Riciclaggio e Finanziamento al terrorismo di matrice islamica

Se in passato il riciclaggio di denaro sporco (money laundering) da parte delle organizzazioni criminali era ritenuto fonte primaria di inquinamento dei mercati finanziari, oggi l’utilizzo del circuito finanziario da parte di organizzazioni terroristiche per autofinanziarsi tramite l’utilizzo di capitali leciti, costituisce un altrettanto concreto fattore di inquinamento dei mercati e di pericolo per la società.

Nell’azione di contrasto al fenomeno del riciclaggio, l’analisi e l’approfondimento delle segnalazioni concernenti le transazioni finanziarie sospette rappresentano strumenti investigativi indispensabili quanto preziosi in vista dell’individuazione, sequestro e confisca dei patrimoni illeciti accumulati dalle organizzazioni criminali e, più di recente, nell’ambito alla lotta al c.d. “money dirtying”, fenomeno che ha ad oggetto l’utilizzo di capitali puliti per il finanziamento internazionale di attività terroristiche.

L’efficacia di tali strumenti ha indotto il legislatore, ad oltre 15 anni dall’emanazione della L. 197/91, destinata a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, ad estenderne l’ambito di applicazione, dapprima con il D. Lgs. 56/2004, in attuazione della Direttiva 2001/97/CE e, più di recente, con i decreti di attuazione del provvedimento e la predisposizione dello schema di un nuovo Testo Unico Antiriciclaggio, in attuazione alla terza Direttiva europea in materia[1].

Il riciclaggio (money laundering), fenomeno che secondo le accezioni giuridiche e tecnico-operative internazionalmente accolte consiste nella sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità provenienti da reato ovvero nel compimento in relazione ad essi di altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita[2], è stato affiancato negli ultimi 10 anni dal fenomeno del finanziamento al terrorismo internazionale (money dirtying) che con il primo presenta analogie e differenze al tempo stesso.

Tutte le operazioni di riciclaggio, dalle più semplici alle più complesse, hanno in comune tra loro 4 fattori che sono: l’occultamento della vera proprietà (true ownership concealing), il cambiamento della forma del denaro, l’oscuramento delle tracce lasciate durante il processo di ripulitura, il controllo costante da mantenere sul denaro sottoposto a riciclaggio.

Tale processo si presenta come un processo trifase:

1) collocamento (“placement”) che consiste nell’introduzione nel mercato dei proventi del reato presupposto con cui l’organizzazione criminale si è procurata i capitali e nel contestuale collocamento presso istituzioni ed intermediari finanziari attraverso una complessa serie di operazioni di deposito, cambio, trasferimento di denaro contante o con l’acquisto di beni o di strumenti finanziari. Questa è la fase anche nota come “immersion”, indispensabile alle organizzazioni criminali per liberarsi del denaro contante provento delle attività illecite.

L’obiettivo principale di questa fase è trasformare il denaro contante in “moneta scritturale” costituita dai saldi attivi dei rapporti instaurati presso gli intermediari finanziari al fine di distogliere l’attenzione degli organismi di controllo da movimentazioni troppo evidenti di denaro o valori, per importo o caratteristiche. Nella prassi in questa prima fase le organizzazioni criminali ricorrono al frazionamento dei versamenti attraverso l’apertura di una serie di conti presso la stessa banca o banche diverse nonché attraverso l’ausilio di prestanome allo scopo di realizzare una diversificazione dei canali attraverso cui tentare il processo di progressiva legittimazione (la tecnica cosiddetta dello “smurfing”);

2) stratificazione (“layering”) che consiste nel “lavare” (heavy soap) i proventi illeciti e rimuovere ogni diretto collegamento tra i fondi riciclati e l’attività criminale tramite una serie di operazioni finanziarie volte a rendere estremamente difficoltosa la ricostruzione investigativa dei relativi flussi di denaro (paper trail). In tale fase i cosiddetti “laundrymen” fanno ampio ricorso a trasferimenti o riconversione in denaro contante, predisponendo più vie di flusso per ogni passaggio dei capitali illeciti, in modo da diversificare, anche quantitativamente, il rischio connesso a ciascuno di essi;

3) integrazione (“integration”)[3] è la fase in cui il denaro o gli altri beni vengono “reintegrati” nel circuito legale e resi nuovamente disponibili per l’impiego da parte dell’impresa criminale, essendone già state occultate la provenienza illecita e l’origine, anche geografica. I metodi attraverso cui si procede alla legittimazione sono apparentemente legali (case da gioco, acquisto di immobili o aziende, esercizio di attività commerciali e/o finanziarie, investimenti telematici attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari) sicchè alquanto difficoltosi divengono l’individuazione e il riconoscimento delle operazioni di fatto “sporche” rispetto a quelle “pulite”. Per queste ragioni tale fase è anche detta “spin dry” (centrifuga) o anche “repatriation”.

Analogamente, anche nelle tecniche di finanziamento al terrorismo è possibile individuare tre fasi, in qualche modo speculari a quelle che caratterizzano il riciclaggio:

1) raccolta (“collection”) è la fase nella quale i fondi, molto spesso di natura e origine illecita, raggiungono un collettore principale;

2) trasmissione o occultamento (“trasmission/dissimulation”) nella quale l’obiettivo principale dei terroristi è quello di nascondere le finalità ultime dei movimenti di capitale, utilizzando per lo più sistemi di pagamento “sotterranei” o “paralleli”(underground or parallel banking systems)[4] alternativi al circuito bancario convenzionale;

3) impiego (“use”) nella quale il denaro o gli altri beni vengono materialmente impiegati per il compimento di atti terroristici[5].

Diversamente dal riciclatore, tuttavia, il soggetto che investe denaro per finanziare il terrorismo non sempre occulta e trasforma le risorse che intende destinare allo scopo ma si adopera piuttosto per nascondere e dissimulare il fine ultimo che intende perseguire. Infatti, chi si ripropone di sovvenzionare attività terroristiche porta in genere a compimento operazioni finanziarie in sé stesse pienamente lecite, anche se non si può escludere che intermediari finanziari o bancari conniventi possano fornirgli un valido supporto.

Il finanziamento al terrorismo, pur realizzandosi anche attraverso tecniche di riciclaggio può, e spesso provvede, a reperire le liquidità necessarie attraverso l’utilizzo di canali informali e lo sfruttamento dell’economia legale.

Entrambi i fenomeni di illecita trasformazione presentano, quale elemento comune, la volontà di occultare la provenienza del denaro, tuttavia, se nel money laundering i proventi hanno origine da attività illecite per poi, per lo più, essere re-immesse nel circuito legale attraverso operazioni di ripulitura o re-investimento, nel caso del money dirtying le attività da cui derivano le disponibilità finanziarie sono lecite, ma illecito è il loro conseguente utilizzo.

Nel riciclaggio dunque è presente un reato presupposto che produce ricchezza e il riciclatore si limita ad inserire tale provento illecito nel circuito economico; di contro, nel terrorismo il finanziatore usa denaro pulito per alimentare scopi illegali. Il finanziamento del terrorismo si differenzia pertanto dall’attività di riciclaggio in quanto consuma denaro e non lo produce[6].

In logica di questo, se l’obiettivo perseguito nelle attività di riciclaggio è quello di trasformare proventi di origine illecita in risorse lecite (money laundering), nelle attività di finanziamento al terrorismo l’illiceità dei fondi non è nell’origine bensì nella destinazione, rappresentata dal medesimo finanziamento del terrorismo internazionale (money dirtying)[7].

Le differenze che emergono tra i due tipi di comportamento criminale indicati si riflettono peraltro nelle tecniche previste per contrastarli. Infatti, nello sforzo compiuto per arginare i fenomeni di riciclaggio sul piano finanziario, si è cercato, in primo luogo, di tutelare l’integrità del sistema finanziario facendo salva l’individuazione di comportamenti di rilievo penale, il cui accertamento è demandato alle autorità inquirenti e giudiziarie che hanno il compito di approfondire le analisi inizialmente svolte dalle competenti autorità finanziare.

Nella lotta al finanziamento del terrorismo, diversamente, la ricostruzione delle “tracce” lasciate dai capitali movimentati è condotta con l’intenzione di individuare e bloccare il finanziamento dell’attività terroristica, prevalendo sulla necessità di proteggere il sistema finanziario da forme di inquinamento. Ciò detto, è comunque vero che vi è una affinità tra i movimenti di capitali diretti ad occultarne l’illecita provenienza e i flussi finanziari volti ad organizzare, favorire o porre in essere atti di terrorismo. In entrambi i casi, infatti, si tratta di denaro che segue una serie di canali occulti, presenti in settori e centri finanziari caratterizzati da forte opacità o comunque dissimulati sotto operatività e ragioni economiche fittizie.

Il money laundering e il money dirtying sono problematiche comuni tanto ai Paesi sviluppati quanto a quelli in via di sviluppo e spesso può rivelarsi paradossalmente più facile seguire le tracce finanziarie collegate ad operazioni di riciclaggio di gruppi criminali organizzati che individuare le operazioni finanziarie effettuate per finanziare il terrorismo.

Molti dei canali di finanziamento utilizzati dalle cellule terroristiche per organizzare e realizzare attività criminali sono leciti sicché il loro coinvolgimento in attività illecite può rimanere del tutto insospettato.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, seguiti da quelli del marzo 2004 in Spagna e luglio 2005 in Gran Bretagna, hanno sottolineato l’urgenza di una più intensa collaborazione tra le Nazioni per adottare misure tecniche e legislative efficaci a contrastare il finanziamento delle attività terroristiche e a prevenire lo sfruttamento dei sistemi finanziari nazionali e internazionali a fini illeciti da parte delle reti di matrice islamica.

In genere, i fondi utilizzati dai terroristi per compiere i loro attacchi sono raccolti in Paesi diversi da quelli scelti come obiettivi delle loro azioni. Questa è la prova di come la rete terroristica riesca a sfruttare a pieno le potenzialità offerte dall’integrazione globale dei mercati finanziari al fine di trasferire capitali da un Paese all’altro senza essere identificati e senza lasciare alcuna traccia dell’operazione eseguita. Delle ampie opportunità di profitto offerte dalla globalizzazione dei mercati e della straordinaria crescita di Internet si sono avvalse anche le organizzazioni terroristiche che hanno saputo sfruttare le più moderne tecnologie informatiche (on-line banking, sistemi di cyber-payment, smart cards, e-cash, ecc.) per movimentare capitali da una parte all’altra del globo e per finanziare le loro attività criminali tramite investimenti altamente redditizi.

Data la natura del finanziamento del terrorismo, è chiaro che l’efficacia delle misure di contrasto dipenderà prevalentemente dalla collaborazione attiva del settore finanziario e bancario nella fase di prevenzione del fenomeno, soprattutto attraverso gli obblighi di identificazione, registrazione e segnalazione delle operazioni sospette.

Seguire e mettere insieme informazioni apparentemente scollegate tra loro, ma che poi si rivelano connesse ad operazioni finanziarie complesse, può rivelarsi cruciale per comprendere come i terroristi si procurano e trasferiscono i fondi necessari alle loro attività e per individuare i leaders e i membri di gruppi estremisti legati ad attività terroristiche.

Il settore finanziario, in particolare, si rivela fortemente appetibile per le organizzazioni terroristiche in quanto garantisce un livello di opacità delle operazioni superiore al normale (asimmetria delle informazioni). Lo scambio delle informazioni sui flussi dei fondi è spesso gestito e filtrato da operatori specializzati che, in virtù della posizione privilegiata ricoperta, non solo hanno la possibilità di accedere a informazioni sensibili ma risultano anche legittimati a mantenerle coperte da segretezza.

La presenza sui mercati dei capitali di intermediari disposti a cooperare illegalmente con organizzazioni criminali e terroristiche ovvero di intermediari inconsapevoli di mettere a rischio la propria integrità, offre ai terroristi la possibilità di sfruttare i servizi di investimento e il sistema finanziario in genere, per finanziare efficacemente le proprie attività.

La distribuzione asimmetrica che caratterizza i mercati finanziari rende i Paesi off-shore e quelli caratterizzati da regolamentazioni finanziarie lassiste o permissive (Isole Cayman, Barbados, Guernsey, Panama, Liechtenstein, Svizzera, Lussemburgo)[8] particolarmente attraenti per i soggetti o le società collegate alle organizzazioni terroristiche proprio grazie all’impermeabilità dei loro sistemi finanziari che riduce la possibilità per le autorità di vigilanza estere di ottenere informazioni.

Investire in prodotti finanziari off-shore, tramite intermediari finanziari o amministrazioni fiduciarie costituite “fuori piazza”, si rivela dunque una modalità “sicura” per effettuare investimenti altamente redditizi. Concludere operazioni finanziarie che implicano la movimentazione di considerevoli flussi di liquidità verso titoli atipici emessi da società non quotate, investire in fondi speculativi (hedge founds), specialmente se costituiti e offerti sulle piazze finanziarie di Stati noti per essere non-cooperativi o fortemente blindati, aprire conti bancari per effettuare operazioni in valuta, investire in strumenti finanziari derivati non negoziati nei mercati regolamentati (swaps, options e futures su titoli, indici o valute) in particolare se regolati in contanti (cash settlement), sottoscrivere quote di fondi di investimento: sono tutte operazioni finanziarie fortemente speculative che possono risultare particolarmente appetibili per il terrorismo internazionale. Per di più, tali strumenti alternativi, oltre ad essere fortemente speculativi, possono essere costituiti su misura per le soddisfare le particolari esigenze degli investitori in termini di durata dell’investimento, liquidabilità e asimmetria informativa; senza dimenticare che i fondi speculativi esteri non procedono all’emissione di certificati ma intestano le quote attraverso una mera registrazione contabile e tale circostanza rende altamente difficile il controllo sulle quote sottoscritte[9].

Sulla base di rapporti di private banking con banche o intermediari situati off-shore, persone fisiche o società fiduciarie collegate ad Al-Qaeda possono richiedere operazioni di short selling ed effettuare facilmente investimenti altamente redditizi e totalmente coperti da anonimato. Tramite operazioni di short selling - letteralmente “vendita allo scoperto”- gli intermediari vendono sul mercato particolari tipi di azioni avute in prestito allo scopo di riacquistarle in una data successiva e ad un prezzo inferiore, speculando così sul profitto che risulta dalla perdita di valore del titolo, per poi restituirle al proprietario[10].

Trasferimenti di denaro tramite bonifici interbancari internazionali (SWIFT), internet-banking, strumenti elettronici di pagamento, sovrafatturazioni all’importazione e/o all’esportazione, sistemi di Money Transfer, come l’Hawala, alternativi a quelli regolati, si rivelano dei canali che possono essere facilmente utilizzati dalla rete terroristica islamica per trasferire efficacemente liquidità da un Paese all’altro.

Operazioni bancarie e finanziarie regolate dalla Shari’a (il diritto islamico) possono essere inoltre utilizzate per finanziare, direttamente o indirettamente, organizzazioni terroristiche: accordi di finanziamento quali Murabaha, Mudarabah, Musharaka, Salam, Qard Hassan, fondi di investimento islamici conformi ai principi della Shari’a, possono rivelarsi veicoli efficaci per raccogliere, anche tramite il versamento della Zakât, ingenti somme di denaro da destinarsi al finanziamento del terrorismo. In particolare, il pagamento della Zakât, dovuto da ogni musulmano per la purificazione della sua anima ogni qualvolta vi è un incremento netto di ricchezza, direttamente a favore di musulmani in difficoltà economiche o indirettamente tramite le organizzazioni non-profit presenti in ogni parte del mondo, può trasformarsi in un efficace strumento in grado di fornire supporto finanziario al terrorismo.

In tale prospettiva, un ruolo di primaria importanza è svolto dal GAFI, organismo intergovernativo che, costituito in origine per promuovere standard internazionali di contrasto al riciclaggio, dall’ottobre 2001 ha ampliato il proprio mandato per includervi il monitoraggio delle azioni di prevenzione e contrasto al finanziamento del terrorismo. Le Nove Raccomandazioni Speciali emanate dal GAFI, in aggiunta alle previgenti Quaranta Raccomandazioni, costituiscono il sistema base offerto agli Stati per individuare, prevenire e arginare i canali di finanziamento del terrorismo a livello internazionale.

Già prima degli attentati dell’11 settembre 2001, la comunità internazionale aveva realizzato la pressante necessità di combattere la minaccia terroristica di matrice islamica provvedendo principalmente a recidere le fonti finanziarie che la alimentano. A tal fine, nel quadro delle misure antiriciclaggio adottate nel tempo dai vari organismi internazionali, le Direttive comunitarie n. 91/308/Cee e 2001/97/Ce, relative alla “Prevenzione dall’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite” costituiscono due preziosi strumenti di prevenzione e contenimento, volti a fornire ai singoli ordinamenti misure di protezione di natura ed entità diversa da quelle penali ma di pari efficacia. Da ultima, la Direttiva 2005/60/Ce[11] concernente la “Prevenzione dall’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo” è volta ad ampliare l’ambito di applicazione delle precedenti direttive mediante una più articolata definizione della condotta e ad inserire il concetto di terrorismo, inteso come «provvista o raccolta di fondi, con ogni mezzo, direttamente o indirettamente, con l’intenzione che essi siano utilizzati o con la consapevolezza che essi siano usati, in tutto o in parte, per compiere gli atti di terrorismo previsti dall’art. 1 della Decisione quadro del Consiglio 2002/475/JHA del 13 giugno 2002 sulla lotta al terrorismo»[12].

In essa il controllo e l’analisi dei flussi finanziari si rivelano essenziali ai fini del contrasto alla criminalità, indipendentemente dalle dimensioni assunte dal fenomeno: dalla semplice realizzazione di un profitto o del controllo di un’attività economica ai soli fini della sussistenza, fino al raggiungimento di una vera e propria attività di finanziamento ed espansione dell’organizzazione criminale che, estendendo il suo raggio d’azione oltre i confini nazionali dei singoli Paesi, acquista i tratti di una nuova criminalità transnazionale gestita sempre più in ottica manageriale come vera e propria “attività d’impresa”.

La riduzione dei rischi e la massimizzazione dei profitti sono oggi i criteri di gestione dell’attività criminale nella sua nuova veste di “impresa” che, attraverso l’immissione dei proventi criminali nel sistema legale, è in grado di determinare gravi lesioni al sistema economico, arrecando pregiudizio al dispiegarsi delle regole del libero mercato, in particolare al principio della libera concorrenza, e alla stabilità dei mercati economici e finanziari mondiali. Sullo sfondo la globalizzazione dei mercati che, se da un lato offre nuove e più importanti possibilità di crescita economica, dall’altro ne rende anche più permeabili le strutture al pericolo di penetrazione dei gruppi criminali e più urgente la capacità del “sistema legale” di affinare le tecniche e gli strumenti di contrasto.

L’individuazione, il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti appaiono, pertanto, strumenti di straordinaria efficacia per interrompere il “ciclo produttivo” di questa nuova attività d’impresa, indipendentemente dal comparto criminale da cui il denaro proviene o verso cui è diretto. In fondo, è proprio muovendo da questa constatazione che la terza Direttiva Antiriciclaggio mette insieme la lotta al riciclaggio e il contrasto al finanziamento al terrorismo perseguendo, in entrambi i casi, il medesimo obiettivo, ossia la preservazione dell’economia legale dai pericoli di inquinamento da agenti patogeni ad essa estranei.

È proprio tale obiettivo a spiegare i motivi dell’estensione degli adempimenti relativi alle transazioni finanziarie sospette a soggetti esterni, ma contigui, al mondo bancario ed in primo luogo alle professioni legali e contabili nonché della rinnovata importanza dei obblighi di «due diligence» e «know your customer».

Al di fuori del contesto europeo, numerose sono le iniziative volte a garantire il sistema finanziario nel suo complesso da rischi di inquinamento e di penetrazione da parte della criminalità organizzata. Tra esse, la “Dichiarazione dei principi sulla prevenzione dall’uso illecito del sistema bancario a fini di riciclaggio” approvato dal Comitato di Basilea per la sorveglianza interbancaria[13] e le stesse “40+9” Raccomandazioni emanate dal GAFI[14] che si vanno ad affiancare alle Convenzioni ONU di Vienna 1988 contro il traffico degli stupefacenti[15], di New York del 1999 per la repressione del finanziamento internazionale al terrorismo[16], e del Consiglio d’Europa di Strasburgo del 1990 sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi illeciti[17].

Gli ultimi tre atti rivestono un’importanza particolare ai fini delle presente trattazione in quanto introducono per la prima volta, a diversi livelli, definizioni essenziali quali quelle di «riciclaggio», «beni», «provento di reato», «blocco» o «sequestro».

Di fatto la Convenzione di Vienna rappresenta il primo strumento internazionale di larga portata contenente un’espressa menzione del reato di riciclaggio e l’obbligo di confisca dei proventi di reato. In particolare, la Convenzione ha imposto agli Stati firmatari l’adozione di provvedimenti tali da conferire una rilevanza penale alla particolare figura delittuosa del riciclaggio, provvedendo anche a fornirne una definizione attraverso la descrizione di una serie di generiche condotte rilevanti ai fini della costruzione della fattispecie. Sebbene limitatamente al traffico internazionale di stupefacenti, la Convenzione del 1988 introduce una prima definizione del reato di riciclaggio inteso come «dissimulazione o alterazione dell’origine illecita dei beni oggetto di conversione o di trasferimento», ed è sulla base di questa che le Parti contraenti si impegnano ad adottare i provvedimenti necessari a consentire la confisca dei proventi ricavati dal traffico di stupefacenti o di beni di corrispondente valore, nonché l’individuazione, il congelamento o il sequestro dei proventi illeciti, al fine della successiva confisca[18]. Con riferimento ai beni di provenienza illecita, vengono introdotti i provvedimenti del “blocco” o “sequestro”[19], nonché della “confisca”[20], ma l’aspetto più rilevante, dopo quello delle definizioni, è rappresentato dall’introduzione dell’assistenza giudiziaria e delle deroghe al segreto bancario[21].

Undici anni dopo l’adozione della convenzione di Vienna, viene approvata, in un contesto profondamente diverso, la convenzione per la repressione del finanziamento internazionale del terrorismo pervasa da uno spirito completamente nuovo rispetto a quello della convenzione del 1988, anzi, si potrebbe dire, diametralmente opposto.

Mentre, infatti, la convenzione di Vienna criminalizza l’origine illecita dei fondi (perché, ad esempio, ritenuti provenire dal traffico degli stupefacenti), la convenzione di New York si incentra piuttosto sulla loro illecita destinazione dal momento che i fondi oggetto di attenzione potrebbero essere del tutto leciti o addirittura raccolti per scopi dichiaratamente nobili, attraverso organizzazioni non profit.

A tal fine, si conviene l’adozione del contrasto alla relativa movimentazione nel sospetto che essi possano essere utilizzati per uno scopo meno nobile: il finanziamento del terrorismo.

Rispetto alla convenzione di Vienna (che introduce la nozione di “beni”), inoltre, la convezione di New York adotta il termine più ampio di “fondi”[22] e prevede l’introduzione non tanto della criminalizzazione del reato del riciclaggio internazionale di proventi illeciti (money laundering) quanto piuttosto della facoltà di impedire che fondi di legittima provenienza siano impiegati per la realizzazione di un’attività illecita (money dirtying).

Infine, la Convenzione di Strasburgo del 1990 si caratterizza per aver affrontato la tematica del riciclaggio in modo globale e sistematico, senza cioè limitarne l’ambito a uno o più reati presupposti, come ad esempio fa la convenzione di Vienna, per la quale la criminalizzazione del riciclaggio va inserita nel contesto della lotta al traffico degli stupefacenti, o la convenzione di New York che si occupa reprimere il finanziamento del terrorismo e non il finanziamento dei reati tout court. La convenzione di Strasburgo ha dunque il pregio di aver definito e approfondito i concetti stessi di “riciclaggio”[23], “proventi”[24], “reato presupposto”[25], invitando conseguentemente gli Stati aderenti a uniformare le proprie legislazioni penali.

Anche l’Unione Europea riconosce l’esigenza di contrastare il fenomeno del finanziamento del terrorismo internazionale, in particolare nei confronti della fazione afgana dei Talibani, rispetto ai quali il Consiglio Europeo, già con il Regolamento n. 467/2001 del 6 marzo 2001 – ora abrogato - e con il Regolamento n. 1354/2001 del 4 luglio 2001, aveva previsto il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie.

Entrambi i Regolamenti hanno introdotto i divieti di esportazione di merci e di servizi in Afghanistan e le misure di congelamento delle disponibilità dei Talibani; in particolare, il Regolamento n. 467/2001 recepiva l’intera lista redatta dal Comitato per le Sanzioni contro i Talibani e richiedeva agli Stati membri di applicare ai soggetti indicati nella lista misure di congelamento di beni ed utilità.

Dopo i tragici eventi dell’11 settembre, il processo comunitario di contrasto al terrorismo internazionale subisce un’accelerazione ed è in tale contesto che vengono emanati:

§ il Regolamento n. 2580 del 27 dicembre 2001 sulle misure restrittive specifiche contro determinate persone e entità destinate a combattere il terrorismo;e

§ il Regolamento n. 881 del 27 maggio 2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama Bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani, abroga il Regolamento CE n. 467/2001, inasprisce il divieto di sorvolo ed estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani.

Il Regolamento n. 2580/200 nel formulare, a livello europeo, proprie liste[26] di soggetti nei cui confronti attuare la misura del congelamento, ribadire il divieto di mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione dei soggetti elencati nella lista “capitali ed altre attività finanziarie e risorse economiche” e vieta “la prestazione di servizi finanziari destinati alle persone fisiche o giuridiche comprese nella lista”[27].

Al contrario del sistema previsto dal Regolamento n. 2580/2001, valido per tutti i tipi di terrorismo e slegato dal riferimento territoriale ad un determinato Paese, il Regolamento n. 881/2002 impone misure restrittive di tipo patrimoniale e finanziario esclusivamente nei confronti di persone fisiche e persone giuridiche collegate ad Al-Qaeda, Osama Bin Laden e ai Talibani, ed impone agli intermediari di trasmettere alle autorità competenti dei singoli Stati qualsiasi informazione relativa a fondi, beni finanziari o risorse economiche posseduti o controllati dai soggetti elencati nell’allegato al Regolamento.

Ne deriva che i due provvedimenti si distinguono soprattutto per le differenti matrici di terrorismo che intendono contrastare nonché per la portata e l’incisività delle misure predisposte per il conseguimento degli obiettivi prefissati.

Tra le iniziative assunte sempre a livello europeo particolarmente meritevole di interesse è la “Dichiarazione sulla lotta al terrorismo” adottata dai capi di Stato e di Governo dell’Unione - riuniti a Bruxelles il 25 e 26 marzo 2004 – subito dopo gli attentati di Madrid dell’11 marzo, e“Piano d’azione del 2004 per combattere il terrorismo”, presentato a Bruxelles l’11 giugno 2004.

L’Italia, dovendo combattere la mafia e le tecniche da essa poste in essere per riciclare i capitali derivanti dalle sue attività illecite, alla data dell’11 settembre 2001 già disponeva di un sistema normativo adeguato a contrastare il riciclaggio del denaro sporco.

Sulla base di questo sistema è stato pertanto facile per il nostro Paese rispondere tempestivamente all’emergenza money dirtying estendendo ed adattando gli specifici adempimenti già previsti dalla normativa antimafia e antiriciclaggio per gli operatori bancari e finanziari nella lotta alla mafia e alle operazioni sospette di finanziare il terrorismo.

In quest’ottica si inquadra il d.l. 3 maggio 1991 n. 143, convertito con modificazione dalla L. 5 luglio 1991, n. 197, recante “Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio” [28] volta a fissare specifici divieti e obblighi in materia di utilizzo del denaro contante e dei titoli al portatore, di identificazione e registrazione delle operazioni da parte degli intermediari abilitati, di segnalazione di quelle ritenute sospette in base a precisi parametri e, infine, di specificare gli organi cui è demandato l’approfondimento delle segnalazioni[29].

Il tutto alla luce dei recenti ampliamenti della normativa penale che ha visto l’ampliamento dei reati associativi, associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e associazione di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), a cui si aggiunge oggi l’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell’ordine democratico (art. 270 bis c.p.).

A seguito della situazione di emergenza conseguente agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, l’Italia – va ribadito - ha dato attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione del finanziamento al terrorismo e alle relative Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza[30] e, anche sulla base della normativa comunitaria, ha istituito apposite figure tecniche di contrasto per evitare lo sfruttamento a scopi terroristici del sistema bancario e finanziario nazionale[31]. Inoltre ha provveduto a modificare la disciplina penale delle condotte di Riciclaggio (art. 648 bis c.p.) e Impiego di proventi illeciti (art. 648 ter c.p.) adeguando la preesistente normativa alle previsioni della Convenzione di Strasburgo[32].



[1] La Direttiva cui si allude nel testo è la direttiva 2005/60/CE del 25 ottobre 2005 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, in G.U.C.E. del 25 novembre 2005.

[2] La nozione giuridica di riciclaggio comunemente accolta è quella indicata dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre 1990, ratificata dall’Italia con L. 9 agosto 1993 n. 328. Ad essa si affianca una nozione di carattere più operativo, fissata in ambito OIPC-Interpol nel 1995, a margine dell’Assemblea Generale di tale organizzazione internazionale che riunisce le Forze di Polizia di 181 diversi Paesi. Il Codice Penale italiano all’art. 648 bis definisce il riciclaggio come il delitto commesso da chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato, «sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa».

[3] Le definizioni riportate nel testo sono tratte dall’UN ODCCP Glossary of Money Laundering Terms, disponibile sul sito ufficiale del United Nations Office on Drugs Control and Crime Prevention www.unodc.org.

[4] Vi è chi osserva come l’espressione non sia del tutto corretta posto che il sistema Hawala, ad esempio, è perfino pubblicizzato nei giornali in lingua araba e opera spesso alla luce del sole; così, ad esempio, JOST P. M.- SANDHU H. S., “The Hawala alternative remittance system and its role in money laundering” , Lyon, gennaio 2000. per un approfondimento bibliografico sul sistema Hawala cfr., GRABBE J. O., “In prais of Hawala”, in The Lassez Faire Elettronic Times, vol. 1, n. 13, Paris, 13 maggio 2002; KAPOOR S., “Bad money, bad politics: the untold Hawala story” New Delhi, 1996; MALHOTRA A., “India’s Underground Bankers”, New Delhi,1995; MARGIOCCO M., “Finanze occulte sulle vie degli immigrati” in “Il Sole 24 Ore”, 29 aprile 2004; SABAHI S. F., “Denaro senza traccia”, in “Il Sole 24 Ore”, n. 75 del 17 marzo 2003; SANDHU H. S., “Hawala. A Good Old Vehicle for the Movement of Bad Money Laundering”, in News, Sydney, Australia, 2000.

[5] Cfr. in proposito GAFI, Money Laundering and Terrorism Financing Typologies 2004-2005, Paris, 10 giugno 2005, p. 90.

[6] Cfr., DI NUZZO U., “Economia criminale e nuove prospettive di sicurezza finanziaria”, in Rivista della Guardia di Finanza, n. 3, 2002, p. 1037.

[7] Cfr., a riguardo, la Convenzione per la repressione del finanziamento internazionale al terrorismo, adottata a New York il 9 dicembre 1999, undici anni dopo l’adozione della Convenzione di Vienna sulla lotta al traffico degli stupefacenti, ratificata dall’Italia con legge 14 gennaio 2003, n. 7, in G.U. 27 gennaio 2003, n. 21.

[8] Nonostante i notevoli risultati ottenuti in ambito internazionale per limitare queste aree di rischio, nella maggior parte dei casi i Paesi off-shore sono ancora caratterizzati da un sistema finanziario e bancario fortemente garantista che si sostanzia nella tutela del segreto bancario nei confronti delle indagini investigative. Per una disamina dettagliata sul segreto bancario e i paradisi off-shore cfr., TOSCANO F.-RAZZANTE R., “Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio”, Giuffrè, Milano, 2004; GRANADA P., “Paradisi fiscali off-shore e mercati paralleli”, in Rivista della Guardia di Finanza, n. 5, 2003, pp. 1682-1685.

[9] I fondi di investimento costituiti off-shore, oltre ad essere una forma di investimento, possono essi stessi costituire il mezzo per veicolare capitali verso società collegate alla rete terrorista. Infatti, nel caso in cui la società di gestione del fondo sia collegata a gruppi terroristici potrà fornire supporto finanziario investendo il patrimonio del fondo in società collegate indirettamente ad Al-Qaeda, raggirando qualsiasi tipo di controllo.

[10] In generale, le principali tipologie di azioni oggetto di vendite allo scoperto sono:

Ø Bubble Stocks: cioè titoli di aziende che vengono sopravvalutati dal mercato senza alcun fondamento economico. Spesso le società che emettono questi titoli non hanno alcuna entrata e le attività sono quasi inesistenti;

Ø High Multiple Growth Stocks: sono titoli di società che presentano prodotti innovativi il cui valore cresce notevolmente nel corso di un breve arco temporale;

Ø Azioni in gergo definite “if you can’t fix them, sell them”, ossia azioni di società poco redditizie che annunciano ristrutturazioni o vendite di parte dei propri assets allo scopo di incrementare il valore delle proprie azioni. Nello specifico saranno titoli emessi da imprese molto indebitate, titoli emessi da società con gravi problemi di redditività che vendono parte della loro attività, o titoli di società “in vendita”, ma senza alcuna possibilità che l’operazione di acquisizione vada realmente a termine;

Ø Theme stocks: azioni emesse da imprese differenti tutte legate ad una specifica industria.

[11] La terza direttiva è stata recepita in Italia con la L. 25 gennaio 2006, n. 29, pubblicata in G.U. n. 32 dell’8 febbraio 2006 e dispone l’abrogazione della prima direttiva antiriciclaggio la 91/308/CEE.

[12] La Decisione quadro indicata nel testo è pubblicata in G.U. dell’Unione europea L. 164/3 DEL 22 giugno 2002. l’art. 1 della citata decisione quadro individua gli atti di terrorismo nei seguenti: a) attentati contro la vita di una persona atti a cagionarne la morte; b) attentati contro l’integrità fisica di una persona; c) sequestro o tenuta di ostaggi; d) la realizzazione di un’estesa distruzione agli apparati del Governo o pubblici, del sistema dei trasporti, di infrastrutture, inclusa la rete delle informazioni, di strutture fisse collocate sulla piattaforma continentale, di una proprietà privata o pubblica come pure mettere i pericolo vite umane o cagionare un più grave danno economico; e) dirottamento di aerei, treni, navi e d altri mezzi di trasporto; f) fabbricazione, possesso, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi, esplosivi, ovvero di armi di tipo nucleare, biologico, chimico, come pure la ricerca e lo sviluppo di tali armi; g) rilascio di sostanze pericolose, provocare un incendio o inondazioni o esplosioni il cui effetto sia mettere in pericolo vite umane; h) sabotare o distruggere le vie di rifornimento idrico o di altre risorse naturali; i) minacciare il compimento di uno dei su descritti atti.

[13] Il Comitato rappresenta le Banche Centrali e gli organismi di vigilanza dei Paesi del Gruppo dei Dieci, composto in realtà da dodici Paesi: Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera e Svezia.

[14] Il G.A.F.I. (Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale) – in inglese F.A.T.F. (Financial Action Task Force) – è un organismo intergovernativo istituito, in occasione del vertice dei capi di Stato e di Governo dei sette Paesi più industrializzati (G7) tenutosi a Parigi nel luglio 1989, allo scopo di monitorare l’andamento del fenomeno criminoso negli Stati membri e sviluppare politiche contro il riciclaggio di denaro sporco a livello nazionale e internazionale. Originariamente formato da 16 membri (i Paesi del G7, la Commissione Europea e altri otto Stati), oggi il GAFI è composto da esperti giuridici e finanziari di sei continenti e conta 33 membri (31 Stati e Governi, per lo più membri dell’OCSE, e due organizzazioni internazionali, la Commissione Europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo) e più di 20 osservatori (tra cui 5 enti regionali e 15 altre organizzazioni internazionali). Attualmente il GAFI collabora con i membri di diverse organizzazioni internazionali per realizzare una rete globale antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento al terrorismo internazionale. Tra i partner più importanti, i sette organismi regionali del FATF (FSRBs) e i Supervisori dei Gruppi Bancari Off-Shore (OGBS), a cui si aggiungono altre organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite, il Gruppo Egmont, il Fondo Monetario e la Banca Mondiale.

[15] La Convenzione citata nel testo è quella contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope adottata a Vienna il 19 dicembre 1990 e ratificata in Italia con L. 5 novembre 1009, n. 328, in G.U. del 15 novembre 1990 n. 267.

[16] La Convenzione citata nel testo è quella per la repressione del finanziamento del terrorismo internazionale adottata a New York il 9 dicembre 1990 e ratificata in Italia con L. 14 gennaio 2003, n. 7, in G.U. 27 gennaio 2003 n. 21.

[17] La Convenzione citata nel testo, adottata dal Consiglio d’Europa l’8 novembre 1990, è stata ratificata dall’Italia con L. 9 agosto 1993, n. 328, in G.U. 28 agosto 1993 n. 202.

[18] Cfr., art. 5, “Confisca” della convenzione di Vienna.

[19] Consistenti nel «divieto temporaneo relativo al trasferimento, alla conversione, alla disposizione o al movimento di beni oppure nel fatto di assumere provvisoriamente la custodia o il controllo di beni su decisione di un tribunale o di un’altra autorità competente» [art. 1 lett. d) e j) della convenzione di Vienna].

[20] Ossia «la privazione permanente di beni su decisione di un tribunale o di un’altra autorità competente» [art. 1 lett. d) e j) della convenzione di Vienna].

[21] Per quanto attiene il primo profilo, occorre sottolineare la previsione che le richieste di assistenza giudiziaria possano comprendere “documentazioni bancarie, finanziarie, societarie o commerciali”, nonché l’impossibilità, per le parti contraenti, di invocare il segreto bancario [art. 7, comma 2, lett. f) e comma 5, della convenzione di Vienna].

La trasmissione delle domande di assistenza giudiziaria può avvenire tra le autorità designate dalle le parti, per i consueti canali diplomatici, ma anche, nei casi urgenti, «tramite l’Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale/Interpol se ciò è possibile» (art. 7, comma 8, della convenzione di Vienna). Per un approfondimento sul segreto bancario cfr., TOSCANO F., RAZZANTE R., “Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio”, Giuffrè, Milano, 2004.

[22] Intesi questi ultimi come «averi di ogni tipo, sia tangibili che intangibili, mobili o immobili, comunque acquisiti, e ogni documento o strumento o forma legale ad essi riferiti, compresi quelli di tipo elettronico o digitale, che dimostri il titolo o l’interesse in tali averi, inclusi, ma non solo, i crediti bancari, i travellers cheque, gli assegni bancari, azioni, obbligazioni, buoni del tesoro, effetti cambiari, lettere di credito» (art. 1, comma 1, della convenzione di New York).

[23]«Si commette reato di riciclaggio quando intenzionalmente si convertono o si trasferiscono beni, materiali o immateriali, mobili o immobili, documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti su beni, ogni vantaggio economico, derivanti da reato, allo scopo di occultare o dissimulare l’illecita provenienza dei beni stessi, o aiutare persone coinvolte nella commissione del reato dal quale i beni derivano, definito “reato presupposto”. Si commette lo stesso reato di riciclaggio anche occultando o dissimulando l’origine, l’ubicazione, gli atti di disposizione o di movimenti di detti beni d’origine delittuosa, acquistandone il possesso o semplicemente l’uso, ovvero partecipando alla commissione del reato» (art. 6, della Convenzione di Strasburgo).

[24] Intesi come «ogni vantaggio economico derivato da reati, [che] può consistere in qualsiasi bene», essendo intesi per “beni” quelli «in qualsiasi modo descritti, materiali o immateriali, mobili o immobili, nonché documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui predetti beni» [art. 1, lett. a) e b), della Convenzione di Strasburgo].

[25] Costituito da «qualsiasi reato in conseguenza del quale si formano dei proventi che possono diventare oggetto di riciclaggio» [art. 1, lett. c), della Convenzione di Strasburgo].

[26] Per l’Italia cfr. il sito http://www.uic.it/liste/terrorismo.htm.

[27] I servizi finanziari che non possono essere offerti ai soggetti inseriti nelle liste sono: i servizi bancari, i servizi assicurativi e connessi e qualsiasi altro servizio di natura finanziaria, quali ad esempio tutti i servizi di pagamento e trasferimento di denaro, compresi carte di credito e di debito, travellers’ cheques e bonifici bancari; garanzie e impegni, compravendita e scambi per conto proprio o di clienti, di strumenti del mercato monetario (compresi assegni, cambiali, certificati di deposito), valuta estera, prodotti derivati, strumenti relativi a tassi di cambio e d’interesse, inclusi contratti swap e tassi di cambio a termine, titoli trasferibili, altri strumenti negoziabili e strumenti finanziari, compresi i lingotti, partecipazione all’emissione di qualsiasi genere di titoli, compresi sottoscrizione e collocamento in qualità di agente (in forma pubblica o privata) e fornitura di servizi collegati, intermediazione nel mercato monetario, gestione delle attività e passività, tutte le forme di gestione di investimenti collettivi, di fondi pensione, servizi di custodia, di deposito e amministrazione fiduciaria, servizi di liquidazione e compensazione relativi a strumenti finanziari, ivi compresi titoli, prodotti derivati e altri strumenti negoziabili, disponibilità e trasferimento di informazioni finanziarie, elaborazione di dati finanziari e relativo software da parte di fornitori di altri servizi finanziari, servizi finanziari di consulenza, intermediazione e altro compresi referenze bancarie e informazioni commerciali, ricerche e consulenze in merito a investimenti e portafoglio, consulenze su acquisizioni e su ristrutturazioni e strategie aziendali.

[28] Il d.l. e la legge citati sono pubblicati rispettivamente in G.U. dell’8 maggio 1991, n. 106, e del 6 luglio 1991, n. 157.

[29] Anche sulla base delle novità e delle estensioni introdotte della L. n. 14/2003, del d.l. 56/2004 e del d.m. 3 febbraio 2006, n. 141.

[30] Le risoluzioni cui si allude nel testo sono la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1373 del 28 settembre 2001, che ha previsto che gli Stati adottino quelle misure necessarie per: punire penalmente l’attività di raccolta di fondi da utilizzare per attacchi terroristici; congelare i capitali e le altre attività finanziarie e risorse economiche di chiunque commetta o partecipi ad atti terroristici nonché, a qualsiasi titolo, ne faciliti l’esecuzione; vietare che capitali o altre risorse finanziarie o economiche nonché ulteriori servizi finanziari siano messi a disposizione delle medesime persone; incentivare lo scambio di informazioni ai diversi livelli sulla base di accordi bilaterali o multilaterali; e la Risoluzione n. 1452 del 20 dicembre 2002.

[31] Cfr., in particolare il Decreto Legge n. 369 del 12 ottobre 2001, convertito in legge n. 431 del 14 dicembre 2001, recante “Misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale” che ha istituito il Comitato di Sicurezza Finanziaria e attribuisce all’UIC il ruolo di Financial Intelligence Unit nazionale; il Decreto Legge n. 374 del 18 ottobre 2001, convertito in legge n. 438 del 15 dicembre 2001, recante “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale” che ha apportato significativi aggiornamenti alla fattispecie contenuta nell’art. 270 bis c.p. e ha introdotto l’art. 270 ter c.p. (Assistenza agli associati); il Decreto Legge n. 353 del 28 settembre 2001, convertito con modificazioni, in legge n. 415 del 27 novembre 2001, recante “Disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle misure adottate nei confronti della fazione afgana dei Talibani”; l’articolo 3 bis della Legge n. 73 del 23 aprile 2002 concernente “Disposizioni in materia di contrasto del terrorismo internazionale sul piano finanziario”che amplia i compiti dell’UIC, prevedendo che esso eserciti, anche per contrastare il terrorismo internazionale, le attribuzioni già previste dalla normativa antiriciclaggio; la legge n. 7 del 14 gennaio 2003, di ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione del finanziamento del terrorismo del 9 dicembre 1999.

[32] Su questi profili sistematici del reato e del fenomeno “riciclaggio”, si veda, da ultimo, R. Razzante, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, Torino, 2006-2007.

Se in passato il riciclaggio di denaro sporco (money laundering) da parte delle organizzazioni criminali era ritenuto fonte primaria di inquinamento dei mercati finanziari, oggi l’utilizzo del circuito finanziario da parte di organizzazioni terroristiche per autofinanziarsi tramite l’utilizzo di capitali leciti, costituisce un altrettanto concreto fattore di inquinamento dei mercati e di pericolo per la società.

Nell’azione di contrasto al fenomeno del riciclaggio, l’analisi e l’approfondimento delle segnalazioni concernenti le transazioni finanziarie sospette rappresentano strumenti investigativi indispensabili quanto preziosi in vista dell’individuazione, sequestro e confisca dei patrimoni illeciti accumulati dalle organizzazioni criminali e, più di recente, nell’ambito alla lotta al c.d. “money dirtying”, fenomeno che ha ad oggetto l’utilizzo di capitali puliti per il finanziamento internazionale di attività terroristiche.

L’efficacia di tali strumenti ha indotto il legislatore, ad oltre 15 anni dall’emanazione della L. 197/91, destinata a prevenire l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, ad estenderne l’ambito di applicazione, dapprima con il D. Lgs. 56/2004, in attuazione della Direttiva 2001/97/CE e, più di recente, con i decreti di attuazione del provvedimento e la predisposizione dello schema di un nuovo Testo Unico Antiriciclaggio, in attuazione alla terza Direttiva europea in materia[1].

Il riciclaggio (money laundering), fenomeno che secondo le accezioni giuridiche e tecnico-operative internazionalmente accolte consiste nella sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità provenienti da reato ovvero nel compimento in relazione ad essi di altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita[2], è stato affiancato negli ultimi 10 anni dal fenomeno del finanziamento al terrorismo internazionale (money dirtying) che con il primo presenta analogie e differenze al tempo stesso.

Tutte le operazioni di riciclaggio, dalle più semplici alle più complesse, hanno in comune tra loro 4 fattori che sono: l’occultamento della vera proprietà (true ownership concealing), il cambiamento della forma del denaro, l’oscuramento delle tracce lasciate durante il processo di ripulitura, il controllo costante da mantenere sul denaro sottoposto a riciclaggio.

Tale processo si presenta come un processo trifase:

1) collocamento (“placement”) che consiste nell’introduzione nel mercato dei proventi del reato presupposto con cui l’organizzazione criminale si è procurata i capitali e nel contestuale collocamento presso istituzioni ed intermediari finanziari attraverso una complessa serie di operazioni di deposito, cambio, trasferimento di denaro contante o con l’acquisto di beni o di strumenti finanziari. Questa è la fase anche nota come “immersion”, indispensabile alle organizzazioni criminali per liberarsi del denaro contante provento delle attività illecite.

L’obiettivo principale di questa fase è trasformare il denaro contante in “moneta scritturale” costituita dai saldi attivi dei rapporti instaurati presso gli intermediari finanziari al fine di distogliere l’attenzione degli organismi di controllo da movimentazioni troppo evidenti di denaro o valori, per importo o caratteristiche. Nella prassi in questa prima fase le organizzazioni criminali ricorrono al frazionamento dei versamenti attraverso l’apertura di una serie di conti presso la stessa banca o banche diverse nonché attraverso l’ausilio di prestanome allo scopo di realizzare una diversificazione dei canali attraverso cui tentare il processo di progressiva legittimazione (la tecnica cosiddetta dello “smurfing”);

2) stratificazione (“layering”) che consiste nel “lavare” (heavy soap) i proventi illeciti e rimuovere ogni diretto collegamento tra i fondi riciclati e l’attività criminale tramite una serie di operazioni finanziarie volte a rendere estremamente difficoltosa la ricostruzione investigativa dei relativi flussi di denaro (paper trail). In tale fase i cosiddetti “laundrymen” fanno ampio ricorso a trasferimenti o riconversione in denaro contante, predisponendo più vie di flusso per ogni passaggio dei capitali illeciti, in modo da diversificare, anche quantitativamente, il rischio connesso a ciascuno di essi;

3) integrazione (“integration”)[3] è la fase in cui il denaro o gli altri beni vengono “reintegrati” nel circuito legale e resi nuovamente disponibili per l’impiego da parte dell’impresa criminale, essendone già state occultate la provenienza illecita e l’origine, anche geografica. I metodi attraverso cui si procede alla legittimazione sono apparentemente legali (case da gioco, acquisto di immobili o aziende, esercizio di attività commerciali e/o finanziarie, investimenti telematici attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari) sicchè alquanto difficoltosi divengono l’individuazione e il riconoscimento delle operazioni di fatto “sporche” rispetto a quelle “pulite”. Per queste ragioni tale fase è anche detta “spin dry” (centrifuga) o anche “repatriation”.

Analogamente, anche nelle tecniche di finanziamento al terrorismo è possibile individuare tre fasi, in qualche modo speculari a quelle che caratterizzano il riciclaggio:

1) raccolta (“collection”) è la fase nella quale i fondi, molto spesso di natura e origine illecita, raggiungono un collettore principale;

2) trasmissione o occultamento (“trasmission/dissimulation”) nella quale l’obiettivo principale dei terroristi è quello di nascondere le finalità ultime dei movimenti di capitale, utilizzando per lo più sistemi di pagamento “sotterranei” o “paralleli”(underground or parallel banking systems)[4] alternativi al circuito bancario convenzionale;

3) impiego (“use”) nella quale il denaro o gli altri beni vengono materialmente impiegati per il compimento di atti terroristici[5].

Diversamente dal riciclatore, tuttavia, il soggetto che investe denaro per finanziare il terrorismo non sempre occulta e trasforma le risorse che intende destinare allo scopo ma si adopera piuttosto per nascondere e dissimulare il fine ultimo che intende perseguire. Infatti, chi si ripropone di sovvenzionare attività terroristiche porta in genere a compimento operazioni finanziarie in sé stesse pienamente lecite, anche se non si può escludere che intermediari finanziari o bancari conniventi possano fornirgli un valido supporto.

Il finanziamento al terrorismo, pur realizzandosi anche attraverso tecniche di riciclaggio può, e spesso provvede, a reperire le liquidità necessarie attraverso l’utilizzo di canali informali e lo sfruttamento dell’economia legale.

Entrambi i fenomeni di illecita trasformazione presentano, quale elemento comune, la volontà di occultare la provenienza del denaro, tuttavia, se nel money laundering i proventi hanno origine da attività illecite per poi, per lo più, essere re-immesse nel circuito legale attraverso operazioni di ripulitura o re-investimento, nel caso del money dirtying le attività da cui derivano le disponibilità finanziarie sono lecite, ma illecito è il loro conseguente utilizzo.

Nel riciclaggio dunque è presente un reato presupposto che produce ricchezza e il riciclatore si limita ad inserire tale provento illecito nel circuito economico; di contro, nel terrorismo il finanziatore usa denaro pulito per alimentare scopi illegali. Il finanziamento del terrorismo si differenzia pertanto dall’attività di riciclaggio in quanto consuma denaro e non lo produce[6].

In logica di questo, se l’obiettivo perseguito nelle attività di riciclaggio è quello di trasformare proventi di origine illecita in risorse lecite (money laundering), nelle attività di finanziamento al terrorismo l’illiceità dei fondi non è nell’origine bensì nella destinazione, rappresentata dal medesimo finanziamento del terrorismo internazionale (money dirtying)[7].

Le differenze che emergono tra i due tipi di comportamento criminale indicati si riflettono peraltro nelle tecniche previste per contrastarli. Infatti, nello sforzo compiuto per arginare i fenomeni di riciclaggio sul piano finanziario, si è cercato, in primo luogo, di tutelare l’integrità del sistema finanziario facendo salva l’individuazione di comportamenti di rilievo penale, il cui accertamento è demandato alle autorità inquirenti e giudiziarie che hanno il compito di approfondire le analisi inizialmente svolte dalle competenti autorità finanziare.

Nella lotta al finanziamento del terrorismo, diversamente, la ricostruzione delle “tracce” lasciate dai capitali movimentati è condotta con l’intenzione di individuare e bloccare il finanziamento dell’attività terroristica, prevalendo sulla necessità di proteggere il sistema finanziario da forme di inquinamento. Ciò detto, è comunque vero che vi è una affinità tra i movimenti di capitali diretti ad occultarne l’illecita provenienza e i flussi finanziari volti ad organizzare, favorire o porre in essere atti di terrorismo. In entrambi i casi, infatti, si tratta di denaro che segue una serie di canali occulti, presenti in settori e centri finanziari caratterizzati da forte opacità o comunque dissimulati sotto operatività e ragioni economiche fittizie.

Il money laundering e il money dirtying sono problematiche comuni tanto ai Paesi sviluppati quanto a quelli in via di sviluppo e spesso può rivelarsi paradossalmente più facile seguire le tracce finanziarie collegate ad operazioni di riciclaggio di gruppi criminali organizzati che individuare le operazioni finanziarie effettuate per finanziare il terrorismo.

Molti dei canali di finanziamento utilizzati dalle cellule terroristiche per organizzare e realizzare attività criminali sono leciti sicché il loro coinvolgimento in attività illecite può rimanere del tutto insospettato.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, seguiti da quelli del marzo 2004 in Spagna e luglio 2005 in Gran Bretagna, hanno sottolineato l’urgenza di una più intensa collaborazione tra le Nazioni per adottare misure tecniche e legislative efficaci a contrastare il finanziamento delle attività terroristiche e a prevenire lo sfruttamento dei sistemi finanziari nazionali e internazionali a fini illeciti da parte delle reti di matrice islamica.

In genere, i fondi utilizzati dai terroristi per compiere i loro attacchi sono raccolti in Paesi diversi da quelli scelti come obiettivi delle loro azioni. Questa è la prova di come la rete terroristica riesca a sfruttare a pieno le potenzialità offerte dall’integrazione globale dei mercati finanziari al fine di trasferire capitali da un Paese all’altro senza essere identificati e senza lasciare alcuna traccia dell’operazione eseguita. Delle ampie opportunità di profitto offerte dalla globalizzazione dei mercati e della straordinaria crescita di Internet si sono avvalse anche le organizzazioni terroristiche che hanno saputo sfruttare le più moderne tecnologie informatiche (on-line banking, sistemi di cyber-payment, smart cards, e-cash, ecc.) per movimentare capitali da una parte all’altra del globo e per finanziare le loro attività criminali tramite investimenti altamente redditizi.

Data la natura del finanziamento del terrorismo, è chiaro che l’efficacia delle misure di contrasto dipenderà prevalentemente dalla collaborazione attiva del settore finanziario e bancario nella fase di prevenzione del fenomeno, soprattutto attraverso gli obblighi di identificazione, registrazione e segnalazione delle operazioni sospette.

Seguire e mettere insieme informazioni apparentemente scollegate tra loro, ma che poi si rivelano connesse ad operazioni finanziarie complesse, può rivelarsi cruciale per comprendere come i terroristi si procurano e trasferiscono i fondi necessari alle loro attività e per individuare i leaders e i membri di gruppi estremisti legati ad attività terroristiche.

Il settore finanziario, in particolare, si rivela fortemente appetibile per le organizzazioni terroristiche in quanto garantisce un livello di opacità delle operazioni superiore al normale (asimmetria delle informazioni). Lo scambio delle informazioni sui flussi dei fondi è spesso gestito e filtrato da operatori specializzati che, in virtù della posizione privilegiata ricoperta, non solo hanno la possibilità di accedere a informazioni sensibili ma risultano anche legittimati a mantenerle coperte da segretezza.

La presenza sui mercati dei capitali di intermediari disposti a cooperare illegalmente con organizzazioni criminali e terroristiche ovvero di intermediari inconsapevoli di mettere a rischio la propria integrità, offre ai terroristi la possibilità di sfruttare i servizi di investimento e il sistema finanziario in genere, per finanziare efficacemente le proprie attività.

La distribuzione asimmetrica che caratterizza i mercati finanziari rende i Paesi off-shore e quelli caratterizzati da regolamentazioni finanziarie lassiste o permissive (Isole Cayman, Barbados, Guernsey, Panama, Liechtenstein, Svizzera, Lussemburgo)[8] particolarmente attraenti per i soggetti o le società collegate alle organizzazioni terroristiche proprio grazie all’impermeabilità dei loro sistemi finanziari che riduce la possibilità per le autorità di vigilanza estere di ottenere informazioni.

Investire in prodotti finanziari off-shore, tramite intermediari finanziari o amministrazioni fiduciarie costituite “fuori piazza”, si rivela dunque una modalità “sicura” per effettuare investimenti altamente redditizi. Concludere operazioni finanziarie che implicano la movimentazione di considerevoli flussi di liquidità verso titoli atipici emessi da società non quotate, investire in fondi speculativi (hedge founds), specialmente se costituiti e offerti sulle piazze finanziarie di Stati noti per essere non-cooperativi o fortemente blindati, aprire conti bancari per effettuare operazioni in valuta, investire in strumenti finanziari derivati non negoziati nei mercati regolamentati (swaps, options e futures su titoli, indici o valute) in particolare se regolati in contanti (cash settlement), sottoscrivere quote di fondi di investimento: sono tutte operazioni finanziarie fortemente speculative che possono risultare particolarmente appetibili per il terrorismo internazionale. Per di più, tali strumenti alternativi, oltre ad essere fortemente speculativi, possono essere costituiti su misura per le soddisfare le particolari esigenze degli investitori in termini di durata dell’investimento, liquidabilità e asimmetria informativa; senza dimenticare che i fondi speculativi esteri non procedono all’emissione di certificati ma intestano le quote attraverso una mera registrazione contabile e tale circostanza rende altamente difficile il controllo sulle quote sottoscritte[9].

Sulla base di rapporti di private banking con banche o intermediari situati off-shore, persone fisiche o società fiduciarie collegate ad Al-Qaeda possono richiedere operazioni di short selling ed effettuare facilmente investimenti altamente redditizi e totalmente coperti da anonimato. Tramite operazioni di short selling - letteralmente “vendita allo scoperto”- gli intermediari vendono sul mercato particolari tipi di azioni avute in prestito allo scopo di riacquistarle in una data successiva e ad un prezzo inferiore, speculando così sul profitto che risulta dalla perdita di valore del titolo, per poi restituirle al proprietario[10].

Trasferimenti di denaro tramite bonifici interbancari internazionali (SWIFT), internet-banking, strumenti elettronici di pagamento, sovrafatturazioni all’importazione e/o all’esportazione, sistemi di Money Transfer, come l’Hawala, alternativi a quelli regolati, si rivelano dei canali che possono essere facilmente utilizzati dalla rete terroristica islamica per trasferire efficacemente liquidità da un Paese all’altro.

Operazioni bancarie e finanziarie regolate dalla Shari’a (il diritto islamico) possono essere inoltre utilizzate per finanziare, direttamente o indirettamente, organizzazioni terroristiche: accordi di finanziamento quali Murabaha, Mudarabah, Musharaka, Salam, Qard Hassan, fondi di investimento islamici conformi ai principi della Shari’a, possono rivelarsi veicoli efficaci per raccogliere, anche tramite il versamento della Zakât, ingenti somme di denaro da destinarsi al finanziamento del terrorismo. In particolare, il pagamento della Zakât, dovuto da ogni musulmano per la purificazione della sua anima ogni qualvolta vi è un incremento netto di ricchezza, direttamente a favore di musulmani in difficoltà economiche o indirettamente tramite le organizzazioni non-profit presenti in ogni parte del mondo, può trasformarsi in un efficace strumento in grado di fornire supporto finanziario al terrorismo.

In tale prospettiva, un ruolo di primaria importanza è svolto dal GAFI, organismo intergovernativo che, costituito in origine per promuovere standard internazionali di contrasto al riciclaggio, dall’ottobre 2001 ha ampliato il proprio mandato per includervi il monitoraggio delle azioni di prevenzione e contrasto al finanziamento del terrorismo. Le Nove Raccomandazioni Speciali emanate dal GAFI, in aggiunta alle previgenti Quaranta Raccomandazioni, costituiscono il sistema base offerto agli Stati per individuare, prevenire e arginare i canali di finanziamento del terrorismo a livello internazionale.

Già prima degli attentati dell’11 settembre 2001, la comunità internazionale aveva realizzato la pressante necessità di combattere la minaccia terroristica di matrice islamica provvedendo principalmente a recidere le fonti finanziarie che la alimentano. A tal fine, nel quadro delle misure antiriciclaggio adottate nel tempo dai vari organismi internazionali, le Direttive comunitarie n. 91/308/Cee e 2001/97/Ce, relative alla “Prevenzione dall’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite” costituiscono due preziosi strumenti di prevenzione e contenimento, volti a fornire ai singoli ordinamenti misure di protezione di natura ed entità diversa da quelle penali ma di pari efficacia. Da ultima, la Direttiva 2005/60/Ce[11] concernente la “Prevenzione dall’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo” è volta ad ampliare l’ambito di applicazione delle precedenti direttive mediante una più articolata definizione della condotta e ad inserire il concetto di terrorismo, inteso come «provvista o raccolta di fondi, con ogni mezzo, direttamente o indirettamente, con l’intenzione che essi siano utilizzati o con la consapevolezza che essi siano usati, in tutto o in parte, per compiere gli atti di terrorismo previsti dall’art. 1 della Decisione quadro del Consiglio 2002/475/JHA del 13 giugno 2002 sulla lotta al terrorismo»[12].

In essa il controllo e l’analisi dei flussi finanziari si rivelano essenziali ai fini del contrasto alla criminalità, indipendentemente dalle dimensioni assunte dal fenomeno: dalla semplice realizzazione di un profitto o del controllo di un’attività economica ai soli fini della sussistenza, fino al raggiungimento di una vera e propria attività di finanziamento ed espansione dell’organizzazione criminale che, estendendo il suo raggio d’azione oltre i confini nazionali dei singoli Paesi, acquista i tratti di una nuova criminalità transnazionale gestita sempre più in ottica manageriale come vera e propria “attività d’impresa”.

La riduzione dei rischi e la massimizzazione dei profitti sono oggi i criteri di gestione dell’attività criminale nella sua nuova veste di “impresa” che, attraverso l’immissione dei proventi criminali nel sistema legale, è in grado di determinare gravi lesioni al sistema economico, arrecando pregiudizio al dispiegarsi delle regole del libero mercato, in particolare al principio della libera concorrenza, e alla stabilità dei mercati economici e finanziari mondiali. Sullo sfondo la globalizzazione dei mercati che, se da un lato offre nuove e più importanti possibilità di crescita economica, dall’altro ne rende anche più permeabili le strutture al pericolo di penetrazione dei gruppi criminali e più urgente la capacità del “sistema legale” di affinare le tecniche e gli strumenti di contrasto.

L’individuazione, il sequestro e la confisca dei patrimoni illeciti appaiono, pertanto, strumenti di straordinaria efficacia per interrompere il “ciclo produttivo” di questa nuova attività d’impresa, indipendentemente dal comparto criminale da cui il denaro proviene o verso cui è diretto. In fondo, è proprio muovendo da questa constatazione che la terza Direttiva Antiriciclaggio mette insieme la lotta al riciclaggio e il contrasto al finanziamento al terrorismo perseguendo, in entrambi i casi, il medesimo obiettivo, ossia la preservazione dell’economia legale dai pericoli di inquinamento da agenti patogeni ad essa estranei.

È proprio tale obiettivo a spiegare i motivi dell’estensione degli adempimenti relativi alle transazioni finanziarie sospette a soggetti esterni, ma contigui, al mondo bancario ed in primo luogo alle professioni legali e contabili nonché della rinnovata importanza dei obblighi di «due diligence» e «know your customer».

Al di fuori del contesto europeo, numerose sono le iniziative volte a garantire il sistema finanziario nel suo complesso da rischi di inquinamento e di penetrazione da parte della criminalità organizzata. Tra esse, la “Dichiarazione dei principi sulla prevenzione dall’uso illecito del sistema bancario a fini di riciclaggio” approvato dal Comitato di Basilea per la sorveglianza interbancaria[13] e le stesse “40+9” Raccomandazioni emanate dal GAFI[14] che si vanno ad affiancare alle Convenzioni ONU di Vienna 1988 contro il traffico degli stupefacenti[15], di New York del 1999 per la repressione del finanziamento internazionale al terrorismo[16], e del Consiglio d’Europa di Strasburgo del 1990 sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi illeciti[17].

Gli ultimi tre atti rivestono un’importanza particolare ai fini delle presente trattazione in quanto introducono per la prima volta, a diversi livelli, definizioni essenziali quali quelle di «riciclaggio», «beni», «provento di reato», «blocco» o «sequestro».

Di fatto la Convenzione di Vienna rappresenta il primo strumento internazionale di larga portata contenente un’espressa menzione del reato di riciclaggio e l’obbligo di confisca dei proventi di reato. In particolare, la Convenzione ha imposto agli Stati firmatari l’adozione di provvedimenti tali da conferire una rilevanza penale alla particolare figura delittuosa del riciclaggio, provvedendo anche a fornirne una definizione attraverso la descrizione di una serie di generiche condotte rilevanti ai fini della costruzione della fattispecie. Sebbene limitatamente al traffico internazionale di stupefacenti, la Convenzione del 1988 introduce una prima definizione del reato di riciclaggio inteso come «dissimulazione o alterazione dell’origine illecita dei beni oggetto di conversione o di trasferimento», ed è sulla base di questa che le Parti contraenti si impegnano ad adottare i provvedimenti necessari a consentire la confisca dei proventi ricavati dal traffico di stupefacenti o di beni di corrispondente valore, nonché l’individuazione, il congelamento o il sequestro dei proventi illeciti, al fine della successiva confisca[18]. Con riferimento ai beni di provenienza illecita, vengono introdotti i provvedimenti del “blocco” o “sequestro”[19], nonché della “confisca”[20], ma l’aspetto più rilevante, dopo quello delle definizioni, è rappresentato dall’introduzione dell’assistenza giudiziaria e delle deroghe al segreto bancario[21].

Undici anni dopo l’adozione della convenzione di Vienna, viene approvata, in un contesto profondamente diverso, la convenzione per la repressione del finanziamento internazionale del terrorismo pervasa da uno spirito completamente nuovo rispetto a quello della convenzione del 1988, anzi, si potrebbe dire, diametralmente opposto.

Mentre, infatti, la convenzione di Vienna criminalizza l’origine illecita dei fondi (perché, ad esempio, ritenuti provenire dal traffico degli stupefacenti), la convenzione di New York si incentra piuttosto sulla loro illecita destinazione dal momento che i fondi oggetto di attenzione potrebbero essere del tutto leciti o addirittura raccolti per scopi dichiaratamente nobili, attraverso organizzazioni non profit.

A tal fine, si conviene l’adozione del contrasto alla relativa movimentazione nel sospetto che essi possano essere utilizzati per uno scopo meno nobile: il finanziamento del terrorismo.

Rispetto alla convenzione di Vienna (che introduce la nozione di “beni”), inoltre, la convezione di New York adotta il termine più ampio di “fondi”[22] e prevede l’introduzione non tanto della criminalizzazione del reato del riciclaggio internazionale di proventi illeciti (money laundering) quanto piuttosto della facoltà di impedire che fondi di legittima provenienza siano impiegati per la realizzazione di un’attività illecita (money dirtying).

Infine, la Convenzione di Strasburgo del 1990 si caratterizza per aver affrontato la tematica del riciclaggio in modo globale e sistematico, senza cioè limitarne l’ambito a uno o più reati presupposti, come ad esempio fa la convenzione di Vienna, per la quale la criminalizzazione del riciclaggio va inserita nel contesto della lotta al traffico degli stupefacenti, o la convenzione di New York che si occupa reprimere il finanziamento del terrorismo e non il finanziamento dei reati tout court. La convenzione di Strasburgo ha dunque il pregio di aver definito e approfondito i concetti stessi di “riciclaggio”[23], “proventi”[24], “reato presupposto”[25], invitando conseguentemente gli Stati aderenti a uniformare le proprie legislazioni penali.

Anche l’Unione Europea riconosce l’esigenza di contrastare il fenomeno del finanziamento del terrorismo internazionale, in particolare nei confronti della fazione afgana dei Talibani, rispetto ai quali il Consiglio Europeo, già con il Regolamento n. 467/2001 del 6 marzo 2001 – ora abrogato - e con il Regolamento n. 1354/2001 del 4 luglio 2001, aveva previsto il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie.

Entrambi i Regolamenti hanno introdotto i divieti di esportazione di merci e di servizi in Afghanistan e le misure di congelamento delle disponibilità dei Talibani; in particolare, il Regolamento n. 467/2001 recepiva l’intera lista redatta dal Comitato per le Sanzioni contro i Talibani e richiedeva agli Stati membri di applicare ai soggetti indicati nella lista misure di congelamento di beni ed utilità.

Dopo i tragici eventi dell’11 settembre, il processo comunitario di contrasto al terrorismo internazionale subisce un’accelerazione ed è in tale contesto che vengono emanati:

§ il Regolamento n. 2580 del 27 dicembre 2001 sulle misure restrittive specifiche contro determinate persone e entità destinate a combattere il terrorismo;e

§ il Regolamento n. 881 del 27 maggio 2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama Bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani, abroga il Regolamento CE n. 467/2001, inasprisce il divieto di sorvolo ed estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani.

Il Regolamento n. 2580/200 nel formulare, a livello europeo, proprie liste[26] di soggetti nei cui confronti attuare la misura del congelamento, ribadire il divieto di mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione dei soggetti elencati nella lista “capitali ed altre attività finanziarie e risorse economiche” e vieta “la prestazione di servizi finanziari destinati alle persone fisiche o giuridiche comprese nella lista”[27].

Al contrario del sistema previsto dal Regolamento n. 2580/2001, valido per tutti i tipi di terrorismo e slegato dal riferimento territoriale ad un determinato Paese, il Regolamento n. 881/2002 impone misure restrittive di tipo patrimoniale e finanziario esclusivamente nei confronti di persone fisiche e persone giuridiche collegate ad Al-Qaeda, Osama Bin Laden e ai Talibani, ed impone agli intermediari di trasmettere alle autorità competenti dei singoli Stati qualsiasi informazione relativa a fondi, beni finanziari o risorse economiche posseduti o controllati dai soggetti elencati nell’allegato al Regolamento.

Ne deriva che i due provvedimenti si distinguono soprattutto per le differenti matrici di terrorismo che intendono contrastare nonché per la portata e l’incisività delle misure predisposte per il conseguimento degli obiettivi prefissati.

Tra le iniziative assunte sempre a livello europeo particolarmente meritevole di interesse è la “Dichiarazione sulla lotta al terrorismo” adottata dai capi di Stato e di Governo dell’Unione - riuniti a Bruxelles il 25 e 26 marzo 2004 – subito dopo gli attentati di Madrid dell’11 marzo, e“Piano d’azione del 2004 per combattere il terrorismo”, presentato a Bruxelles l’11 giugno 2004.

L’Italia, dovendo combattere la mafia e le tecniche da essa poste in essere per riciclare i capitali derivanti dalle sue attività illecite, alla data dell’11 settembre 2001 già disponeva di un sistema normativo adeguato a contrastare il riciclaggio del denaro sporco.

Sulla base di questo sistema è stato pertanto facile per il nostro Paese rispondere tempestivamente all’emergenza money dirtying estendendo ed adattando gli specifici adempimenti già previsti dalla normativa antimafia e antiriciclaggio per gli operatori bancari e finanziari nella lotta alla mafia e alle operazioni sospette di finanziare il terrorismo.

In quest’ottica si inquadra il d.l. 3 maggio 1991 n. 143, convertito con modificazione dalla L. 5 luglio 1991, n. 197, recante “Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio” [28] volta a fissare specifici divieti e obblighi in materia di utilizzo del denaro contante e dei titoli al portatore, di identificazione e registrazione delle operazioni da parte degli intermediari abilitati, di segnalazione di quelle ritenute sospette in base a precisi parametri e, infine, di specificare gli organi cui è demandato l’approfondimento delle segnalazioni[29].

Il tutto alla luce dei recenti ampliamenti della normativa penale che ha visto l’ampliamento dei reati associativi, associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e associazione di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), a cui si aggiunge oggi l’associazione con finalità di terrorismo anche internazionale e di eversione dell’ordine democratico (art. 270 bis c.p.).

A seguito della situazione di emergenza conseguente agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, l’Italia – va ribadito - ha dato attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione del finanziamento al terrorismo e alle relative Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza[30] e, anche sulla base della normativa comunitaria, ha istituito apposite figure tecniche di contrasto per evitare lo sfruttamento a scopi terroristici del sistema bancario e finanziario nazionale[31]. Inoltre ha provveduto a modificare la disciplina penale delle condotte di Riciclaggio (art. 648 bis c.p.) e Impiego di proventi illeciti (art. 648 ter c.p.) adeguando la preesistente normativa alle previsioni della Convenzione di Strasburgo[32].



[1] La Direttiva cui si allude nel testo è la direttiva 2005/60/CE del 25 ottobre 2005 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, in G.U.C.E. del 25 novembre 2005.

[2] La nozione giuridica di riciclaggio comunemente accolta è quella indicata dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre 1990, ratificata dall’Italia con L. 9 agosto 1993 n. 328. Ad essa si affianca una nozione di carattere più operativo, fissata in ambito OIPC-Interpol nel 1995, a margine dell’Assemblea Generale di tale organizzazione internazionale che riunisce le Forze di Polizia di 181 diversi Paesi. Il Codice Penale italiano all’art. 648 bis definisce il riciclaggio come il delitto commesso da chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato, «sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa».

[3] Le definizioni riportate nel testo sono tratte dall’UN ODCCP Glossary of Money Laundering Terms, disponibile sul sito ufficiale del United Nations Office on Drugs Control and Crime Prevention www.unodc.org.

[4] Vi è chi osserva come l’espressione non sia del tutto corretta posto che il sistema Hawala, ad esempio, è perfino pubblicizzato nei giornali in lingua araba e opera spesso alla luce del sole; così, ad esempio, JOST P. M.- SANDHU H. S., “The Hawala alternative remittance system and its role in money laundering” , Lyon, gennaio 2000. per un approfondimento bibliografico sul sistema Hawala cfr., GRABBE J. O., “In prais of Hawala”, in The Lassez Faire Elettronic Times, vol. 1, n. 13, Paris, 13 maggio 2002; KAPOOR S., “Bad money, bad politics: the untold Hawala story” New Delhi, 1996; MALHOTRA A., “India’s Underground Bankers”, New Delhi,1995; MARGIOCCO M., “Finanze occulte sulle vie degli immigrati” in “Il Sole 24 Ore”, 29 aprile 2004; SABAHI S. F., “Denaro senza traccia”, in “Il Sole 24 Ore”, n. 75 del 17 marzo 2003; SANDHU H. S., “Hawala. A Good Old Vehicle for the Movement of Bad Money Laundering”, in News, Sydney, Australia, 2000.

[5] Cfr. in proposito GAFI, Money Laundering and Terrorism Financing Typologies 2004-2005, Paris, 10 giugno 2005, p. 90.

[6] Cfr., DI NUZZO U., “Economia criminale e nuove prospettive di sicurezza finanziaria”, in Rivista della Guardia di Finanza, n. 3, 2002, p. 1037.

[7] Cfr., a riguardo, la Convenzione per la repressione del finanziamento internazionale al terrorismo, adottata a New York il 9 dicembre 1999, undici anni dopo l’adozione della Convenzione di Vienna sulla lotta al traffico degli stupefacenti, ratificata dall’Italia con legge 14 gennaio 2003, n. 7, in G.U. 27 gennaio 2003, n. 21.

[8] Nonostante i notevoli risultati ottenuti in ambito internazionale per limitare queste aree di rischio, nella maggior parte dei casi i Paesi off-shore sono ancora caratterizzati da un sistema finanziario e bancario fortemente garantista che si sostanzia nella tutela del segreto bancario nei confronti delle indagini investigative. Per una disamina dettagliata sul segreto bancario e i paradisi off-shore cfr., TOSCANO F.-RAZZANTE R., “Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio”, Giuffrè, Milano, 2004; GRANADA P., “Paradisi fiscali off-shore e mercati paralleli”, in Rivista della Guardia di Finanza, n. 5, 2003, pp. 1682-1685.

[9] I fondi di investimento costituiti off-shore, oltre ad essere una forma di investimento, possono essi stessi costituire il mezzo per veicolare capitali verso società collegate alla rete terrorista. Infatti, nel caso in cui la società di gestione del fondo sia collegata a gruppi terroristici potrà fornire supporto finanziario investendo il patrimonio del fondo in società collegate indirettamente ad Al-Qaeda, raggirando qualsiasi tipo di controllo.

[10] In generale, le principali tipologie di azioni oggetto di vendite allo scoperto sono:

Ø Bubble Stocks: cioè titoli di aziende che vengono sopravvalutati dal mercato senza alcun fondamento economico. Spesso le società che emettono questi titoli non hanno alcuna entrata e le attività sono quasi inesistenti;

Ø High Multiple Growth Stocks: sono titoli di società che presentano prodotti innovativi il cui valore cresce notevolmente nel corso di un breve arco temporale;

Ø Azioni in gergo definite “if you can’t fix them, sell them”, ossia azioni di società poco redditizie che annunciano ristrutturazioni o vendite di parte dei propri assets allo scopo di incrementare il valore delle proprie azioni. Nello specifico saranno titoli emessi da imprese molto indebitate, titoli emessi da società con gravi problemi di redditività che vendono parte della loro attività, o titoli di società “in vendita”, ma senza alcuna possibilità che l’operazione di acquisizione vada realmente a termine;

Ø Theme stocks: azioni emesse da imprese differenti tutte legate ad una specifica industria.

[11] La terza direttiva è stata recepita in Italia con la L. 25 gennaio 2006, n. 29, pubblicata in G.U. n. 32 dell’8 febbraio 2006 e dispone l’abrogazione della prima direttiva antiriciclaggio la 91/308/CEE.

[12] La Decisione quadro indicata nel testo è pubblicata in G.U. dell’Unione europea L. 164/3 DEL 22 giugno 2002. l’art. 1 della citata decisione quadro individua gli atti di terrorismo nei seguenti: a) attentati contro la vita di una persona atti a cagionarne la morte; b) attentati contro l’integrità fisica di una persona; c) sequestro o tenuta di ostaggi; d) la realizzazione di un’estesa distruzione agli apparati del Governo o pubblici, del sistema dei trasporti, di infrastrutture, inclusa la rete delle informazioni, di strutture fisse collocate sulla piattaforma continentale, di una proprietà privata o pubblica come pure mettere i pericolo vite umane o cagionare un più grave danno economico; e) dirottamento di aerei, treni, navi e d altri mezzi di trasporto; f) fabbricazione, possesso, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi, esplosivi, ovvero di armi di tipo nucleare, biologico, chimico, come pure la ricerca e lo sviluppo di tali armi; g) rilascio di sostanze pericolose, provocare un incendio o inondazioni o esplosioni il cui effetto sia mettere in pericolo vite umane; h) sabotare o distruggere le vie di rifornimento idrico o di altre risorse naturali; i) minacciare il compimento di uno dei su descritti atti.

[13] Il Comitato rappresenta le Banche Centrali e gli organismi di vigilanza dei Paesi del Gruppo dei Dieci, composto in realtà da dodici Paesi: Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Svizzera e Svezia.

[14] Il G.A.F.I. (Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale) – in inglese F.A.T.F. (Financial Action Task Force) – è un organismo intergovernativo istituito, in occasione del vertice dei capi di Stato e di Governo dei sette Paesi più industrializzati (G7) tenutosi a Parigi nel luglio 1989, allo scopo di monitorare l’andamento del fenomeno criminoso negli Stati membri e sviluppare politiche contro il riciclaggio di denaro sporco a livello nazionale e internazionale. Originariamente formato da 16 membri (i Paesi del G7, la Commissione Europea e altri otto Stati), oggi il GAFI è composto da esperti giuridici e finanziari di sei continenti e conta 33 membri (31 Stati e Governi, per lo più membri dell’OCSE, e due organizzazioni internazionali, la Commissione Europea e il Consiglio di cooperazione del Golfo) e più di 20 osservatori (tra cui 5 enti regionali e 15 altre organizzazioni internazionali). Attualmente il GAFI collabora con i membri di diverse organizzazioni internazionali per realizzare una rete globale antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento al terrorismo internazionale. Tra i partner più importanti, i sette organismi regionali del FATF (FSRBs) e i Supervisori dei Gruppi Bancari Off-Shore (OGBS), a cui si aggiungono altre organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite, il Gruppo Egmont, il Fondo Monetario e la Banca Mondiale.

[15] La Convenzione citata nel testo è quella contro il traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope adottata a Vienna il 19 dicembre 1990 e ratificata in Italia con L. 5 novembre 1009, n. 328, in G.U. del 15 novembre 1990 n. 267.

[16] La Convenzione citata nel testo è quella per la repressione del finanziamento del terrorismo internazionale adottata a New York il 9 dicembre 1990 e ratificata in Italia con L. 14 gennaio 2003, n. 7, in G.U. 27 gennaio 2003 n. 21.

[17] La Convenzione citata nel testo, adottata dal Consiglio d’Europa l’8 novembre 1990, è stata ratificata dall’Italia con L. 9 agosto 1993, n. 328, in G.U. 28 agosto 1993 n. 202.

[18] Cfr., art. 5, “Confisca” della convenzione di Vienna.

[19] Consistenti nel «divieto temporaneo relativo al trasferimento, alla conversione, alla disposizione o al movimento di beni oppure nel fatto di assumere provvisoriamente la custodia o il controllo di beni su decisione di un tribunale o di un’altra autorità competente» [art. 1 lett. d) e j) della convenzione di Vienna].

[20] Ossia «la privazione permanente di beni su decisione di un tribunale o di un’altra autorità competente» [art. 1 lett. d) e j) della convenzione di Vienna].

[21] Per quanto attiene il primo profilo, occorre sottolineare la previsione che le richieste di assistenza giudiziaria possano comprendere “documentazioni bancarie, finanziarie, societarie o commerciali”, nonché l’impossibilità, per le parti contraenti, di invocare il segreto bancario [art. 7, comma 2, lett. f) e comma 5, della convenzione di Vienna].

La trasmissione delle domande di assistenza giudiziaria può avvenire tra le autorità designate dalle le parti, per i consueti canali diplomatici, ma anche, nei casi urgenti, «tramite l’Organizzazione Internazionale di Polizia Criminale/Interpol se ciò è possibile» (art. 7, comma 8, della convenzione di Vienna). Per un approfondimento sul segreto bancario cfr., TOSCANO F., RAZZANTE R., “Il segreto bancario nelle indagini tributarie ed antiriciclaggio”, Giuffrè, Milano, 2004.

[22] Intesi questi ultimi come «averi di ogni tipo, sia tangibili che intangibili, mobili o immobili, comunque acquisiti, e ogni documento o strumento o forma legale ad essi riferiti, compresi quelli di tipo elettronico o digitale, che dimostri il titolo o l’interesse in tali averi, inclusi, ma non solo, i crediti bancari, i travellers cheque, gli assegni bancari, azioni, obbligazioni, buoni del tesoro, effetti cambiari, lettere di credito» (art. 1, comma 1, della convenzione di New York).

[23]«Si commette reato di riciclaggio quando intenzionalmente si convertono o si trasferiscono beni, materiali o immateriali, mobili o immobili, documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti su beni, ogni vantaggio economico, derivanti da reato, allo scopo di occultare o dissimulare l’illecita provenienza dei beni stessi, o aiutare persone coinvolte nella commissione del reato dal quale i beni derivano, definito “reato presupposto”. Si commette lo stesso reato di riciclaggio anche occultando o dissimulando l’origine, l’ubicazione, gli atti di disposizione o di movimenti di detti beni d’origine delittuosa, acquistandone il possesso o semplicemente l’uso, ovvero partecipando alla commissione del reato» (art. 6, della Convenzione di Strasburgo).

[24] Intesi come «ogni vantaggio economico derivato da reati, [che] può consistere in qualsiasi bene», essendo intesi per “beni” quelli «in qualsiasi modo descritti, materiali o immateriali, mobili o immobili, nonché documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui predetti beni» [art. 1, lett. a) e b), della Convenzione di Strasburgo].

[25] Costituito da «qualsiasi reato in conseguenza del quale si formano dei proventi che possono diventare oggetto di riciclaggio» [art. 1, lett. c), della Convenzione di Strasburgo].

[26] Per l’Italia cfr. il sito http://www.uic.it/liste/terrorismo.htm.

[27] I servizi finanziari che non possono essere offerti ai soggetti inseriti nelle liste sono: i servizi bancari, i servizi assicurativi e connessi e qualsiasi altro servizio di natura finanziaria, quali ad esempio tutti i servizi di pagamento e trasferimento di denaro, compresi carte di credito e di debito, travellers’ cheques e bonifici bancari; garanzie e impegni, compravendita e scambi per conto proprio o di clienti, di strumenti del mercato monetario (compresi assegni, cambiali, certificati di deposito), valuta estera, prodotti derivati, strumenti relativi a tassi di cambio e d’interesse, inclusi contratti swap e tassi di cambio a termine, titoli trasferibili, altri strumenti negoziabili e strumenti finanziari, compresi i lingotti, partecipazione all’emissione di qualsiasi genere di titoli, compresi sottoscrizione e collocamento in qualità di agente (in forma pubblica o privata) e fornitura di servizi collegati, intermediazione nel mercato monetario, gestione delle attività e passività, tutte le forme di gestione di investimenti collettivi, di fondi pensione, servizi di custodia, di deposito e amministrazione fiduciaria, servizi di liquidazione e compensazione relativi a strumenti finanziari, ivi compresi titoli, prodotti derivati e altri strumenti negoziabili, disponibilità e trasferimento di informazioni finanziarie, elaborazione di dati finanziari e relativo software da parte di fornitori di altri servizi finanziari, servizi finanziari di consulenza, intermediazione e altro compresi referenze bancarie e informazioni commerciali, ricerche e consulenze in merito a investimenti e portafoglio, consulenze su acquisizioni e su ristrutturazioni e strategie aziendali.

[28] Il d.l. e la legge citati sono pubblicati rispettivamente in G.U. dell’8 maggio 1991, n. 106, e del 6 luglio 1991, n. 157.

[29] Anche sulla base delle novità e delle estensioni introdotte della L. n. 14/2003, del d.l. 56/2004 e del d.m. 3 febbraio 2006, n. 141.

[30] Le risoluzioni cui si allude nel testo sono la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1373 del 28 settembre 2001, che ha previsto che gli Stati adottino quelle misure necessarie per: punire penalmente l’attività di raccolta di fondi da utilizzare per attacchi terroristici; congelare i capitali e le altre attività finanziarie e risorse economiche di chiunque commetta o partecipi ad atti terroristici nonché, a qualsiasi titolo, ne faciliti l’esecuzione; vietare che capitali o altre risorse finanziarie o economiche nonché ulteriori servizi finanziari siano messi a disposizione delle medesime persone; incentivare lo scambio di informazioni ai diversi livelli sulla base di accordi bilaterali o multilaterali; e la Risoluzione n. 1452 del 20 dicembre 2002.

[31] Cfr., in particolare il Decreto Legge n. 369 del 12 ottobre 2001, convertito in legge n. 431 del 14 dicembre 2001, recante “Misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del terrorismo internazionale” che ha istituito il Comitato di Sicurezza Finanziaria e attribuisce all’UIC il ruolo di Financial Intelligence Unit nazionale; il Decreto Legge n. 374 del 18 ottobre 2001, convertito in legge n. 438 del 15 dicembre 2001, recante “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale” che ha apportato significativi aggiornamenti alla fattispecie contenuta nell’art. 270 bis c.p. e ha introdotto l’art. 270 ter c.p. (Assistenza agli associati); il Decreto Legge n. 353 del 28 settembre 2001, convertito con modificazioni, in legge n. 415 del 27 novembre 2001, recante “Disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle misure adottate nei confronti della fazione afgana dei Talibani”; l’articolo 3 bis della Legge n. 73 del 23 aprile 2002 concernente “Disposizioni in materia di contrasto del terrorismo internazionale sul piano finanziario”che amplia i compiti dell’UIC, prevedendo che esso eserciti, anche per contrastare il terrorismo internazionale, le attribuzioni già previste dalla normativa antiriciclaggio; la legge n. 7 del 14 gennaio 2003, di ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite per la repressione del finanziamento del terrorismo del 9 dicembre 1999.

[32] Su questi profili sistematici del reato e del fenomeno “riciclaggio”, si veda, da ultimo, R. Razzante, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, Torino, 2006-2007.