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Responsabilità oggettiva della società sportiva: ai fini dell'esenzione non rilevano i modelli di organizzazione ed i protocolli di gestione e di comportamento idonei alla prevenzione degli illeciti sportivi

La disciplina endofederale in tema di responsabilità oggettiva è prevista, in termini generali,  dall’art. 4, c. 2, Codice di Giustizia Sportiva (C.G.S.), in base al quale é stabilito che “le società rispondono oggettivamente, ai fini  disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, c. 5, C.G.S.”, mentre, avuto particolare riguardo alla fattispecie dell'illecito sportivo, l’art. 7, c. 4, C.G.S., stabilisce quanto segue: “Se viene accertata la responsabilità oggettiva o presunta della società ai sensi dell'art. 4, c. 5, C.G.S., il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui alle lettere g) -penalizzazione di uno o più punti in  classifica-, h) -retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato di  competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria-, i) -esclusione  dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica  obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio Federale a uno dei campionati di categoria inferiore-, l) -non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di  campione d’Italia o di vincente del campionato, del girone di competenza o di  competizione ufficiale-, m) -non ammissione o esclusione dalla partecipazione a  determinate manifestazioni] dell’art. 18, c. 1 C.G.S.-”.

In ipotesi di commissione di illecito sportivo, dunque, la sanzione più lieve prevista è quella della penalizzazione di un punto in  classifica, ma l’adozione di protocolli di comportamento, pur rilevante ai fini della graduazione della sanzione, non costituisce e non può mai costituire un’esimente, come alcune società sportive hanno assunto, a sostegno delle proprie difese, in occasione dei recenti procedimenti disciplinari connessi alla vicenda “calcio-scommesse”.

E noto che la ratio sottesa all'istituto della responsabilità oggettiva risiede nella necessità di tutelare massimamente il fine primario perseguito dall’organizzazione sportiva, ovvero, in sintesi, la  regolarità delle gare, con conseguenti responsabilità disciplinari a carico delle società sportive discendenti da comportamenti tenuti dai propri tesserati.

Dunque, in ragione della mera sussistenza del vincolo del tesseramento, la responsabilità delle compagini societarie si produce automaticamente e oggettivamente, e non può in alcun modo essere  esclusa, bensì esclusivamente graduata.

In seno all’ordinamento federale calcistico, le uniche esimenti previste a beneficio delle società ritenute oggettivamente responsabili si rinvengono, ex art. 13 C.G.S,, esclusivamente allorquando gli autori materiali dell’illecito presupposto  siano i sostenitori dei clubs e la violazione ricada nel campo di applicazione degli artt. 11 (responsabilità per comportamenti discriminatori) e 12 (prevenzione di fatti  violenti) C.G.S.

Perché dette circostanze esimenti operino è necessario che ricorrano almeno tre delle  circostanze elencate nel richiamato art. 13 C.G.S., tra cui figura “l’adozione di modelli di organizzazione”.

Peraltro, a ben osservare, si rileva che nemmeno il Legislatore federale tratta i protocolli di comportamento  alla stregua di un’esimente tout court; in effetti, ai sensi del richiamato art. 13 C.G.S., la circostanza che la  società abbia “adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della  specie di quelli verificatosi” (cfr. art. 13, c. 1, lett. a), C.G.S.) non rappresenta di per sé un’esimente, ma una circostanza che può escludere la responsabilità della società solo se opera congiuntamente ad almeno altre due tra le circostanze previste dalle  lettere da b) a e) dell’art. 13 C.G.S..

In mancanza, l’attuazione di protocolli di  prevenzione, di per sé, costituisce una mera attenuante e non già un’esimente.

Ora, in considerazione della ratio sottesa all’istituto della responsabilità oggettiva, é di tutta evidenza come, alla luce dell’art. 13 C.G.S., in tutti i residuali ambiti in cui operi la responsabilità oggettiva, incluso quello riferibile agli illeciti  sportivi, la società sportiva eventualmente coinvolta non possa essere esentata da responsabilità in virtù dell’adozione di misure di  prevenzione, non essendo possibile attingere ad altre fattispecie esimenti in tema di responsabilità oggettiva in ambito sportivo calcistico, ivi compresa quella prevista dall’art. 7, c. 2, D. Lgs. n. 231/2001.

Non é in definitiva possibile delineare la responsabilità oggettiva secondo parametri propri di istituti estranei all’ordinamento sportivo che “porterebbero a trascurare completamente, da un lato, l’assoluta tipicità e  singolarità della fattispecie ex art. 4, c. 2, C.G.S., e, dall’altro, la non meno  acclarata ed inattaccabile autonomia dell’ordinamento sportivo medesimo” (cfr. Lodo Tribunale Nazionale Arbitrato Sport -T.N.A.S.- Ascoli Calcio 1898 S.p.a. / F.I.G.C.).

In tali termini, l’art. 7, c. 2, D.Lgs. n. 231/2001 non può fungere da scriminante in tema di responsabilità oggettiva connessa alla commissione di illeciti sportivi in quanto la sua applicazione si risolverebbe nella configurazione, in senso negativo, della  responsabilità oggettiva del club secondo parametri che, oltre a essere del tutto  estranei rispetto a quelli dell’ordinamento sportivo, ne stravolgerebbero la ratio.

In aggiunta, l’art. 7, c. 2, D. Lgs. n. 231/2001, sotto il profilo esimente  presenta connotati marcatamente penalistici e richiede, per potersi ascrivere all’ente la responsabilità amministrativa dipendente da reato, la “colpevolezza” dell’ente medesimo, intesa in termini di “rimproverabilità” (cfr. Relazione Ministeriale al D. Lgs. n. 231/2001).

L’ente  viene punito in quanto colpevole di uno o più tra i reati-matrice previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 (tra i quali non figura la frode sportiva) commessi nell’ “interesse o a …vantaggio dell’ente” medesimo e persino nell’ipotesi in cui “l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile”.

Allo stato, pertanto, la disciplina regolamentare domestica (F.I.G.C.) esclude la rilevanza dell’attuazione di protocolli di comportamento ai fini della configurabilità della responsabilità oggettiva  per infrazioni disciplinari riconducibili a comportamenti dei propri tesserati; e ciò, non solo in virtù del principio di  autonomia dell’ordinamento sportivo, ma anche in quanto la forma della responsabilità (oggettiva) in argomento prescinde dalla colpevolezza della società e opera persino nell’ipotesi in cui dall’infrazione del tesserato discenda uno svantaggio in capo alla società medesima.

Ne discende che nel sistema della responsabilità oggettiva in ambito sportivo calcistico l'assenza di colpevolezza non incide sull’an, bensì, eventualmente, sulla sola determinazione del quantum della sanzione da irrogare alla società eventualmente coinvolta.

La disciplina endofederale in tema di responsabilità oggettiva è prevista, in termini generali,  dall’art. 4, c. 2, Codice di Giustizia Sportiva (C.G.S.), in base al quale é stabilito che “le società rispondono oggettivamente, ai fini  disciplinari, dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 1, c. 5, C.G.S.”, mentre, avuto particolare riguardo alla fattispecie dell'illecito sportivo, l’art. 7, c. 4, C.G.S., stabilisce quanto segue: “Se viene accertata la responsabilità oggettiva o presunta della società ai sensi dell'art. 4, c. 5, C.G.S., il fatto è punito, a seconda della sua gravità, con le sanzioni di cui alle lettere g) -penalizzazione di uno o più punti in  classifica-, h) -retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato di  competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria-, i) -esclusione  dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica  obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio Federale a uno dei campionati di categoria inferiore-, l) -non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di  campione d’Italia o di vincente del campionato, del girone di competenza o di  competizione ufficiale-, m) -non ammissione o esclusione dalla partecipazione a  determinate manifestazioni] dell’art. 18, c. 1 C.G.S.-”.

In ipotesi di commissione di illecito sportivo, dunque, la sanzione più lieve prevista è quella della penalizzazione di un punto in  classifica, ma l’adozione di protocolli di comportamento, pur rilevante ai fini della graduazione della sanzione, non costituisce e non può mai costituire un’esimente, come alcune società sportive hanno assunto, a sostegno delle proprie difese, in occasione dei recenti procedimenti disciplinari connessi alla vicenda “calcio-scommesse”.

E noto che la ratio sottesa all'istituto della responsabilità oggettiva risiede nella necessità di tutelare massimamente il fine primario perseguito dall’organizzazione sportiva, ovvero, in sintesi, la  regolarità delle gare, con conseguenti responsabilità disciplinari a carico delle società sportive discendenti da comportamenti tenuti dai propri tesserati.

Dunque, in ragione della mera sussistenza del vincolo del tesseramento, la responsabilità delle compagini societarie si produce automaticamente e oggettivamente, e non può in alcun modo essere  esclusa, bensì esclusivamente graduata.

In seno all’ordinamento federale calcistico, le uniche esimenti previste a beneficio delle società ritenute oggettivamente responsabili si rinvengono, ex art. 13 C.G.S,, esclusivamente allorquando gli autori materiali dell’illecito presupposto  siano i sostenitori dei clubs e la violazione ricada nel campo di applicazione degli artt. 11 (responsabilità per comportamenti discriminatori) e 12 (prevenzione di fatti  violenti) C.G.S.

Perché dette circostanze esimenti operino è necessario che ricorrano almeno tre delle  circostanze elencate nel richiamato art. 13 C.G.S., tra cui figura “l’adozione di modelli di organizzazione”.

Peraltro, a ben osservare, si rileva che nemmeno il Legislatore federale tratta i protocolli di comportamento  alla stregua di un’esimente tout court; in effetti, ai sensi del richiamato art. 13 C.G.S., la circostanza che la  società abbia “adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della  specie di quelli verificatosi” (cfr. art. 13, c. 1, lett. a), C.G.S.) non rappresenta di per sé un’esimente, ma una circostanza che può escludere la responsabilità della società solo se opera congiuntamente ad almeno altre due tra le circostanze previste dalle  lettere da b) a e) dell’art. 13 C.G.S..

In mancanza, l’attuazione di protocolli di  prevenzione, di per sé, costituisce una mera attenuante e non già un’esimente.

Ora, in considerazione della ratio sottesa all’istituto della responsabilità oggettiva, é di tutta evidenza come, alla luce dell’art. 13 C.G.S., in tutti i residuali ambiti in cui operi la responsabilità oggettiva, incluso quello riferibile agli illeciti  sportivi, la società sportiva eventualmente coinvolta non possa essere esentata da responsabilità in virtù dell’adozione di misure di  prevenzione, non essendo possibile attingere ad altre fattispecie esimenti in tema di responsabilità oggettiva in ambito sportivo calcistico, ivi compresa quella prevista dall’art. 7, c. 2, D. Lgs. n. 231/2001.

Non é in definitiva possibile delineare la responsabilità oggettiva secondo parametri propri di istituti estranei all’ordinamento sportivo che “porterebbero a trascurare completamente, da un lato, l’assoluta tipicità e  singolarità della fattispecie ex art. 4, c. 2, C.G.S., e, dall’altro, la non meno  acclarata ed inattaccabile autonomia dell’ordinamento sportivo medesimo” (cfr. Lodo Tribunale Nazionale Arbitrato Sport -T.N.A.S.- Ascoli Calcio 1898 S.p.a. / F.I.G.C.).

In tali termini, l’art. 7, c. 2, D.Lgs. n. 231/2001 non può fungere da scriminante in tema di responsabilità oggettiva connessa alla commissione di illeciti sportivi in quanto la sua applicazione si risolverebbe nella configurazione, in senso negativo, della  responsabilità oggettiva del club secondo parametri che, oltre a essere del tutto  estranei rispetto a quelli dell’ordinamento sportivo, ne stravolgerebbero la ratio.

In aggiunta, l’art. 7, c. 2, D. Lgs. n. 231/2001, sotto il profilo esimente  presenta connotati marcatamente penalistici e richiede, per potersi ascrivere all’ente la responsabilità amministrativa dipendente da reato, la “colpevolezza” dell’ente medesimo, intesa in termini di “rimproverabilità” (cfr. Relazione Ministeriale al D. Lgs. n. 231/2001).

L’ente  viene punito in quanto colpevole di uno o più tra i reati-matrice previsti dal D. Lgs. n. 231/2001 (tra i quali non figura la frode sportiva) commessi nell’ “interesse o a …vantaggio dell’ente” medesimo e persino nell’ipotesi in cui “l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile”.

Allo stato, pertanto, la disciplina regolamentare domestica (F.I.G.C.) esclude la rilevanza dell’attuazione di protocolli di comportamento ai fini della configurabilità della responsabilità oggettiva  per infrazioni disciplinari riconducibili a comportamenti dei propri tesserati; e ciò, non solo in virtù del principio di  autonomia dell’ordinamento sportivo, ma anche in quanto la forma della responsabilità (oggettiva) in argomento prescinde dalla colpevolezza della società e opera persino nell’ipotesi in cui dall’infrazione del tesserato discenda uno svantaggio in capo alla società medesima.

Ne discende che nel sistema della responsabilità oggettiva in ambito sportivo calcistico l'assenza di colpevolezza non incide sull’an, bensì, eventualmente, sulla sola determinazione del quantum della sanzione da irrogare alla società eventualmente coinvolta.