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Il tennis tra sport e diritto

Parte I
Tennis
Tennis

Abstract:

Sport e diritto, un connubio oggetto di studio dell’autrice con l’obiettivo di offrire ai lettori una visione generale e completa dell’attuale ordinamento sportivo italiano, soffermandosi sul tennis e sulla giustizia sportiva.


Sport and law, a combination studied by the author with the aim of offering readers a general and complete view of the current Italian sporting order, focusing on sports justice.

 

Indice:

1. Introduzione: breve excursus sulle origini dello sport

2. Cenni sulle controversie sportive

 

“Non c’è gloria

più grande

per l’uomo

che mostrare

la leggerezza

dei suoi piedi

e la forza

delle sue braccia”.

Libro VIII Odissea

Omero

 

1. Introduzione

Sin dai tempi antichi lo sport ha permesso di incanalare sul piano ludico gli istinti competitivi dell’uomo.

E dai poemi omerici provengono le prime testimonianze scritte occidentali di attività sportive.

Nell’Iliade, ad esempio, Achille, l’eroe per antonomasia dell’intera epopea del ciclo troiano, non trova modo migliore per onorare la memoria dell’amico Patroclo che indire giochi funebri.

Parimenti nell’Odissea la competizione per ottenere la mano di Penelope tendendo l’arco di Ulisse rappresenta un esempio di attività sportiva.

In Grecia, ancora, sono nate le Olimpiadi, istituzioni sacre che si tenevano ogni quattro anni e stabilivano la pace tra le poleis. Nella prima guerra persiana non è un caso che Leonida debba recarsi alle Termopili con il suo solo seguito, senza l’esercito spartano, perché erano in corso i Giochi Olimpici.

Sempre nell’Antica Grecia tre erano i termini usati per indicare il momento dell’attività fisica, tutti legati all’immagine della lotta: dai primi due, athlos (combattimento) e athlion (sforzolotta per un premio), deriva il nostro vocabolo atleta; dal terzo, agon (concorsosforzo per primeggiare, ma anche emulazione), di senso più generale e non esclusivamente legato alla sfera sportiva, si è mutuata la locuzione agonismo.

Con questi semplici ma significativi presupposti, si capisce facilmente come la molla principale delle più antiche gare non fosse il gioco, ma l’affermazione del singolo.

La gara era una competizione da tenersi in pubblico; l’atleta vincitore veniva ricoperto di glorie ed allori e la polis da cui proveniva era orgogliosa del suo eroe, il quale diventava uno strumento di propaganda politica.

Con lo svolgimento delle Olimpiadi per la prima volta in Grecia vi furono spedizioni di veri e propri tifosi che si sobbarcavano viaggi spesso massacranti pur di sostenere i propri atleti e, sempre per la prima volta, lo sport ebbe delle proprie regole, codificate, note a tutti e uguali in tutto il territorio.

Ne emerge che l’intera cultura greca si basava sull’esaltazione di concetti importanti come la gloria e l’onore dell’eroe.

Facendo un salto tra i secoli ed arrivando ai nostri tempi, il complesso e affascinante tema del fenomeno sportivo, nelle varie declinazioni che ha assunto negli ultimi cinquant’anni, è entrato prepotentemente in molteplici settori della società richiedendo a questa di adattarsi alla nuova realtà.

Chi educa allo sport, ritengo, prepara il figlio ad affrontare le sfide, chi educa con lo sport, aggiungo, prepara il figlio ad affrontare la vita.

Ne consegue che dallo studio delle regole dello sport al suo utilizzo, quale strumento privilegiato anche nel campo delle relazioni internazionali, lo sport si è affermato come componente non più trascurabile in molti contesti di interazione.

L’attività sportiva, almeno sotto il profilo teorico, è uno dei mezzi per promuovere l’educazione, la salute e la tutela dell’ambiente, lo sviluppo e la pace, nonché valori sociali quali lo spirito di squadra, la competizione leale, la cooperazione, la solidarietà, i diritti umani.

Forse anche per questo motivo, alle iniziative sportive è riconosciuto il ruolo di combattere l’esclusione sociale, la violenza, le ineguaglianze, il razzismo e la xenofobia.

La storia dei primordi dello sport italiano è ancora tutta da scrivere e sono ancora da definire con chiarezza le influenze, anche di natura sociale, che ne determinarono (o ne indirizzarono) lo sviluppo.

Ad ogni modo, è unanimemente ritenuto che lo sport italiano nacque con le società.

La prima società a vocazione polisportiva ‒ la Ginnastica Torino ‒ fu fondata nel 1844 e si proponeva con un profilo differente rispetto a quanto si poteva riscontrare nel resto dell’Europa: molto distante sia da quello di matrice britannica, che intendeva lo sport quale necessaria integrazione all’istruzione scolastica, sia da quelli tedesco e mitteleuropeo, che coltivavano la ginnastica in chiave propedeutica all’addestramento militare.

Le società si costituirono, per iniziativa di gruppi di appassionati. Non avevano mezzi e contavano solo sull’entusiasmo dei soci e su un pizzico di giovanile incoscienza. Non esisteva una sede, mancavano le attrezzature, ci si esercitava in spazi periferici.

Ma quel primo seme germogliò e crebbe rigoglioso, contribuendo alla nascita di altre società sportive.

La prima Federazione sportiva nazionale, quella della ginnastica, fu fondata a Venezia nel marzo 1869. Nel 1892, a Torino, su iniziativa italiana fu costituita la seconda Federazione internazionale in ordine di tempo, quella del canottaggio. Gli atleti italiani fecero la loro apparizione in una manifestazione internazionale solo nel 1906, ad Atene, in occasione dei Giochi Olimpici intermedi, detti anche del Decennale.

Il 9 e 10 giugno 1914, in una riunione dei delegati delle Federazioni sportive (che nel frattempo si erano costituite per tutte le discipline allora praticate) tenuta presso la Camera dei Deputati, furono gettate le basi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), su iniziativa del deputato piemontese Carlo Montù (1869-1949), di cui si parlerà appresso.

Bisogna attendere però i giorni nostri per veder attribuito un rilievo costituzionale all’attività sportiva in Italia.

Il novellato articolo 117 della Carta costituzionale, annovera l’“organizzazione sportiva” tra le materie concorrenti sulla quale si alternano le diverse competenze di Stato e regioni[1], contribuendo ad attribuire alla materia sportiva la piena dignità del “rango costituzionale” e ponendosi in linea con quanto stabilito dall’articolo 1 della legge 280, del 2003, in cui testualmente si legge: “La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale. I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.

L’intervento del legislatore si è reso necessario per dirimere taluni conflitti insorti nell’estate del 2003 tra i giudici statali e la giustizia sportiva.

Difatti, la legge n. 280 del 17 ottobre 2003, nel convertire, con rilevanti modificazioni, il decreto legge n. 220/03, ha disegnato i confini tra la tutela interna al sistema endo-federale, propria delle diverse federazioni e delle discipline associate (due gradi di giudizio di merito), e tutela eso-federale propria del CONI ed esercitata dal Collegio di Garanzia, cui sono state assegnate competenze unificanti dei giudizi.

Fondamentale è il riparto tra materie, per alcune delle quali, previste dall’articolo 2 (questioni tecniche e disciplinari), non è previsto l’intervento del giudice statale se esse sono considerate irrilevanti per la tutela, comunque, anche a queste garantita dalla Carta costituzionale sulla base del dettato dell’art. 24.

In particolare, con l’articolo 1 della legge in esame il legislatore si è posto anche l’obiettivo di colmare il vuoto lasciato aperto dalla Costituzione in tema di sport attraverso il riconoscimento della autonomia della organizzazione sportiva e di quella, conseguente, della giustizia sportiva. Per le materie non riservate alla sola giustizia sportiva, dall’articolo 2 della legge n. 280/03, è possibile il ricorso al giudice statale solo dopo che si siano esauriti i gradi interni alla giustizia sportiva, sia endo, che eso federale.

In sostanza, la legge n. 280/03 prevede la creazione di una nuova “giurisdizione esclusiva” (poi recepita dall’articolo 133 del Codice del Processo amministrativo) per la tutela dei diritti soggettivi non patrimoniali; mentre i diritti soggettivi patrimoniali restano di competenza del giudice ordinario.

 

2. Cenni sulle controversie sportive

La convivenza tra ordinamenti giuridici spesso comporta che gli stessi vengano in contatto tra di loro, così generando la necessità di un loro coordinamento.

L’ordinamento giuridico sportivo in ragione della sua rilevanza sociale ed economica spesso è entrato in conflitto con quello ordinario, per cui, in più occasioni si è posta la questione della loro coesistenza.

Come si è avuto modo di evidenziare nel primo paragrafo, recentemente il legislatore italiano, per superare gli ostacoli che si sono generati negli anni, ha riconosciuto la piena autonomia dell’ordinamento giuridico sportivo in quanto con l’art. 1 del D.L. 19 agosto 2003, n. 220, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva ha stabilito che la Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Nazionale.

Sotto la dizione “giustizia sportiva” si ricomprendono, attualmente, tutti quegli istituti previsti non dalle leggi statali bensì negli statuti e nei regolamenti federali e Coni per dirimere le controversie che insorgono tra gli atleti, le associazioni di appartenenza e le Federazioni.

L’autonomia dell’ordinamento sportivo viene suggellata da un particolare vincolo denominato “vincolo di giustizia”, in forza del quale, ogni soggetto che decide di far parte dell’ordinamento giuridico sportivo riconosce che lo stesso costituisca l’unico soggetto al quale fare riferimento per ogni e qualsivoglia questione o necessità attinente l’aspetto dell’attività sportiva.

In ogni Federazione sportiva nazionale ovvero disciplina associata è sempre presente una disposizione che mira a salvaguardare l’autonomia dell’ordinamento sportivo da ingerenze esterne.

Questa disposizione nasce dalla volontà di garantire che la vita dell’ordinamento sportivo venga gestita nel suo interno su base autonoma attraverso la predisposizione di norme che la regolano e di organi di giustizia che ne salvaguardino l’applicazione e l’osservanza.

Questa norma impone ai tesserati, alle società ovvero a tutti gli organismi operanti nell’ordinamento sportivo di osservare le norme federali e di accettare le decisioni degli organi di giustizia Federale poiché in caso contrario il soggetto potrà recedere ovvero essere espulso.

Le controversie sportive possono essere classificate in base a diversi criteri[2].

Tra essi il più utile appare sicuramente il ricorso a quello di tipo soggettivo, in base al quale emergono i rilievi circa l’identità e la qualità delle contrapposte parti.

Sulla base di tale criterio è possibile individuare diverse ipotesi di controversie sportive:

· controversie in cui nessuna delle parti è una istituzione sportiva o un soggetto di essa affiliato, ma vertente su ambiti connessi allo sport;

· controversie in cui in cui una sola delle è una istituzione sportiva;

· controversie in cui una sola delle parti è un soggetto affiliato ad una istituzione sportiva;

· controversie in cui entrambe le parti sono istituzioni sportive o soggetti affiliati ad istituzioni sportive.

In quest’ultimo caso si è soliti adoperare una ulteriore classificazione tra controversie di natura tecnica, disciplinare, economica ed amministrativa.

Il procedimento tecnico si riferisce a quel particolare tipo di controversie che concernono principalmente l’organizzazione delle gare e la regolarità delle stesse.

Il nucleo centrale del momento sportivo è la gara. E per questo motivo le norme che regolano le competizioni sono spesso raccolte in un codice separato, chiamato appunto “Regolamento tecnico”, il quale contiene le regole sostanziali relative alle gare, e talvolta quelle processuali, relative al procedimento di giustizia, che ha per materia le gare stesse.

Caratteristica dei procedimenti tecnici federali sono i tempi ristrettissimi di svolgimento dovendo garantire comunque la regolarità del torneo in corso di svolgimento.

Il procedimento tecnico, per costante giurisprudenza, non può essere devoluto alla cognizione del giudice statale, in quanto le statuizioni adottate dagli organi di giustizia sportiva, in relazione alle gare sportive, non determinano la lesione di situazioni giuridicamente rilevanti e, pertanto, non sarebbe possibile ammettere un intervento del giudice statale.

Ai sensi dell’articolo 2 comma 1 lettera a) la giustizia di tipo tecnico può dunque essere considerata completamente indipendente dalla giustizia ordinaria (c.d. irrilevante giuridico).

Quanto al procedimento disciplinare, l’articolo 2 comma 1 lett. b) ne precisa la funzione nel colpire con sanzioni coloro che contravvengono alle regole che vigono nell’associazione, fino al limite estremo dell’esclusione dell’associato.

Il procedimento disciplinare trova la propria ragione d’essere nel fatto che le Federazioni sportive sono figure associative, sicché è necessaria una gestione della appartenenza degli associati all’associazione, nel senso di reprimere i comportamenti dei primi che siano contrari ai valori di base ed agli scopi per i quali la seconda si è costituita e vive.

Più precisamente il procedimento disciplinare ha la funzione di colpire con sanzioni coloro che contravvengono alle regole che vigono nell’associazione, fino al limite estremo dell’esclusione dell’associato.

Le sanzioni disciplinari possono essere di ordine pecuniario o personale e possono giungere fino alla misura estrema dell’esclusione dell’associato dall’organizzazione sportiva di appartenenza.

Le eventuali sanzioni irrogate dagli organi di giustizia sportiva che incidano sugli status di soggetti dell’organizzazione si ritengono impugnabili dinanzi al giudice. Posto che la giurisprudenza ritiene trattarsi di uno status pubblicistico, la violazione del relativo interesse legittimo sarà di competenza del giudice amministrativo.

Utili indicazioni sull’argomento si traggono dall’ormai datata, ma sempre attuale, ordinanza 15 ottobre 1999, n. 938, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, secondo cui “gli interessi sostanziali connessi all’iscrizione e alla legittima permanenza delle società sportive in un campionato ed in una lega assurgono alla consistenza di interessi tutelati dalla giurisdizione statale e più precisamente (atteso il non contestabile potere di supremazia speciale attribuito dall’ordinamento alle federazioni) di interessi legittimi, come tali rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo”.

Il procedimento disciplinare viene dunque esperito in tutti quei casi in cui è necessario reprimere i comportamenti degli associati che siano contrari ai principi cui deve essere informato lo svolgimento dell’attività sportiva e, pertanto, in tutti quei casi in cui vi è una presunta violazione di disposizione statutarie o regolamentari.

Secondo il Regolamento di Giustizia F.I.T.[3], sono organi giudicanti:

a) il Giudice sportivo nazionale; 

b) il Giudice sportivo territoriale; 

c) il Tribunale federale; 

d) la Corte federale di appello in funzione propria e in funzione di Corte sportiva di appello.

La Procura federale agisce innanzi ai citati organi di giustizia per assicurare la piena osservanza delle norme dell’ordinamento sportivo.

Quanto al campo di applicazione l’articolo 54 del Regolamento di Giustizia F.I.T. attribuisce agli organi di giustizia la risoluzione delle questioni e la decisione delle controversie aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni.

Deve escludersi la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di sanzioni disciplinari di natura obiettivamente sportiva destinate ad esaurirsi in questo ristretto ambito senza incidenza su status soggettivi.

Viceversa, il Consiglio di Stato[4] ha riconosciuto che “se l’atto delle Federazioni sportive o del CONI ha incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda intesa non alla caducazione dell’atto, ma al conseguente risarcimento del danno, va proposta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva: non opera alcuna riserva a favore della giustizia sportiva innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere; il sistema delle norme sulla giurisdizione dell’art. 3, d.l. 19 agosto 2003, n. 220, che prevede la c.d. “pregiudiziale sportiva”, cioè che si può adire il giudice statale solo dopo «esauriti i gradi della giustizia sportiva» (i c.d. rimedi interni), sarebbe privo di coerenza e di dubbia costituzionalità se vi fosse una preclusione di legge ad adire immediatamente il giudice dello Stato per ragioni nuove o diverse da quelle sollevabili nell’obbligatoria sede pregiudiziale”.

Ha chiarito la Sezione che il giudice amministrativo può conoscere, nonostante la riserva a favore della giustizia sportiva, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni e atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione. Così l’esplicita esclusione della diretta giurisdizione sugli atti sanzionatori disciplinari — che è a tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo — consente comunque a chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per il conseguente risarcimento del danno.

Ha aggiunto la Sezione che anche se la tutela finisce per essere solo per equivalente monetario, il rapporto tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa resta riconducibile a un modello progressivo a giurisdizione condizionata, dove coesistono successivi livelli giustiziali, susseguentisi in ragione di oggetto e natura, più o meno specialistica, delle competenze dell’organo giudicante.
Come è in genere per siffatti sistemi di tutela, la razionalità dell’assetto in progressione comporta che le successive domande di tutela, che hanno per presupposto l’espletamento delle prime, siano informate al principio di sussidiarietà e di economia dei mezzi e siano tra loro coerenti per oggetto, in primis dal punto di vista funzionale: vale a dire per fondamenti della causa petendi.

La ragione del domandare giustizia, cioè la prospettazione della lesione di cui si chiede la riparazione o il ristoro, non può che avere la medesima latitudine: pur se, in rapporto al tipo di giudicante e ai suoi poteri, può mutare il formale petitum, cioè la “modalità di tutela giurisdizionale”. Non si può chiedere al livello successivo giustizia per una causa e per un bene della vita diversi da quelli invocati al livello necessariamente presupposto. 

Ai sensi dell’articolo 2 comma 1, per ciò che attiene la controversia, di natura latu sensu economica, fra due o più affiliati, occorre distinguere le ipotesi in cui si realizza mediante un procedimento interno ad hoc rispetto alle ipotesi in cui mette capo ad una soluzione arbitrale.

La giustizia sui rapporti economici, al contrario di quella disciplinare, non si riscontra in tutte le Federazioni sportive e, anche quando vi sia, occorre distinguere le ipotesi in cui essa si realizza mediante un procedimento interno ad hoc, dalle ipotesi in cui mette capo ad una soluzione arbitrale.

Nel primo caso competenti a decidere le controversie in parola sono gli organi interni precostituiti, in genere quegli stessi che sono competenti in materia disciplinare e tecnica; nel secondo, invece, tutte le controversie fra affiliati sono decise sempre e solo da collegi arbitrali, che si costituiscono volta per volta, in presenza della singola lite e si sciolgono una volta fornita la decisione di questa.

Nel caso di provvedimenti federali di giustizia incidenti su materie di rilievo patrimoniale sulle quali insorga controversia fra gli associati, il vincolo di giustizia si configurerebbe quale vera e propria clausola compromissoria che, intervenendo su materia disponibile, realizza una legittima deroga alla competenza del giudice ordinario (maggiore speditezza).

Il procedimento amministrativo è l’ultima, e probabilmente meno rilevante, forma di giustizia sportiva riscontrabile nell’organizzazione facente capo al CONI.

Il procedimento in questione si riferisce alla possibilità prevista dagli statuti di alcune federazioni di impugnare atti di governo delle stesse. Si tratta, in pratica, di rimedi interni contro decisioni federali, funzionalmente assimilabili ai ricorsi gerarchici esperibili all’interno delle pubbliche amministrazioni, che possono condurre all’annullamento delle stesse.

 

Per visualizzare la parte II del contributo clicca qui.

 

[1] Vedi, sul punto, B. Caravita, La Costituzione dopo la riforma del titolo V, Torino, 2002, p. 79. L’A. fa ricomprendere nell’area del welfare anche la competenza in tema di ordinamento sportivo. Al riguardo, deve essere ricordato anche il testo dell’art. 157 del decreto legislativo n. 112, del 1998, che riserva allo Stato la vigilanza sul CONI.

[2] In tal senso, cfr G. Mignacca, La conciliazione nelle controversie sportive, reperibile in www.diritto.it/materiali/sportivo/mignacca.html

[3] Con modifiche approvate dalla Giunta nazionale del CONI con deliberazione n.212 del 16 maggio 2019 e pubblicate negli Atti ufficiali n. 5 di Maggio 2019.

[4] Cons. St., sez. V, 22 agosto 2018, n. 5019 – Pres. Severini, Est. Perotti