltro, sebbene per ora in una dimensione più politica che tecnico-giuridica, se sia in atto un genocidio ai danni di parte della popolazione ucraina. Vedi: Carter contro Russia, ricorso n. 20914/07. 24 La Russia ha peraltro cercato di precedere l’espulsione, notificando il giorno prima la propria decisione di ritirarsi dal Consiglio d’Europa e di recedere dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tali sviluppi sono riportati nella Risoluzione della Corte europea dei diritti dell’uomo del 22 marzo 2022, disponibile online: https://echr.coe.int/Documents/Resolution_ECHR_cessation_membership_Russia_CoE_ENG.pdf

L’espulsione della Russia era stata peraltro sollecitata anche da parte dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella succitata Opinion 300 (2022) (supra, nota).  Di nuovo, per chi all’epoca abbia seguito specialmente la seconda guerra cecena, la guerra tra Russia e Georgia (2008) e l’intervento diretto della Russia in Siria (a partire dal 2016), la brutalità che si osserva in Ucraina purtroppo non colpisce né tantomeno era incalcolabile ovvero imprevedibile. Le campagne militari in questione sono state contrassegnate da strategie e tattiche intransigenti e disumane per la popolazione civile, con una considerazione pressoché nulla, a volte vuota per la vita umana in generale e dei civili nel particolare. Gli istituti o aziende ospedaliere sono stati (e sono) bersagli mobili, come avvenne in illo tempore in Siria. Non sarà semplice individuare, dettagliare e perseguire i crimini commessi in Ucraina. In generale non è affatto semplice perseguire i crimini internazionali, per via dell’assenza di alcuni automatismi cui si è soliti trovarsi e constatare quando ci si imbatte  nella giustizia penale interna. Ciò nondimeno, rispetto all’Ucraina si stanno ponendo in essere meccanismi ed organismi non soliti e nemmeno di prassi. Né l’Ucraina né la Russia hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale (CPI). La competenza di quest’ultima è territoriale (crimini commessi sul territorio di uno Stato Parte, quand’anche da cittadino di uno Stato non Parte) o personale e singolare (crimini commessi da un cittadino di uno Stato Parte, quand’anche sul territorio di uno Stato non Parte). Il Procuratore della CPI può essere messo in moto anche dal Consiglio di Sicurezza, e questa opzione prescinde dai normali criteri di competenza (sinora è stata usata rispetto al Sudan e rispetto alla Libia, entrambi Stati non Parte), ma, a prescindere da qualunque decisione in tal senso è impossibile e sarebbe non percorribile come strada dato che sarebbe ovviamente bloccata dal veto russo. Tuttavia, con due dichiarazioni successive, notificate nel 2014 e nel 2015 (la seconda senza limiti temporali), l’Ucraina, Stato non Parte, accettò unilateralmente la giurisdizione della CPI ai sensi dell’articolo 12 comma 3 dello Statuto della CPI. Inoltre, 41 Stati Parte hanno chiesto al Procuratore, in base all’articolo 14 comma 1 dello Statuto, di procedere in relazione ai presunti crimini commessi in Ucraina, sulla base delle due dichiarazioni locali-ucraine. Questo ha permesso al Procuratore della CPI di avviare un’inchiesta sulla situazione in Ucraina 25 rispetto ai crimini in relazione ai quali l’Ucraina aveva accettato la giurisdizione della CPI, ovvero crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio; ad esclusione del crimine di aggressione . Il secondo strumento repressivo che si è posto in azione, è quello della giurisdizione universale, ovvero l’esercizio dell’azione penale da parte di tribunali di Stati diversi da quelli individuati su base territoriale (l’Ucraina) o personale (l’Ucraina e la Russia). In particolare, le procure di Germania, Polonia e Lituania hanno già cominciato a indagare. Ucraina, Lituania e Polonia hanno siglato un accordo per l’istituzione di una squadra investigativa congiunta per facilitare lo scambio di informazioni e con l’obiettivo di cooperare anche con la CPI. L’Ucraina, inoltre, si evidenzia, è uno dei dieci Stati terzi che hanno un procuratore di collegamento presso Eurojust. Rimane di certo salva la giurisdizione ucraina (oltreché, teoricamente, quella russa).

A questo punto, è importante osservare che nell’ambito delle attività di supporto urgente e necessario all’Ucraina, il Consiglio d’Europa ha istituito un gruppo di esperti incaricato di fornire alla Procura Generale dell’Ucraina consulenza a livello di strategia giudiziaria rispetto all’attività investigativa relativa alle gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario durante il conflitto in atto27 .Il delicatissimo lavoro di raccolta delle prove è avvenuto senza ritardi od ostruzioni. Oltre alle procure sopra menzionate, sono impegnate fra le altre la Commissione d’inchiesta internazionale indipendente istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, nonché numerose organizzazioni non governative. Ovviamente non è affatto detto che si riesca a portare in giudizio se non altro certi membri responsabili dei crimini commessi in Ucraina, per non parlare del Presidente russo Putin, sia quale comandante in capo delle forze armate. (Vedi: https://www.icc-cpi.int/news/statement-icc-prosecutor-karim-aa-khan-qc-situation-ukraine-additionalreferrals-japan-and; Teoricamente esiste anche la possibilità di istituire un tribunale penale speciale ibrido, ad esempio in base ad un accordo tra Ucraina e Nazioni Unite (analogamente al Tribunale speciale per il Libano) oppure in base ad un accordo tra Ucraina e Unione europea (come nel caso delle Camere specializzate per il Kosovo). Per alcuni cenni sulle giurisdizioni penali internazionali miste v. Rosario Salvatore Aitala, Diritto penale internazionale, Firenze 2021, pp. 38-41. 27 https://www.coe.int/en/web/portal/-/council-of-europe-expert-advisory-group-starts-its-worksupporting-ukraine-s-prosecutor-general-office; Risoluzione 49/1 del 4 marzo 2022. 8 responsabilità di comando, sia quale leader in relazione al crimine di aggressione) .

Tra l’altro, si discute sia degli effetti a breve termine dell’avvio dell’azione penale per crimini internazionali, persino controproducenti secondo alcune analisi, sia della sua effettiva deterrenza30. A fronte delle multiple e sentite necessità con cui si scontrerà l’esercizio effettivo dell’azione penale in relazione ai crimini commessi in Ucraina e contro l’Ucraina, ex ante alla enormità dei crimini commessi, ci si potrebbe interrogare a cosa serva il diritto internazionale umanitario.

 Sir Hersh Lauterpacht osservò che: «se il diritto internazionale, in un certo senso, è il punto di evanescenza del diritto, il diritto dei conflitti armati è, in maniera ancora più evidente, il punto di evanescenza del diritto internazionale.»31 In verità, l’idea secondo cui il diritto internazionale umanitario dei conflitti armati sarebbe poco utile è errata e pericolosa. Nonostante le immense difficoltà applicative, inerenti e collegate al contesto cui si rimanda (ovvero la violenza bellica), il diritto dei conflitti armati (o diritto internazionale umanitario) resta l’ultimo baluardo contro la spirale verso il basso, verso la brutalità senza alcun freno. Rimane semplice constatare la diversità, in termini di sofferenza umana e di distruzione, fra conflitti caratterizzati da un certo grado di ottemperanza ai precetti del diritto umanitario e quelli dove gli argini saltano in misura estesa. In questi ultimi, peraltro, si verificano anche altri fenomeni, quali assorbimento e “normalizzazione” o positivizzazione delle situazioni. In peculiar modo, crimini di guerra impunemente commessi su vasta scala non solo semplificano la commissione di maggiori crimini, ma in più possono ingenerare l’attesa (a sua volta estremamente perniciosa) secondo cui si tratterebbe degli inevitabili residui di ogni conflitto. La Siria è un caso “esempio” da tutti i  punti di osservazione. Si dispone dunque l’esercizio dell’azione penale, seppure nella certezza che sarà un percorso in  strada irta, ma anche se per ora possiamo far udire solo la voce chiara delle norme, questa rimane una voce imprescindibile, precisa e non aggirabile. Lo strumento di lavoro alla base del diritto è naturalmente innanzitutto la parola i termini da usare. Eppure le parole del diritto hanno una loro forza propria. A maggior ragione di fronte ad una tragedia come quella che sta vivendo l’Ucraina, le parole del diritto ci dicono cosa è accettabile e cosa non lo è. Se quella voce non risuona più con forza e con chiarezza, l’inaccettabile rischia di diventare normale e quindi inevitabile, e la strada verso una inarrestabile spirale di violenza e di barbarie, verso la notte della ragione e delle regole è spianata. Vogliamo davvero che a parlare sia solo il linguaggio della forza bruta, come qualcuno va farneticando? In realtà, ora più che mai è urgente far sentire la voce del diritto, con vigore e competenza.  Da notare, a quest’ultimo riguardo, che sebbene la possibilità di perseguire tale crimine sia esclusa per quanto riguarda la CPI, le indagini delle autorità polacche e lituane coprono anche la guerra di aggressione in base ai codici penali di tali Paesi (rispettivamente artt. 110 e 117). Il Codice penale polacco (art. 117) prevede l’applicabilità del diritto penale polacco per quanto concerne reati contro gli interessi della Polonia commessi all’estero da cittadini stranieri (art. 110).

 Al riguardo si vedano, tra gli altri: Charli Carpenter, War Crimes Trials Aren’t Enough, in Foreign Policy, 5 aprile 2022, e i vari contributi sul tema in Diritti umani e diritto internazionale, n. 1/2017, pp. 101-172, n. 2/2017, pp. 435-464, nonché n. 3/2017, pp. 643-744. 31 The Problems of the Revision of the Law of War, in British Yearbook of International Law, 1952, vol. 29, p. 38; Antonio Bultrini su Questione Giustizia.

Intervista al professor Giuseppe Cataldi, docente di Diritto Internazionale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”

L’ostilità tra la Russia e l’Ucraina si inserisce nella più ampia guerra a bassa intensità che va avanti dal 2014. In modo particolare, la guerra nel Donbass costituisce una sorta di precedente di un obiettivo non ancora concluso del presidente russo Vladimir Putin: controllare una parte più ampia dell’Ucraina, tramite la forza militare, la coercizione economica oppure l’intimorimento1. Nel 2014, l’invasione e l’annessione della Crimea sono state il risultato di una contesa che andava avanti sin dall’indipendenza dell’Ucraina, in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. La causa scatenante dell’invasione russa è stata la rivoluzione di Euromaidan, durante la quale migliaia di persone hanno manifestato dapprima contro una decisione del governo Yanukovich (volta a rigettare un accordo di tipo commerciale con l’Unione Europea) e, in un secondo momento, contro il regime filo-russo del Paese, osteggiato dall’opinione pubblica.2 Dopo mesi di tensioni, nell’inverno dello stesso anno, l’amministrazione succitata ha deciso di rispondere con la violenza (etichettata da Putin come “un colpo di Stato incostituzionale e una presa del potere militare”), portando scontri feroci tra le forze di sicurezza e i manifestanti. Tali vicissitudini hanno condotto, il successivo 22 febbraio, alla condanna del presidente Yanukovich da parte del Tribunale ucraino per alto tradimento e, contestualmente, alla nomina del Capo del Governo filo-europeo Arseniy Yatsenyuk. Approfittando dell’instabilità politica locale, la Russia ha spedito centinaia di membri delle forze speciali (noti come “piccoli uomini verdi”), al fine di acquisire il controllo dell’intera Crimea e, successivamente, far cadere il governo locale.3 Il 16 marzo 2014 si è tenuto il contestato referendum che ha sancito l’annessione definitiva della Crimea alla Federazione Russa, senza incassare il riconoscimento dalla comunità internazionale. Tale consultazione popolare è stata considerata illegittima anche dalle Nazioni Unite, in quanto svoltasi con modalità interamente gestite dalla Russia e in circostanze tali da non permettere il libero esercizio del voto.4 Dunque si può osservare come l’attuale scontro in Ucraina, dunque, si inserisca in un continuum che ha origine dalle vicende del 2014.  

Inoltre, è altrettanto rilevante analizzare i recenti accadimenti secondo quell’insieme di regole che disciplina la Comunità Internazionale. Del resto, il diritto internazionale è sorto nel 1648 con la Pace di Vestfalia, la quale ha sancito la nascita dello Stato moderno. L’anzidetta disciplina modella e rende confacente la condotta degli Stati, in quanto soggetti di diritto internazionale, al fine di garantire la pacifica convivenza fra essi. Giuseppe Cataldi, decente universitario di diritto internazionale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, nel tracciare i profili internazionalistici ed europei della suddetta invasione, ha evidenziato le numerose minacce avanzate dalla Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina, nella misura in cui era sotteso l’intento di “denazificare” l’Ucraina e rendere liberi i cittadini, soprattutto quelli del Donbass, dalla loro “madrepatria”. Contraria ai dettami del diritto internazionale sotto diversi aspetti, egli sostiene che sussista un crimine di aggressione alla luce degli ultimi sviluppi. A ciò si aggiunge la chiara violazione del “divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali”, disposta all’interno della Carta delle Nazioni Unite all’articolo 4, par.2 e desumibile dal diritto consuetudinario stesso. L’accademico ritiene che la minaccia dell’uso del nucleare rappresenti un’altra violazione grave nel diritto internazionale e nell’ambito delle convenzioni sul disarmo nucleare. Questo è un aspetto da non sottovalutare all’interno dell’analisi, dal momento che la guerra si basa molto sulla c.d. “sorpresa strategica” dell’altro. L’Ucraina, in difficoltà oggettiva, ritiene che l’interlocutore privilegiato debbano essere le Nazioni Unite presso l’UE e gli Stati, tra cui si annovera, in modo particolare, la Polonia, che si adopera solidalmente nei confronti dei civili ucraini. L’Ucraina, nella lettura dettata dai principi del diritto internazionale, ha il diritto all’autodifesa sulla base dell’art. 51 della Carta ONU. Tale precetto, tra l’altro, può essere esteso anche a quei Paesi che si sentono colpiti indirettamente e che, quindi, hanno il diritto di autodifendersi. Tuttavia, numerosi studiosi credono che la cessione di armi agli ucraini possa destare preoccupazioni, nel lungo periodo, poiché esse potrebbero finire nelle mani di soggetti pericolosi per la sicurezza nazionale e internazionale.
 

La paralisi delle Nazioni Unite

La questione è stata altresì trattata nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Dal momento che il Consiglio di Sicurezza risulta inibito, in quanto la Russia siede a titolo permanente e ha la facoltà di esercitare il suo diritto di veto sulle risoluzioni indirizzate contro sé stessa, la questione si è spostata nell’ambito dell’Assemblea generale (evento di per sé eccezionale). Per questo motivo, tutti i componenti sono stati convocati eccezionalmente a New York per discutere del problema nel modo più equo possibile. Ivi, effettivamente si è visto come la risoluzione, votata da tutti gli Stati, abbia confermato il fatto che la larga maggioranza si sia espressa contro la legittimità degli atti compiuti dalla Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina, sebbene la presenza di alcuni Paesi contrari, come la Siria e la Corea del Nord, o di quelli astenuti, tra i quali, la Cina. In merito a quest’ultima, il docente Cataldi interviene in merito ai rapporti che si potrebbero instaurare, di tipo soprattutto commerciale, tra Cina e Russia sul tema relativo agli approvvigionamenti energetici come il gas. In generale, l’attore cinese tende a non intromettersi negli affari interni dei singoli Paesi, al fine di preservare i propri interessi economico-commerciali, ma dall’altro lato, la Cina potrebbe trarre vantaggio per poter, acquistare la materia (ovvero il petrolio) a un costo minore rispetto a quello di partenza, incrementando le risorse economiche a disposizione della Russia e, conseguentemente, effetti negativi nei confronti dell’Ucraina.

In merito alle ripercussioni personali del Presidente russo, l’esperto di diritto internazionale sottolinea l’effettiva possibilità per quest’ultimo di essere richiamato dinnanzi alla Corte Penale Internazionale, la quale è adibita a giudicare i crimini internazionali generati dagli individui. A tal proposito, infatti, sono trentanove gli Stati, tra cui l’Italia, che hanno sottoscritto la procedura di attivazione della Corte. Si ricordi, a riguardo, la sottoposizione a giudizio della Corte Penale Internazionale ai danni dell’ex presidente Milosevic, in seguito ai fatti avvenuti nel 1999. Il diritto internazionale stabilisce altresì la possibilità di inquisire, in prima persona, lo Stato russo: nel corso della storia, sono esistiti, ed esistono tutt’oggi, diversi Tribunali (a partire dal primo – ovvero a Norimberga – fino a quello dei crimini contro l’ex-Jugoslavia o del Ruanda) adibiti a tale funzione. La Corte dell’Aja, meglio nota come Corte Internazionale di Giustizia, ha la possibilità di giudicare uno Stato per i crimini commessi durante una specifica situazione, individuando così anche le varie sanzioni a cui dovrà sottostare. Tuttavia, il Tribunale è di tipo arbitrale, subordinando il giudizio all’accettazione di un giudice per dirimere la specifica controversia. Poiché la Russia difficilmente si sottoporrà ad un giudizio, si ipotizza che resterà indenne da eventuali condanne nei propri confronti. Ciononostante, in termini di ripercussioni negative, le sanzioni economiche restano elementi chiave nei confronti della Federazione Russa. In merito, il docente Cataldi denota la possibile efficacia alla luce di una effettiva debolezza nel loro complesso. Qualora tali sanzioni colpiranno l’economia russa, anche gli oligarchi vedrebbero effetti patrimoniali di esponenziale rilevanza, costringendo il governo russo a rivedere i piani militari di azione.

Sul versante del Mar Nero, alla luce dello sbocco russo ottenuto all’indomani del referendum di cui sopra, l’esperto di diritto del mare evidenzia che la Crimea avrebbe rappresentato l’ultima ambizione geopolitica dell’amministrazione guidata da Putin, creando non poche perplessità alla luce dei recenti risvolti. Tale azione istituzionale annovera il leader russo nella lista degli aggressori politici internazionali per via delle ripetute violazioni perpetrate: dalla minaccia nucleare a quelle di diritto internazionale umanitario che minano costantemente la stabilità internazionale. Quindi, appare, quale dovere della Comunità Internazionale, delle Nazioni Unite e delle diverse organizzazione regionali, tra i quali OSCE (dalla quale la Russia è stata espulsa forzatamente), elaborare una strategia comune per porre fine alle ostilità e riportare la pace e la sicurezza in termini internazionali.

TANNENBAUM, Mechanisms for criminal prosecution of Russia’s aggression against Ukraine, in Just Security, 10 marzo 2022; R. GOODMAN e R. HAMILTON, Model Indictment for crime of aggression against Ukraine: Prosecutor v. President Vladimir Putin, in Just Security, 14 marzo 2022; C. MC DOUGAL, Why Creating a Special Tribunal for Aggression Against Ukraine is the Best Available Option: A Reply to Kevin Jon Heller and Other Critics, in Opinio Juris, 15 marzo 2022; K.J. HELLER, The best option: an Extraordinary Ukrainian Chamber for aggression, in Opinio Juris, 16 marzo 2022. 11 N. QUENIVET (a cura di), Opinions of (Legal) Scholars on the Conflict in Ukraine. 4 crimini in corso. Il Procuratore ha in quella occasione rimarcato l’importanza di mantenere il contatto con tutti gli attori per potere condurre indagini indipendenti ed efficaci, affermando di avere trasmesso una richiesta formale alla Federazione Russa per incontrare le autorità competenti russe al fine di “discutere l’attuale situazione per quanto concerne il mandato dell’Ufficio [del Procuratore]”12 . Inoltre, altri due Stati-parte, tra cui il Giappone, si sono aggiunti al referral presentato alla ICC in relazione alla situazione ucraina, portando il numero di Stati che hanno preso tale iniziativa a 41. 3.1. Le basi giurisdizionali dell’intervento della Corte. È utile ripercorrere i passi fondamentali che hanno portato all’apertura delle indagini sui crimini commessi nel contesto della situazione in Ucraina. Va infatti ricordato che la presunta commissione di crimini internazionali in Ucraina è stata oggetto di analisi da parte della Procura della Corte già dall’aprile 2014, a seguito dei ben noti fatti del novembre 2013 originati dalle proteste di Maidan.

 Pur non essendo tuttora l’Ucraina uno Stato parte della Corte, non avendone (ancora) ratificato il trattato istitutivo – lo Statuto di Roma del 1998 –, a seguito dei gravi eventi del 2013 l’allora Governo ucraino aveva presentato una dichiarazione ai sensi dall’art. 12(3) dello Statuto della Corte, accettandone la giurisdizione ad hoc13 . Tale meccanismo è previsto e già stato utilizzato da altri Stati in passato per dare giurisdizione alla Corte su fatti specifici, e spesso prelude ad una ratifica vera e propria dello Statuto14 . Nel 2015, l’Ucraina aveva presentato una seconda dichiarazione di accettazione della giurisdizione della Corte con effetto retroattivo, di fatto rinnovando e rafforzando il proprio invito alla Procura ad aprire le indagini sui gravi crimini commessi sul proprio territorio, a far data dal 201315 . Già alla fine del 2020, all’esito di (ben) quasi sette anni di analisi preliminare, l’allora Procuratrice della Corte, Fatou Bensouda, aveva concluso che tutti i criteri previsti dallo Statuto di Roma per l’apertura di una indagine erano integrati16 . L’indagine includeva oltre ai presunti crimini contro l’umanità legati alle proteste di Maidan, anche l’occupazione russa della Crimea. Tuttavia, a tale indagine non era stata assegnata priorità, rispetto ad altre situazioni ritenute in quel momento più urgenti, e non era dunque stata effettivamente avviata. Com’è evidente tutto è cambiato in un lampo: il 28 febbraio 2022 il nuovo Procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, a pochi giorni dall’invasione russa ha prontamente annunciato la decisione di avviare le indagini sui gravi crimini di 12 https://www.icc-cpi.int/20220316-prosecutor-statement-visit-ukraine-poland. 13 Si veda la lettera di accettazione, ai sensi dell’art. 12(3) dello Statuto, del 6 aprile 2014. 14 Sui motivi per cui l’Ucraina non ha ancora provveduto alla ratifica dello Statuto di Roma, si veda A.; WANIGASURIYA, After all this time why has Ukraine not retified the Rome Statute of the International Criminal Court?, in Justice in Conflict, 14 marzo 2022. 15 Si veda la lettera di accettazione sempre ai sensi dell’art. 12(3) dello Statuto, del 8 settembre 2015. 16 https://www.icc-cpi.int/Pages/item.201211-otp-statement-ukraine. 5 guerra e crimini contro l’umanità commessi in Ucraina. Ha sollecitato al contempo gli Stati-parte ad attivarsi per velocizzare l’iter processuale: in presenza di una richiesta (tecnicamente un referral ai sensi dell’art. 13 Statuto Cpi) di uno Stato (o del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, opzione chiaramente esclusa nel caso in questione), in base a quanto previsto all’art. 14 dello Statuto, il Procuratore può infatti avviare le indagini immediatamente, senza dovere attendere un’autorizzazione in tal senso da parte della Camera preliminare (la quale autorizzazione, analizzando la prassi della Corte, impiega circa 4 mesi ad arrivare).