Proprietà esclusiva o comune di un bene in condominio

I criteri di condominialità definiti dalla legge e dalla giurisprudenza
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La tematica della attribuzione alla proprietà esclusiva od – in alternativa – alla proprietà comune di un bene è al centro di numerose vicende contenziose. Il lastrico solare che può diventare terrazzo a servizio di un’abitazione, il posto auto nel cortile condominiale, il pianerottolo dell’ultimo piano dello stabile abitato da un solo condòmino, sono solo alcuni dei numerosi esempi che caratterizzano le liti sulla natura comune od esclusiva di una porzione di immobile in condominio.

 

I canoni normativi e giurisprudenziali

La norma di riferimento è costituita, come noto, dall’art. 1117 c.c., primo comma, il quale statuisce quali cose “sono oggetto di proprietà comune” così formulando un vero e proprio criterio di attribuzione della proprietà, da non ridursi, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, ad una mera presunzione, che sarebbe in tal caso superabile con una semplice prova contraria, ma sussistono, invece, due strumenti – non meramente processuali, ma di natura sostanziale – per superare tale criterio.

Afferma, infatti, la Cassazione che, “in tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante dall’art. 1117 cod. civ. – il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria – può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo”, ed altresì, aggiunge il Supremo Collegio, “non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari” (Cass. Civ. SS. UU. n. 7449 del 7.7.1993).

L’appartenenza di un bene alla proprietà comune, pertanto, è frutto dell’applicazione normativa dell’articolo del codice civile sopra menzionato, non deriva da una semplice presunzione ed è superabile, pertanto, solamente con due modalità: la produzione di un titolo contrario, che può concretizzarsi nell’atto di acquisto o nel regolamento condominiale di natura contrattuale, oppure – ed è questo un criterio interpretativo giurisprudenziale – dalla oggettiva destinazione della cosa a servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, per le proprie caratteristiche strutturali.

Si tratta, in tale ultima ipotesi, id un accertamento di fatto, che opera il Giudice del merito, non suscettibile di valutazione in sede di legittimità e che pertanto non potrà essere discusso nuovamente in Cassazione.

 

La rivendicazione del bene esclusivo

Per rivendicare la proprietà di un bene sito in condominio quale appartenente in proprietà esclusiva è dunque necessario escludere, in primo luogo, l’applicabilità della c.d. presunzione di condominialità, ancorché così impropriamente chiamata, ovvero, più esattamente, l’applicazione dell’art. 1117 c.c., e dunque che lo stesso, non risulti in alcun modo al servizio delle altre unità immobiliari.

Leggendo la questione dal punto di vista del condominio e citando l’insegnamento della Suprema Corte possiamo affermare che “per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 cod. civ. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova” (Cass. Civ. Sez. II, n. 20593 del 7.8.2018).

Sotto il profilo processuale, sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i condòmini, allorquando si deduce la natura condominiale del bene, alla quale si oppone da parte di uno o più condòmini l’intervenuto acquisto a titolo derivativo in forza di un titolo contrario, od altresì l’intervenuto acquisto a titolo originario per usucapione. (cfr. Cass. Civ. Sez. II n. 15547 del 25.7.2005).