Le sfide della giustizia penale internazionale nel conflitto in Ucraina
Le sfide della giustizia penale internazionale nel conflitto in Ucraina
ABSTRACT
Con il conflitto in Ucraina, la giustizia penale internazionale è stata chiamata dalla Comunità giuridica ad intervenire al fine di accertare e individuare i responsabili dei crimini commessi. In particolare, la Corte penale internazionale è stata chiamata a valutare la sussistenza di crimini internazionali nelle condotte poste in essere da Putin e dai suoi Consiglieri più stretti; contro il primo è stato emesso un mandato di arresto internazionale.
Rimane, tuttavia, scoperto il problema circa l’opportunità o meno di istituire un Tribunale internazionale ad hoc per giudicare del crimine di aggressione di Putin nei confronti dell’Ucraina, stante l’impossibilità per la Corte penale internazionale di giudicare tale crimine, atteso che né la Russia né l’Ucraina hanno ratificato il Trattato istitutivo della Corte, lo Statuto di Roma.
LA GIUSTIZIABILITA’ DEL CONFLITTO UCRAINO DINANZI ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE: LIMITI E PROSPETTIVE
Di fronte alla brutale invasione russa dell’Ucraina, è legittimo chiedersi che senso abbia ragionare in termini di diritto e di responsabilità penali individuali. In realtà, mai come ora è importante interrogarsi sul ruolo della giustizia internazionale di fronte a un conflitto in corso. Quale dunque il ruolo della giustizia (penale) internazionale? [per le considerazioni che seguono si veda C. MELONI, Il senso della giustizia penale internazionale di fronte alla guerra in Ucraina, in Questione Giustizia].
La storia ha insegnato e – con il conflitto in Ucraina – insegna che tutte le guerre, passate e presenti, sono sottoposte a regolamentazione. Potrà suonare controintuitivo pensare che una guerra debba anche trovare una minuziosa disciplina sulle modalità di svolgimento eppure è solo grazie al diritto che si possono circoscrivere gli effetti devastanti prodotti dai conflitti. Con i codici militari prima, e il diritto internazionale umanitario poi, la guerra è stata regolata minuziosamente per limitarne gli effetti devastanti e i danni su coloro che vi partecipano (i combattenti) e su coloro che non vi partecipano (i civili).
Come noto, nel diritto internazionale classico si distinguono lo ius in bello, codificato nelle Convenzioni dell’Aia e di Ginevra del secolo scorso, dallo ius ad bellum, che sancisce le (strette) condizioni sotto le quali il ricorso alla forza armata da parte degli Stati può essere legittimo. A seguito della Seconda guerra mondiale, gli Stati hanno solennemente deciso che il ricorso alla guerra è proibito, salvo che per autodifesa o in caso di autorizzazione dell’Onu all’uso della forza, come previsto dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945.
Il passo successivo è stata la criminalizzazione delle violazioni di queste regole, in origine rivolte solo agli Stati. Non più, dunque, solo una responsabilità degli Stati sul piano internazionale ma, in caso di gravi violazioni di tali regole, anche una responsabilità individuale di natura penale per i responsabili di tali violazioni. Proprio sull’onda di tale evoluzione, la maggior parte dei commentatori conviene sul fatto che l’invasione russa dell’Ucraina sembra prima facie integrare la definizione di «aggressione» di cui all’art. 8-bis dello Statuto della Corte penale internazionale, intendendo quel crimine posto in essere “da una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945”. Con “atto di aggressione” si intende “una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945”.
A seguito dell'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito della Federazione russa, 43 Stati parte dello Statuto di Roma, compresa l'Italia e tutti gli Stati membri dell'Unione europea, hanno adito la Corte penale internazionale (CPI) chiedendo al procuratore della CPI di indagare in relazione a condotte qualificabili (anche) come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio commesse in Ucraina, ai sensi degli articoli 13 e 14 dello Statuto di Roma.
Il 28 febbraio 2022 il nuovo procuratore della Corte penale internazionale, l’inglese Karim Khan, ha annunciato la decisone di avviare le indagini sui gravi crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Ucraina. In base a quanto previsto all’art. 14 dello Statuto, il procuratore può infatti avviare le indagini immediatamente, senza dovere attendere un’autorizzazione in tal senso da parte della Camera preliminare (la quale autorizzazione, analizzando la prassi della Corte, impiega circa 4 mesi ad arrivare).
Come statuito nel Trattato istitutivo della Corte, la CPI può esercitare la propria giurisdizione sui crimini internazionali commessi nel territorio di uno Stato parte o da un cittadino di uno Stato parte (art. 12 dello Statuto di Roma). A ben vedere, tuttavia, né la Russia né l’Ucraina sono Stati parti della CPI: entrambe hanno firmato, ma non ancora ratificato lo Statuto di Roma.
Nonostante ciò, al fine di non vanificare la tutela dei crimini internazionali, lo Statuto di Roma contempla la possibilità che uno Stato, anche se non parte dello Statuto, possa accettare la competenza della CPI e collaborare con la Corte, tramite una formale dichiarazione depositata presso la Cancelleria della Corte (art. 12(3) dello Statuto), solo però in relazione ai crimini internazionali previsti dall’art. 5 (crimine di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra). Rimane, dunque, escluso che tale meccanismo possa operare con riguardo al crimine di aggressione.
Da qui, alcuni osservatori hanno prontamente sottolineato alcuni limiti che potrebbero pesare ed incidere sull'efficacia del lavoro della CPI. Da un lato, non permettendo lo Statuto di Roma di celebrare processi in absentia, appare al momento impossibile immaginare di poter ottenere la custodia dei presunti colpevoli, così come appare molto complicato, anche in presenza di prove affidabili, andare oltre il coinvolgimento di militari e ufficiali dell'esercito russo.
L'indagine, poi, si limita a presunti crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, ma - allo stato attuale - non è possibile per la CPI esercitare la propria competenza sul crimine di aggressione: anche se la definizione del crimine è stata inserita all’art. 8-bis dello Statuto di Roma nel 2010, tale crimine è soggetto a un regime di giurisdizione rafforzato che richiede che gli Stati coinvolti siano membri della Corte, e - purtroppo, come visto - non è il caso di Russia e Ucraina (quest’ultima ha solamente accettato la giurisdizione della Corte ma senza aver ancora ratificato lo Statuto di Roma).
Dunque, la possibilità per l’Ucraina di ricorrere alla Corte Penale Internazionale per domandare giustizia in ordine agli efferati crimini internazionali commessi dal governo Russo c’è ed è possibile con riferimento ai crimini di guerra e contro l’umanità (che toccherà alla Corte verificare se integrati nei termini di quanto richiesto dallo Statuto); più in forse se la medesima possibilità possa sussistere nei confronti della singola persona di Putin e dei Consiglieri a lui più stretti. Sicuramente, salvo la ratifica dello Statuto da parte dell’Ucraina, allo stato non è possibile che la CPI si pronunci sul crimine di aggressione commesso dalla Russia nei confronti del popolo ucraino.
IL CRIMINE DI AGGRESSIONE E IL PROBLEMA GIURISDIZIONALE: ISTITUZIONE DI UN TRIBUNALE AD HOC PER I CRIMINI RUSSI?
Frutto di un difficile compromesso fra gli Stati, raggiunto nell’accordo di Kampala del 2010, il crimine di aggressione è stato inserito attraverso emendamenti alla Convenzione, prevedendo però - come sopra anticipato - delle particolari limitazioni alla giurisdizione della Corte penale.
Mentre per i crimini di guerra, per il genocidio e per i crimini contro l’umanità, c’è la possibilità che uno Stato che non fa parte della Convenzione dichiari di accettare la competenza della Corte, (come ha fatto appunto l’Ucraina), lo stesso non avviene per i crimini di aggressione. “Con riferimento a uno Stato non Parte del presente Statuto”, (recita l’art. 15 bis paragrafo 5) “la Corte non esercita il proprio potere giurisdizionale su un crimine di aggressione quando quest’ultimo è commesso da cittadini di tale Stato o sul suo territorio”. La formulazione della norma è dovuta alla preoccupazione delle grandi potenze di essere coinvolte nella giurisdizione della Corte Penale per crimini di aggressione: fu proprio una specifica richiesta degli Stati Uniti, ad escludere l’automatica giurisdizione della Corte penale sui crimini di aggressione, imponendo che entrambe le parti (le persone che aggrediscono e il territorio aggredito) abbiano accettato gli emendamenti di Kampala.
Da qui, la necessità espressa dalla Comunità internazionale - e la richiesta esplicita da parte dell'Ucraina nelle diverse sedi - di ricorrere all'istituzione di un tribunale ad hoc per il crimine di aggressione rispetto alla Federazione russa [per maggiori approfondimenti, v. V. CURIGLIANO, La giustizia penale internazionale e il conflitto in Ucraina: le proposte in campo su un tribunale speciale per il crimine di aggressione, in Astrid online, Servizio Affari Internazionali, Senato della Repubblica, nota n. 1, febbraio 2023].
Sulle modalità di istituzione e sulla natura di tale tribunale, oltre ai diversi orientamenti in dottrina vi sono proposte di varia natura a livello politico: una prima opzione vede la creazione di un tribunale internazionale speciale - con una giurisdizione limitata al crimine di aggressione rispetto all'Ucraina - con il coinvolgimento e la supervisione da parte di organismi internazionali o regionali come l'Assemblea generale delle Nazioni Unite o il Consiglio d'Europa e in costante collaborazione con la CPI o sulla base di un accordo multilaterale specifico. Si tratterebbe di un tribunale penale internazionale speciale competente a perseguire i leader politici e militari russi e bielorussi che hanno pianificato, preparato, avviato la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina, con sede all'Aja, al fine di garantire la complementarità e la cooperazione con la CPI.
Un'altra ipotesi avanzata dalla Comunità internazionale è quella di un tribunale ibrido che opererebbe secondo la legge ucraina - con giudici locali affiancati da giudici internazionali - sempre in accordo con le Nazioni Unite o altre organizzazioni internazionali o regionali e con il pieno supporto operativo e legale della CPI.
A livello eurounitario, anche l’Unione europea - nello specifico, il Parlamento europeo - ha manifestato il proprio orientamento circa l’istituzione di un tribunale speciale. Con la Risoluzione UE del 19 maggio 2022 invita le istituzioni dell'Ue a sostenere la creazione di un "tribunale internazionale speciale incaricato di indagare e perseguire i presunti crimini di aggressione commessi contro l'Ucraina dai comandanti politici e militari della Russia e dei suoi alleati" e si invita la Commissione europea a "sostenere la creazione di un'adeguata base giuridica" per il tribunale e, insieme ad altre istituzioni dell'UE, a fornire "tutte le risorse umane e di bilancio necessarie e il supporto amministrativo, investigativo e logistico per l'istituzione di il tribunale.
Sebbene - come visto - la proposta dell’istituzione di un tribunale speciale internazionale, costituito ad hoc per giudicare il crimine di aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina abbia trovato ampi sostenitori a livello internazionale, anche tale opzione potrebbe andare incontro ad alcune critiche o comunque sollevare alcune perplessità; da un lato, si argomenta, per la mancanza (ontologica e anche economica) di opportunità circa l’istituzione di un suddetto tribunale, dall’altro, per la ritenuta inutilità di un tale strumento [C. MELONI, cit.].
La critica maggiore si fonda sull’argomento per cui il difetto di giurisdizione, nel caso di specie, della CPI sul crimine di aggressione contro l’Ucraina non farebbe, invece, venir meno la giustiziabilità dei crimini di guerra e quelli contro l’umanità, che non rappresenterebbero di certo un ripiego in termini di responsabilità degli attori coinvolti. Inoltre, si ritiene, la prospettazione di un secondo tribunale internazionale che indagherebbe sui medesimi fatti, sebbene impiegando una lente diversa, andrebbe a “depauperare” ed eccessivamente parcellizzare i rispettivi attori coinvolti. Per fare un esempio, è presumibile che le stesse persone sarebbero “wanted” sia dalla Corte penale internazionale (come responsabili per i crimini di guerra e contro l’umanità di sua competenza), sia dal tribunale ad hoc (come responsabili del crimine di aggressione). L’unica soluzione in tal senso sarebbe riservare a quest’ultimo i processi nei confronti dei soggetti in posizione apicale, Putin e pochissimi altri, essendo in effetti l’aggressione per definizione un crimine che può essere commesso solo da individui a livello di comando, e lasciando all’ICC i processi contro i soggetti di rango inferiore. Altrimenti occorrerebbe sequenziare i processi, con un allungamento a dismisura dei tempi della giustizia.
Quanto alle ragioni di dubbia utilità, esse si legano a quanto appena evidenziato: posto che sarebbe necessario arrestare i presunti responsabili del crimine di aggressione per celebrarne il processo, trattandosi dei massimi vertici del Governo russo, tale tribunale potrebbe realisticamente funzionare solo una volta assicurato un cambio di regime (come in effetti è stato per tutti i tribunali ad hoc del passato). A quel punto, tuttavia, probabilmente alcuni degli ostacoli che rendono oggi non processabile l’aggressione davanti alla Corte penale internazionale potrebbero essere rimossi, con la conseguenza che tutti i procedimenti potrebbero essere accentrati davanti alla CPI.
IL MANDATO DI ARRESTO INTERNAZIONALE EMESSO NEI CONFRONTI DI PUTIN
La vasta eco suscitata nei media e nell’opinione pubblica dal mandato di arresto della Corte Penale Internazionale (Cpi) emesso il 17 marzo 2023 nei confronti di Vladimir Putin e della commissaria per i diritti dei bambini della Federazione Russa è destinata a perdurare. Entrambi sono accusati di crimini di guerra per aver consentito o disposto il trasferimento in Russia di minori dai territori ucraini sotto occupazione.
Le responsabilità sono ricondotte essenzialmente a due principali capi d’accusa. Il primo concerne il crimine di guerra di «deportazione illegale della popolazione (bambini)» e di «trasferimento illegale di popolazione (bambini)» dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa, condotta sanzionate dallo Statuto di Roma all’articolo 8 par. 2 lettera a (sub VII), in quanto violazioni gravi alla Convenzione di Ginevra sulla tutela della popolazione civile, e all’ articolo 8 para 2, lettera b (sub VIII), in quanto «violazione alle leggi e agli usi applicabili nel quadro consolidato del diritto internazionale sui conflitti armati internazionali».
L’altro capo d’accusa riguarda invece il tipo di responsabilità soggettiva di cui sono diversamente ritenuti imputabili i due attori. Per il commissario per i diritti dei minori Lvova-Belova si tratta della responsabilità penale configurabile a titolo individuale e anche di concorso insieme ad altre persone (articolo 25, paragrafo 3, lettera a dello Statuto di Roma), il che fa presumere che tanto la Corte dell’Aja quanto le autorità giudiziarie ucraine abbiano in corso altri procedimenti a carico di vari soggetti nei cui confronti potranno adottarsi analoghi provvedimenti.
Più seria e articolata è invece la posizione di Vladimir Putin, dove oltre alla stessa responsabilità a titolo individuale e di concorso viene imputata anche la «responsabilità di comando» prevista dall’articolo 28 dello Statuto di Roma, e segnatamente per avere consentito la commissione dei crimini da parte dei suoi sottoposti civili e militari, e/o per non avere esercitato il dovuto controllo.
Si legge, nella nota rilasciata dalla Corte, che "Vi sono fondati motivi per ritenere che Putin abbia la responsabilità penale individuale per i suddetti crimini, per aver commesso gli atti direttamente, insieme ad altri e/o per interposta persona, e per il suo mancato controllo sui subordinati civili e militari che hanno commesso gli atti" e “che sia nell'interesse della giustizia autorizzare la Cancelleria a rendere pubblica l'esistenza dei mandati, il nome degli indagati, i reati per i quali i mandati sono stati emessi e le modalità di responsabilità stabilite dalla Camera"
Come disposto dallo Statuto della CPI, l’indagato e poi imputato (in questo caso, Putin) non può essere processato in contumacia, ma deve essere consegnato alla Cpi, qualora si trovi in uno Stato che ne abbia ratificato lo statuto. Buona parte dei membri della comunità internazionale lo hanno fatto, ma non alcuni stati chiave, come la Cina e gli Stati Uniti. Tra i membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Cds), solo Francia e Regno Unito hanno ratificato.
In questi termini, dunque, il mandato d’arresto internazionale emesso dalla Pre-trial Chamber della Corte può e deve essere eseguito da ciascuno degli Stati firmatari (e che hanno ratificato) dello Statuto di Roma, in forza del principio della giurisdizione universale. Il mandato d’arresto della Corte penale internazionale rimarrà una spada di Damocle per tutta la vita e ovunque: i crimini internazionali non prevedono prescrizioni o immunità e sono perseguibili senza limiti di territorialità, atteso che qualunque Stato, anche se non ha ratificato lo Statuto, può comunque affermare la giurisdizione della Corte e richiamare i principi del diritto internazionale consuetudinario.
LA PROSPETTIVA ITALIANA E IL DDL SUL CODICE DEI CRIMINI INTERNAZIONALI.
Anche in Italia il Ministero della Giustizia ha deciso di dare un’accelerazione alle iniziative per dare attuazione allo Statuto della Corte penale internazionale, attraverso la formulazione di un Codice dei Crimini internazionali.
Già durante la precedente Legislatura, la Ministra Cartabia aveva istituito la Commissione Ministeriale del “Codice dei Crimini internazionali”, presieduta dal Prof. Francesco Palazzo (Emerito di diritto penale dell’Università degli Studi di Firenze) e del Prof. Fausto Pocar (Emerito di diritto internazionale dell’Università degli Studi di Milano). Si è trattato di un impegno assunto da quel Governo che rispondeva primariamente alla necessità di assicurare l’adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la ratifica, autorizzata con la legge 12 luglio 1999 n. 232, dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale (Cpi), concluso a Roma il 17 luglio 1998 ed entrato in vigore il 1° luglio 2002 [A. PARROTTA, Codice dei Crimini internazionali e prevenzione alla corruzione: uno sguardo d’insieme sullo skyline internazionale, in questa Rivista, luglio 2022].
In data 16 marzo 2023 il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della giustizia, del Ministro della difesa e del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ha approvato il disegno di legge che introduce il codice dei crimini internazionali.
Tuttavia, a sorpresa, il nuovo d.d.l. si limita, in realtà, a prevedere il crimine di aggressione e ad estendere le condotte costituenti crimini di guerra, nonostante l’articolato presentato nel maggio 2022 dalla Commissione “Palazzo- Pocar” contesse una disciplina completa di tutte le fattispecie costituenti crimini internazionali. Con una decisione inaspettata e che solleva numerose critiche sotto diversi profili,1 il Consiglio dei ministri ha, invece, deciso di rinviare ad un ulteriore approfondimento la disciplina inerente ai crimini contro l’umanità ed al crimine di genocidio, senza tuttavia indicare le tempistiche di tale ulteriore intervento normativo. La decisione assume un’importanza tutt’altro che secondaria e lascia incompiuto il tanto atteso adeguamento dell’ordinamento italiano al sistema di giustizia penale internazionale, peraltro in un momento storico particolarmente denso di significato [M. CRIPPA, L’approvazione di un codice dei crimini internazionali “dimezzato”. Le ragioni di un (dis)atteso intervento normativo, in Questione Giustizia].
Sarebbero stati inoltre introdotti, modificando il progetto elaborato dalla Commissione, limiti alla giurisdizione ordinaria nell’ambito del riparto con la giurisdizione militare, così proseguendo nella pericolosa tendenza, che si è già evidenziata in altri settori del diritto umanitario, della progressiva sottrazione alla giurisdizione ordinaria della tutela dei diritti fondamentali.
Tra le delusioni di molti (sebbene non sia ancora definitivamente licenziato sotto forma di legge) c’è chi guarda al futuro con speranza. Se vuole dare un senso compiuto a quel ruolo che svolse per far approvare lo Statuto della CPI l’Italia dovrebbe rilanciare l’iniziativa di una Conferenza diplomatica per la “riapertura alla firma” dello Statuto. Si tratta di un’iniziativa attesa da tempo dalla comunità dei giuristi che hanno a cuore l’idea della giustizia penale internazionale, per cui sarà fondamentale chiamare almeno tutte le altre democrazie del mondo – a cominciare dagli Stati Uniti – a riconoscere e ratificare lo Statuto della Corte, magari anche apportando altri correttivi, che ad esempio eliminino i caveat del Consiglio di Sicurezza su alcune procedure e riaffermino invece un ruolo più incisivo dell’Assemblea generale, conferendo anche maggiore autonomia ed effettività alla giurisdizione della Corte: sarebbe anche questa l’occasione per meglio ricordarlo come lo “Statuto di Roma” [M. DELLI SANTI, Le sfide della Corte penale internazionale nella guerra in Ucraina, in Giurisprudenza Penale Web, 2023, 4].
CONCLUSIONI
Il funzionamento della giustizia penale internazionale è messo, nuovamente e più che mai, di fronte al bivio che da sempre, per sua stessa natura, caratterizza il meccanismo internazionale di risoluzione delle liti davanti alla Corte penale internazionale, ossia quello della giustiziabilità o meno, e con quali forme, di un conflitto come quello in Ucraina nonché di gravi crimini internazionali come quelli commessi sin dall’inizio del conflitto dalla Federazione Russa. Come condivisibilmente affermato, l’architettura disegnata a Roma nel 1998 può funzionare solo se basata su tutti i suoi pilastri, e quindi in primo luogo gli Stati, che dovranno fare la loro parte in questi anni per assicurare che i gravi crimini in corso non rimangano impuniti. Fondamentali saranno, quindi, le indagini e gli eventuali procedimenti a livello domestico, inclusi quelli fondati sul principio della giurisdizione universale, come in Germania, in Spagna o altri Paesi europei. Tutto ciò andrà chiaramente coordinato con possibili meccanismi investigativi istituiti dall’Onu, che avranno il delicato compito di affiancare le procure internazionali e nazionali nel documentare e mettere al sicuro le prove dei crimini commessi in Ucraina [MELONI, cit.]