Quel fascino strano dell’Azzeccagarbugli.
1. Sull’attualità della narrazione manzoniana.
<<A noi poverelli le matasse paiono più imbrogliate, perché non sappiamo trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d’un uomo che abbia studiato…>>, sono queste le speranze con le quali Agnese suggerisce a Renzo di tentare la risoluzione del suo caso facendo ricorso all’assistenza di un legale. Il legale è quel dottore che non esiterà a trovare risposta alla domanda dell’incauto Renzo <<Ho capito, - disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito>>. Nell’inciso del narratore è rivelata subito al lettore la bassa statura del leguleio.
All’immagine – già negativa – è data man forte dalla descrizione che il Manzoni fa del pretenzioso studio del dottore: era uno stanzone, su tre pareti, i ritratti di imperatori romani, i dodici Cesari, da Cesare a Domiziano, osservavano l’incauto che avesse preteso di vedersi prospettare soluzioni rasserenanti e, una volta varcata quella soglia, sulla scrivania allegazioni, suppliche, libelli ed un grande scaffale di libri vecchi e polverosi (lo si può leggere ne I promessi sposi, Cap. III).
Come ognuno ben si avvede non si tratta che di un’immagine attinta da un classico della nostra letteratura. Tuttavia l’abilità del Manzoni risiede nell’aver impostato la narrazione su dati ricorrenti dell’esperienza giuridica: l’importanza della fiducia e della reciproca conoscenza nel legame tra cliente e professionista, la difficoltà della comunicazione (la parola è per sua natura portatrice di più significati), il diritto come terreno fertile del dubbio, specie in un contesto storico in cui le stesse fonti del diritto si palesavano (e spesso ancor oggi si palesano!) quale frutto di una caotica sovrapposizione, la necessità che sia rispettato un preciso codice deontologico. Molto di attuale, perciò.
Narra mihi factum, dabo tibi jus è la nota massima che ispira l’operato del tecnico, prima ancora che del giudice, istituzionalmente investito del potere/dovere di decidere. Il talento giuridico, come ci ha ricordato Adolf Reinach (si veda Tre eidetiche del normativo di A. Filipponio, Adriatica, Bari, 2005) risiede proprio nella capacità di individuare nella narrazione in fatto gli elementi utili alla risoluzione del caso, quelli giuridicamente rilevanti, distinguendoli da quelli che non lo sono, esercizio tanto meno fruttuoso quanto più intricate sono le fonti con cui è necessario confrontarsi per attingere soluzioni.
2. Il percorso accidentato degli studi giuridici.
È sogno assai comune, spesso scientemente corroborato dai genitori, quello di intraprendere la professione di avvocato. Per molti, nel Mezzogiorno più che altrove, la professione di avvocato e quella di medico si connotano per inveterata tradizione per la maggiore attrattività.
La tappa necessaria è ovviamente il conseguimento dell’agognata laurea in giurisprudenza. Numerose matricole ogni anno affollano le aule universitarie delle facoltà giuridiche, tocca tuttavia testimoniare come sovente non si tratti di una cupida legum juventus, quanto piuttosto di giovani spesso comprensibilmente confusi su cosa l’università possa loro offrire, che effettuano la scelta tipica di chi non si sente vocato ad alcuno specifico tipo di studi, in assenza di un’attività di orientamento che dovrebbe avere luogo stabilmente nella scuola superiore. Tutto ciò nella persuasione – vera soltanto parzialmente – della varietà si sbocchi occupazionali che una laurea in legge è in grado di offrire.
Ne consegue un senso di smarrimento, certo non mitigato dalla gran mole di studenti, nonché dalle riforme recenti e recentissime che hanno interessato l’ordinamento degli studi giuridici contribuendo a determinare una generale percezione di caos tra docenti e studenti: un meccanismo esiziale per la qualità dell’offerta didattica. Tutto ciò mentre ogni capoluogo di provincia ha ormai una propria sede universitaria e talune facoltà hanno visto moltiplicato irragionevolmente ed irresponsabilmente il numero di cattedre in risposta al moltiplicarsi dei corsi di laurea, rendendo difficile assicurare uniformità del livello di formazione in uscita degli studenti.
3. Le recenti notizie sul concorso per avvocato. L’immaginazione e la realtà.
Sono di questi giorni le notizie giornalistiche circa presunte irregolarità che si sarebbero verificate nelle sedi in cui si sono svolti gli esami scritti, profittando della non contestuale apertura delle buste sigillate nelle diverse sedi d’esame. In sostanza mentre in una sede erano ancora in corso le rituali procedure di identificazione dei candidati, altrove già si procedeva all’apertura delle buste, ciò avrebbe quindi consentito di divulgare in tempo reale attraverso dei semplici computer palmari il contenuto delle tracce ai candidati delle altre sedi. Alla segnalazione di brogli ha dato risalto in particolare il maggiore quotidiano economico del Paese, Il Sole 24 ore.
Ma aldilà di siffatte vicende, che, specie a seguito del segnalato interessamento da parte della magistratura, dovranno essere sottoposte ai doverosi accertamenti, ciò che colpisce è il modo in cui le prove ad oggi vengono svolte. Il numero dei candidati è vertiginoso e questo finisce con il determinare difficoltà pratiche nell’assicurare la serenità delle prove.
Tutto ciò va letto anche alla luce del discutibile convincimento ciclicamente riproposto che gli avvocati ed il numero crescente degli stessi – seppure si registrano timide flessioni nel numero dei candidati rispetto allo scorso anno – rappresentino uno dei principali mali della giustizia in Italia, quasi fossero essi la causa dell’estensione smodata dei tempi del processo: è di questi giorni l’allarme secondo cui la c.d. legge Pinto, ideata per sgravare la Corte Europea di Strasburgo dei ricorsi per irragionevole durata dei processi, grava come una minaccia sulle casse dello Stato.
Recentemente anche dal New York Times (In a Funk, Italy Sings an Aria of Disappointment di Ian Fisher, 13 dicembre 2007) - occupatosi di un disagio più generale - ha toccato temi che non possono lasciare indifferenti quanti si occupano delle tematiche della giustizia in un’Europa affetta da un’elefantiasi normativa (hyper-regulated Europe nelle parole di I. Fisher) ricordandoci che bureaucracy and unclear rules kept United States investment in Italy in 2004 to $16.9 billion, espressione che lascia pensare anche ai tempi astrali con cui in Italia si svolge il processo civile ed ai riverberi sulla capacità italiana di attrarre capitali esteri.
È un esercizio stimolante osservare come occhi diversi dai nostri guardino la realtà nella quale viviamo e verso la quale non esitiamo noi stessi a manifestare disappunto. Non risulterà difficile comprendere come le criticità del contesto normativo in cui ci muoviamo incidano sul modo stesso in cui la professione di avvocato oggi si atteggia e su come si vuole che essa evolva ( si pensi alla necessità della formazione permanente, oggetto di acceso dibattito).
4. Conclusioni.
Legittima è la pretesa di una maggiore formazione degli avvocati, come ancor prima dei laureati in legge, senza ricorrere tuttavia a discutibili strumenti quale il numero chiuso nell’accesso come avvenuto per le facoltà mediche, talora chiamato in causa, quasi fosse una panacea.
Occorre comprendere come la qualità dei professionisti, sia ancor prima condizionata dal modo in cui in questi anni si sono evoluti i percorsi di studio universitari, di come purtroppo ancor oggi (quasi nel 2008!) le università fatichino ad affrontare a livello organizzativo l’ormai antico e positivo fenomeno dell’università di massa che ormai dovrebbe essere stato accettato, valorizzando il potenziale di ciascuno studente nella sua individualità, potenziando gli strumenti di tutoraggio negli anni dell’università ed ancor prima istituzionalizzando l’attività di orientamento nella scuola superiore, perchè ciascuno studente venga messo nella condizione di esprimere le sue potenzialità. Sarebbe altresì necessario fare del placement universitario un effettiva finestra sul mercato del lavoro. Tutto ciò - a mio avviso - contribuirebbe a meglio orientare le scelte degli studenti nel mare magnum dell’offerta universitaria, a immettere nel mercato del lavoro laureati più consapevoli.
La qualità degli studi, quella dei candidati e dei professionisti sono fortemente correlate. Occorre che il legislatore ne prenda atto, facendo propria una prospettiva d’insieme, la stessa che finora è mancato. Tutto ciò forse restituirebbe lustro ad una professione di crescente complessità, innalzerebbe il livello dei professionisti, a tutto vantaggio della collettività.
<<Fra il diritto – che, con le sue stratificazioni e complicazioni, con la molteplicità delle sue fonti, è tutt’altro che un libro aperto e i suoi utenti ed esecutori, il giureconsulto svolge una funzione mediatrice>> (Storia del diritto romano, Mario Bretone, Laterza, Bari, 2001, pag.161), è opportuno rammentare la delicatezza di siffatta mediazione.
1. Sull’attualità della narrazione manzoniana.
<<A noi poverelli le matasse paiono più imbrogliate, perché non sappiamo trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d’un uomo che abbia studiato…>>, sono queste le speranze con le quali Agnese suggerisce a Renzo di tentare la risoluzione del suo caso facendo ricorso all’assistenza di un legale. Il legale è quel dottore che non esiterà a trovare risposta alla domanda dell’incauto Renzo <<Ho capito, - disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito>>. Nell’inciso del narratore è rivelata subito al lettore la bassa statura del leguleio.
All’immagine – già negativa – è data man forte dalla descrizione che il Manzoni fa del pretenzioso studio del dottore: era uno stanzone, su tre pareti, i ritratti di imperatori romani, i dodici Cesari, da Cesare a Domiziano, osservavano l’incauto che avesse preteso di vedersi prospettare soluzioni rasserenanti e, una volta varcata quella soglia, sulla scrivania allegazioni, suppliche, libelli ed un grande scaffale di libri vecchi e polverosi (lo si può leggere ne I promessi sposi, Cap. III).
Come ognuno ben si avvede non si tratta che di un’immagine attinta da un classico della nostra letteratura. Tuttavia l’abilità del Manzoni risiede nell’aver impostato la narrazione su dati ricorrenti dell’esperienza giuridica: l’importanza della fiducia e della reciproca conoscenza nel legame tra cliente e professionista, la difficoltà della comunicazione (la parola è per sua natura portatrice di più significati), il diritto come terreno fertile del dubbio, specie in un contesto storico in cui le stesse fonti del diritto si palesavano (e spesso ancor oggi si palesano!) quale frutto di una caotica sovrapposizione, la necessità che sia rispettato un preciso codice deontologico. Molto di attuale, perciò.
Narra mihi factum, dabo tibi jus è la nota massima che ispira l’operato del tecnico, prima ancora che del giudice, istituzionalmente investito del potere/dovere di decidere. Il talento giuridico, come ci ha ricordato Adolf Reinach (si veda Tre eidetiche del normativo di A. Filipponio, Adriatica, Bari, 2005) risiede proprio nella capacità di individuare nella narrazione in fatto gli elementi utili alla risoluzione del caso, quelli giuridicamente rilevanti, distinguendoli da quelli che non lo sono, esercizio tanto meno fruttuoso quanto più intricate sono le fonti con cui è necessario confrontarsi per attingere soluzioni.
2. Il percorso accidentato degli studi giuridici.
È sogno assai comune, spesso scientemente corroborato dai genitori, quello di intraprendere la professione di avvocato. Per molti, nel Mezzogiorno più che altrove, la professione di avvocato e quella di medico si connotano per inveterata tradizione per la maggiore attrattività.
La tappa necessaria è ovviamente il conseguimento dell’agognata laurea in giurisprudenza. Numerose matricole ogni anno affollano le aule universitarie delle facoltà giuridiche, tocca tuttavia testimoniare come sovente non si tratti di una cupida legum juventus, quanto piuttosto di giovani spesso comprensibilmente confusi su cosa l’università possa loro offrire, che effettuano la scelta tipica di chi non si sente vocato ad alcuno specifico tipo di studi, in assenza di un’attività di orientamento che dovrebbe avere luogo stabilmente nella scuola superiore. Tutto ciò nella persuasione – vera soltanto parzialmente – della varietà si sbocchi occupazionali che una laurea in legge è in grado di offrire.
Ne consegue un senso di smarrimento, certo non mitigato dalla gran mole di studenti, nonché dalle riforme recenti e recentissime che hanno interessato l’ordinamento degli studi giuridici contribuendo a determinare una generale percezione di caos tra docenti e studenti: un meccanismo esiziale per la qualità dell’offerta didattica. Tutto ciò mentre ogni capoluogo di provincia ha ormai una propria sede universitaria e talune facoltà hanno visto moltiplicato irragionevolmente ed irresponsabilmente il numero di cattedre in risposta al moltiplicarsi dei corsi di laurea, rendendo difficile assicurare uniformità del livello di formazione in uscita degli studenti.
3. Le recenti notizie sul concorso per avvocato. L’immaginazione e la realtà.
Sono di questi giorni le notizie giornalistiche circa presunte irregolarità che si sarebbero verificate nelle sedi in cui si sono svolti gli esami scritti, profittando della non contestuale apertura delle buste sigillate nelle diverse sedi d’esame. In sostanza mentre in una sede erano ancora in corso le rituali procedure di identificazione dei candidati, altrove già si procedeva all’apertura delle buste, ciò avrebbe quindi consentito di divulgare in tempo reale attraverso dei semplici computer palmari il contenuto delle tracce ai candidati delle altre sedi. Alla segnalazione di brogli ha dato risalto in particolare il maggiore quotidiano economico del Paese, Il Sole 24 ore.
Ma aldilà di siffatte vicende, che, specie a seguito del segnalato interessamento da parte della magistratura, dovranno essere sottoposte ai doverosi accertamenti, ciò che colpisce è il modo in cui le prove ad oggi vengono svolte. Il numero dei candidati è vertiginoso e questo finisce con il determinare difficoltà pratiche nell’assicurare la serenità delle prove.
Tutto ciò va letto anche alla luce del discutibile convincimento ciclicamente riproposto che gli avvocati ed il numero crescente degli stessi – seppure si registrano timide flessioni nel numero dei candidati rispetto allo scorso anno – rappresentino uno dei principali mali della giustizia in Italia, quasi fossero essi la causa dell’estensione smodata dei tempi del processo: è di questi giorni l’allarme secondo cui la c.d. legge Pinto, ideata per sgravare la Corte Europea di Strasburgo dei ricorsi per irragionevole durata dei processi, grava come una minaccia sulle casse dello Stato.
Recentemente anche dal New York Times (In a Funk, Italy Sings an Aria of Disappointment di Ian Fisher, 13 dicembre 2007) - occupatosi di un disagio più generale - ha toccato temi che non possono lasciare indifferenti quanti si occupano delle tematiche della giustizia in un’Europa affetta da un’elefantiasi normativa (hyper-regulated Europe nelle parole di I. Fisher) ricordandoci che bureaucracy and unclear rules kept United States investment in Italy in 2004 to $16.9 billion, espressione che lascia pensare anche ai tempi astrali con cui in Italia si svolge il processo civile ed ai riverberi sulla capacità italiana di attrarre capitali esteri.
È un esercizio stimolante osservare come occhi diversi dai nostri guardino la realtà nella quale viviamo e verso la quale non esitiamo noi stessi a manifestare disappunto. Non risulterà difficile comprendere come le criticità del contesto normativo in cui ci muoviamo incidano sul modo stesso in cui la professione di avvocato oggi si atteggia e su come si vuole che essa evolva ( si pensi alla necessità della formazione permanente, oggetto di acceso dibattito).
4. Conclusioni.
Legittima è la pretesa di una maggiore formazione degli avvocati, come ancor prima dei laureati in legge, senza ricorrere tuttavia a discutibili strumenti quale il numero chiuso nell’accesso come avvenuto per le facoltà mediche, talora chiamato in causa, quasi fosse una panacea.
Occorre comprendere come la qualità dei professionisti, sia ancor prima condizionata dal modo in cui in questi anni si sono evoluti i percorsi di studio universitari, di come purtroppo ancor oggi (quasi nel 2008!) le università fatichino ad affrontare a livello organizzativo l’ormai antico e positivo fenomeno dell’università di massa che ormai dovrebbe essere stato accettato, valorizzando il potenziale di ciascuno studente nella sua individualità, potenziando gli strumenti di tutoraggio negli anni dell’università ed ancor prima istituzionalizzando l’attività di orientamento nella scuola superiore, perchè ciascuno studente venga messo nella condizione di esprimere le sue potenzialità. Sarebbe altresì necessario fare del placement universitario un effettiva finestra sul mercato del lavoro. Tutto ciò - a mio avviso - contribuirebbe a meglio orientare le scelte degli studenti nel mare magnum dell’offerta universitaria, a immettere nel mercato del lavoro laureati più consapevoli.
La qualità degli studi, quella dei candidati e dei professionisti sono fortemente correlate. Occorre che il legislatore ne prenda atto, facendo propria una prospettiva d’insieme, la stessa che finora è mancato. Tutto ciò forse restituirebbe lustro ad una professione di crescente complessità, innalzerebbe il livello dei professionisti, a tutto vantaggio della collettività.
<<Fra il diritto – che, con le sue stratificazioni e complicazioni, con la molteplicità delle sue fonti, è tutt’altro che un libro aperto e i suoi utenti ed esecutori, il giureconsulto svolge una funzione mediatrice>> (Storia del diritto romano, Mario Bretone, Laterza, Bari, 2001, pag.161), è opportuno rammentare la delicatezza di siffatta mediazione.