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Risarcimento all’A.T.I. per mancata aggiudicazione dell’appalto

Nota a Consiglio di Stato - Sezione Sesta, Sentenza 9 novembre 2006, n. 6607
Con la decisione in epigrafe il Consiglio di Stato riconosce il diritto al risarcimento del danno ad un’associazione di imprese per la mancata aggiudicazione, a suo favore, di un appalto di opere pubbliche, a causa di un giudizio erroneo, da parte dell’Amministrazione appaltante, sull’anomalia dell’offerta presentata.

Il fatto

L’Università degli Studi di Catanzaro indiceva una licitazione privata per l’appalto dei lavori relativi al completamento della nuova sede della Facoltà di Giurisprudenza.

Sulla base delle offerte presentate dalle imprese partecipanti ed ammesse alla gara, l’apposita commissione predisponeva la graduatoria e al primo posto si classificava l’associazione di imprese ricorrente in appello.

Sulla base della soglia di anomalia individuata e all’esito della verifica della congruità delle offerte, il Consiglio di Amministrazione dell’Università, adeguandosi alle valutazioni espresse dall’ufficio tecnico dell’ateneo, concludeva per l’inequivocabile anomalia delle offerte presentate dalle prime tre classificate e aggiudicava l’appalto alla quarta classificata.

Di conseguenza, l’associazione di imprese prima classificata, proponeva ricorso al Tar della Calabria contro gli atti conclusivi del procedimento di verifica dell’anomalia e l’aggiudicazione della gara alla controinteressata, chiedendo anche il risarcimento del danno per la mancata aggiudicazione dell’appalto.

Il Tar Calabro respingeva il ricorso con sentenza n. 536/2002 sostenendo la legittimità dell’operato della stazione appaltante.

L’orientamento del Consiglio di stato

Due sono in sostanza le questioni che il giudice d’appello si è trovato ad affrontare.

La prima è relativa alla legittimità o meno del giudizio dell’amministrazione universitaria in base al quale l’offerta presentata dall’appellante per l’appalto dei lavori è stata ritenuta anomala e la seconda concerne la pretesa risarcitoria fatta valere sempre dall’appellante.

Con riguardo alla prima, il Consiglio di Stato ha ritenuto che al fine di rendere effettiva la tutela giurisdizionale, il sindacato sull’esercizio della discrezionalità tecnica non deve limitarsi ad un mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa e cioè in una verifica dell’assenza di evidenti travisamenti o di palesi illogicità (di questo avviso è stato il giudice di primo grado).

Tale sindacato, invece, deve avere ad oggetto l’attendibilità delle operazioni tecniche condotte dall’amministrazione sotto il profilo della correttezza tecnica ed applicativa, con possibilità per il giudice di avvalersi a tale scopo oltre che dello strumento della verificazione anche della consulenza tecnica d’ufficio.

E proprio allo scopo di esercitare questo tipo di sindacato, il Consiglio di Stato ha disposto, nel caso in questione, una consulenza tecnica d’ufficio di cui ha fatto proprie le conclusioni, pervenendo, così, a considerare illegittimo il contestato giudizio di anomalia in quanto fondato su un metodo non corretto e sulla determinazione di “prezzi di giustifica” non attendibili e contrastanti con altri dati utilizzati nella gara e a ritenere che le giustificazioni fornite dalla ricorrente non siano state adeguatamente valutate mentre erano idonee a giustificare il ribasso offerto.

Con riguardo alla domanda risarcitoria, i giudici amministrativi hanno ritenuto sussistente la responsabilità dell’università sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

Con riguardo al primo, infatti, appare chiaro che il danno, consistente nella mancata aggiudicazione dell’appalto, costituisce una diretta conseguenza dell’illegittimità accertata, in quanto in assenza dell’illegittimo giudizio negativo sulla congruità delle giustificazioni presentate in sede di verifica dell’anomalia, la ricorrente (prima classificata) si sarebbe aggiudicata l’appalto.

Sotto il profilo soggettivo, la sezione ribadisce, sulla scorta di precedenti giurisprudenziali (Cons. Stato, VI, 3981/2006; IV 5012/2004 e 5500/2004), che non si richiede al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a..

Costui, infatti, può invocare l’illegittimità del provvedimento, quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanza ulteriori idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

A quel punto spetterà all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Compete, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa che spetta poi all’amministrazione vincere; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario un sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione fosse stata consentita.

Le conseguenze

Secondo il Consiglio di Stato, nel caso di specie, dalla disposta consulenza tecnica, è emerso che l’Amministrazione ha utilizzato un metodo di verifica dell’anomalia dell’offerta “manifestamente irrazionale”, individuando i “prezzi di giustifica” in maniera contraddittoria rispetto agli stessi dati posti a base della gara e valutando in modo non corretto le giustificazioni fornite dalla ricorrente.

Si è trattato, pertanto, di errori evidenti, non scusabili e configuranti l’elemento della colpa in capo all’Amministrazione.

Per quanto riguarda la quantificazione del danno risarcibile, che va riconosciuto all’appellante sia pure equitativamente ridotto, il giudice amministrativo coglie l’occasione per precisare che il danno derivante dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi; mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (Cons. Stato, V, 5860/2002).

In conclusione, per le motivazioni sopra esposte il ricorso in appello viene accolto con conseguente riforma della sentenza di primo grado.

Con la decisione in epigrafe il Consiglio di Stato riconosce il diritto al risarcimento del danno ad un’associazione di imprese per la mancata aggiudicazione, a suo favore, di un appalto di opere pubbliche, a causa di un giudizio erroneo, da parte dell’Amministrazione appaltante, sull’anomalia dell’offerta presentata.

Il fatto

L’Università degli Studi di Catanzaro indiceva una licitazione privata per l’appalto dei lavori relativi al completamento della nuova sede della Facoltà di Giurisprudenza.

Sulla base delle offerte presentate dalle imprese partecipanti ed ammesse alla gara, l’apposita commissione predisponeva la graduatoria e al primo posto si classificava l’associazione di imprese ricorrente in appello.

Sulla base della soglia di anomalia individuata e all’esito della verifica della congruità delle offerte, il Consiglio di Amministrazione dell’Università, adeguandosi alle valutazioni espresse dall’ufficio tecnico dell’ateneo, concludeva per l’inequivocabile anomalia delle offerte presentate dalle prime tre classificate e aggiudicava l’appalto alla quarta classificata.

Di conseguenza, l’associazione di imprese prima classificata, proponeva ricorso al Tar della Calabria contro gli atti conclusivi del procedimento di verifica dell’anomalia e l’aggiudicazione della gara alla controinteressata, chiedendo anche il risarcimento del danno per la mancata aggiudicazione dell’appalto.

Il Tar Calabro respingeva il ricorso con sentenza n. 536/2002 sostenendo la legittimità dell’operato della stazione appaltante.

L’orientamento del Consiglio di stato

Due sono in sostanza le questioni che il giudice d’appello si è trovato ad affrontare.

La prima è relativa alla legittimità o meno del giudizio dell’amministrazione universitaria in base al quale l’offerta presentata dall’appellante per l’appalto dei lavori è stata ritenuta anomala e la seconda concerne la pretesa risarcitoria fatta valere sempre dall’appellante.

Con riguardo alla prima, il Consiglio di Stato ha ritenuto che al fine di rendere effettiva la tutela giurisdizionale, il sindacato sull’esercizio della discrezionalità tecnica non deve limitarsi ad un mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa e cioè in una verifica dell’assenza di evidenti travisamenti o di palesi illogicità (di questo avviso è stato il giudice di primo grado).

Tale sindacato, invece, deve avere ad oggetto l’attendibilità delle operazioni tecniche condotte dall’amministrazione sotto il profilo della correttezza tecnica ed applicativa, con possibilità per il giudice di avvalersi a tale scopo oltre che dello strumento della verificazione anche della consulenza tecnica d’ufficio.

E proprio allo scopo di esercitare questo tipo di sindacato, il Consiglio di Stato ha disposto, nel caso in questione, una consulenza tecnica d’ufficio di cui ha fatto proprie le conclusioni, pervenendo, così, a considerare illegittimo il contestato giudizio di anomalia in quanto fondato su un metodo non corretto e sulla determinazione di “prezzi di giustifica” non attendibili e contrastanti con altri dati utilizzati nella gara e a ritenere che le giustificazioni fornite dalla ricorrente non siano state adeguatamente valutate mentre erano idonee a giustificare il ribasso offerto.

Con riguardo alla domanda risarcitoria, i giudici amministrativi hanno ritenuto sussistente la responsabilità dell’università sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

Con riguardo al primo, infatti, appare chiaro che il danno, consistente nella mancata aggiudicazione dell’appalto, costituisce una diretta conseguenza dell’illegittimità accertata, in quanto in assenza dell’illegittimo giudizio negativo sulla congruità delle giustificazioni presentate in sede di verifica dell’anomalia, la ricorrente (prima classificata) si sarebbe aggiudicata l’appalto.

Sotto il profilo soggettivo, la sezione ribadisce, sulla scorta di precedenti giurisprudenziali (Cons. Stato, VI, 3981/2006; IV 5012/2004 e 5500/2004), che non si richiede al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a..

Costui, infatti, può invocare l’illegittimità del provvedimento, quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanza ulteriori idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.

A quel punto spetterà all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Compete, quindi, al giudice valutare, in relazione ad ogni singola fattispecie, la presunzione relativa di colpa che spetta poi all’amministrazione vincere; inoltre, in assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario un sforzo probatorio ulteriore, gravante sul danneggiato, che potrà ad esempio allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione fosse stata consentita.

Le conseguenze

Secondo il Consiglio di Stato, nel caso di specie, dalla disposta consulenza tecnica, è emerso che l’Amministrazione ha utilizzato un metodo di verifica dell’anomalia dell’offerta “manifestamente irrazionale”, individuando i “prezzi di giustifica” in maniera contraddittoria rispetto agli stessi dati posti a base della gara e valutando in modo non corretto le giustificazioni fornite dalla ricorrente.

Si è trattato, pertanto, di errori evidenti, non scusabili e configuranti l’elemento della colpa in capo all’Amministrazione.

Per quanto riguarda la quantificazione del danno risarcibile, che va riconosciuto all’appellante sia pure equitativamente ridotto, il giudice amministrativo coglie l’occasione per precisare che il danno derivante dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi; mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (Cons. Stato, V, 5860/2002).

In conclusione, per le motivazioni sopra esposte il ricorso in appello viene accolto con conseguente riforma della sentenza di primo grado.