Riflessioni in tema di mandato sportivo difforme dai regolamenti federali, alla luce del nuovo “regolamento per i servizi di procuratore sportivo”

Riflessioni in tema di mandato sportivo difforme dai regolamenti federali, alla luce del nuovo “regolamento per i servizi di procuratore sportivo”
Riflessioni in tema di mandato sportivo difforme dai regolamenti federali, alla luce del nuovo “regolamento per i servizi di procuratore sportivo”

Abstract: Il contratto di prestazione d’opera professionale che può essere stipulato tra il calciatore professionista ed il procuratore sportivo o l’avvocato iscritto all’albo soggiace - anche in quest’ultimo caso - al Regolamento FIGC il quale, oltre alla forma scritta, prescrive, a pena di nullità, altresì l’obbligo di attenersi allo schema (modulistica) predisposto dalla normativa di settore.

L’articolo 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto con violazione di legge”), che fa salvo il diritto alla retribuzione da parte del prestatore di lavoro per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, non si applica al rapporto intercorrente tra giocatore e procuratore (o avvocato), trattandosi di prestazione d’opera professionale, e non di rapporto di lavoro subordinato.

Sommario: 1. Il caso; - 2. Le questioni affrontate; - 3. La disciplina del “mandato” sportivo, tra “contratto misto normativo” e il “giudizio di meritevolezza” effettuato dalla giurisprudenza civile; - 4.La ‘vexata quaestio’ della natura e della funzione dei Regolamenti sportivi      (sulla diversa natura ed efficacia delle norme dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo, soprattutto nei confronti dei terzi soggetti estranei); - 5. Il “mandato” sportivo e la nuova figura del “Procuratore Sportivo”, alla luce della “deregulation” del nuovo Regolamento FIGC (ed i problematici profili di compatibilità con la professione forense); - 6. La questione dell’applicabilità dell’art. 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto in violazione di legge”). - 7. Conclusioni.

1. Il caso

Con decisione n. 5216 dello scorso 17 marzo 2015[1] la Suprema Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, Presidente Russo - Relatore Spirito) è tornata a pronunciarsi - a quasi tre anni di distanza[2] - su uno dei temi più controversi del diritto civile e del diritto sportivo, quale l’attività di assistenza e consulenza legale fornita da un avvocato privo di licenza nei confronti di un calciatore professionista.

La vicenda trae spunto dall’azione intentata dal legale nei confronti del proprio assistito, che aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per somme richieste a titolo di corrispettivo per assistenza professionale prestata in occasione della stipula di un contratto d’ingaggio con un club militante in un campionato professionistico, somme che non erano mai state versate da parte del giocatore.

Contro il provvedimento monitorio disposto dal giudice prima facie, quest’ultimo proponeva opposizione innanzi al giudice di merito che, nel disporne l’accoglimento, dichiarava nullo - per violazione delle normative federali - il contratto di prestazione d’opera professionale concluso tra le parti.

Il legale presentava appello avverso tale sentenza, ma la Corte territoriale respingeva nuovamente il gravame proposto[3].

Avverso tale decisione quest’ultimo inoltrava ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte, rigettando definitivamente ogni pretesa, si pronunciava nel senso di ritenere nullo il contratto di prestazione d’opera stipulato tra l’avvocato e lo sportivo professionista secondo le norme del diritto comune poiché, sebbene concluso per iscritto, non era stato redatto in maniera conforme al modello richiamato - a pena di nullità - dai Regolamenti della FIGC e predisposto dalla relativa Commissione degli Agenti dei giocatori[4].

Secondo la Suprema Corte «le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo necessariamente si riflettono sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato», determinandone la nullità per violazione dei Regolamenti Federali, le cui disposizioni «incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico».

Non può ritenersi idoneo, infatti - sotto il profilo della ‘meritevolezza’ della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti - un «contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste», essendo tale contratto «inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi»[5].

2. Le questioni affrontate

Il caso ripropone una “vexata quaestio” del dibattito giuridico civilistico: i requisiti di validità dei contratti sportivi - “tipici” per l’ordinamento sportivo, ma “atipici” per l’ordinamento statale - stipulati senza l’osservanza delle norme regolamentari sportive.

Sono almeno due, infatti, le questioni affrontate dal caso in esame.

La prima questione riguarda la disciplina del contratto di “mandato” sportivo, nel caso in cui l’attività di assistenza e rappresentanza venga prestata da parte di un Avvocato (iscritto al proprio albo).

La seconda questione investe i limiti di efficacia delle norme dell’ordinamento sportivo nei confronti dei terzi soggetti, estranei a tale ordinamento (nel caso in esame: gli Avvocati che agiscono in rappresentanza di giocatori, alla stregua di procuratori sportivi, ma come liberi professionisti, in quanto soggetti non facenti parte dell’ordinamento sportivo).

Entrambi i temi s’inseriscono nell’ampio dibattito giurisprudenziale riguardante i requisiti di validità dei contratti sportivi nell’ambito dell’ordinamento statale[6].

Come efficacemente evidenziato da una dottrina[7], infatti, «l’elaborazione giurisprudenziale formatasi in tema d’invalidità del contratto sportivo concluso in violazione di norme interne all’ordinamento federale, appare conseguenza del tradizionalmente difficile inquadramento delle federazioni sportive e della loro attività»[8].

Ultima questione cui la sentenza in esame è stata, infine, chiamata a pronunziarsi ha riguardato la possibilità d’invocare, da parte del legale, la disposizione di cui all’art. 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto con violazione di legge”), che fa salvo il diritto alla retribuzione da parte del prestatore di lavoro per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione (tranne che nel caso d’illiceità dell’oggetto o della causa), e ciò sia in caso di nullità o annullamento del contratto, sia nel caso in cui il lavoro sia stato prestato in violazione di norme poste a tutela del prestatore medesimo.

3. La disciplina del “mandato” sportivo, tra “contratto misto normativo” e “giudizio di meritevolezza” effettuato dalla giurisprudenza civile

Il tema centrale della questione è stato ravvisato nell’asserita “mancanza di funzionalità” - nell’ambito dell’ordinamento sportivo - del contratto di rappresentanza stipulato in maniera difforme dal contratto-tipo, previsto dalle normative federali.

Su tale circostanza, infatti, viene fondato il giudizio di “non-meritevolezza” (quanto alla tutela) e la conseguente invalidità dell’accordo anche nell’ambito dell’ordinamento statale, pur in assenza di una violazione di norme imperative (quali le norme federali sportive non sono).

La sentenza riprende - peraltro con motivazione assai concisa - un precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità su di una fattispecie analoga[9], in base a cui il contratto di rappresentanza tra procuratore e giocatore (disciplinato dai regolamenti federali), è stato qualificato come «contratto misto normativo, che assume la forma di contratto neutro di mandato», il quale «realizza l’oggetto e la causa propria della ragione di un affare che avvantaggia l’avvocato procuratore sportivo»[10].

Per tale tipo di contratto vale, quindi, il criterio della «disciplina integrata»[11] (rispettivamente: dalle norme del codice civile sul mandato da un lato, e dalla normativa Federale dall’altro), «nel senso che le parti contraenti devono conformare il contratto alla tipologia ed alle condizioni indicate dal regolamento italiano vigente all’epoca dei fatti»[12].

Secondo tale orientamento, la difformità del contratto di rappresentanza, stipulato dalle parti senza seguire il modello-base previsto dalla normativa federale, dev’essere considerata come diretta al perseguimento di «una causa illecita sottostante», cui consegue l’invalidità ai sensi del secondo comma dell’articolo 1322 del codice civile[13], per assenza del requisito di “meritevolezza” della pattuizione conclusa dalle parti.

A fondamento di tale decisione sono state invocate, da un lato, «ragioni di ordine pubblico sportivo»[14], dall’altro una delibera dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM) del 31 marzo 2005[15], e le connesse ragioni di «equità contrattuale sportiva» di cui - sempre secondo le argomentazioni fatte proprie dai giudici di legittimità - la stessa Autorità si sarebbe fatta carico (per il tramite del citato provvedimento).

Tutto ciò premesso, e nonostante l’apparente logicità delle conclusioni cui sono pervenuti - in entrambe le sentenze - i giudici di legittimità, si osserva che il percorso motivazionale sotteso ad ambedue gli orientamenti non sembra essere del tutto convincente.

A parte, infatti, la mancata puntualizzazione - sia sotto il profilo definitorio, sia sotto quello contenutistico - soprattutto della prima delle due richiamate nozioni (“l’ordine pubblico sportivo”), la sensazione che se ne ricava è che, con la decisione in esame, si sia incorsi nello stesso tipo di errore in cui si era già incorsi nel suo precedente del 2012.

Pur nella consapevolezza, infatti, della complessità del dibattito giuridico inerente la nozione di “causa” nell’ambito del contratto ‘atipico’ (indubbiamente tra i più problematici dell’intero sistema del diritto civile), le perplessità sembrano provenire - anche in questo caso - da una lettura errata del regime di nullità contrattuale che, secondo l’interpretazione fornita in entrambe le sentenze, continua ad essere seguita[16].

Errata lettura che - come puntualmente rilevato da una dottrina[17] - deriva da una vera e propria “forzatura interpretativa” del giudizio di meritevolezza, previsto dall’articolo 1322, secondo comma, del codice civile quale criterio giustificativo dell’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall’ordinamento giuridico.

Tale articolo, infatti, attribuisce alle parti la possibilità di concludere contratti «che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare», a condizione che questi siano diretti a «realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».

Tale profilo di autonomia contrattuale[18] conferisce alle parti la libertà di creare nuove fattispecie (al di là dei ‘modelli’ contrattuali già previsti dal codice o da leggi speciali), più idonee a regolare i loro rapporti, purché realizzino interessi che l’ordinamento giuridico ritiene degni di tutela.

La disciplina di tali contratti è data dalle norme generali sul contratto (artt. 1323, 1326 c.c.) da un lato, e da quella delle fattispecie tipiche (artt. 1470 ss. c.c.) applicabili in via analogica, dall’altro.

Tra i contratti ‘atipici’ si suole ulteriormente distinguere, in relazione alla causa (artt. 13251343 c.c.), tra contratti ‘misti’ e contratti ‘collegati’ (laddove nei primi, la causa è il frutto della fusione di due fattispecie tipiche, mentre nei secondi si stipulano più contratti diversi, ma volti al raggiungimento di uno scopo unico)[19].

Orbene, come ricordato da costante dottrina[20], secondo il disegno originale del codice civile, il “giudizio di meritevolezza” doveva assolvere alla funzione di limite dell’autonomia privata, non solo da un punto di vista negativo (consistente nel mancato perseguimento di una causa illecita, come richiamato nei casi di cui all’articolo 1343 del codice civile: contrarietà della pattuizione a norme imperative, ordine pubblico e buon costume), ma anche da un punto di vista positivo (inteso quale compito sociale attivo che il negozio giuridico doveva ulteriormente perseguire).

Posto, quindi, che il mandato sportivo è stato qualificato dalla giurisprudenza come contratto ‘misto’ normativo, attenta dottrina[21] ha correttamente rilevato la non riconducibilità della nozione del “controllo di meritevolezza” - secondo quella che è stata l’interpretazione giurisprudenziale sinora registratasi in tema di contratti sportivi[22] - rispetto ad alcuna delle elaborazioni teoriche invalse nel dibattito giuridico civilistico.

Come puntualmente osservato[23], infatti, il giudizio negativo di meritevolezza è stato sino ad ora ancorato (invero, anche da parte dell’orientamento in esame) alla mera constatazione di una preclusione circa la possibilità di dare esecuzione al negozio concluso tra le parti nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

Non solo, ma ciò che desta le maggiori perplessità è che tale giudizio, peraltro, viene ad essere effettuato senza utilizzare i ‘normali’ parametri della contrarietà dello stesso contratto a norme imperative, ordine pubblico (statale, e non sportivo) e buon costume (previsti dall’articolo 1343 del codice civile), ma usando quali termini di riferimento le norme dell’ordinamento sportivo, della cui natura ‘imperativa’ e cogente (soprattutto al di fuori del proprio ambito) ci sembra - quantomeno - lecito dubitare.

Le norme regolamentari sportive, infatti, anziché essere espressione di esigenze proprie della generalità dei consociati (aventi, quindi, natura generale ed astratta), sono espressione di esigenze settoriali (circoscritte ai soli soggetti appartenenti al mondo dello sport), proprie di un ordinamento settoriale (quale, appunto, quello sportivo).

Non norme giuridiche vere e proprie, quindi, ma regolamenti interni, espressione - in quanto tali - dell’autonomia negoziale delle parti[24].

Dall’erronea impostazione che attribuisce alle norme dell’ordinamento sportivo il carattere di norme giuridiche in senso pieno (dotate, quindi, delle caratteristiche della generalità ed astrattezza) viene fatta poi discendere - quale conseguenza immediata e diretta - la nullità dell’intero negozio, nell’ambito dell’ordinamento statale, «configurandosi per tale via una sorta di immeritevolezza da ‘inefficienza’ (nell’ambito dell’ordinamento sportivo, ndr.), difficilmente giustificabile da un punto di vista sistematico-ricostruttivo»[25].

È di tutta evidenza, infatti, come tale interpretazione finisce col travisare il significato stesso del giudizio di meritevolezza, facendolo coincidere con quello di contrarietà del contratto a norme imperative, quali, secondo tale impostazione, sarebbero le norme sportive (in particolare: quelle riguardanti i requisiti di forma del mandato sportivo)[26].

Come puntualmente osservato, infatti, se dall’inosservanza di tali norme si fa discendere la medesima conseguenza (ossia la nullità) prevista, invece, per i casi di contrarietà del negozio a norme imperative, ciò finisce col determinare una sostanziale equiparazione delle norme sportive rispetto a quelle imperative, attraverso «il ‘prisma’ della meritevolezza»[27].

Tale interpretazione, inoltre, reca conseguenze irragionevoli sul piano applicativo.

Essa arriva, infatti, al paradosso di riconoscere - in caso d’inosservanza delle norme sportive federali - l’operatività di un regime di nullità diverso[28] rispetto a quello previsto dal diritto positivo (anzi più gravoso, ed in controtendenza rispetto a quest’ultimo), facendo discendere la nullità della pattuizione quale conseguenza della sua contrarietà, rispettivamente, a: 1) norme non aventi carattere imperativo (quali quelle sportive); 2) proprie di un altro ordinamento (quale, appunto, quello sportivo); 3) relative, infine, a requisiti formali di negozi conclusi al suo interno (quali il modello contrattuale da seguire).

4. La ‘vexata quaestio’ della natura e della funzione dei Regolamenti sportivi (sulla diversa natura ed efficacia delle norme dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo, soprattutto nei confronti dei terzi soggetti estranei)

I Regolamenti delle Federazioni sportive, infatti, lungi dal poter essere considerati come fonti del diritto, rappresentano - come pure ricordato dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte[29] - atti di autonomia organizzativa di natura contrattuale.

Da ciò ne discende che le norme regolamentari - stante il generale precetto di cui all’articolo 1372, secondo comma, del codice civile - non possono che rivestire forza vincolante nei confronti dei soli affiliati e tesserati[30], in quanto unici soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo.

Si deve, allora, escludere - come pure rilevato dalla dottrina[31] - che all’inosservanza della norma regolamentare o statutaria dell’ordinamento sportivo possa attribuirsi la stessa rilevanza (anche sul piano sanzionatorio) della violazione di una norma di legge, con conseguente nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, del codice civile[32].

In due recenti orientamenti, infatti, la stessa giurisprudenza di legittimità ha non solo confermato la natura privatistica (e non pubblicistica) delle norme dell’ordinamento sportivo, ma ha altresì affermato che non qualsiasi violazione delle norme dell’ordinamento sportivo determina la nullità delle pattuizioni concluse al suo interno (inerenti, cioè, soggetti appartenenti entrambi a tale ordinamento), ma solo quelle concluse in violazione di norme dal carattere imperativo (che, in quanto tali, non possono che essere di matrice statale).

In un primo orientamento, essa ha infatti affermato[33] che le norme federali, pur richiamate da disposizioni di ‘rango’ statale[34], sono norme di diritto privato che - in quanto tali - esplicano i propri effetti solo tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo, «non potendo il detto ordinamento estendere i suoi effetti al di fuori dell’ambito circoscritto, anche di carattere soggettivo, in cui esso opera»[35].

In un secondo orientamento - riguardante una fattispecie contrattuale che ha interessato due soggetti appartenenti entrambi all’ordinamento sportivo[36] - la stessa Suprema Corte, nell’escludere che qualsivoglia violazione delle regole dell’ordinamento sportivo possa comportare tout court la nullità dei contratti conclusi tra società (o associazioni) sportive e tesserati[37], ha inoltre escluso non solo la possibilità di poter configurare la nullità della pattuizione per violazione dei requisiti di forma previsti dalle normative federali («non potendo la violazione di una disposizione regolamentare trovare sanzione nell’ordinamento statale, governato dal principio generale della libertà delle forme»[38]), ma anche la nullità della stessa per violazione anche dei requisiti di sostanza previsti da tali disposizioni[39]non violando l’onerosità della prestazione alcuna norma imperativa»[40]).

Se, quindi, la giurisprudenza di legittimità s’è già espressa, rispettivamente, nel senso di: a) qualificare le norme federali come norme di diritto privato (che, in quanto tali, non possono che esplicare i propri effetti nei confronti dei soli soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo); b) che persino nell’ambito di controversie intercorrenti tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo non qualsiasi violazione delle sue norme comporta tout court la nullità delle pattuizioni concluse da questi ultimi (ma solo se da queste deriva una violazione di norme statali dal carattere imperativo)[41], non si vede, allora, perché - con la pronuncia in esame - si debba tornare ad attribuire rilievo decisivo alla violazione di norme federali (aventi, quindi, efficacia interna o endo-settoriale), riguardanti, peraltro, aspetti formali dei rapporti intersoggettivi (relativi, cioè, a requisiti di forma di negozi stipulati tra le parti: quali, nel caso di specie, il modello contrattuale da seguire), con conseguente declaratoria di nullità del negozio concluso senza l’osservanza di tali disposizioni.

Giova ricordare, inoltre, che nel caso in questione una delle parti non fa neanche parte dell’ordinamento sportivo.

Le norme regolamentari sportive, emanate dalle competenti Federazioni, si collocano infatti su di un piano (ed interessano un ambito) assolutamente diverso rispetto a quello proprio delle leggi dello Stato.

Come la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto[42], la potestà statutaria e regolamentare delle Federazioni sportive va ricondotta al più generale potere di autonomia privata che l’ordinamento giuridico statale riconosce ad ogni formazione sociale[43].

Pur potendo accadere, quindi, che tali norme - emanate da parte di due ordinamenti autonomi ed originari[44] - vengano a sovrapporsi, in quanto destinate a regolamentare materie di comune interesse (come, nel caso in esame, la disciplina del mandato sportivo), tuttavia anche in tali casi occorre sempre tenere presente la diversità dei piani in cui ambedue i tipi di norme si collocano (da cui esse provengono, e nel cui ambito sono destinate ad operare).

Così, nel caso in cui le norme regolamentari interne alla Federazione prevedano disposizioni particolari in materie di interesse comune (su cui, comunque, non va dimenticata la competenza primaria da parte statale), la mancata osservanza, da parte di un soggetto estraneo a tale ordinamento (quale, nel caso in esame, un Avvocato iscritto al proprio albo), di tali norme non può che avere effetti diversi, a seconda dell’ambito in cui essa è destinata ad operare.

Nel caso in questione, un mandato stipulato tra l’avvocato e lo sportivo professionista che, sebbene concluso per iscritto, non viene redatto secondo il modello richiamato - a pena di nullità - dai Regolamenti federali (ma solo seguendo le norme del diritto comune), non può che essere valutato in maniera diversa a seconda dell’ordinamento in cui è destinato ad avere effetto (ed innanzi a cui tale pattuizione si fa valere).

Non è, a tal fine, fuori luogo ipotizzare come - nel caso in esame - il giudice statale avrebbe dovuto, in primo luogo, accertare la validità dell’accordo secondo le norme ed i principi di diritto comune (improntati, in quanto tali, al principio di libertà di forme[45]), e considerarlo, quindi, pienamente valido ed operante nell’ambito dell’ordinamento statale, salvo poi, al momento di darvi esecuzione nell’ambito dell’ordinamento sportivo, aspettarsi quella ‘reazione’, da parte di tale ordinamento (a mezzo dei suoi organi competenti), sia mediante la mancata attuazione di tale negozio (solo e soltanto in seno ad esso), sia mediante l’attivazione di sanzioni - soprattutto a livello disciplinare - nei confronti del giocatore (unico soggetto facente parte dell’ordinamento sportivo), proprio in virtù della conclusione di un contratto in violazione[46]di norme regolamentari interne[47].

5. Il “mandato” sportivo e la nuova figura del “Procuratore Sportivo”, alla luce della “deregulation” del nuovo Regolamento FIGC (ed i problematici profili di compatibilità con la professione forense)

Come appena ricordato, il contratto di “mandato sportivo” - con particolare riferimento allo sport del calcio - conferito da un giocatore professionista ad un soggetto che agisce in qualità di suo “agente” è disciplinato da una fonte di rango federale (in quanto tale, “endosettoriale”).

Vengono in rilievo, in particolare, le disposizioni contenute nel Regolamento Agenti di Calciatori (vigente all’epoca dei fatti)[48], oggi sostituite dal nuovo “Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo”[49].

Secondo il Regolamento del 2010 - emanato in conformità al Regolamento FIFA del 2008[50] -  l’attività di Agente di calciatori poteva essere svolta solo da soggetti in possesso di regolare licenza rilasciata dalla FIGC[51] o da altra Federazione nazionale o internazionale (art. 1, primo comma), essendo questi definito come «libero professionista senza alcun vincolo associativo nei confronti della FIGC o di società di calcio affiliate alla FIGC», e non potendo «essere considerato ad alcun titolo tesserato della FIGC» (così il successivo secondo comma).

L’attività di “agente” veniva definita, in particolare, come l’attività di colui che, «in forza di un incarico a titolo oneroso conferitogli in conformità al presente regolamento, cura e promuove i rapporti tra un calciatore professionista ed una società di calcio professionistica, fatto salvo quanto previsto dall’art. 23 (in tema di rappresentanza dei calciatori minorenni, ove si sanciva la presunzione di gratuità dell’incarico, ndr.) in vista della stipula del contratto di prestazione sportiva, ovvero tra due società per la conclusione del trasferimento o la cessione di un contratto di un calciatore nell’ambito di una Federazione o da una Federazione all’altra», dovendo, il conferimento dell’incarico, svolgersi «secondo le modalità indicate nel presente regolamento» (così l’art. 3).

Per quel che riguarda la titolarità allo svolgimento di tale attività, il Regolamento del 2010 prevedeva che essa poteva essere effettuata solo da parte di «persone fisiche che abbiano ottenuto la licenza» (così l’art. 4, secondo comma), con conseguente divieto di avvalersi della collaborazione di soggetti privi di tale abilitazione, «salvo si tratti di un avvocato iscritto nel relativo albo professionale, in conformità alla normativa statale e sportiva vigente» (così l’art. 5, primo comma).

Un primo dato da cui è necessario partire, quindi, è quello per cui, sebbene l’iscrizione presso il Registro dei Procuratori sportivi (tenuto dalla FIGC) comporti l’assoggettamento di quest’ultimo ai poteri disciplinari da parte dei competenti organi federali[52], l’agente dei calciatori (oggi procuratore, ndr.) non è un soggetto affiliato alla federazione, non essendo legato da alcun rapporto associativo con essa[53].

La giurisprudenza amministrativa[54], in particolare, lo ha definito come un «libero professionista che, avendo ricevuto a titolo oneroso l’incarico, cura e promuove i rapporti fra un calciatore e una società in vista della stipula di un contratto di prestazione sportiva ovvero fra due società per la conclusione del trasferimento o la cessione del contratto di un calciatore», e svolge «un’attività inquadrabile nella categoria della prestazione d’opera professionale (ex art. 2229 cod. civ.), che ha come presupposto il rilascio di un ‘mandato senza rappresentanza’ e come oggetto un’obbligazione di mezzi, e non di risultato»[55].

Dell’inquadramento giuridico della sua attività è stato, inoltre, investito il giudice comunitario, il quale l’ha definita come «periferica all’attività sportiva, e non peculiare al mondo dello sport»[56], con la conseguenza - tutt’altro che di poco conto - che essa deve ritenersi soggetta sia alla disciplina civilistica dettata dall’ordinamento dello Stato di appartenenza, sia alla disciplina comunitaria e nazionale in tema di diritto della concorrenza ed antitrust[57].

Orbene, poiché nel caso in esame, la vicenda ha riguardato l’attività di assistenza e consulenza fornita da un Avvocato, non iscritto al registro dei Procuratori sportivi, nei confronti di un giocatore professionista, occorre, a tal fine, tenere in considerazione due ulteriori dati normativi.

In primo luogo, secondo il nuovo “Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo”[58], ai fini dell’iscrizione nel relativo albo è sufficiente il mero versamento di una tassa annuale - nei confronti dei competenti organi federali - ed il rispetto dei requisiti di ‘onorabilità’ di cui all’art. 4.3 del nuovo Regolamento[59].

Com’è ormai noto, infatti, con una delibera risalente al Congresso del Marzo dello scorso anno[60], la FIFA ha abolito la licenza per gli agenti dei calciatori e ha provveduto a deregolamentare l’intera disciplina, limitandosi ad indicare alcuni principi generali minimi che ciascuna Federazione è tenuta ad adottare per disciplinare (a livello nazionale) l’attività di procuratore sportivo (o ‘intermediario’ come attualmente definito dalla stessa FIFA)[61].

Di tale vera e propria liberalizzazione - e del nuovo approccio adottato dalla FIFA, fondato sulla previsione, nei nuovi Regolamenti, di standards minimi ai fini dello svolgimento di tale attività (e relativa abolizione dell’esame di abilitazione)[62] - non si può fare a meno, oggi, di tenere conto.

In secondo luogo, il nuovo Regolamento non prevede più - all’interno del proprio impianto - la deroga di cui all’art. 5, primo comma, in favore degli Avvocati iscritti all’albo (in vigore, invece, sotto l’abrogato Regolamento degli Agenti FIGC).

Occorre infatti ricordare che il Consiglio Nazionale Forense ha - in diverse occasioni[63] - affermato l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e l’attività di agente sportivo[64].

Tuttavia, con altrettanta puntualità va ricordato che le argomentazioni fatte proprie dall’organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana - che avevano portato a tale dichiarazione d’incompatibilità - erano incentrate sulla specifica regolamentazione dell’attività di agente (ora procuratore), sulla presenza di un esame per accedere all’iscrizione all’albo (vero e proprio titolo abilitativo, ora soppresso) e sulla conseguente deroga prevista dall’art. 5, primo comma, per gli Avvocati.

Ratio di tale deroga era proprio la presenza di uno specifico titolo abilitativo (da conseguire attraverso il superamento di apposito esame, che si svolgeva in due diversi momenti dell’anno: generalmente nei mesi di marzo e settembre), a garanzia dei requisiti di professionalità (ma anche di terzietà e indipendenza) da parte di coloro che intendessero intraprendere tale professione.

Sennonché, coll’entrata in vigore del nuovo “Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo”, tali prerogative (in primis, il conseguimento dell’abilitazione per il tramite del superamento di apposito esame) sono venute a mancare.

Rimane da verificare, quindi, se - sotto la vigenza del nuovo Regolamento - possono altresì ritenersi venute meno le preclusioni per una contemporanea iscrizione di un soggetto all’albo degli Avvocati, da un lato, ed al nuovo registro dei Procuratori Sportivi, dall’altro.

Sul punto, mette conto rilevare che il ‘vecchio’ Regolamento FIFA sugli agenti dei giocatori del 2008 (cui era modellato il Regolamento FIGC del 2010)[65] prevedeva, all’art. 4 (“Exempt Individuals”), la possibilità di farsi assistere da un Avvocato privo di licenza, ma regolarmente iscritto al proprio albo secondo le norme del proprio Paese[66], precisando, inoltre, che «lattività svolta da tali soggetti non soggiace alla giurisdizione degli organi FIFA»[67].

Non va dimenticato, inoltre, che il Regolamento FIFA ha natura di fonte sovraordinata, rispetto al Regolamento FIGC (che, infatti, è stato emanato e adottato sul modello del primo).

Alla luce di tutto ciò, quindi, riteniamo una forzatura sostenere che anche l’avvocato privo di licenza, ogni qual volta si trovi a svolgere, di fatto, l’attività di agente - sia per conto di un club, sia per conto di un calciatore - debba considerarsi sottoposto alla giurisdizione della FIGC (anche per quanto riguarda profili di tipo disciplinare)[68], e non, invece ai ‘soli’ poteri disciplinari dell’Ordine professionale presso cui è iscritto.

È lecito, anzi - ma riteniamo anche utile e doveroso - attendersi una nuova presa di posizione da parte dell’organismo di rappresentanza dell’Avvocatura (unico Ordine professionale, invero, competente ad irrogare eventuali sanzioni disciplinari), che tenga conto di questo nuovo assetto normativo[69].

Altro aspetto, infine, che investe i profili soggettivi richiesti per poter svolgere in Italia l’attività di Procuratore sportivo riguarda le cause di preclusione ai fini dello svolgimento di tale attività.

Tra quelle indicate dall’art. 4, terzo comma, del nuovo Regolamento, si trova, in particolare, anche il «non avere riportato condanne definitive per il reati di frode sportiva  di cui alla legge 401/1989 ovvero per delitti non colposi puniti con la pena edittale della reclusione non superiore, nel massimo, a cinque anni» (requisito, peraltro, che viene ad essere certificato mediante semplice autodichiarazione).

Ai sensi del nuovo Regolamento, quindi, potrebbero legittimamente presentare domanda d’iscrizione soggetti condannati in via definitiva per reati quali: appropriazione indebita, abuso d’ufficio, truffa, corruzione, frode processuale, frode informatica, lesioni personali, malversazione in danno dello Stato, violenza privata, violazione di domicilio, rissa, sostituzione di persona, abusivo esercizio di una professione, evasione, resistenza a P.U., trattandosi - in tutti i casi appena elencati - di delitti non colposi puniti con pena massima inferiore a cinque anni.

Orbene, nonostante il carattere meramente esemplificativo (e, purtroppo, non certo esaustivo) dell’elencazione appena fatta, desta certamente non poche perplessità la circostanza per cui viene attribuita la possibilità di avere accesso a tale attività - ed avere, quindi, pieno titolo per operare nel mercato del calcio - a soggetti che si siano già resi protagonisti di tipologie di reato, dal forte disvalore penale (e conseguente allarme sociale).

Sotto tale profilo, non si può fare a meno di auspicare, allora, una revisione del Regolamento attualmente in vigore, che vada verso una duplice ottica di miglioramento, da un lato, dei requisiti di professionalità (ma anche di onorabilità) dei soggetti che intendano svolgere tale professione, ma anche di maggiore tutela, dall’altro, dei soggetti assistiti[70].

6. La questione dell’applicabilità dell’art. 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto con violazione di legge”)

Ultima eccezione su cui i Giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi è stata la possibilità che, nel caso in esame, potesse trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 2126 del codice civile (invocata da parte del legale in proprio favore).

Tale norma, come precisato dall’orientamento in esame, può trovare applicazione «solo nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato»[71].

L’art. 2126 del codice civile prevede, infatti, tre regole fondamentali[72].

La regola principale è quella per cui la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.

Eccezione a tale regola è quella per cui la nullità, invece, produce effetto se deriva da illiceità dell’oggetto o della causa (così sempre al 1° comma del citato articolo).

A tale eccezione segue poi una sorta di ‘eccezione dell’eccezione’ (al 2° comma), che prevede che se il rapporto è prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha - in ogni caso - diritto alla retribuzione, anche in ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa.

La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che essa «disciplina unicamente gli effetti già realizzatisi di un rapporto di fatto in concreto svoltosi tra le parti, al quale riconosce efficacia limitatamente al periodo in cui esso ha avuto attuazione, nell’intento di evitare che la portata retroattiva della pronuncia di nullità del contratto possa incidere sulla prestazione lavorativa già resa»[73].

In altri termini, con tale disposizione si stabilisce - in deroga ai principi di diritto comune - che la nullità del contratto di lavoro operi ex nunc, e non ex tunc, facendo così salvi gli effetti dell’avvenuta esecuzione della prestazione lavorativa (in primis, il diritto alla retribuzione).

Tanto precisato, deve tuttavia ritenersi pacifico che la regola di cui all’art. 2126 del codice civile possa trovare applicazione solo con riguardo alle prestazioni riconducibili al lavoro subordinato, e non, invece, a quelle derivanti da lavoro autonomo[74].

La stessa Cassazione - a Sezioni Unite - ha sottolineato la natura “eccezionale” di tale norma, derogatoria dell’art. 1418 del codice civile (sul regime generale di nullità del contratto), e la conseguente sua impossibilità di trovare applicazione in via analogica per altri casi o situazioni simili (quali, ad. es., fattispecie aventi le caratteristiche della parasubordinazione)[75].

Ma la stessa giurisprudenza di legittimità ha affermato che in tali casi residua sempre - in capo al soggetto agente - l’azione di arricchimento senza causa, ex art. 2041 del codice civile[76].

La prestazione svolta dall’Avvocato, infatti, ha certamente determinato l’arricchimento di un altro soggetto (in questo caso, il giocatore che ha stipulato il contratto d’ingaggio con il club).

Unico precedente giurisprudenziale specifico sul punto, invero, ha riguardato il caso di un rapporto di lavoro instaurato tra una società sportiva ed un allenatore (con contratto a tempo determinato), la cui prosecuzione delle prestazioni lavorative - dopo la scadenza del termine fissato - non è stata ritenuta giustificativa della trasformazione dell’originario rapporto in una fattispecie a tempo indeterminato (con conseguente illegittimità del successivo recesso della società e diritto del dipendente alla reintegrazione del posto di lavoro), trattandosi di attività lavorativa riconducibile alla fattispecie della prestazione di fatto ex art. 2126 del codice civile[77].

Il caso appena citato, tuttavia, è assolutamente diverso da quello oggetto della presente analisi, stante la natura non subordinata del rapporto intercorrente tra l’avvocato ed il suo assistito, ragion per cui non può che ritenersi corretto il ragionamento seguito dei Giudici, che hanno ritenuto inapplicabile l’art. 2126 del codice civile al caso di specie.

7. Conclusioni

La sentenza in esame non sembra del tutto convincente per un molteplice ordine di ragioni.

In primo luogo, per l’assimilazione che essa effettua tra norme (regolamentari) sportive da un lato, e norme statali dall’altro (finendo, addirittura, coll’attribuire alle prime carattere imperativo e cogente).

Il dato normativo, infatti, attribuisce inequivocabilmente alle Federazioni Sportive Nazionali la natura giuridica di associazioni di diritto privato[78].

I relativi Regolamenti sono, come ricordato dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte[79], atti di autonomia organizzativa di natura contrattuale.

Essi, quindi, non possono che dispiegare la loro efficacia nei confronti dei soli soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo, e non anche nei confronti di altri soggetti che non fanno parte di tale ordinamento (quali, nel caso che qui interessa, gli Avvocati regolarmente iscritti all’albo, per di più privi della licenza di ‘agente’)[80].

Soggetti che, peraltro, nel caso in esame hanno scelto di seguire liberamente le norme di diritto comune per disciplinare i loro rapporti (nella specie: le norme sul mandato), discostandosi espressamente dalle previsioni dei regolamenti federali.

Altro aspetto che non convince è il giudizio di “immeritevolezza” di tutela, ex art. 1322, secondo comma, del codice civile, effettuato dai Giudici di legittimità in relazione alla “mancanza di funzionalità” del contratto stipulato dalle parti nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

Tale giudizio non tiene conto, ancora una volta, della diversa finalità - e dei diversi piani - su cui operano le norme statali (da un lato) e le norme sportive (dall’altro).

Compito delle prime, infatti, è quello di stabilire i principi generali applicabili alle fattispecie contrattuali previste (e richiamate) dal codice civile (tra cui il mandato)[81].

Compito delle seconde, invece, è quello di disciplinare e regolamentare i rapporti endo-associativi tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo (il cui ambito di efficacia, in quanto tale, non può estendersi al di fuori di tale contesto).

Tale (errata) equiparazione - tra «immeritevolezza di tutela», da un lato (nell’ordinamento statale), e «mancanza di funzionalità», dall’altro (nell’ordinamento sportivo) - ha trovato, sino ad ora, sostegno da parte della giurisprudenza statale sul presupposto della necessità di effettuare il ‘controllo finanziario’ da parte delle Federazioni - in ottemperanza delle disposizioni di cui agli articoli 4 (“Disciplina del lavoro subordinato sportivo”), secondo comma[82] e 12 (“Garanzia per il regolare svolgimento dei campionati sportivi”)[83] della legge 24 marzo 1981, n. 91 (“Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”) - sui contratti d’ingaggio stipulati tra società e giocatori.

Necessità che è stata ravvisata sia nell’ipotesi di contratto non stipulato per iscritto[84], sia nell’ipotesi di contratto redatto in maniera difforme dal contratto-tipo[85], sia, infine, in caso di mancato deposito dei ‘patti aggiunti’ in Federazione per la relativa approvazione[86].

Tuttavia, ancora una volta, va ribadito che le norme ivi richiamate (e tutto il dibattito giurisprudenziale registratosi in materia) riguardano unicamente soggetti (società e giocatori) appartenenti entrambi all’ordinamento sportivo, e non anche terzi soggetti, estranei a tale ordinamento.

Costoro, infatti, si trovano al di fuori del loro ambito di applicazione (ed operatività).

Non solo, ma laddove tali norme si ritenessero pienamente valide ed operanti anche per l’ordinamento statale, esse recherebbero (l’inaccettabile) conseguenza d’introdurre - in caso di loro inosservanza - un regime di nullità dei contratti diverso e più gravoso rispetto a quello previsto dalle norme di diritto comune (in primis: l’art. 1418 del codice civile e tutti i regimi di nullità da esso richiamati[87]).

All’origine di tale equivoco - che continua, invero, a perpetrarsi anche nella sentenza in commento - tra «mancanza di funzionalità» (da un lato) della pattuizione nell’ordinamento sportivo (da un lato), e «meritevolezza» di tutela (dall’altro) nell’ordinamento statale, è stato richiamato un orientamento giurisprudenziale, erroneamente assunto a termine di riferimento.

Si tratta di quell’orientamento[88] che ha ribadito il principio - già espresso, invero, da altri in precedenza[89] - per cui, relativamente alla cessione del contratto di un calciatore professionista stipulata tra due società senza il rispetto delle modalità fissate dalle normative federali (richiamate dall’art. 5 della l. 91/81), non essendo tale cessione valida per l’ordinamento sportivo (ove la stessa è destinata a dispiegare i propri effetti), essa - pur astrattamente lecita secondo le norme del diritto comune - non può essere efficace neanche per l’ordinamento statale, non essendovi alcun interesse meritevole di tutela che residui in capo ai contraenti.

Orbene, anche a tal proposito un’attenta dottrina[90] ha, in maniera assolutamente corretta e puntuale, manifestato perplessità circa la riconduzione dell’inefficacia della cessione del contratto - da parte di tale giurisprudenza - al giudizio di immeritevolezza di tutela nell’ordinamento statale, facendo presente che tale cessione è disciplinata dall’art. 5 della l. n. 91/81, ragion per cui la mancata osservanza delle disposizioni federali (richiamate da tale articolo) impedisce la realizzazione della fattispecie direttamente per violazione della legge medesima.

Tuttavia ancora una volta occorre precisare che tale casistica giurisprudenziale ha riguardato fattispecie contrattuali in cui ambedue le parti in causa erano soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo.

Nel caso in esame, invece, ci troviamo di fronte ad una fattispecie in cui uno dei due soggetti è estraneo a tale ordinamento, sicchè, in quanto tale, non può essere soggetto alle norme da esso previste.

Terzo ed ultimo profilo, infine, riguarda la mancata applicazione della disposizione di cui all’art. 2126 del codice civile, applicabile - secondo l’orientamento in esame - solamente nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato.

Posta, infatti, la natura «eccezionale» di tale norma[91], la stessa giurisprudenza di legittimità[92] ha precisato che, nei casi in cui tale norma non possa essere invocata in proprio favore, residua sempre - in capo al soggetto che volesse intentare azione legale per far valere le proprie ragioni - la possibilità di agire in giudizio con l’azione di cui all’art. 2041 del codice civile (“Azione generale di arricchimento”), stante il carattere residuale della stessa (giusta la previsione di cui all’art. 2042 del codice civile).

Ove l’Avvocato (mandatario) fosse quindi riuscito a dimostrare in giudizio che la stipula del contratto d’ingaggio da parte del giocatore (suo mandante, per conto del quale egli era intervenuto) era avvenuta grazie al suo (esclusivo) intervento, egli, allora, avrebbe potuto validamente esperire l’azione di arricchimento senza causa nei confronti del giocatore.

Tuttavia, dal momento che quest’ultimo non ha formulato (né fornito prove al riguardo) alcuna espressa domanda in tal senso nel suo atto d’appello, la Suprema Corte, di conseguenza, non s’è potuta pronunciare nel merito.

Si rimane in attesa della produzione di una giurisprudenza più significativa sul tema, che sia in grado di fornire ulteriori e più utili chiarimenti rispetto alle considerazioni sin qui svolte - soprattutto, invero, sulla natura, sull’efficacia e sull’ambito di applicazione delle norme regolamentari sportive, anche in tema di mandato di rappresentanza tra giocatore e procuratore sportivo, o avvocato iscritto all’albo - in una materia che riveste sempre maggiore importanza nei settori della vita quotidiana quale è, oggi, lo sport.

 

[1] il testo della sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.dirittoegiustizia.it/news/23/0000072697/Avvocato_assiste_il_calciatore_la_norma_da_applicare_e_quella_sportiva.html;

[2] l’ultima pronuncia sul tema è stata Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 15934 del 20 settembre 2012 (Pres. Trifone, Rel. Petti). Il testo della sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.altalex.com/documents/altalex/news/2013/08/28/avvocato-agente-di-calciatori-necessario-il-rispetto-dell-ordinamento-sportivo (con breve nota di G. Nicolella);

[3] C. App. Trieste, n. 424 del 18 ottobre 2010;

[4] il contratto-tipo di rappresentanza tra calciatore e procuratore sportivo è reperibile presso il sito ‘istituzionale’ della Federazione Italiana Giuoco Calcio (www.figc.it), al seguente indirizzo web: http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/61.$plit/C_2_ContenutoGenerico_3818_Sezioni_lstSezioni_0_lstCapitoli_1_upfFileUpload_it.pdf;

[5] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5216/2015, cit.;

[6] nel caso in questione, la vicenda ha riguardato il “mandato sportivo”, ma il dibattito giurisprudenziale ha investito vari altri aspetti di altre tipologie di contratto, diffuse in ambito sportivo, quali: il contratto d’ingaggio tra giocatore e club (Cass. Civ. Sez. Lav., n. 11462 del 12 ottobre 1999, Calcio Perugia Spa c. altri), i “patti aggiunti” - intendendosi per tali quelle pattuizioni, convenute tra le parti, che stanno al di fuori del contratto d’ingaggio - tra questi due soggetti (in quanto tali, non depositate, ai sensi degli articoli 4 e 12 della legge n. 91 del 1981, presso la Federazione di riferimento: cfr. Cass. Civ. Sez. Lav., n. 1855 del 3 marzo 1999, Monelli c. Pescara Calcio, e, più di recente, Cass. Civ., Sez, VIª-lavoro, ord. n. 5830 del 13 marzo 2014), ed infine, il contratto di trasferimento (“cessione”) di un giocatore tra un club ed un altro, redatto in violazione delle disposizioni federali (Cass. Civ. Sez. IIIª, n. 3545 del 23 febbraio 2004);

[7] G. Facci, Ordinamento sportivo e regole d'invalidità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, fasc. I, pp. 237-264;

[8] divisa, invero, tra una concezione che attribuisce alle Federazioni sportive (sia nazionali che internazionali) natura «privatistica», ed una concezione che, invece, attribuisce loro natura «pubblicistica» (in dottrina. M. Sanino, F. Verde [a cura di], “Diritto Sportivo” (quarta ed.), Padova, 2015, CEDAM, p. 118 ss.);

[9] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 15934/2012 (cit.). In tale fattispecie l’accordo - oltre ad essere difforme dal modello-tipo predisposto dal regolamento federale - conteneva una penale particolarmente gravosa in favore del procuratore. Costui ne invocava, quindi, il pagamento, lamentando che il giocatore aveva direttamente sottoscritto il contratto (senza la sua assistenza), in violazione dei patti contrattuali.

La sentenza è stata pubblicata su Giust. civ., 2013, parte I, n. 9, p. 1813, con nota di G. Vidiri, Il mandato stipulato tra agente e calciatore: contratto (normativo) misto a formazione giurisprudenziale?; e su Giur. it., 2013, n. 7, p. 1671, con nota di D. Gaspari, Avvocato e agente di calciatori: una strana coppia;

[10] così in motivazione Cass. Civ., n. 15934/2012, cit.;

[11] la quasi unanime giurisprudenza e la dottrina prevalente seguono la teoria della prevalenza (o dell’assorbimento), secondo la quale si applica la disciplina del contratto la cui funzione, nella combinazione degli elementi, è in concreto prevalente. In giurisprudenza: Cass. Civ. Sez. IIª, n. 2661 del 22 marzo 1999 (in Contratti, 1999, p. 992); Cass. Civ., Sez. IIª, n. 12199 del 2 dicembre 1997 (in Giur. it., 1998, I, n. 1, 1808). In dottrina: A. Torrente - P. Schlesinger, “Manuale di Diritto Privato”, XXª ed., Milano, 2009, Giuffrè, p. 200; R. Sacco, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, p. 794;

[12] così in motivazione Cass. Civ., n. 15934/2012, cit.;

[13]che dà alle parti la possibilità di stipulare anche contratti diversi da quelli previsti dal codice, a condizione che «siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico»;

[14]secondo una«lettura costituzionalmente orientata dagli artt. 2 della Costituzione in relazione a diritti inviolabili del calciatore professionista»;

[15]con cui quest’ultima aveva invitato la FIGC a «riformare le regole del settore», in base a «criteri di proporzionalità», con particolare riguardo alla limitazione delle clausole di esclusiva riservate agli agenti dei calciatori, all’abolizione della clausola “penale” per la revoca del mandato, ed infine «prevedendo contratti meno vincolanti, abolendo le clausole sulla scadenza dei contratti, ed eliminando i conflitti di interessi».

La delibera è reperibile on-line presso il sito istituzionale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (www.agcm.it) al seguente indirizzo web: http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/1122-audizione111006.html;

[16] in tal senso, si condividono le considerazioni critiche di G. Nicolella, L’Avvocato-agente di calciatori: ancora (come allora) sul necessario rispetto dell’ordinamento sportivo, in Giustizia sportiva, on-line presso www.giustiziasportiva.it, 2015, fasc. 1, pp. 123-131;

[17] G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, in Contr. impr., 2013, n. 3, pp. 645-673;

[18] il primo, invero s’individua nei limiti direttamente imposti dalla legge. Non casuale, a tal fine, è il richiamo - contenuto nel 1° comma dell’art. 1322 c.c. - all’art. 41 della Costituzione, in tema di libertà d’iniziativa economica privata (e del secondo comma di tale Norma fondamentale, in tema di divieto di svolgimento dell’attività economica se «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»);

[19] in dottrina, M. C. Diener, Il contratto in generale, Milano, Giuffrè, 2002, p. 17 ss.;

[20] U. Breccia, voce «Causa», in Trattato di Diritto Privato (dir. da M. Bessone), XIII, vol. 3, Torino, pp. 3 ss.; M. Costanza, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contr. impr., 1987, p. 430 ss. (secondo cui, in particolare, il controllo di meritevolezza implica una valutazione di conformità costituzionale, preventiva e distinta rispetto a quella di liceità); G. Sicchiero, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, in Contr. impr., 2004, p. 545 ss. (secondo tale Autore, in particolare, il contratto atipico è meritevole di tutela se il risultato che si vuole raggiungere rappresenta uno scambio di utilità economiche di qualsiasi tipo, «purchè il giudice ne possa verificare l’utilità in concreto»);

[21] A. Federico, L’elaborazione giurisprudenziale del controllo di meritevolezza degli interessi dedotti nei contratti c.d. sportivi, in «Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico», Napoli, 2009, p. 369 ss.;

[22] sono stati, questi, i casi di cui Cass. Civ., Sez. Iª, n. 4845 del 28 luglio 1981 e Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 3545 del 23 febbraio 2004, cit. (in tema di contratto di «cessione» di un calciatore), e di Cass. Civ. Sez. Lav., n. 1855 del 3 marzo 1999, cit. (in tema di «patti aggiunti» tra giocatore e club, ma non depositati in Federazione);

[23] anche da G. Santorelli, Sussidiarietà e regole di validità dei contratti sportivi», in «Il Principio di sussidiarietà nel diritto privato, I, Potere di autoregolamentazione e sistema delle fonti», a cura di M. Nuzzo, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 235-262;

[24] come puntualmente osservato da G. Sicchiero, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, cit., p. 549;

[25] così G. Santorelli, Sussidiarietà e regole di validità dei contratti sportivi», cit., pp. 254-255; in termini analoghi, A. Lepore, Il contratto di cessione di calciatori professionisti: unità nell’ordinamento giuridico e giudizio di validità (nota a Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il CONI, 5 marzo, 2009, presso Rassegna di Diritto ed Economia dello Sport, 2011, pag. 187. L’Autore, a tal proposito, preferisce parlare di ‘ineffettività’ del contratto);

[26] contesta l’automatismo interpretativo, in virtú del quale la violazione della regola endoassociativa sportiva dovrebbe condurre sempre alla declaratoria di nullità ex art. 1322, comma 2, c.c., E. Indraccolo (Violazione di regole endoassociative e responsabilità professionale, in Rass. dir. civ., 2014, n. 3, pp. 916-936). L’Autore, peraltro, ritiene le regole sportive richiamate dalla sentenza inapplicabili al caso concreto e, sul presupposto che non esista un ordinamento sportivo, separato e autonomo da quello generale, afferma che tali regole sportive non possano essere ritenute conformi con l’unitario assetto ordinamentale. In particolare, egli ritiene assolutamente valido il contratto concluso fra avvocato e calciatore, salvo rilevare violazioni del codice deontologico forense e, di conseguenza, profili di responsabilità professionale in capo al legale;

[27] in tal senso A. Federico, L’elaborazione giurisprudenziale del controllo di meritevolezza degli interessi dedotti nei contratti c.d. sportivi, cit., p. 372, il quale sottolinea la ‘carica eversiva’ di tale impostazione del “controllo di meritevolezza degli interessi”, che finisce, sostanzialmente, coll’attribuire ai regolamenti sportivi, la stessa forza (e natura) riconosciuta alle norme imperative, desumibile dall’irrogazione della medesima sanzione di nullità (in ambedue i casi), in virtù del combinato disposto degli artt. 1418, comma 1, e 1322, comma 2, c.c. Della stessa opinione è G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, cit., pag. 645;

[28] in spregio alla nota ‘tripartizione’ di cui all’art. 1418 del codice civile, in tema di nullità del contratto (in particolare, sulle nullità ‘virtuali’, previste al 1° comma, in caso di nullità per contrarietà a norme imperative; sulle nullità c.d. ‘strutturali’, previste dal 2° comma, intendendosi per tali quelle relative alla mancanza di uno degli elementi costitutivi del negozio [mancanza di accordo, causa, oggetto o forma ex art. 1325; illiceità della causa nel caso di cui all’art. 1343; illiceità dei motivi nel caso di cui all’art. 1345; mancanza nell’oggetto di uno dei requisiti stabiliti dall’art. 1346]; ed infine sulle nullità c.d. testuali, previste dal 3° ed ultimo comma, che rimanda a disposizioni contenute in singole norme di legge). In dottrina, G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, cit., p. 658;

[29] Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17067 del 3 agosto 2007 (in Mass. giust. civ., 2007, p. 1527);

[30] Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17067/2007, cit.; in precedenza, in termini ancor più espliciti, Trib. Genova, 5 giugno 1972 (in Rivista, 1973, p. 59 ss.);

[31] G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, cit., p. 650;

[32] in tal senso, anche Cass. Civ. , Sez. Iª, n. 4845/1981, cit.;

[33] Cass. Civ., Sez. Iª, n. 24391 del 1° dicembre 2010, in tema di validità di un contratto di fideiussione stipulato tra un istituto bancario ed una società sportiva, in violazione delle prescrizioni contenute nei regolamenti federali (la sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.fiscosport.it/attachments/show_fs/1180?filename=658.pdf);

[34] nella specie, veniva in rilievo l’art. 12 della legge 91 del 1981, che attribuisce alle Federazioni Sportive ed al CONI il potere di controllo delle attività gestionali delle società sportive, mediante l’approvazione di atti e provvedimenti che comportano esposizioni finanziarie delle stesse società;

[35] così in motivazione Cass. Civ., Sez. Iª, n. 24391/2010, cit.;

[36] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713 del 27 gennaio 2010, in tema di validità di un contratto tra una società ed un  allenatore (dilettante), non stipulato per iscritto, con cui la prima attribuisce un compenso in favore del secondo, in violazione delle norme federali relative al tesseramento (che prevedono la forma scritta, ai fini del rimborso spese). La sentenza è reperibile presso Giustizia sportiva, on-line su www.giustiziasportiva.it, 2010, n. 2, presso il seguente indirizzo web: http://www.giustiziasportiva.it/gs/gs-content/uploads/2013/07/numero2_2010.pdf;

[37] affermando esplicitamente che ciò «non ha alcuna base normativa»;

[38] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713/2010, cit.;

[39] nella specie, veniva in rilievo la disposizione di cui all’art. 44 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti vigente all’epoca dei fatti, secondo cui gli allenatori svolgono la propria attività a titolo gratuito, e possono avere diritto solo ad un rimborso spese purchè pattuito per iscritto;

[40] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713/2010, cit. (norma imperativa vera e propria, quindi, che, naturalmente, non può che essere di rango statale);

[41] in termini, quindi, esattamente contrari alla sentenza in commento (che, invece, attribuisce tale carattere alle norme regolamentari sportive);

[42] C. Cost., n. 49 del 11 febbraio 2011 (Pres. De Siervo, Rel. Napolitano).

La sentenza è reperibile on-line, presso il sito ‘istituzionale’ della Corte Costituzionale, www.cortecostituzionale.it; al seguente indirizzo web: http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=49);

[43] cfr. punto 4.2 della motivazione, ove si legge che: «anche prescindendo dalla dimensione internazionale del fenomeno, deve sottolinearsi che l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse «formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalità» e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive»;

[44] secondo la nota teoria istituzionalistica della pluralità degli ordinamenti giuridici di S. Romano (L’ordinamento giuridico, pubblicato, per la prima volta, a Pisa nel 1918, col sottotitolo «Studi sul concetto, le fonti ed i caratteri del diritto», ed. Spoerri, e successivamente a Firenze nel 1946, ed. Sansoni);

[45] per ‘forma’, infatti, deve intendersi, secondo una nota definizione, il «necessario strumento tecnico-giuridico attraverso il quale la volontà delle parti si estrinseca e si esprime, ed il contenuto del contratto diviene conoscibile per i terzi» (è questa la definizione formulata per la prima volta da F. Messineo, «Il contratto in genere», in Trattato di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1972, p. 143, e successivamente ripresa da C. M. Bianca, «Il contratto», in Diritto Civile, Milano, Giuffrè ed., vol. III, p. 273, e da F. Gazzoni, «Manuale di diritto privato», Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 891).

Essa, com’è noto, è libera, ed è «espressione della volontà e come tale non può mancare in nessun negozio» (così M. C. Diener, Il contratto in generale, cit., pag. 371).

Il codice civile, laddove indica tra gli elementi essenziali del contratto anche «la forma, quando è prescritta dalla legge sotto pena di nullità» (art. 1325, n. 4, c.c.) si riferisce non alla forma in genere (che è sempre necessaria), ma a quella speciale forma richiesta dal legislatore per determinati negozi.

In altri termini, la mancanza di forma comporta l’inesistenza del contratto, mentre la mancanza delle forma richiesta (ad es., forma scritta piuttosto che orale) comporta la nullità del contratto (ex artt. 1325, n. 4, e 1418, 2° comma, c.c.);

[46] in modo da potersi parlare sì, di frode, ma con riguardo alla legge sportiva;

[47] è questa, in sintesi, la tesi portata avanti da G. Facci, Ordinamento sportivo e regole d'invalidità del contratto, cit., p. 264, cui si ritiene di aderire;

[48] Regolamento Agenti di Calciatori del 2010, in vigore ex Comunicato Ufficiale FIGC n. 100/A dell’8 aprile 2010 (successivamente modificato nel 2011, ex Comunicato Ufficiale FIGC n. 142/A del 3 marzo 2011);

[49] tale Regolamento è stato adottato dalla FIGC (Comunicato Ufficiale n. 190/A del 26 marzo 2015) in armonia con i principi e le direttive adottate dalla FIFA (Circolare n. 1417 del 30 aprile 2014, con cui si comunica l’approvazione, da parte del Comitato Esecutivo nella riunione del 20-21 marzo 2014, delle «New Regulations on Working with Intermediaries», entrate in vigore lo scorso 1° aprile 2015).

La modifica più rilevante è stata la soppressione della figura dell’Agente di Calciatori - oggi sostituita da quella del “Procuratore sportivo” - e del relativo esame di abilitazione (che aveva cadenza semestrale: marzo e settembre di ogni anno) ai fini dell’esercizio di tale attività. Per tale motivo, oggi, si parla di “deregolamentazione” della professione («deregulation»).

Ai sensi del nuovo Regolamento l’attività di rappresentanza dei giocatori può essere oggi svolta («anche occasionalmente») da coloro che risiedano legalmente in Italia ed intendano richiedere la relativa iscrizione nel Registro, tenuto dalla FIGC, mediante il versamento dei diritti di segreteria annualmente stabiliti da quest’ultima ed avente validità annuale.

A tal proposito, la Commissione Procuratori Sportivi ha stabilito (delibera n. 1 del 12 giugno 2015, reperibile on-line presso il sito ‘istituzionale’ della FIGC, www.figc.it, al seguente indirizzo web: http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/97.$plit/C_2_ContenutoGenerico_2528549_StrilloComunicatoUfficiale_lstAllegati_0_upfAllegato.pdf) che il Procuratore Sportivo non residente in Italia, che sia iscritto come agente o intermediario presso altra Federazione Nazionale e non intenda eleggere domicilio presso un Procuratore Sportivo già iscritto presso la FIGC, per poter operare in ambito FIGC dovrà depositare presso la stessa il contratto di rappresentanza in lingua italiana o in una delle lingue ufficiali FIFA accompagnato dalla Dichiarazione delle persone fisiche (All.1), «allegando documento comprovante l’iscrizione all’albo e/o registro di altra Federazione estera che abbia adottato gli standard minimi FIFA previsti per il regolamento degli intermediari, oppure prova documentale di essere già titolare di qualifica di Agente FIFA e ricevuta di versamento dei soli diritti di segreteria»;

[50] reperibile on-line presso il sito ‘istituzionale’ della FIFA (www.fifa.com) al seguente indirizzo web: http://resources.fifa.com/mm/document/affederation/administration/51/55/18/players_agents_regulations_2008.pdf;

[51] il rilascio di tale licenza era infatti subordinato al superamento di apposito esame di abilitazione, tenutosi due volte l’anno, con cadenza semestrale (nel marzo e nel settembre di ogni anno) presso la FIGC;

[52] cfr. art. 4.2 del nuovo Regolamento («L’iscrizione nel Registro comporta l’obbligo del Procuratore Sportivo di osservare le norme statutarie e i regolamenti della FIGC, della FIFA e della UEFA, improntando il proprio operato ai principi di correttezza e diligenza professionale. L’iscrizione comporta, altresì, l’assoggettamento del Procuratore Sportivo ai poteri disciplinari della FIGC previsti dal presente regolamento»);

[53] cfr. art. 1.2 del Regolamento del 2010 («Gli Agenti sono liberi professionisti senza alcun vincolo associativo nei confronti della FIGC o di società di calcio affiliate alla FIGC, non potendo essere considerati ad alcun titolo tesserati della FIGC»);

[54] TAR Lazio, Sez. IIIª-ter, n. 33428 del 11 novembre 2010 (Pastorello c. FIGC; la sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.centrostudisport.it/PDF/GIUSTIZIA_ORDINARIA/42.pdf);

[55] così in motivazione l’orientamento cit.;

[56] in tal senso, Corte Giustizia CE, ord. 23 febbraio 2006, e Tribunale di Prima Istanza, 26 gennaio 2005;

[57] l’agente - al pari di ogni altro libero prestatore di beni o servizi in ambito comunitario - ha quindi diritto al «rispetto delle libertà civili ed economiche riconosciute ad ogni operatore e, quindi, anche delle sue libere scelte in ordine allo svolgimento della propria attività, nella stessa misura in cui le stesse sono riconosciute ad ogni altra associazione professionale e ai suoi componenti, e senza limiti e condizioni che si pongano in irragionevole contrasto con i principi innanzi richiamati di libertà di concorrenza, di iniziativa economica e di associazione» (così in motivazione TAR Lazio, Sez. IIIª-ter, n. 33428/2010, cit.).

La decisione è stata resa a seguito di un ricorso presentato da un Agente che aveva impugnato - chiedendone l’annullamento - quella disposizione del Regolamento del 2010 (l’art. 4, comma 2, lett. f) che subordinava l’esercizio di tale attività in forma societaria alla condizione che nessuno dei soci fosse legato da rapporto di coniugio, parentela o affinità fino al secondo grado con agenti non soci o con «soggetti comunque aventi un’influenza rilevante su società di calcio italiane o estere».

Il TAR, in accoglimento del ricorso presentato, ha motivato la propria decisione sul rilievo che l’anzidetta disposizione rappresenta una limitazione della disciplina in materia di lavoro, che non trova riscontro in alcuna normativa nazionale o comunitaria.

In merito alla possibilità - oggi, invero, pacificamente ammessa dal Nuovo Regolamento (art. 4.4) - di svolgere la propria attività in forma associata, si segnala la recente delibera della Commissione Procuratori Sportivi (Comunicato Ufficiale n. 2 del 6 luglio 2015, reperibile on-line presso il sito ‘istituzionale’ della FIGC, www.figc.it, al seguente indirizzo web: http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/12.$plit/C_2_ContenutoGenerico_2528847_StrilloComunicatoUfficiale_lstAllegati_0_upfAllegato.pdf), con cui l’organo di autogoverno ha approvato la modulistica relativa alla dichiarazione delle persone giuridiche da presentare ai fini dell’iscrizione nell’apposito Registro tenuto dalla FIGC (con cui debbono essere indicate, in particolare, «tutte le persone fisiche che ne hanno la legale rappresentanza e che prestano i loro servizi di Procuratore Sportivo», ai sensi dell’art. 4.4 del Nuovo Regolamento);

[58] entrato in vigore lo scorso Aprile;

[59] in particolare: non essere stato dichiarato interdetto, inabilitato o fallito, non avere riportato condanne definitive per il reato di frode sportiva ex legge 401/89 ovvero per delitti non colposi puniti con la pena edittale della reclusione superiore (nel massimo) a cinque anni, non avere riportato - nell’ambito dell’ordinamento sportivo - la sanzione della preclusione, ed infine il non trovarsi «in nessuna situazione di incompatibilità prevista dal presente regolamento”, né di avere «procedimenti e/o sanzioni disciplinari in essere nell’ambito della Figc»;

[60] Circolare n. 1417 del 30 aprile 2014, con cui si dà contezza dell’approvazione, da parte del Comitato Esecutivo nella riunione del 20-21 marzo 2014, delle “New Regulations on Working with Intermediaries”, entrate in vigore lo scorso 1° aprile 2015 (la circolare è reperibile on-line, presso il sito ‘istituzionale’ della FIFA www.fifa.com, al seguente indirizzo web: http://www.fifa.com/mm/Document/AFFederation/Administration/02/33/57/54/CircularNo.1417-NewRegulationsonWorkingwithIntermediaries_Neutral.pdf);

[61] La FIGC, al pari delle altre Federazioni calcistiche europee, ha mantenuto, in ogni caso, un sistema di registrazione dei procuratori sportivi, istituendo un registro (il «Registro FIGC») nel quale vengono iscritti, a domanda, coloro che intendano svolgere, anche occasionalmente, l’attività di procuratore sportivo.

Nelle Norme Transitorie del Regolamento è comunque previsto che, entro un anno dalla data della sua entrata in vigore, il Consiglio Federale potrà adottare quelle modifiche regolamentari che fossero ritenute necessarie o soltanto utili per meglio disciplinare la materia, «anche sulla base di un confronto internazionale» (nel sito ‘istituzionale’ della FIG, www.figc.it, è presente, inoltre, un breve Commentario esplicativo del nuovo Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo, reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.figc.it/other/procuratori_sportivi/13052015_commentario_figc.pdf);

[62] la Circolare FIFA n. 1417 del 30 aprile 2014 (cit.) prevede, infatti, espressamente che: «any future set of regulations should be based on minimum standards or requirements» (pag. 1);

[63] cfr. Parere del CNF del 17 luglio 2003, n. 146; Parere del 27 aprile 2005, n. 16, e Parere del 20 febbraio 2008, n. 10;

[64]con la conseguenza che «il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati dovrà negare l’iscrizione a colui che la richieda e non intenda rinunziare ad una precedente iscrizione all’albo degli agenti di calciatori, ovvero coloro che già facciano parte di entrambi gli albi devono optare per una delle due iscrizioni» (Parere CNF del 20 febbraio 2008, n. 10, rel. Florio);

[65] prima citato, sub nota 48;

[66]così al secondo comma, che parla di «legally authorised practising lawyer in compliance with the rules in force in his country»;

[67] così il comma 3 dell’art. 4 (“Exempt individuals”) del ‘FIFA Regulations on Players’ Agents’ del 2008, ove si prevede che: «the activity of such exempt individuals does not fall under the jurisdiction of FIFA»;

[68] è questa, invece, l’opinione di E. Mesto (L’attività degli Agenti di calciatori e la giustizia sportiva: applicabilità dell’art. 8. 15 CGS, in Giustizia Sportiva, rivista on-line presso il sito www.giustiziasportiva.it, 2010, n. 1), il quale fonda la propria posizione su di un’interpretazione ‘estensiva’ della nozione di «attività comunque rilevante a livello federale» ai sensi dell’art. 30, 1° comma, dello Statuto FIGC (“Efficacia dei provvedimenti federali, vincolo di giustizia e clausola compromissoria”), andando a ricomprendere - nel novero di tali attività - anche quella dell’Avvocato privo di licenza che svolge l’attività di agente, occupazione da cui far discendere «la sussistenza di uno status tale da comportare l’obbligo, da parte del soggetto, di osservare e di sottostare alle norme federali, ivi comprese quelle di Giustizia Sportiva» (pag. 28);

[69]sebbene in merito alla concreta possibilità di svolgimento di un’attività di assistenza e consulenza nei confronti del proprio assistito, da parte di un Avvocato regolarmente iscritto al proprio albo, nulla sembri far propendere per la soluzione negativa (tanto più in presenza, come appena visto, di una vera e propria liberalizzazione della professione);

[70] è notizia di questi giorni, peraltro, l’impugnativa (con tanto di richiesta di sospensiva in via cautelare) innanzi al giudice amministrativo (TAR del Lazio) del nuovo Regolamento - che recepisce la normativa degli Intermediari promulgata dalla FIFA - da parte di un’associazione di categoria (la IAFA, «Italian Association of Football Agent»).

Sono almeno due, invero, i profili oggetto di contestazione: a) anzitutto, che il nuovo Regolamento non ha tenuto conto delle indicazioni fornite dalla Commissione Europea che - nel suo “Studio sugli Agenti Sportivi nell’Unione Europea” («Study on Sports Agents in the European Union», reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://ec.europa.eu/sport/library/documents/study_on_sports_agents_in_the_eu_en.pdf) - auspicava «l’introduzione di specifici meccanismi idonei a regolare l’attività degli agenti sportivi (e controllare l’accesso a tale professione), indipendentemente dal fatto che tali meccanismi vengano adottati dai governi o dalle federazioni sportive nazionali o internazionali, a condizione che tali meccanismi siano compatibili col diritto comunitario» (così pag. 172 dello Studio, «Recommendations»); b) in secondo luogo, si contesta la scelta della FIFA di fissare il compenso totale dovuto all’intermediario nel tetto massimo del 3% sul reddito lordo base pattuito per il calciatore.

In particolare, si sostiene che la fissazione, per i contratti di prestazione sportiva, di un prezzo massimo inferiore al prezzo praticabile (secondo quelle che, invece, sono le normali dinamiche di mercato), costituisce una restrizione oggettiva della concorrenza ed una violazione dell’art. 101, 1° comma, lett. a), del TFUE, che espressamente vieta di fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione.

Non vengono escluse, a quanto pare, secondo quelle che sembrano essere le intenzioni di tale associazione di categoria anche azioni giudiziali e stragiudiziali, in sede nazionale ed internazionale, anche di fronte ai competenti organi di giustizia europei (Tribunale UE di primo grado);

[71] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5216/2015, cit. (ultima parte);

[72]o, meglio, una regola generale con una prima eccezione - al primo comma - ed una sorta di ‘eccezione dell’eccezione’, al secondo comma;

[73] così Cass. Civ., Sez. Lav., n. 685 del 24 gennaio 1987, in Rass. giur. lav., 1987, II, p. 58; e Foro it., 1988, I, 220;

[74]ciò che si desume, oltre dai lavori preparatori del codice civile del 1942, anche dalla collocazione sistematica della norma all’interno del titolo riguardante il lavoro nell’impresa;

[75] cfr. Cass. Sez. Un., n. 1613 del 3 aprile 1989, secondo cui: «il contratto di agenzia o rappresentanza commerciale che sia stato stipulato con soggetto non iscritto nell'apposito ruolo istituito dalla l. 12 marzo 1968 n. 316 è nullo ai sensi dell'art. 9 della stessa legge per contrarietà e norma imperativa, ma non per illiceità della causa o dell'oggetto. Al relativo rapporto non si applicano né l'art. 2231 c.c. perché il ruolo non assurge al valore ed alla caratteristica di uno degli albi o elenchi previsti dalla richiamata disposizione, né la norma eccezionale contenuta nell'art., 2126 comma 1 c.c., dettata per i rapporto di lavoro autonomo, anche se tali rapporti si sono svolti nei confronti di soggetto che si trovi, nei confronti del preponente, in una situazione di c.d. parasubordinazione, ma i principi generali in tema di prestazioni non dovute di fare» (la sentenza è stata pubblicata su Giur. civ., 1989, I, n. 823, p. 1328; Foro it., 1989, I, 1420; Giur. it., I, fasc. 1, 1488; e N. giur. civ., 1990, I, p. 1);

[76] in giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass. Sez. Lav., n. 12093 del 13 novembre 1991, secondo cui «l’agente di commercio non iscritto nel ruolo non ha diritto alle provvigioni relative all’attività espletata, e può agire nei confronti del preponente soltanto ai sensi dell’art. 2041 c.c. per arricchimento senza causa» (in Rep. Foro it., 1991, voce “Agenzia”, n. 12; Giust. civ. mass., 1991, fasc. 11), e, nello stesso senso, Cass. Sez. Lav. n. 5941 del 24 marzo 2004 (in Giust. civ. mass., 2004, I. fasc. 3, 3205);

[77] così Cass., Sez. Lav., n. 7090 del 24 giugno 1991 (in N. giur. civ., 1992, I, p. 857);

[78] cfr. art. 15, 1° comma, D. Lgs. 242/1999 (c.d. “Decreto-Melandri”), secondo cui: «Le federazioni sportive nazionali hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo»;

[79] Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17067/2007, cit. sub nota 29;

[80] che, per di più, non fa neanche parte dell’ordinamento sportivo, come precisato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria già citata nel par. 5);

[81]giova, a tal fine, ricordare sempre che il nostro ordinamento è improntato al principio di libertà delle forme;

[82] che sancisce l’obbligo per la società sportiva di «depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l'approvazione»;

[83] tale articolo prevede che: «Al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, le società di cui all'articolo 10 sono sottoposte, al fine di verificarne l'equilibrio finanziario, ai controlli ed ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive, per delega del CONI, secondo modalità e princìpi da questo approvati»;

[84] cfr. Trib. Perugia (sez. civ.) 21 maggio 1993 (in Giust. civ., 1993, I, 2837);

[85] cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 11462 del 12 ottobre 1999 (Calcio Perugia Spa c. altri, in Rivista, 1999, p. 530 ss.);

[86] cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 1855 del 4 marzo 1999 (Monelli c. Pescara Calcio), che attribuisce all’approvazione della Federazione «condizione legale (condicio juris), poiché l’evento dal quale dipende la produzione degli effetti è esterno alla fattispecie costitutiva, perfezionatasi in tutti i suoi elementi» (la sentenza pubblicata in Giust. civ., 1999, I, n. 6, p. 1613 ss., con nota adesiva di G. Vidiri, Contratto di lavoro dello sportivo professionista, patti aggiunti e forma ad substantiam), e Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713 del 27 gennaio 2010, cit., in tema di validità di un contratto tra una società ed un  allenatore (dilettante), non stipulato per iscritto, con cui la prima attribuisce un compenso in favore del secondo, in violazione delle norme federali relative al tesseramento (in tale fattispecie, l’onerosità della prestazione non è stata considerata violazione di alcuna norma imperativa).

In dottrina, V. Frattarolo, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, Giuffrè, 2005, p. 48, secondo cui il controllo federale «oltre alla verifica formale della coincidenza delle clausole del contratto in questione, importa anche la valutazione di merito sulla congruità dell’impegno economico assunto dalla società valutazione che, per essere esauriente e dimostrativa della situazione effettiva non può essere circoscritto al singolo contratto ma deve essere esteso a tutti i contratti che risultano depositati in un dato momento da una determinata società sportiva comparandone il contenuto economico alle emergenze del bilancio della stessa società»;

[87] così, per quanto riguarda il 1° comma, si parla di ‘nullità virtuali’, in quanto la legge non ne individua un tipo soltanto, ma rimanda alle singole norme imperative violate; per quanto riguarda le nullità del secondo tipo (c.d. ‘nullità strutturali’), esse incidono sugli elementi costitutivi del negozio (es. pattuizione orale, nel caso in cui il contratto sia volto a trasferire la proprietà di un immobile [artt. 1350 e 1325 c.c.], contratto avente causa illecita ex art. 1343 [contrarietà della stessa a norme imperative, ordine pubblico o buon costume], l’illiceità dei motivi ex art. 1345 [motivo illecito comune ad entrambe], la mancanza dell’oggetto nei casi indicati dall’art. 1346 [«possibile, lecito, determinato o determinabile»]); per quanto riguarda, infine, di nullità del terzo tipo, si parla di nullità c.d. ‘testuali’, in quanto contenute in singole norme di legge;

[88] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 3545 del 23 febbraio 2004, cit. (in Giust. civ., 2005, n. 2, p. 498, con nota di G. Vidiri, Sulla forma di cessione del contratto di lavoro del calciatore professionista; in Giur. it., 2004, p. 1886, con nota di F. Iozzo, Cessione dei calciatori e rapporto fra ordinamento statale e autonomina sportiva; in Corr. giur., 2004, p. 895, con nota di P. Pardolesi, Sull’efficacia dell’accordo (sportivo) dissimilato nell’ordinamento statale; ed in Rass. dir. econ. sport, 2006, p. 208, con nota di E. Indraccolo, La cessione di calciatori tra legge dello stato e disposizioni federali);

[89] da Cass. Civ., Sez. I, n. 4845 del 28 luglio 1981, cit. (in Giust. civ., 1982, I, 2411), e da Cass. Civ. Sez. Iª, n. 75 del 5 gennaio 1994 (in Giust. civ. 1994, I, 1230; in Rass. dir. civ., 1996, p. 185 con nota di S. Vitale, Ordinamento sportivo e meritevolezza dell’interesse, p. 192 ss.; Giur. it. 1994, I, 1, 1498; ed in Rivista, 1994, p. 660, con nota di F. Caringella);

[90] M. T. Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Torino, Giappichelli, 2012, p. 12;

[91] non applicabile ad altri casi o situazioni simili quali, ad es., i rapporti di parasubordinazione (come ricordato da Cass. Sez. Un., n. 1613 del 3 aprile 1989, cit.);

[92] Cass. Sez. Lav., n. 12093 del 13 novembre 1991, cit.;

Abstract: Il contratto di prestazione d’opera professionale che può essere stipulato tra il calciatore professionista ed il procuratore sportivo o l’avvocato iscritto all’albo soggiace - anche in quest’ultimo caso - al Regolamento FIGC il quale, oltre alla forma scritta, prescrive, a pena di nullità, altresì l’obbligo di attenersi allo schema (modulistica) predisposto dalla normativa di settore.

L’articolo 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto con violazione di legge”), che fa salvo il diritto alla retribuzione da parte del prestatore di lavoro per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, non si applica al rapporto intercorrente tra giocatore e procuratore (o avvocato), trattandosi di prestazione d’opera professionale, e non di rapporto di lavoro subordinato.

Sommario: 1. Il caso; - 2. Le questioni affrontate; - 3. La disciplina del “mandato” sportivo, tra “contratto misto normativo” e il “giudizio di meritevolezza” effettuato dalla giurisprudenza civile; - 4.La ‘vexata quaestio’ della natura e della funzione dei Regolamenti sportivi      (sulla diversa natura ed efficacia delle norme dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo, soprattutto nei confronti dei terzi soggetti estranei); - 5. Il “mandato” sportivo e la nuova figura del “Procuratore Sportivo”, alla luce della “deregulation” del nuovo Regolamento FIGC (ed i problematici profili di compatibilità con la professione forense); - 6. La questione dell’applicabilità dell’art. 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto in violazione di legge”). - 7. Conclusioni.

1. Il caso

Con decisione n. 5216 dello scorso 17 marzo 2015[1] la Suprema Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, Presidente Russo - Relatore Spirito) è tornata a pronunciarsi - a quasi tre anni di distanza[2] - su uno dei temi più controversi del diritto civile e del diritto sportivo, quale l’attività di assistenza e consulenza legale fornita da un avvocato privo di licenza nei confronti di un calciatore professionista.

La vicenda trae spunto dall’azione intentata dal legale nei confronti del proprio assistito, che aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per somme richieste a titolo di corrispettivo per assistenza professionale prestata in occasione della stipula di un contratto d’ingaggio con un club militante in un campionato professionistico, somme che non erano mai state versate da parte del giocatore.

Contro il provvedimento monitorio disposto dal giudice prima facie, quest’ultimo proponeva opposizione innanzi al giudice di merito che, nel disporne l’accoglimento, dichiarava nullo - per violazione delle normative federali - il contratto di prestazione d’opera professionale concluso tra le parti.

Il legale presentava appello avverso tale sentenza, ma la Corte territoriale respingeva nuovamente il gravame proposto[3].

Avverso tale decisione quest’ultimo inoltrava ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte, rigettando definitivamente ogni pretesa, si pronunciava nel senso di ritenere nullo il contratto di prestazione d’opera stipulato tra l’avvocato e lo sportivo professionista secondo le norme del diritto comune poiché, sebbene concluso per iscritto, non era stato redatto in maniera conforme al modello richiamato - a pena di nullità - dai Regolamenti della FIGC e predisposto dalla relativa Commissione degli Agenti dei giocatori[4].

Secondo la Suprema Corte «le violazioni di norme dell’ordinamento sportivo necessariamente si riflettono sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento anche per l’ordinamento dello Stato», determinandone la nullità per violazione dei Regolamenti Federali, le cui disposizioni «incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico».

Non può ritenersi idoneo, infatti - sotto il profilo della ‘meritevolezza’ della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti - un «contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste», essendo tale contratto «inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi»[5].

2. Le questioni affrontate

Il caso ripropone una “vexata quaestio” del dibattito giuridico civilistico: i requisiti di validità dei contratti sportivi - “tipici” per l’ordinamento sportivo, ma “atipici” per l’ordinamento statale - stipulati senza l’osservanza delle norme regolamentari sportive.

Sono almeno due, infatti, le questioni affrontate dal caso in esame.

La prima questione riguarda la disciplina del contratto di “mandato” sportivo, nel caso in cui l’attività di assistenza e rappresentanza venga prestata da parte di un Avvocato (iscritto al proprio albo).

La seconda questione investe i limiti di efficacia delle norme dell’ordinamento sportivo nei confronti dei terzi soggetti, estranei a tale ordinamento (nel caso in esame: gli Avvocati che agiscono in rappresentanza di giocatori, alla stregua di procuratori sportivi, ma come liberi professionisti, in quanto soggetti non facenti parte dell’ordinamento sportivo).

Entrambi i temi s’inseriscono nell’ampio dibattito giurisprudenziale riguardante i requisiti di validità dei contratti sportivi nell’ambito dell’ordinamento statale[6].

Come efficacemente evidenziato da una dottrina[7], infatti, «l’elaborazione giurisprudenziale formatasi in tema d’invalidità del contratto sportivo concluso in violazione di norme interne all’ordinamento federale, appare conseguenza del tradizionalmente difficile inquadramento delle federazioni sportive e della loro attività»[8].

Ultima questione cui la sentenza in esame è stata, infine, chiamata a pronunziarsi ha riguardato la possibilità d’invocare, da parte del legale, la disposizione di cui all’art. 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto con violazione di legge”), che fa salvo il diritto alla retribuzione da parte del prestatore di lavoro per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione (tranne che nel caso d’illiceità dell’oggetto o della causa), e ciò sia in caso di nullità o annullamento del contratto, sia nel caso in cui il lavoro sia stato prestato in violazione di norme poste a tutela del prestatore medesimo.

3. La disciplina del “mandato” sportivo, tra “contratto misto normativo” e “giudizio di meritevolezza” effettuato dalla giurisprudenza civile

Il tema centrale della questione è stato ravvisato nell’asserita “mancanza di funzionalità” - nell’ambito dell’ordinamento sportivo - del contratto di rappresentanza stipulato in maniera difforme dal contratto-tipo, previsto dalle normative federali.

Su tale circostanza, infatti, viene fondato il giudizio di “non-meritevolezza” (quanto alla tutela) e la conseguente invalidità dell’accordo anche nell’ambito dell’ordinamento statale, pur in assenza di una violazione di norme imperative (quali le norme federali sportive non sono).

La sentenza riprende - peraltro con motivazione assai concisa - un precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità su di una fattispecie analoga[9], in base a cui il contratto di rappresentanza tra procuratore e giocatore (disciplinato dai regolamenti federali), è stato qualificato come «contratto misto normativo, che assume la forma di contratto neutro di mandato», il quale «realizza l’oggetto e la causa propria della ragione di un affare che avvantaggia l’avvocato procuratore sportivo»[10].

Per tale tipo di contratto vale, quindi, il criterio della «disciplina integrata»[11] (rispettivamente: dalle norme del codice civile sul mandato da un lato, e dalla normativa Federale dall’altro), «nel senso che le parti contraenti devono conformare il contratto alla tipologia ed alle condizioni indicate dal regolamento italiano vigente all’epoca dei fatti»[12].

Secondo tale orientamento, la difformità del contratto di rappresentanza, stipulato dalle parti senza seguire il modello-base previsto dalla normativa federale, dev’essere considerata come diretta al perseguimento di «una causa illecita sottostante», cui consegue l’invalidità ai sensi del secondo comma dell’articolo 1322 del codice civile[13], per assenza del requisito di “meritevolezza” della pattuizione conclusa dalle parti.

A fondamento di tale decisione sono state invocate, da un lato, «ragioni di ordine pubblico sportivo»[14], dall’altro una delibera dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM) del 31 marzo 2005[15], e le connesse ragioni di «equità contrattuale sportiva» di cui - sempre secondo le argomentazioni fatte proprie dai giudici di legittimità - la stessa Autorità si sarebbe fatta carico (per il tramite del citato provvedimento).

Tutto ciò premesso, e nonostante l’apparente logicità delle conclusioni cui sono pervenuti - in entrambe le sentenze - i giudici di legittimità, si osserva che il percorso motivazionale sotteso ad ambedue gli orientamenti non sembra essere del tutto convincente.

A parte, infatti, la mancata puntualizzazione - sia sotto il profilo definitorio, sia sotto quello contenutistico - soprattutto della prima delle due richiamate nozioni (“l’ordine pubblico sportivo”), la sensazione che se ne ricava è che, con la decisione in esame, si sia incorsi nello stesso tipo di errore in cui si era già incorsi nel suo precedente del 2012.

Pur nella consapevolezza, infatti, della complessità del dibattito giuridico inerente la nozione di “causa” nell’ambito del contratto ‘atipico’ (indubbiamente tra i più problematici dell’intero sistema del diritto civile), le perplessità sembrano provenire - anche in questo caso - da una lettura errata del regime di nullità contrattuale che, secondo l’interpretazione fornita in entrambe le sentenze, continua ad essere seguita[16].

Errata lettura che - come puntualmente rilevato da una dottrina[17] - deriva da una vera e propria “forzatura interpretativa” del giudizio di meritevolezza, previsto dall’articolo 1322, secondo comma, del codice civile quale criterio giustificativo dell’autonomia contrattuale riconosciuta alle parti dall’ordinamento giuridico.

Tale articolo, infatti, attribuisce alle parti la possibilità di concludere contratti «che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare», a condizione che questi siano diretti a «realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».

Tale profilo di autonomia contrattuale[18] conferisce alle parti la libertà di creare nuove fattispecie (al di là dei ‘modelli’ contrattuali già previsti dal codice o da leggi speciali), più idonee a regolare i loro rapporti, purché realizzino interessi che l’ordinamento giuridico ritiene degni di tutela.

La disciplina di tali contratti è data dalle norme generali sul contratto (artt. 1323, 1326 c.c.) da un lato, e da quella delle fattispecie tipiche (artt. 1470 ss. c.c.) applicabili in via analogica, dall’altro.

Tra i contratti ‘atipici’ si suole ulteriormente distinguere, in relazione alla causa (artt. 13251343 c.c.), tra contratti ‘misti’ e contratti ‘collegati’ (laddove nei primi, la causa è il frutto della fusione di due fattispecie tipiche, mentre nei secondi si stipulano più contratti diversi, ma volti al raggiungimento di uno scopo unico)[19].

Orbene, come ricordato da costante dottrina[20], secondo il disegno originale del codice civile, il “giudizio di meritevolezza” doveva assolvere alla funzione di limite dell’autonomia privata, non solo da un punto di vista negativo (consistente nel mancato perseguimento di una causa illecita, come richiamato nei casi di cui all’articolo 1343 del codice civile: contrarietà della pattuizione a norme imperative, ordine pubblico e buon costume), ma anche da un punto di vista positivo (inteso quale compito sociale attivo che il negozio giuridico doveva ulteriormente perseguire).

Posto, quindi, che il mandato sportivo è stato qualificato dalla giurisprudenza come contratto ‘misto’ normativo, attenta dottrina[21] ha correttamente rilevato la non riconducibilità della nozione del “controllo di meritevolezza” - secondo quella che è stata l’interpretazione giurisprudenziale sinora registratasi in tema di contratti sportivi[22] - rispetto ad alcuna delle elaborazioni teoriche invalse nel dibattito giuridico civilistico.

Come puntualmente osservato[23], infatti, il giudizio negativo di meritevolezza è stato sino ad ora ancorato (invero, anche da parte dell’orientamento in esame) alla mera constatazione di una preclusione circa la possibilità di dare esecuzione al negozio concluso tra le parti nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

Non solo, ma ciò che desta le maggiori perplessità è che tale giudizio, peraltro, viene ad essere effettuato senza utilizzare i ‘normali’ parametri della contrarietà dello stesso contratto a norme imperative, ordine pubblico (statale, e non sportivo) e buon costume (previsti dall’articolo 1343 del codice civile), ma usando quali termini di riferimento le norme dell’ordinamento sportivo, della cui natura ‘imperativa’ e cogente (soprattutto al di fuori del proprio ambito) ci sembra - quantomeno - lecito dubitare.

Le norme regolamentari sportive, infatti, anziché essere espressione di esigenze proprie della generalità dei consociati (aventi, quindi, natura generale ed astratta), sono espressione di esigenze settoriali (circoscritte ai soli soggetti appartenenti al mondo dello sport), proprie di un ordinamento settoriale (quale, appunto, quello sportivo).

Non norme giuridiche vere e proprie, quindi, ma regolamenti interni, espressione - in quanto tali - dell’autonomia negoziale delle parti[24].

Dall’erronea impostazione che attribuisce alle norme dell’ordinamento sportivo il carattere di norme giuridiche in senso pieno (dotate, quindi, delle caratteristiche della generalità ed astrattezza) viene fatta poi discendere - quale conseguenza immediata e diretta - la nullità dell’intero negozio, nell’ambito dell’ordinamento statale, «configurandosi per tale via una sorta di immeritevolezza da ‘inefficienza’ (nell’ambito dell’ordinamento sportivo, ndr.), difficilmente giustificabile da un punto di vista sistematico-ricostruttivo»[25].

È di tutta evidenza, infatti, come tale interpretazione finisce col travisare il significato stesso del giudizio di meritevolezza, facendolo coincidere con quello di contrarietà del contratto a norme imperative, quali, secondo tale impostazione, sarebbero le norme sportive (in particolare: quelle riguardanti i requisiti di forma del mandato sportivo)[26].

Come puntualmente osservato, infatti, se dall’inosservanza di tali norme si fa discendere la medesima conseguenza (ossia la nullità) prevista, invece, per i casi di contrarietà del negozio a norme imperative, ciò finisce col determinare una sostanziale equiparazione delle norme sportive rispetto a quelle imperative, attraverso «il ‘prisma’ della meritevolezza»[27].

Tale interpretazione, inoltre, reca conseguenze irragionevoli sul piano applicativo.

Essa arriva, infatti, al paradosso di riconoscere - in caso d’inosservanza delle norme sportive federali - l’operatività di un regime di nullità diverso[28] rispetto a quello previsto dal diritto positivo (anzi più gravoso, ed in controtendenza rispetto a quest’ultimo), facendo discendere la nullità della pattuizione quale conseguenza della sua contrarietà, rispettivamente, a: 1) norme non aventi carattere imperativo (quali quelle sportive); 2) proprie di un altro ordinamento (quale, appunto, quello sportivo); 3) relative, infine, a requisiti formali di negozi conclusi al suo interno (quali il modello contrattuale da seguire).

4. La ‘vexata quaestio’ della natura e della funzione dei Regolamenti sportivi (sulla diversa natura ed efficacia delle norme dell’ordinamento statale e dell’ordinamento sportivo, soprattutto nei confronti dei terzi soggetti estranei)

I Regolamenti delle Federazioni sportive, infatti, lungi dal poter essere considerati come fonti del diritto, rappresentano - come pure ricordato dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte[29] - atti di autonomia organizzativa di natura contrattuale.

Da ciò ne discende che le norme regolamentari - stante il generale precetto di cui all’articolo 1372, secondo comma, del codice civile - non possono che rivestire forza vincolante nei confronti dei soli affiliati e tesserati[30], in quanto unici soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo.

Si deve, allora, escludere - come pure rilevato dalla dottrina[31] - che all’inosservanza della norma regolamentare o statutaria dell’ordinamento sportivo possa attribuirsi la stessa rilevanza (anche sul piano sanzionatorio) della violazione di una norma di legge, con conseguente nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418, primo comma, del codice civile[32].

In due recenti orientamenti, infatti, la stessa giurisprudenza di legittimità ha non solo confermato la natura privatistica (e non pubblicistica) delle norme dell’ordinamento sportivo, ma ha altresì affermato che non qualsiasi violazione delle norme dell’ordinamento sportivo determina la nullità delle pattuizioni concluse al suo interno (inerenti, cioè, soggetti appartenenti entrambi a tale ordinamento), ma solo quelle concluse in violazione di norme dal carattere imperativo (che, in quanto tali, non possono che essere di matrice statale).

In un primo orientamento, essa ha infatti affermato[33] che le norme federali, pur richiamate da disposizioni di ‘rango’ statale[34], sono norme di diritto privato che - in quanto tali - esplicano i propri effetti solo tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo, «non potendo il detto ordinamento estendere i suoi effetti al di fuori dell’ambito circoscritto, anche di carattere soggettivo, in cui esso opera»[35].

In un secondo orientamento - riguardante una fattispecie contrattuale che ha interessato due soggetti appartenenti entrambi all’ordinamento sportivo[36] - la stessa Suprema Corte, nell’escludere che qualsivoglia violazione delle regole dell’ordinamento sportivo possa comportare tout court la nullità dei contratti conclusi tra società (o associazioni) sportive e tesserati[37], ha inoltre escluso non solo la possibilità di poter configurare la nullità della pattuizione per violazione dei requisiti di forma previsti dalle normative federali («non potendo la violazione di una disposizione regolamentare trovare sanzione nell’ordinamento statale, governato dal principio generale della libertà delle forme»[38]), ma anche la nullità della stessa per violazione anche dei requisiti di sostanza previsti da tali disposizioni[39]non violando l’onerosità della prestazione alcuna norma imperativa»[40]).

Se, quindi, la giurisprudenza di legittimità s’è già espressa, rispettivamente, nel senso di: a) qualificare le norme federali come norme di diritto privato (che, in quanto tali, non possono che esplicare i propri effetti nei confronti dei soli soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo); b) che persino nell’ambito di controversie intercorrenti tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo non qualsiasi violazione delle sue norme comporta tout court la nullità delle pattuizioni concluse da questi ultimi (ma solo se da queste deriva una violazione di norme statali dal carattere imperativo)[41], non si vede, allora, perché - con la pronuncia in esame - si debba tornare ad attribuire rilievo decisivo alla violazione di norme federali (aventi, quindi, efficacia interna o endo-settoriale), riguardanti, peraltro, aspetti formali dei rapporti intersoggettivi (relativi, cioè, a requisiti di forma di negozi stipulati tra le parti: quali, nel caso di specie, il modello contrattuale da seguire), con conseguente declaratoria di nullità del negozio concluso senza l’osservanza di tali disposizioni.

Giova ricordare, inoltre, che nel caso in questione una delle parti non fa neanche parte dell’ordinamento sportivo.

Le norme regolamentari sportive, emanate dalle competenti Federazioni, si collocano infatti su di un piano (ed interessano un ambito) assolutamente diverso rispetto a quello proprio delle leggi dello Stato.

Come la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto[42], la potestà statutaria e regolamentare delle Federazioni sportive va ricondotta al più generale potere di autonomia privata che l’ordinamento giuridico statale riconosce ad ogni formazione sociale[43].

Pur potendo accadere, quindi, che tali norme - emanate da parte di due ordinamenti autonomi ed originari[44] - vengano a sovrapporsi, in quanto destinate a regolamentare materie di comune interesse (come, nel caso in esame, la disciplina del mandato sportivo), tuttavia anche in tali casi occorre sempre tenere presente la diversità dei piani in cui ambedue i tipi di norme si collocano (da cui esse provengono, e nel cui ambito sono destinate ad operare).

Così, nel caso in cui le norme regolamentari interne alla Federazione prevedano disposizioni particolari in materie di interesse comune (su cui, comunque, non va dimenticata la competenza primaria da parte statale), la mancata osservanza, da parte di un soggetto estraneo a tale ordinamento (quale, nel caso in esame, un Avvocato iscritto al proprio albo), di tali norme non può che avere effetti diversi, a seconda dell’ambito in cui essa è destinata ad operare.

Nel caso in questione, un mandato stipulato tra l’avvocato e lo sportivo professionista che, sebbene concluso per iscritto, non viene redatto secondo il modello richiamato - a pena di nullità - dai Regolamenti federali (ma solo seguendo le norme del diritto comune), non può che essere valutato in maniera diversa a seconda dell’ordinamento in cui è destinato ad avere effetto (ed innanzi a cui tale pattuizione si fa valere).

Non è, a tal fine, fuori luogo ipotizzare come - nel caso in esame - il giudice statale avrebbe dovuto, in primo luogo, accertare la validità dell’accordo secondo le norme ed i principi di diritto comune (improntati, in quanto tali, al principio di libertà di forme[45]), e considerarlo, quindi, pienamente valido ed operante nell’ambito dell’ordinamento statale, salvo poi, al momento di darvi esecuzione nell’ambito dell’ordinamento sportivo, aspettarsi quella ‘reazione’, da parte di tale ordinamento (a mezzo dei suoi organi competenti), sia mediante la mancata attuazione di tale negozio (solo e soltanto in seno ad esso), sia mediante l’attivazione di sanzioni - soprattutto a livello disciplinare - nei confronti del giocatore (unico soggetto facente parte dell’ordinamento sportivo), proprio in virtù della conclusione di un contratto in violazione[46]di norme regolamentari interne[47].

5. Il “mandato” sportivo e la nuova figura del “Procuratore Sportivo”, alla luce della “deregulation” del nuovo Regolamento FIGC (ed i problematici profili di compatibilità con la professione forense)

Come appena ricordato, il contratto di “mandato sportivo” - con particolare riferimento allo sport del calcio - conferito da un giocatore professionista ad un soggetto che agisce in qualità di suo “agente” è disciplinato da una fonte di rango federale (in quanto tale, “endosettoriale”).

Vengono in rilievo, in particolare, le disposizioni contenute nel Regolamento Agenti di Calciatori (vigente all’epoca dei fatti)[48], oggi sostituite dal nuovo “Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo”[49].

Secondo il Regolamento del 2010 - emanato in conformità al Regolamento FIFA del 2008[50] -  l’attività di Agente di calciatori poteva essere svolta solo da soggetti in possesso di regolare licenza rilasciata dalla FIGC[51] o da altra Federazione nazionale o internazionale (art. 1, primo comma), essendo questi definito come «libero professionista senza alcun vincolo associativo nei confronti della FIGC o di società di calcio affiliate alla FIGC», e non potendo «essere considerato ad alcun titolo tesserato della FIGC» (così il successivo secondo comma).

L’attività di “agente” veniva definita, in particolare, come l’attività di colui che, «in forza di un incarico a titolo oneroso conferitogli in conformità al presente regolamento, cura e promuove i rapporti tra un calciatore professionista ed una società di calcio professionistica, fatto salvo quanto previsto dall’art. 23 (in tema di rappresentanza dei calciatori minorenni, ove si sanciva la presunzione di gratuità dell’incarico, ndr.) in vista della stipula del contratto di prestazione sportiva, ovvero tra due società per la conclusione del trasferimento o la cessione di un contratto di un calciatore nell’ambito di una Federazione o da una Federazione all’altra», dovendo, il conferimento dell’incarico, svolgersi «secondo le modalità indicate nel presente regolamento» (così l’art. 3).

Per quel che riguarda la titolarità allo svolgimento di tale attività, il Regolamento del 2010 prevedeva che essa poteva essere effettuata solo da parte di «persone fisiche che abbiano ottenuto la licenza» (così l’art. 4, secondo comma), con conseguente divieto di avvalersi della collaborazione di soggetti privi di tale abilitazione, «salvo si tratti di un avvocato iscritto nel relativo albo professionale, in conformità alla normativa statale e sportiva vigente» (così l’art. 5, primo comma).

Un primo dato da cui è necessario partire, quindi, è quello per cui, sebbene l’iscrizione presso il Registro dei Procuratori sportivi (tenuto dalla FIGC) comporti l’assoggettamento di quest’ultimo ai poteri disciplinari da parte dei competenti organi federali[52], l’agente dei calciatori (oggi procuratore, ndr.) non è un soggetto affiliato alla federazione, non essendo legato da alcun rapporto associativo con essa[53].

La giurisprudenza amministrativa[54], in particolare, lo ha definito come un «libero professionista che, avendo ricevuto a titolo oneroso l’incarico, cura e promuove i rapporti fra un calciatore e una società in vista della stipula di un contratto di prestazione sportiva ovvero fra due società per la conclusione del trasferimento o la cessione del contratto di un calciatore», e svolge «un’attività inquadrabile nella categoria della prestazione d’opera professionale (ex art. 2229 cod. civ.), che ha come presupposto il rilascio di un ‘mandato senza rappresentanza’ e come oggetto un’obbligazione di mezzi, e non di risultato»[55].

Dell’inquadramento giuridico della sua attività è stato, inoltre, investito il giudice comunitario, il quale l’ha definita come «periferica all’attività sportiva, e non peculiare al mondo dello sport»[56], con la conseguenza - tutt’altro che di poco conto - che essa deve ritenersi soggetta sia alla disciplina civilistica dettata dall’ordinamento dello Stato di appartenenza, sia alla disciplina comunitaria e nazionale in tema di diritto della concorrenza ed antitrust[57].

Orbene, poiché nel caso in esame, la vicenda ha riguardato l’attività di assistenza e consulenza fornita da un Avvocato, non iscritto al registro dei Procuratori sportivi, nei confronti di un giocatore professionista, occorre, a tal fine, tenere in considerazione due ulteriori dati normativi.

In primo luogo, secondo il nuovo “Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo”[58], ai fini dell’iscrizione nel relativo albo è sufficiente il mero versamento di una tassa annuale - nei confronti dei competenti organi federali - ed il rispetto dei requisiti di ‘onorabilità’ di cui all’art. 4.3 del nuovo Regolamento[59].

Com’è ormai noto, infatti, con una delibera risalente al Congresso del Marzo dello scorso anno[60], la FIFA ha abolito la licenza per gli agenti dei calciatori e ha provveduto a deregolamentare l’intera disciplina, limitandosi ad indicare alcuni principi generali minimi che ciascuna Federazione è tenuta ad adottare per disciplinare (a livello nazionale) l’attività di procuratore sportivo (o ‘intermediario’ come attualmente definito dalla stessa FIFA)[61].

Di tale vera e propria liberalizzazione - e del nuovo approccio adottato dalla FIFA, fondato sulla previsione, nei nuovi Regolamenti, di standards minimi ai fini dello svolgimento di tale attività (e relativa abolizione dell’esame di abilitazione)[62] - non si può fare a meno, oggi, di tenere conto.

In secondo luogo, il nuovo Regolamento non prevede più - all’interno del proprio impianto - la deroga di cui all’art. 5, primo comma, in favore degli Avvocati iscritti all’albo (in vigore, invece, sotto l’abrogato Regolamento degli Agenti FIGC).

Occorre infatti ricordare che il Consiglio Nazionale Forense ha - in diverse occasioni[63] - affermato l’incompatibilità tra l’esercizio della professione forense e l’attività di agente sportivo[64].

Tuttavia, con altrettanta puntualità va ricordato che le argomentazioni fatte proprie dall’organismo di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana - che avevano portato a tale dichiarazione d’incompatibilità - erano incentrate sulla specifica regolamentazione dell’attività di agente (ora procuratore), sulla presenza di un esame per accedere all’iscrizione all’albo (vero e proprio titolo abilitativo, ora soppresso) e sulla conseguente deroga prevista dall’art. 5, primo comma, per gli Avvocati.

Ratio di tale deroga era proprio la presenza di uno specifico titolo abilitativo (da conseguire attraverso il superamento di apposito esame, che si svolgeva in due diversi momenti dell’anno: generalmente nei mesi di marzo e settembre), a garanzia dei requisiti di professionalità (ma anche di terzietà e indipendenza) da parte di coloro che intendessero intraprendere tale professione.

Sennonché, coll’entrata in vigore del nuovo “Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo”, tali prerogative (in primis, il conseguimento dell’abilitazione per il tramite del superamento di apposito esame) sono venute a mancare.

Rimane da verificare, quindi, se - sotto la vigenza del nuovo Regolamento - possono altresì ritenersi venute meno le preclusioni per una contemporanea iscrizione di un soggetto all’albo degli Avvocati, da un lato, ed al nuovo registro dei Procuratori Sportivi, dall’altro.

Sul punto, mette conto rilevare che il ‘vecchio’ Regolamento FIFA sugli agenti dei giocatori del 2008 (cui era modellato il Regolamento FIGC del 2010)[65] prevedeva, all’art. 4 (“Exempt Individuals”), la possibilità di farsi assistere da un Avvocato privo di licenza, ma regolarmente iscritto al proprio albo secondo le norme del proprio Paese[66], precisando, inoltre, che «lattività svolta da tali soggetti non soggiace alla giurisdizione degli organi FIFA»[67].

Non va dimenticato, inoltre, che il Regolamento FIFA ha natura di fonte sovraordinata, rispetto al Regolamento FIGC (che, infatti, è stato emanato e adottato sul modello del primo).

Alla luce di tutto ciò, quindi, riteniamo una forzatura sostenere che anche l’avvocato privo di licenza, ogni qual volta si trovi a svolgere, di fatto, l’attività di agente - sia per conto di un club, sia per conto di un calciatore - debba considerarsi sottoposto alla giurisdizione della FIGC (anche per quanto riguarda profili di tipo disciplinare)[68], e non, invece ai ‘soli’ poteri disciplinari dell’Ordine professionale presso cui è iscritto.

È lecito, anzi - ma riteniamo anche utile e doveroso - attendersi una nuova presa di posizione da parte dell’organismo di rappresentanza dell’Avvocatura (unico Ordine professionale, invero, competente ad irrogare eventuali sanzioni disciplinari), che tenga conto di questo nuovo assetto normativo[69].

Altro aspetto, infine, che investe i profili soggettivi richiesti per poter svolgere in Italia l’attività di Procuratore sportivo riguarda le cause di preclusione ai fini dello svolgimento di tale attività.

Tra quelle indicate dall’art. 4, terzo comma, del nuovo Regolamento, si trova, in particolare, anche il «non avere riportato condanne definitive per il reati di frode sportiva  di cui alla legge 401/1989 ovvero per delitti non colposi puniti con la pena edittale della reclusione non superiore, nel massimo, a cinque anni» (requisito, peraltro, che viene ad essere certificato mediante semplice autodichiarazione).

Ai sensi del nuovo Regolamento, quindi, potrebbero legittimamente presentare domanda d’iscrizione soggetti condannati in via definitiva per reati quali: appropriazione indebita, abuso d’ufficio, truffa, corruzione, frode processuale, frode informatica, lesioni personali, malversazione in danno dello Stato, violenza privata, violazione di domicilio, rissa, sostituzione di persona, abusivo esercizio di una professione, evasione, resistenza a P.U., trattandosi - in tutti i casi appena elencati - di delitti non colposi puniti con pena massima inferiore a cinque anni.

Orbene, nonostante il carattere meramente esemplificativo (e, purtroppo, non certo esaustivo) dell’elencazione appena fatta, desta certamente non poche perplessità la circostanza per cui viene attribuita la possibilità di avere accesso a tale attività - ed avere, quindi, pieno titolo per operare nel mercato del calcio - a soggetti che si siano già resi protagonisti di tipologie di reato, dal forte disvalore penale (e conseguente allarme sociale).

Sotto tale profilo, non si può fare a meno di auspicare, allora, una revisione del Regolamento attualmente in vigore, che vada verso una duplice ottica di miglioramento, da un lato, dei requisiti di professionalità (ma anche di onorabilità) dei soggetti che intendano svolgere tale professione, ma anche di maggiore tutela, dall’altro, dei soggetti assistiti[70].

6. La questione dell’applicabilità dell’art. 2126 del codice civile (“Prestazioni di fatto con violazione di legge”)

Ultima eccezione su cui i Giudici di legittimità sono stati chiamati a pronunciarsi è stata la possibilità che, nel caso in esame, potesse trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 2126 del codice civile (invocata da parte del legale in proprio favore).

Tale norma, come precisato dall’orientamento in esame, può trovare applicazione «solo nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato»[71].

L’art. 2126 del codice civile prevede, infatti, tre regole fondamentali[72].

La regola principale è quella per cui la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.

Eccezione a tale regola è quella per cui la nullità, invece, produce effetto se deriva da illiceità dell’oggetto o della causa (così sempre al 1° comma del citato articolo).

A tale eccezione segue poi una sorta di ‘eccezione dell’eccezione’ (al 2° comma), che prevede che se il rapporto è prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha - in ogni caso - diritto alla retribuzione, anche in ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa.

La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che essa «disciplina unicamente gli effetti già realizzatisi di un rapporto di fatto in concreto svoltosi tra le parti, al quale riconosce efficacia limitatamente al periodo in cui esso ha avuto attuazione, nell’intento di evitare che la portata retroattiva della pronuncia di nullità del contratto possa incidere sulla prestazione lavorativa già resa»[73].

In altri termini, con tale disposizione si stabilisce - in deroga ai principi di diritto comune - che la nullità del contratto di lavoro operi ex nunc, e non ex tunc, facendo così salvi gli effetti dell’avvenuta esecuzione della prestazione lavorativa (in primis, il diritto alla retribuzione).

Tanto precisato, deve tuttavia ritenersi pacifico che la regola di cui all’art. 2126 del codice civile possa trovare applicazione solo con riguardo alle prestazioni riconducibili al lavoro subordinato, e non, invece, a quelle derivanti da lavoro autonomo[74].

La stessa Cassazione - a Sezioni Unite - ha sottolineato la natura “eccezionale” di tale norma, derogatoria dell’art. 1418 del codice civile (sul regime generale di nullità del contratto), e la conseguente sua impossibilità di trovare applicazione in via analogica per altri casi o situazioni simili (quali, ad. es., fattispecie aventi le caratteristiche della parasubordinazione)[75].

Ma la stessa giurisprudenza di legittimità ha affermato che in tali casi residua sempre - in capo al soggetto agente - l’azione di arricchimento senza causa, ex art. 2041 del codice civile[76].

La prestazione svolta dall’Avvocato, infatti, ha certamente determinato l’arricchimento di un altro soggetto (in questo caso, il giocatore che ha stipulato il contratto d’ingaggio con il club).

Unico precedente giurisprudenziale specifico sul punto, invero, ha riguardato il caso di un rapporto di lavoro instaurato tra una società sportiva ed un allenatore (con contratto a tempo determinato), la cui prosecuzione delle prestazioni lavorative - dopo la scadenza del termine fissato - non è stata ritenuta giustificativa della trasformazione dell’originario rapporto in una fattispecie a tempo indeterminato (con conseguente illegittimità del successivo recesso della società e diritto del dipendente alla reintegrazione del posto di lavoro), trattandosi di attività lavorativa riconducibile alla fattispecie della prestazione di fatto ex art. 2126 del codice civile[77].

Il caso appena citato, tuttavia, è assolutamente diverso da quello oggetto della presente analisi, stante la natura non subordinata del rapporto intercorrente tra l’avvocato ed il suo assistito, ragion per cui non può che ritenersi corretto il ragionamento seguito dei Giudici, che hanno ritenuto inapplicabile l’art. 2126 del codice civile al caso di specie.

7. Conclusioni

La sentenza in esame non sembra del tutto convincente per un molteplice ordine di ragioni.

In primo luogo, per l’assimilazione che essa effettua tra norme (regolamentari) sportive da un lato, e norme statali dall’altro (finendo, addirittura, coll’attribuire alle prime carattere imperativo e cogente).

Il dato normativo, infatti, attribuisce inequivocabilmente alle Federazioni Sportive Nazionali la natura giuridica di associazioni di diritto privato[78].

I relativi Regolamenti sono, come ricordato dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte[79], atti di autonomia organizzativa di natura contrattuale.

Essi, quindi, non possono che dispiegare la loro efficacia nei confronti dei soli soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo, e non anche nei confronti di altri soggetti che non fanno parte di tale ordinamento (quali, nel caso che qui interessa, gli Avvocati regolarmente iscritti all’albo, per di più privi della licenza di ‘agente’)[80].

Soggetti che, peraltro, nel caso in esame hanno scelto di seguire liberamente le norme di diritto comune per disciplinare i loro rapporti (nella specie: le norme sul mandato), discostandosi espressamente dalle previsioni dei regolamenti federali.

Altro aspetto che non convince è il giudizio di “immeritevolezza” di tutela, ex art. 1322, secondo comma, del codice civile, effettuato dai Giudici di legittimità in relazione alla “mancanza di funzionalità” del contratto stipulato dalle parti nell’ambito dell’ordinamento sportivo.

Tale giudizio non tiene conto, ancora una volta, della diversa finalità - e dei diversi piani - su cui operano le norme statali (da un lato) e le norme sportive (dall’altro).

Compito delle prime, infatti, è quello di stabilire i principi generali applicabili alle fattispecie contrattuali previste (e richiamate) dal codice civile (tra cui il mandato)[81].

Compito delle seconde, invece, è quello di disciplinare e regolamentare i rapporti endo-associativi tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo (il cui ambito di efficacia, in quanto tale, non può estendersi al di fuori di tale contesto).

Tale (errata) equiparazione - tra «immeritevolezza di tutela», da un lato (nell’ordinamento statale), e «mancanza di funzionalità», dall’altro (nell’ordinamento sportivo) - ha trovato, sino ad ora, sostegno da parte della giurisprudenza statale sul presupposto della necessità di effettuare il ‘controllo finanziario’ da parte delle Federazioni - in ottemperanza delle disposizioni di cui agli articoli 4 (“Disciplina del lavoro subordinato sportivo”), secondo comma[82] e 12 (“Garanzia per il regolare svolgimento dei campionati sportivi”)[83] della legge 24 marzo 1981, n. 91 (“Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”) - sui contratti d’ingaggio stipulati tra società e giocatori.

Necessità che è stata ravvisata sia nell’ipotesi di contratto non stipulato per iscritto[84], sia nell’ipotesi di contratto redatto in maniera difforme dal contratto-tipo[85], sia, infine, in caso di mancato deposito dei ‘patti aggiunti’ in Federazione per la relativa approvazione[86].

Tuttavia, ancora una volta, va ribadito che le norme ivi richiamate (e tutto il dibattito giurisprudenziale registratosi in materia) riguardano unicamente soggetti (società e giocatori) appartenenti entrambi all’ordinamento sportivo, e non anche terzi soggetti, estranei a tale ordinamento.

Costoro, infatti, si trovano al di fuori del loro ambito di applicazione (ed operatività).

Non solo, ma laddove tali norme si ritenessero pienamente valide ed operanti anche per l’ordinamento statale, esse recherebbero (l’inaccettabile) conseguenza d’introdurre - in caso di loro inosservanza - un regime di nullità dei contratti diverso e più gravoso rispetto a quello previsto dalle norme di diritto comune (in primis: l’art. 1418 del codice civile e tutti i regimi di nullità da esso richiamati[87]).

All’origine di tale equivoco - che continua, invero, a perpetrarsi anche nella sentenza in commento - tra «mancanza di funzionalità» (da un lato) della pattuizione nell’ordinamento sportivo (da un lato), e «meritevolezza» di tutela (dall’altro) nell’ordinamento statale, è stato richiamato un orientamento giurisprudenziale, erroneamente assunto a termine di riferimento.

Si tratta di quell’orientamento[88] che ha ribadito il principio - già espresso, invero, da altri in precedenza[89] - per cui, relativamente alla cessione del contratto di un calciatore professionista stipulata tra due società senza il rispetto delle modalità fissate dalle normative federali (richiamate dall’art. 5 della l. 91/81), non essendo tale cessione valida per l’ordinamento sportivo (ove la stessa è destinata a dispiegare i propri effetti), essa - pur astrattamente lecita secondo le norme del diritto comune - non può essere efficace neanche per l’ordinamento statale, non essendovi alcun interesse meritevole di tutela che residui in capo ai contraenti.

Orbene, anche a tal proposito un’attenta dottrina[90] ha, in maniera assolutamente corretta e puntuale, manifestato perplessità circa la riconduzione dell’inefficacia della cessione del contratto - da parte di tale giurisprudenza - al giudizio di immeritevolezza di tutela nell’ordinamento statale, facendo presente che tale cessione è disciplinata dall’art. 5 della l. n. 91/81, ragion per cui la mancata osservanza delle disposizioni federali (richiamate da tale articolo) impedisce la realizzazione della fattispecie direttamente per violazione della legge medesima.

Tuttavia ancora una volta occorre precisare che tale casistica giurisprudenziale ha riguardato fattispecie contrattuali in cui ambedue le parti in causa erano soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo.

Nel caso in esame, invece, ci troviamo di fronte ad una fattispecie in cui uno dei due soggetti è estraneo a tale ordinamento, sicchè, in quanto tale, non può essere soggetto alle norme da esso previste.

Terzo ed ultimo profilo, infine, riguarda la mancata applicazione della disposizione di cui all’art. 2126 del codice civile, applicabile - secondo l’orientamento in esame - solamente nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato.

Posta, infatti, la natura «eccezionale» di tale norma[91], la stessa giurisprudenza di legittimità[92] ha precisato che, nei casi in cui tale norma non possa essere invocata in proprio favore, residua sempre - in capo al soggetto che volesse intentare azione legale per far valere le proprie ragioni - la possibilità di agire in giudizio con l’azione di cui all’art. 2041 del codice civile (“Azione generale di arricchimento”), stante il carattere residuale della stessa (giusta la previsione di cui all’art. 2042 del codice civile).

Ove l’Avvocato (mandatario) fosse quindi riuscito a dimostrare in giudizio che la stipula del contratto d’ingaggio da parte del giocatore (suo mandante, per conto del quale egli era intervenuto) era avvenuta grazie al suo (esclusivo) intervento, egli, allora, avrebbe potuto validamente esperire l’azione di arricchimento senza causa nei confronti del giocatore.

Tuttavia, dal momento che quest’ultimo non ha formulato (né fornito prove al riguardo) alcuna espressa domanda in tal senso nel suo atto d’appello, la Suprema Corte, di conseguenza, non s’è potuta pronunciare nel merito.

Si rimane in attesa della produzione di una giurisprudenza più significativa sul tema, che sia in grado di fornire ulteriori e più utili chiarimenti rispetto alle considerazioni sin qui svolte - soprattutto, invero, sulla natura, sull’efficacia e sull’ambito di applicazione delle norme regolamentari sportive, anche in tema di mandato di rappresentanza tra giocatore e procuratore sportivo, o avvocato iscritto all’albo - in una materia che riveste sempre maggiore importanza nei settori della vita quotidiana quale è, oggi, lo sport.

 

[1] il testo della sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.dirittoegiustizia.it/news/23/0000072697/Avvocato_assiste_il_calciatore_la_norma_da_applicare_e_quella_sportiva.html;

[2] l’ultima pronuncia sul tema è stata Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 15934 del 20 settembre 2012 (Pres. Trifone, Rel. Petti). Il testo della sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.altalex.com/documents/altalex/news/2013/08/28/avvocato-agente-di-calciatori-necessario-il-rispetto-dell-ordinamento-sportivo (con breve nota di G. Nicolella);

[3] C. App. Trieste, n. 424 del 18 ottobre 2010;

[4] il contratto-tipo di rappresentanza tra calciatore e procuratore sportivo è reperibile presso il sito ‘istituzionale’ della Federazione Italiana Giuoco Calcio (www.figc.it), al seguente indirizzo web: http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/61.$plit/C_2_ContenutoGenerico_3818_Sezioni_lstSezioni_0_lstCapitoli_1_upfFileUpload_it.pdf;

[5] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5216/2015, cit.;

[6] nel caso in questione, la vicenda ha riguardato il “mandato sportivo”, ma il dibattito giurisprudenziale ha investito vari altri aspetti di altre tipologie di contratto, diffuse in ambito sportivo, quali: il contratto d’ingaggio tra giocatore e club (Cass. Civ. Sez. Lav., n. 11462 del 12 ottobre 1999, Calcio Perugia Spa c. altri), i “patti aggiunti” - intendendosi per tali quelle pattuizioni, convenute tra le parti, che stanno al di fuori del contratto d’ingaggio - tra questi due soggetti (in quanto tali, non depositate, ai sensi degli articoli 4 e 12 della legge n. 91 del 1981, presso la Federazione di riferimento: cfr. Cass. Civ. Sez. Lav., n. 1855 del 3 marzo 1999, Monelli c. Pescara Calcio, e, più di recente, Cass. Civ., Sez, VIª-lavoro, ord. n. 5830 del 13 marzo 2014), ed infine, il contratto di trasferimento (“cessione”) di un giocatore tra un club ed un altro, redatto in violazione delle disposizioni federali (Cass. Civ. Sez. IIIª, n. 3545 del 23 febbraio 2004);

[7] G. Facci, Ordinamento sportivo e regole d'invalidità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, fasc. I, pp. 237-264;

[8] divisa, invero, tra una concezione che attribuisce alle Federazioni sportive (sia nazionali che internazionali) natura «privatistica», ed una concezione che, invece, attribuisce loro natura «pubblicistica» (in dottrina. M. Sanino, F. Verde [a cura di], “Diritto Sportivo” (quarta ed.), Padova, 2015, CEDAM, p. 118 ss.);

[9] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 15934/2012 (cit.). In tale fattispecie l’accordo - oltre ad essere difforme dal modello-tipo predisposto dal regolamento federale - conteneva una penale particolarmente gravosa in favore del procuratore. Costui ne invocava, quindi, il pagamento, lamentando che il giocatore aveva direttamente sottoscritto il contratto (senza la sua assistenza), in violazione dei patti contrattuali.

La sentenza è stata pubblicata su Giust. civ., 2013, parte I, n. 9, p. 1813, con nota di G. Vidiri, Il mandato stipulato tra agente e calciatore: contratto (normativo) misto a formazione giurisprudenziale?; e su Giur. it., 2013, n. 7, p. 1671, con nota di D. Gaspari, Avvocato e agente di calciatori: una strana coppia;

[10] così in motivazione Cass. Civ., n. 15934/2012, cit.;

[11] la quasi unanime giurisprudenza e la dottrina prevalente seguono la teoria della prevalenza (o dell’assorbimento), secondo la quale si applica la disciplina del contratto la cui funzione, nella combinazione degli elementi, è in concreto prevalente. In giurisprudenza: Cass. Civ. Sez. IIª, n. 2661 del 22 marzo 1999 (in Contratti, 1999, p. 992); Cass. Civ., Sez. IIª, n. 12199 del 2 dicembre 1997 (in Giur. it., 1998, I, n. 1, 1808). In dottrina: A. Torrente - P. Schlesinger, “Manuale di Diritto Privato”, XXª ed., Milano, 2009, Giuffrè, p. 200; R. Sacco, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1966, p. 794;

[12] così in motivazione Cass. Civ., n. 15934/2012, cit.;

[13]che dà alle parti la possibilità di stipulare anche contratti diversi da quelli previsti dal codice, a condizione che «siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico»;

[14]secondo una«lettura costituzionalmente orientata dagli artt. 2 della Costituzione in relazione a diritti inviolabili del calciatore professionista»;

[15]con cui quest’ultima aveva invitato la FIGC a «riformare le regole del settore», in base a «criteri di proporzionalità», con particolare riguardo alla limitazione delle clausole di esclusiva riservate agli agenti dei calciatori, all’abolizione della clausola “penale” per la revoca del mandato, ed infine «prevedendo contratti meno vincolanti, abolendo le clausole sulla scadenza dei contratti, ed eliminando i conflitti di interessi».

La delibera è reperibile on-line presso il sito istituzionale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (www.agcm.it) al seguente indirizzo web: http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/1122-audizione111006.html;

[16] in tal senso, si condividono le considerazioni critiche di G. Nicolella, L’Avvocato-agente di calciatori: ancora (come allora) sul necessario rispetto dell’ordinamento sportivo, in Giustizia sportiva, on-line presso www.giustiziasportiva.it, 2015, fasc. 1, pp. 123-131;

[17] G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, in Contr. impr., 2013, n. 3, pp. 645-673;

[18] il primo, invero s’individua nei limiti direttamente imposti dalla legge. Non casuale, a tal fine, è il richiamo - contenuto nel 1° comma dell’art. 1322 c.c. - all’art. 41 della Costituzione, in tema di libertà d’iniziativa economica privata (e del secondo comma di tale Norma fondamentale, in tema di divieto di svolgimento dell’attività economica se «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»);

[19] in dottrina, M. C. Diener, Il contratto in generale, Milano, Giuffrè, 2002, p. 17 ss.;

[20] U. Breccia, voce «Causa», in Trattato di Diritto Privato (dir. da M. Bessone), XIII, vol. 3, Torino, pp. 3 ss.; M. Costanza, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contr. impr., 1987, p. 430 ss. (secondo cui, in particolare, il controllo di meritevolezza implica una valutazione di conformità costituzionale, preventiva e distinta rispetto a quella di liceità); G. Sicchiero, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, in Contr. impr., 2004, p. 545 ss. (secondo tale Autore, in particolare, il contratto atipico è meritevole di tutela se il risultato che si vuole raggiungere rappresenta uno scambio di utilità economiche di qualsiasi tipo, «purchè il giudice ne possa verificare l’utilità in concreto»);

[21] A. Federico, L’elaborazione giurisprudenziale del controllo di meritevolezza degli interessi dedotti nei contratti c.d. sportivi, in «Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico», Napoli, 2009, p. 369 ss.;

[22] sono stati, questi, i casi di cui Cass. Civ., Sez. Iª, n. 4845 del 28 luglio 1981 e Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 3545 del 23 febbraio 2004, cit. (in tema di contratto di «cessione» di un calciatore), e di Cass. Civ. Sez. Lav., n. 1855 del 3 marzo 1999, cit. (in tema di «patti aggiunti» tra giocatore e club, ma non depositati in Federazione);

[23] anche da G. Santorelli, Sussidiarietà e regole di validità dei contratti sportivi», in «Il Principio di sussidiarietà nel diritto privato, I, Potere di autoregolamentazione e sistema delle fonti», a cura di M. Nuzzo, Torino, Giappichelli, 2014, pp. 235-262;

[24] come puntualmente osservato da G. Sicchiero, La distinzione tra meritevolezza e liceità del contratto atipico, cit., p. 549;

[25] così G. Santorelli, Sussidiarietà e regole di validità dei contratti sportivi», cit., pp. 254-255; in termini analoghi, A. Lepore, Il contratto di cessione di calciatori professionisti: unità nell’ordinamento giuridico e giudizio di validità (nota a Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport presso il CONI, 5 marzo, 2009, presso Rassegna di Diritto ed Economia dello Sport, 2011, pag. 187. L’Autore, a tal proposito, preferisce parlare di ‘ineffettività’ del contratto);

[26] contesta l’automatismo interpretativo, in virtú del quale la violazione della regola endoassociativa sportiva dovrebbe condurre sempre alla declaratoria di nullità ex art. 1322, comma 2, c.c., E. Indraccolo (Violazione di regole endoassociative e responsabilità professionale, in Rass. dir. civ., 2014, n. 3, pp. 916-936). L’Autore, peraltro, ritiene le regole sportive richiamate dalla sentenza inapplicabili al caso concreto e, sul presupposto che non esista un ordinamento sportivo, separato e autonomo da quello generale, afferma che tali regole sportive non possano essere ritenute conformi con l’unitario assetto ordinamentale. In particolare, egli ritiene assolutamente valido il contratto concluso fra avvocato e calciatore, salvo rilevare violazioni del codice deontologico forense e, di conseguenza, profili di responsabilità professionale in capo al legale;

[27] in tal senso A. Federico, L’elaborazione giurisprudenziale del controllo di meritevolezza degli interessi dedotti nei contratti c.d. sportivi, cit., p. 372, il quale sottolinea la ‘carica eversiva’ di tale impostazione del “controllo di meritevolezza degli interessi”, che finisce, sostanzialmente, coll’attribuire ai regolamenti sportivi, la stessa forza (e natura) riconosciuta alle norme imperative, desumibile dall’irrogazione della medesima sanzione di nullità (in ambedue i casi), in virtù del combinato disposto degli artt. 1418, comma 1, e 1322, comma 2, c.c. Della stessa opinione è G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, cit., pag. 645;

[28] in spregio alla nota ‘tripartizione’ di cui all’art. 1418 del codice civile, in tema di nullità del contratto (in particolare, sulle nullità ‘virtuali’, previste al 1° comma, in caso di nullità per contrarietà a norme imperative; sulle nullità c.d. ‘strutturali’, previste dal 2° comma, intendendosi per tali quelle relative alla mancanza di uno degli elementi costitutivi del negozio [mancanza di accordo, causa, oggetto o forma ex art. 1325; illiceità della causa nel caso di cui all’art. 1343; illiceità dei motivi nel caso di cui all’art. 1345; mancanza nell’oggetto di uno dei requisiti stabiliti dall’art. 1346]; ed infine sulle nullità c.d. testuali, previste dal 3° ed ultimo comma, che rimanda a disposizioni contenute in singole norme di legge). In dottrina, G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, cit., p. 658;

[29] Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17067 del 3 agosto 2007 (in Mass. giust. civ., 2007, p. 1527);

[30] Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17067/2007, cit.; in precedenza, in termini ancor più espliciti, Trib. Genova, 5 giugno 1972 (in Rivista, 1973, p. 59 ss.);

[31] G. Facci, Il contratto immeritevole di tutela nell’ordinamento sportivo, cit., p. 650;

[32] in tal senso, anche Cass. Civ. , Sez. Iª, n. 4845/1981, cit.;

[33] Cass. Civ., Sez. Iª, n. 24391 del 1° dicembre 2010, in tema di validità di un contratto di fideiussione stipulato tra un istituto bancario ed una società sportiva, in violazione delle prescrizioni contenute nei regolamenti federali (la sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.fiscosport.it/attachments/show_fs/1180?filename=658.pdf);

[34] nella specie, veniva in rilievo l’art. 12 della legge 91 del 1981, che attribuisce alle Federazioni Sportive ed al CONI il potere di controllo delle attività gestionali delle società sportive, mediante l’approvazione di atti e provvedimenti che comportano esposizioni finanziarie delle stesse società;

[35] così in motivazione Cass. Civ., Sez. Iª, n. 24391/2010, cit.;

[36] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713 del 27 gennaio 2010, in tema di validità di un contratto tra una società ed un  allenatore (dilettante), non stipulato per iscritto, con cui la prima attribuisce un compenso in favore del secondo, in violazione delle norme federali relative al tesseramento (che prevedono la forma scritta, ai fini del rimborso spese). La sentenza è reperibile presso Giustizia sportiva, on-line su www.giustiziasportiva.it, 2010, n. 2, presso il seguente indirizzo web: http://www.giustiziasportiva.it/gs/gs-content/uploads/2013/07/numero2_2010.pdf;

[37] affermando esplicitamente che ciò «non ha alcuna base normativa»;

[38] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713/2010, cit.;

[39] nella specie, veniva in rilievo la disposizione di cui all’art. 44 del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti vigente all’epoca dei fatti, secondo cui gli allenatori svolgono la propria attività a titolo gratuito, e possono avere diritto solo ad un rimborso spese purchè pattuito per iscritto;

[40] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713/2010, cit. (norma imperativa vera e propria, quindi, che, naturalmente, non può che essere di rango statale);

[41] in termini, quindi, esattamente contrari alla sentenza in commento (che, invece, attribuisce tale carattere alle norme regolamentari sportive);

[42] C. Cost., n. 49 del 11 febbraio 2011 (Pres. De Siervo, Rel. Napolitano).

La sentenza è reperibile on-line, presso il sito ‘istituzionale’ della Corte Costituzionale, www.cortecostituzionale.it; al seguente indirizzo web: http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2011&numero=49);

[43] cfr. punto 4.2 della motivazione, ove si legge che: «anche prescindendo dalla dimensione internazionale del fenomeno, deve sottolinearsi che l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non può porsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse «formazioni sociali dove [l’uomo] svolge la sua personalità» e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive»;

[44] secondo la nota teoria istituzionalistica della pluralità degli ordinamenti giuridici di S. Romano (L’ordinamento giuridico, pubblicato, per la prima volta, a Pisa nel 1918, col sottotitolo «Studi sul concetto, le fonti ed i caratteri del diritto», ed. Spoerri, e successivamente a Firenze nel 1946, ed. Sansoni);

[45] per ‘forma’, infatti, deve intendersi, secondo una nota definizione, il «necessario strumento tecnico-giuridico attraverso il quale la volontà delle parti si estrinseca e si esprime, ed il contenuto del contratto diviene conoscibile per i terzi» (è questa la definizione formulata per la prima volta da F. Messineo, «Il contratto in genere», in Trattato di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1972, p. 143, e successivamente ripresa da C. M. Bianca, «Il contratto», in Diritto Civile, Milano, Giuffrè ed., vol. III, p. 273, e da F. Gazzoni, «Manuale di diritto privato», Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 891).

Essa, com’è noto, è libera, ed è «espressione della volontà e come tale non può mancare in nessun negozio» (così M. C. Diener, Il contratto in generale, cit., pag. 371).

Il codice civile, laddove indica tra gli elementi essenziali del contratto anche «la forma, quando è prescritta dalla legge sotto pena di nullità» (art. 1325, n. 4, c.c.) si riferisce non alla forma in genere (che è sempre necessaria), ma a quella speciale forma richiesta dal legislatore per determinati negozi.

In altri termini, la mancanza di forma comporta l’inesistenza del contratto, mentre la mancanza delle forma richiesta (ad es., forma scritta piuttosto che orale) comporta la nullità del contratto (ex artt. 1325, n. 4, e 1418, 2° comma, c.c.);

[46] in modo da potersi parlare sì, di frode, ma con riguardo alla legge sportiva;

[47] è questa, in sintesi, la tesi portata avanti da G. Facci, Ordinamento sportivo e regole d'invalidità del contratto, cit., p. 264, cui si ritiene di aderire;

[48] Regolamento Agenti di Calciatori del 2010, in vigore ex Comunicato Ufficiale FIGC n. 100/A dell’8 aprile 2010 (successivamente modificato nel 2011, ex Comunicato Ufficiale FIGC n. 142/A del 3 marzo 2011);

[49] tale Regolamento è stato adottato dalla FIGC (Comunicato Ufficiale n. 190/A del 26 marzo 2015) in armonia con i principi e le direttive adottate dalla FIFA (Circolare n. 1417 del 30 aprile 2014, con cui si comunica l’approvazione, da parte del Comitato Esecutivo nella riunione del 20-21 marzo 2014, delle «New Regulations on Working with Intermediaries», entrate in vigore lo scorso 1° aprile 2015).

La modifica più rilevante è stata la soppressione della figura dell’Agente di Calciatori - oggi sostituita da quella del “Procuratore sportivo” - e del relativo esame di abilitazione (che aveva cadenza semestrale: marzo e settembre di ogni anno) ai fini dell’esercizio di tale attività. Per tale motivo, oggi, si parla di “deregolamentazione” della professione («deregulation»).

Ai sensi del nuovo Regolamento l’attività di rappresentanza dei giocatori può essere oggi svolta («anche occasionalmente») da coloro che risiedano legalmente in Italia ed intendano richiedere la relativa iscrizione nel Registro, tenuto dalla FIGC, mediante il versamento dei diritti di segreteria annualmente stabiliti da quest’ultima ed avente validità annuale.

A tal proposito, la Commissione Procuratori Sportivi ha stabilito (delibera n. 1 del 12 giugno 2015, reperibile on-line presso il sito ‘istituzionale’ della FIGC, www.figc.it, al seguente indirizzo web: http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/97.$plit/C_2_ContenutoGenerico_2528549_StrilloComunicatoUfficiale_lstAllegati_0_upfAllegato.pdf) che il Procuratore Sportivo non residente in Italia, che sia iscritto come agente o intermediario presso altra Federazione Nazionale e non intenda eleggere domicilio presso un Procuratore Sportivo già iscritto presso la FIGC, per poter operare in ambito FIGC dovrà depositare presso la stessa il contratto di rappresentanza in lingua italiana o in una delle lingue ufficiali FIFA accompagnato dalla Dichiarazione delle persone fisiche (All.1), «allegando documento comprovante l’iscrizione all’albo e/o registro di altra Federazione estera che abbia adottato gli standard minimi FIFA previsti per il regolamento degli intermediari, oppure prova documentale di essere già titolare di qualifica di Agente FIFA e ricevuta di versamento dei soli diritti di segreteria»;

[50] reperibile on-line presso il sito ‘istituzionale’ della FIFA (www.fifa.com) al seguente indirizzo web: http://resources.fifa.com/mm/document/affederation/administration/51/55/18/players_agents_regulations_2008.pdf;

[51] il rilascio di tale licenza era infatti subordinato al superamento di apposito esame di abilitazione, tenutosi due volte l’anno, con cadenza semestrale (nel marzo e nel settembre di ogni anno) presso la FIGC;

[52] cfr. art. 4.2 del nuovo Regolamento («L’iscrizione nel Registro comporta l’obbligo del Procuratore Sportivo di osservare le norme statutarie e i regolamenti della FIGC, della FIFA e della UEFA, improntando il proprio operato ai principi di correttezza e diligenza professionale. L’iscrizione comporta, altresì, l’assoggettamento del Procuratore Sportivo ai poteri disciplinari della FIGC previsti dal presente regolamento»);

[53] cfr. art. 1.2 del Regolamento del 2010 («Gli Agenti sono liberi professionisti senza alcun vincolo associativo nei confronti della FIGC o di società di calcio affiliate alla FIGC, non potendo essere considerati ad alcun titolo tesserati della FIGC»);

[54] TAR Lazio, Sez. IIIª-ter, n. 33428 del 11 novembre 2010 (Pastorello c. FIGC; la sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.centrostudisport.it/PDF/GIUSTIZIA_ORDINARIA/42.pdf);

[55] così in motivazione l’orientamento cit.;

[56] in tal senso, Corte Giustizia CE, ord. 23 febbraio 2006, e Tribunale di Prima Istanza, 26 gennaio 2005;

[57] l’agente - al pari di ogni altro libero prestatore di beni o servizi in ambito comunitario - ha quindi diritto al «rispetto delle libertà civili ed economiche riconosciute ad ogni operatore e, quindi, anche delle sue libere scelte in ordine allo svolgimento della propria attività, nella stessa misura in cui le stesse sono riconosciute ad ogni altra associazione professionale e ai suoi componenti, e senza limiti e condizioni che si pongano in irragionevole contrasto con i principi innanzi richiamati di libertà di concorrenza, di iniziativa economica e di associazione» (così in motivazione TAR Lazio, Sez. IIIª-ter, n. 33428/2010, cit.).

La decisione è stata resa a seguito di un ricorso presentato da un Agente che aveva impugnato - chiedendone l’annullamento - quella disposizione del Regolamento del 2010 (l’art. 4, comma 2, lett. f) che subordinava l’esercizio di tale attività in forma societaria alla condizione che nessuno dei soci fosse legato da rapporto di coniugio, parentela o affinità fino al secondo grado con agenti non soci o con «soggetti comunque aventi un’influenza rilevante su società di calcio italiane o estere».

Il TAR, in accoglimento del ricorso presentato, ha motivato la propria decisione sul rilievo che l’anzidetta disposizione rappresenta una limitazione della disciplina in materia di lavoro, che non trova riscontro in alcuna normativa nazionale o comunitaria.

In merito alla possibilità - oggi, invero, pacificamente ammessa dal Nuovo Regolamento (art. 4.4) - di svolgere la propria attività in forma associata, si segnala la recente delibera della Commissione Procuratori Sportivi (Comunicato Ufficiale n. 2 del 6 luglio 2015, reperibile on-line presso il sito ‘istituzionale’ della FIGC, www.figc.it, al seguente indirizzo web: http://www.figc.it/Assets/contentresources_2/ContenutoGenerico/12.$plit/C_2_ContenutoGenerico_2528847_StrilloComunicatoUfficiale_lstAllegati_0_upfAllegato.pdf), con cui l’organo di autogoverno ha approvato la modulistica relativa alla dichiarazione delle persone giuridiche da presentare ai fini dell’iscrizione nell’apposito Registro tenuto dalla FIGC (con cui debbono essere indicate, in particolare, «tutte le persone fisiche che ne hanno la legale rappresentanza e che prestano i loro servizi di Procuratore Sportivo», ai sensi dell’art. 4.4 del Nuovo Regolamento);

[58] entrato in vigore lo scorso Aprile;

[59] in particolare: non essere stato dichiarato interdetto, inabilitato o fallito, non avere riportato condanne definitive per il reato di frode sportiva ex legge 401/89 ovvero per delitti non colposi puniti con la pena edittale della reclusione superiore (nel massimo) a cinque anni, non avere riportato - nell’ambito dell’ordinamento sportivo - la sanzione della preclusione, ed infine il non trovarsi «in nessuna situazione di incompatibilità prevista dal presente regolamento”, né di avere «procedimenti e/o sanzioni disciplinari in essere nell’ambito della Figc»;

[60] Circolare n. 1417 del 30 aprile 2014, con cui si dà contezza dell’approvazione, da parte del Comitato Esecutivo nella riunione del 20-21 marzo 2014, delle “New Regulations on Working with Intermediaries”, entrate in vigore lo scorso 1° aprile 2015 (la circolare è reperibile on-line, presso il sito ‘istituzionale’ della FIFA www.fifa.com, al seguente indirizzo web: http://www.fifa.com/mm/Document/AFFederation/Administration/02/33/57/54/CircularNo.1417-NewRegulationsonWorkingwithIntermediaries_Neutral.pdf);

[61] La FIGC, al pari delle altre Federazioni calcistiche europee, ha mantenuto, in ogni caso, un sistema di registrazione dei procuratori sportivi, istituendo un registro (il «Registro FIGC») nel quale vengono iscritti, a domanda, coloro che intendano svolgere, anche occasionalmente, l’attività di procuratore sportivo.

Nelle Norme Transitorie del Regolamento è comunque previsto che, entro un anno dalla data della sua entrata in vigore, il Consiglio Federale potrà adottare quelle modifiche regolamentari che fossero ritenute necessarie o soltanto utili per meglio disciplinare la materia, «anche sulla base di un confronto internazionale» (nel sito ‘istituzionale’ della FIG, www.figc.it, è presente, inoltre, un breve Commentario esplicativo del nuovo Regolamento per i Servizi di Procuratore Sportivo, reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.figc.it/other/procuratori_sportivi/13052015_commentario_figc.pdf);

[62] la Circolare FIFA n. 1417 del 30 aprile 2014 (cit.) prevede, infatti, espressamente che: «any future set of regulations should be based on minimum standards or requirements» (pag. 1);

[63] cfr. Parere del CNF del 17 luglio 2003, n. 146; Parere del 27 aprile 2005, n. 16, e Parere del 20 febbraio 2008, n. 10;

[64]con la conseguenza che «il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati dovrà negare l’iscrizione a colui che la richieda e non intenda rinunziare ad una precedente iscrizione all’albo degli agenti di calciatori, ovvero coloro che già facciano parte di entrambi gli albi devono optare per una delle due iscrizioni» (Parere CNF del 20 febbraio 2008, n. 10, rel. Florio);

[65] prima citato, sub nota 48;

[66]così al secondo comma, che parla di «legally authorised practising lawyer in compliance with the rules in force in his country»;

[67] così il comma 3 dell’art. 4 (“Exempt individuals”) del ‘FIFA Regulations on Players’ Agents’ del 2008, ove si prevede che: «the activity of such exempt individuals does not fall under the jurisdiction of FIFA»;

[68] è questa, invece, l’opinione di E. Mesto (L’attività degli Agenti di calciatori e la giustizia sportiva: applicabilità dell’art. 8. 15 CGS, in Giustizia Sportiva, rivista on-line presso il sito www.giustiziasportiva.it, 2010, n. 1), il quale fonda la propria posizione su di un’interpretazione ‘estensiva’ della nozione di «attività comunque rilevante a livello federale» ai sensi dell’art. 30, 1° comma, dello Statuto FIGC (“Efficacia dei provvedimenti federali, vincolo di giustizia e clausola compromissoria”), andando a ricomprendere - nel novero di tali attività - anche quella dell’Avvocato privo di licenza che svolge l’attività di agente, occupazione da cui far discendere «la sussistenza di uno status tale da comportare l’obbligo, da parte del soggetto, di osservare e di sottostare alle norme federali, ivi comprese quelle di Giustizia Sportiva» (pag. 28);

[69]sebbene in merito alla concreta possibilità di svolgimento di un’attività di assistenza e consulenza nei confronti del proprio assistito, da parte di un Avvocato regolarmente iscritto al proprio albo, nulla sembri far propendere per la soluzione negativa (tanto più in presenza, come appena visto, di una vera e propria liberalizzazione della professione);

[70] è notizia di questi giorni, peraltro, l’impugnativa (con tanto di richiesta di sospensiva in via cautelare) innanzi al giudice amministrativo (TAR del Lazio) del nuovo Regolamento - che recepisce la normativa degli Intermediari promulgata dalla FIFA - da parte di un’associazione di categoria (la IAFA, «Italian Association of Football Agent»).

Sono almeno due, invero, i profili oggetto di contestazione: a) anzitutto, che il nuovo Regolamento non ha tenuto conto delle indicazioni fornite dalla Commissione Europea che - nel suo “Studio sugli Agenti Sportivi nell’Unione Europea” («Study on Sports Agents in the European Union», reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://ec.europa.eu/sport/library/documents/study_on_sports_agents_in_the_eu_en.pdf) - auspicava «l’introduzione di specifici meccanismi idonei a regolare l’attività degli agenti sportivi (e controllare l’accesso a tale professione), indipendentemente dal fatto che tali meccanismi vengano adottati dai governi o dalle federazioni sportive nazionali o internazionali, a condizione che tali meccanismi siano compatibili col diritto comunitario» (così pag. 172 dello Studio, «Recommendations»); b) in secondo luogo, si contesta la scelta della FIFA di fissare il compenso totale dovuto all’intermediario nel tetto massimo del 3% sul reddito lordo base pattuito per il calciatore.

In particolare, si sostiene che la fissazione, per i contratti di prestazione sportiva, di un prezzo massimo inferiore al prezzo praticabile (secondo quelle che, invece, sono le normali dinamiche di mercato), costituisce una restrizione oggettiva della concorrenza ed una violazione dell’art. 101, 1° comma, lett. a), del TFUE, che espressamente vieta di fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione.

Non vengono escluse, a quanto pare, secondo quelle che sembrano essere le intenzioni di tale associazione di categoria anche azioni giudiziali e stragiudiziali, in sede nazionale ed internazionale, anche di fronte ai competenti organi di giustizia europei (Tribunale UE di primo grado);

[71] così in motivazione Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5216/2015, cit. (ultima parte);

[72]o, meglio, una regola generale con una prima eccezione - al primo comma - ed una sorta di ‘eccezione dell’eccezione’, al secondo comma;

[73] così Cass. Civ., Sez. Lav., n. 685 del 24 gennaio 1987, in Rass. giur. lav., 1987, II, p. 58; e Foro it., 1988, I, 220;

[74]ciò che si desume, oltre dai lavori preparatori del codice civile del 1942, anche dalla collocazione sistematica della norma all’interno del titolo riguardante il lavoro nell’impresa;

[75] cfr. Cass. Sez. Un., n. 1613 del 3 aprile 1989, secondo cui: «il contratto di agenzia o rappresentanza commerciale che sia stato stipulato con soggetto non iscritto nell'apposito ruolo istituito dalla l. 12 marzo 1968 n. 316 è nullo ai sensi dell'art. 9 della stessa legge per contrarietà e norma imperativa, ma non per illiceità della causa o dell'oggetto. Al relativo rapporto non si applicano né l'art. 2231 c.c. perché il ruolo non assurge al valore ed alla caratteristica di uno degli albi o elenchi previsti dalla richiamata disposizione, né la norma eccezionale contenuta nell'art., 2126 comma 1 c.c., dettata per i rapporto di lavoro autonomo, anche se tali rapporti si sono svolti nei confronti di soggetto che si trovi, nei confronti del preponente, in una situazione di c.d. parasubordinazione, ma i principi generali in tema di prestazioni non dovute di fare» (la sentenza è stata pubblicata su Giur. civ., 1989, I, n. 823, p. 1328; Foro it., 1989, I, 1420; Giur. it., I, fasc. 1, 1488; e N. giur. civ., 1990, I, p. 1);

[76] in giurisprudenza, ex multis, cfr. Cass. Sez. Lav., n. 12093 del 13 novembre 1991, secondo cui «l’agente di commercio non iscritto nel ruolo non ha diritto alle provvigioni relative all’attività espletata, e può agire nei confronti del preponente soltanto ai sensi dell’art. 2041 c.c. per arricchimento senza causa» (in Rep. Foro it., 1991, voce “Agenzia”, n. 12; Giust. civ. mass., 1991, fasc. 11), e, nello stesso senso, Cass. Sez. Lav. n. 5941 del 24 marzo 2004 (in Giust. civ. mass., 2004, I. fasc. 3, 3205);

[77] così Cass., Sez. Lav., n. 7090 del 24 giugno 1991 (in N. giur. civ., 1992, I, p. 857);

[78] cfr. art. 15, 1° comma, D. Lgs. 242/1999 (c.d. “Decreto-Melandri”), secondo cui: «Le federazioni sportive nazionali hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo»;

[79] Cass. Civ., Sez. Lav., n. 17067/2007, cit. sub nota 29;

[80] che, per di più, non fa neanche parte dell’ordinamento sportivo, come precisato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria già citata nel par. 5);

[81]giova, a tal fine, ricordare sempre che il nostro ordinamento è improntato al principio di libertà delle forme;

[82] che sancisce l’obbligo per la società sportiva di «depositare il contratto presso la federazione sportiva nazionale per l'approvazione»;

[83] tale articolo prevede che: «Al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, le società di cui all'articolo 10 sono sottoposte, al fine di verificarne l'equilibrio finanziario, ai controlli ed ai conseguenti provvedimenti stabiliti dalle federazioni sportive, per delega del CONI, secondo modalità e princìpi da questo approvati»;

[84] cfr. Trib. Perugia (sez. civ.) 21 maggio 1993 (in Giust. civ., 1993, I, 2837);

[85] cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 11462 del 12 ottobre 1999 (Calcio Perugia Spa c. altri, in Rivista, 1999, p. 530 ss.);

[86] cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 1855 del 4 marzo 1999 (Monelli c. Pescara Calcio), che attribuisce all’approvazione della Federazione «condizione legale (condicio juris), poiché l’evento dal quale dipende la produzione degli effetti è esterno alla fattispecie costitutiva, perfezionatasi in tutti i suoi elementi» (la sentenza pubblicata in Giust. civ., 1999, I, n. 6, p. 1613 ss., con nota adesiva di G. Vidiri, Contratto di lavoro dello sportivo professionista, patti aggiunti e forma ad substantiam), e Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1713 del 27 gennaio 2010, cit., in tema di validità di un contratto tra una società ed un  allenatore (dilettante), non stipulato per iscritto, con cui la prima attribuisce un compenso in favore del secondo, in violazione delle norme federali relative al tesseramento (in tale fattispecie, l’onerosità della prestazione non è stata considerata violazione di alcuna norma imperativa).

In dottrina, V. Frattarolo, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, Giuffrè, 2005, p. 48, secondo cui il controllo federale «oltre alla verifica formale della coincidenza delle clausole del contratto in questione, importa anche la valutazione di merito sulla congruità dell’impegno economico assunto dalla società valutazione che, per essere esauriente e dimostrativa della situazione effettiva non può essere circoscritto al singolo contratto ma deve essere esteso a tutti i contratti che risultano depositati in un dato momento da una determinata società sportiva comparandone il contenuto economico alle emergenze del bilancio della stessa società»;

[87] così, per quanto riguarda il 1° comma, si parla di ‘nullità virtuali’, in quanto la legge non ne individua un tipo soltanto, ma rimanda alle singole norme imperative violate; per quanto riguarda le nullità del secondo tipo (c.d. ‘nullità strutturali’), esse incidono sugli elementi costitutivi del negozio (es. pattuizione orale, nel caso in cui il contratto sia volto a trasferire la proprietà di un immobile [artt. 1350 e 1325 c.c.], contratto avente causa illecita ex art. 1343 [contrarietà della stessa a norme imperative, ordine pubblico o buon costume], l’illiceità dei motivi ex art. 1345 [motivo illecito comune ad entrambe], la mancanza dell’oggetto nei casi indicati dall’art. 1346 [«possibile, lecito, determinato o determinabile»]); per quanto riguarda, infine, di nullità del terzo tipo, si parla di nullità c.d. ‘testuali’, in quanto contenute in singole norme di legge;

[88] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 3545 del 23 febbraio 2004, cit. (in Giust. civ., 2005, n. 2, p. 498, con nota di G. Vidiri, Sulla forma di cessione del contratto di lavoro del calciatore professionista; in Giur. it., 2004, p. 1886, con nota di F. Iozzo, Cessione dei calciatori e rapporto fra ordinamento statale e autonomina sportiva; in Corr. giur., 2004, p. 895, con nota di P. Pardolesi, Sull’efficacia dell’accordo (sportivo) dissimilato nell’ordinamento statale; ed in Rass. dir. econ. sport, 2006, p. 208, con nota di E. Indraccolo, La cessione di calciatori tra legge dello stato e disposizioni federali);

[89] da Cass. Civ., Sez. I, n. 4845 del 28 luglio 1981, cit. (in Giust. civ., 1982, I, 2411), e da Cass. Civ. Sez. Iª, n. 75 del 5 gennaio 1994 (in Giust. civ. 1994, I, 1230; in Rass. dir. civ., 1996, p. 185 con nota di S. Vitale, Ordinamento sportivo e meritevolezza dell’interesse, p. 192 ss.; Giur. it. 1994, I, 1, 1498; ed in Rivista, 1994, p. 660, con nota di F. Caringella);

[90] M. T. Spadafora, Diritto del lavoro sportivo, Torino, Giappichelli, 2012, p. 12;

[91] non applicabile ad altri casi o situazioni simili quali, ad es., i rapporti di parasubordinazione (come ricordato da Cass. Sez. Un., n. 1613 del 3 aprile 1989, cit.);

[92] Cass. Sez. Lav., n. 12093 del 13 novembre 1991, cit.;