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San Domenico: parlare in tedesco senza conoscerlo

san Domenico
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Il problema dei miracoli

Chiunque si accosti, anche saltuariamente, ad opere agiografiche avrà notato immediatamente una differenza fra gli scritti contemporanei e quelli più antichi. Non sto parlando della diversa attendibilità storica dei dati biografici, elemento comunque non secondario, quanto dell’attenzione posta dai nostri avi al tema dei miracoli.

Solitamente, al seguito del racconto esemplare ed edificante della vita del santo, venivano poste delle raccolte di prodigi che andavano a costituire una sorta di elenco, abbastanza staccato dal restante corpo del testo.

Un esempio fra i più noti è la Legenda Maior Beati Francisci[1], scritta da san Bonaventura da Bagnoregio negli anni ’60 del XIII secolo: dopo la lunga sezione biografica, redatta dal Dottore Serafico con abile occhio pastorale, si trova un cospicuo elenco di prodigi attribuiti all’intercessione, in vita e dopo la morte, dell’Assisiate.

Questa pratica era talmente radicata che perfino le bolle di canonizzazione papali, dopo l’esaltazione delle virtù del nuovo santo, ponevano spesso un breve elenco dei principali prodigi lui attribuiti[2].

Nei testi moderni invece sezioni simili sono o assenti o comunque molto limitate. Non è mia intenzione entrare nel merito della veridicità dei miracoli antichi e medievali, spesso molto dubbia, né della convenienza di utilizzare, ai fini dell’edificazione del popolo, racconti pensati per stimolare l’umana passione per il meraviglioso. Mi limito invece a prendere atto del fatto che il cristiano contemporaneo, anche di fronte a miracoli sostenuti da molteplici ed attendibili fonti, sembra sentirsi in imbarazzo.

Volendo azzardare una spiegazione di questo fatto, direi che le ragioni potrebbero essere due: da un lato la mentalità critica contemporanea rende per noi difficile affidarsi ai racconti di persone che immaginiamo quasi totalmente prive di senso critico; dall’altro, una parte di noi si chiede quale sia l’effettivo beneficio spirituale di questi racconti, a fronte di fatti storici sicuri che mostrano egregiamente la santità vissuta.

 

Incontri di viaggio

La questione che ho qui brevemente esposto riguarda il nostro san Domenico di Caleruega, fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori, esattamente come ogni altro santo antico e medievale. Il testo che qui vorrei considerare si trova all’interno delle Vitae Fratrum, uno scritto redatto dal domenicano Geraldo di Frachet fra il 1258 ed il 1271[3].

Si tratta di una raccolta di fatti prodigiosi ed edificanti provenienti da tutti i conventi domenicani che il Maestro dell’Ordine di allora, Humbert de Roman, volle comporre, assieme al Capitolo generale, allo scopo di presentare un’immagine identitaria chiara della nuova famiglia religiosa.

All’interno troviamo un episodio miracoloso legato all’attività di predicatore di san Domenico. Egli, mentre era in viaggio verso Parigi con un certo fra Bertrando, incontrò, sulla strada, dei pellegrini tedeschi i quali, attirati dal loro salmeggiare, li invitarono ad unirsi a loro, condividendo il cibo per quattro giorni.

A quel punto però san Domenico «[…] si lamentò col suo compagno di viaggio: “Fra Bertrando, mi accorgo purtroppo che noi da questi pellegrini prendiamo le cose materiali senza dar loro quelle spirituali. Perciò, se vuoi, inginocchiamoci e preghiamo il Signore perché ci dia il dono di capire e parlare la loro lingua, in modo da poter loro annunziare il Signore Gesù”»[4].

Naturalmente la preghiera del santo venne ascoltata, tanto che lui, castigliano, ed il suo confratello, probabilmente francese, iniziarono a parlare fluentemente il tedesco. Ma il racconto non termina con il prodigio: difatti, dopo essersi separati dai pellegrini, san Domenico, prima di entrare a Parigi, ammonisce il suo confratello dicendo: «Se i frati sapranno di questo miracolo fattoci dal Signore, ci prenderanno per santi, mentre sappiamo bene di essere peccatori. Se poi venissero a saperlo i secolari, saremmo esposti alla tentazione della vanagloria. Perciò ti proibisco per ubbidienza di raccontarlo a chicchessia prima della mia morte»[5].

Questo è solo uno dei tanti prodigi attribuiti a san Domenico e ci può ben servire come esempio per sviluppare il nostro discorso.

 

Leggere un miracolo

Proviamo ora a confrontare il racconto di questo prodigio con le obiezioni che abbiamo esposto prima. A livello storico, la vicinanza dell’episodio alla vita di Domenico rende perlomeno possibile pensare ad un resoconto diretto, o perlomeno poco mediato, di fra Bertrando, come suggerito dal testo stesso[6].

Circa poi la veridicità dell’episodio, la questione è certamente legata alla fede di chi lo legge. Il cristiano, sapendo che nulla è impossibile a Dio e riconoscendo il riferimento apostolico dello specifico prodigio[7], non può che considerare il fatto, in assenza di una verifica diretta, come plausibile, ed interpretarlo di conseguenza. Negarlo infatti, visti i dati a disposizione, implicherebbe, per il lettore, la necessità di rivedere, a monte, la propria fede ed il suo approccio al racconto evangelico.

Se quindi il credente è chiamato a concedere al povero fra Geraldo di Frachet perlomeno il beneficio del dubbio, non ancora risolta è la questione dell’edificazione che può venirgli dal leggere un simile racconto. Difatti, la vita spirituale del cristiano è irrigata dall’esempio dei santi, le cui vie siamo chiamati ad imitare in ogni modo, e la loro biografia sembra essere più che sufficiente allo scopo. Tuttavia un simile ragionamento sembra dimenticare il primo valore dei prodigi, ossia il loro essere segni.

Proprio come i miracoli di Cristo attestano, con la loro sconvolgente evidenza, il suo essere Figlio di Dio, così gli atti meravigliosi concessi ad un santo testimoniano la validità della sequela che, implicitamente, propone. Se paragoniamo l’esempio di questi grandi uomini a delle strade presentate come capaci di condurre a meta, i miracoli sono prove del fatto che perlomeno il santo stesso è giunto a destinazione attraverso esse.

Oltre a ciò, i racconti prodigiosi hanno anche un altro utile fine: incarnano quegli attributi che vorremmo imitare. Nella vicenda presentata sopra, per esempio, si vede come la necessità stessa del prodigio, ossia il superamento della barriera linguistica, sia testimonianza di quella carica missionaria che, in san Domenico, non accettava di perdere alcuna opportunità di manifestarsi.

Il cristiano, quindi, frate o laico che sia, comprende da ciò come ogni sforzo debba essere fatto per consentire a coloro che incrociamo di ascoltare l’annunzio di salvezza di Gesù. D’altro canto, la fede del santo, abbastanza forte da accogliere anche i no del Signore, non teme di affidarsi a Lui anche per le questioni più concrete; il pregare di san Domenico per una così precisa intenzione ci permette di comprendere come la fede, quella vera, sia semplice, pura e forse un po’ petulante, proprio come quella dei bambini verso i genitori.

Infine, la preoccupazione di san Domenico ci fornisce non solo uno splendido esempio dell’umiltà che dobbiamo mantenere di fronte alle grandi cose che il Signore compie in noi, ma ci mostra anche come perfino un santo viveva nella costante consapevolezza della sua fragilità.

In conclusione, questo breve testo vuole essere non solo un invito a leggere con rinnovata devozione e fede i prodigi attribuiti a grandi santi come Domenico, ma anche un umile esempio di come possiamo scorgere in questi racconti una concreta applicazione di quelle virtù che la biografia, se meditata, ci avrà già indicato.

Lasciamo quindi che la meraviglia di questi miracoli ci colga, non solo nel piacere per il meraviglioso, ma anche nello splendido stupore di vedere in azione una vita totalmente data al Signore.

 

[1] Per una versione in lingua italiana cf San Bonaventura da Bagnoregio, Vita di san Francesco d’Assisi (a cura di p. Pietro Ettore), Edizioni Porziuncola, Assisi 2015.

[2] Solo a titolo di esempio, il lettore può consultare la bolla di canonizzazione di san Pietro Martire, Magnis et crebris, risalente al 1253.

[3] Cf Pietro Lippini, Storie e leggende medievali, ESD, Bologna 1988, pp. VIII-IX.

[4] Cf Geraldo di Frachet, Vitae Fratrum, in P. Lippini, Storie e leggende medievali, n. 86, pp. 115-116.

[5] Cf ibidem.

[6] L’esplicito riferimento alla caduta del divieto di raccontare il fatto con la morte del santo lascia supporre che chi riferisce intenda porre la sua fonte in fra Bertrando stesso, ormai sciolto dal suo vincolo.

[7] Cf At 2,1-13.

Testi consigliati

  • Pietro calò, La leggenda di san Domenico, ESD, Bologna 2003.
  • Pietro Lippini, Storie e leggende medievali, ESD, Bologna 1988.
  • San Bonaventura da Bagnoregio, Vita di san Francesco d’Assisi (a cura di p. Pietro Ettore), Edizioni Porziuncola, Assisi 2015.