Società estinte e debiti tributari
Indice
1. Premessa
2. La disciplina civilistica
3. La disciplina tributaria
4. Capacità processuale e legittimazione
1. Premessa
Nell’ultimo periodo la Corte di Cassazione sta adottando numerose ordinanze che, con motivazione semplificata, affrontano due questioni in materia fiscale legate alla cancellazione di una società dal registro delle imprese la cui corretta soluzione rileva al fine di poter individuare, da un lato, chi possa essere chiamato a rispondere di eventuali debiti tributari della società che residuano dopo la cancellazione medesima e, dall’altro, chi possa agire in giudizio per contestare gli atti dell’amministrazione finanziaria rivolti a società già estinte[1].
Tali ordinanze danno, almeno in punto estinzione, applicazione ai principi già espressi dalla Cassazione a Sezioni Unite con le sentenze rese nel 2010, nn. 4060, 4061 e 4062 che, a seguito dell’entrata in vigore della riforma della disciplina delle società di capitali e cooperative del 2003, hanno superato il contrasto giurisprudenziale insorto tra l’indirizzo giurisprudenziale in voga prima dell’entrata in vigore della citata disciplina e l’indirizzo formatosi successivamente[2].
A monte della riforma del legislatore e del mutamento d’indirizzo giurisprudenziale si pone la sentenza della Corte Costituzionale n. 319/2000 in cui si evidenzia come la lettura delle norme allora vigenti sugli effetti della pubblicità della cancellazione delle società comportasse una chiara disparità di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive e ciò con particolare riferimento al principio di cui all’articolo 10 della legge fallimentare per cui gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.
La dichiarazione di fallimento è consentita, infatti, entro un anno dalla cancellazione, ma per le imprese collettive, a differenza di quelle individuali, rimaneva incerto il momento della loro fine o estinzione da cui far decorrere il termine di un anno poiché si faceva riferimento, alla luce dell’interpretazione prima vigente, all’incerto momento in cui tutti i rapporti giuridici pendenti fossero estinti[3].
Interessante è notare come la Consulta evidenzi espressamente nella citata sentenza come vi sia stata da parte dei giudici ordinari “un’evidente contrarietà ad abbandonare l’interpretazione restrittiva da lungo tempo consolidata in sede di legittimità” e ciò nonostante la Corte Costituzionale avesse già evidenziato con una precedente pronuncia come il fallimento dell’ex socio debba essere circoscritto entro un prestabilito limite temporale di ammissibilità[4].
2. La disciplina civilistica
Prima della citata riforma di diritto societario, la cancellazione di una impresa commerciale aveva dunque una efficacia meramente dichiarativa e ciò alla luce della considerazione che lo scopo del registro delle imprese è quello di attuare un sistema completo ed organico di pubblicità legale, principio questo ribadito anche dall’articolo 2193 del codice civile. Conseguentemente una società non poteva considerarsi estinta fintanto che non fossero esauriti tutti i rapporti giuridici pendenti che la coinvolgevano. Permaneva pertanto anche la legittimazione processuale in capo alla medesima ed in capo alle persone che ne avevano la rappresentanza.
Con la riforma societaria del 2003, a decorrere dell’entrata in vigore del D.Lgs. 6/2003[5], l’estinzione di una società coincide con la sua cancellazione dal registro delle imprese e ciò a prescindere dall’esistenza di eventuali debiti societari, rapporti non definiti o procedimenti ancora pendenti. L’efficacia dell’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese passa, per effetto della riforma, da dichiarativo a costitutivo. Tale effetto costitutivo sarebbe però, a detta della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, da circoscriversi alle sole società di capitali. Ciò verrebbe confermato, oltre che dalla collocazione sistematica della norma di cui all’articolo 2495 del codice civile[6], dalla differente disciplina delle azioni previste nei confronti dei soci per le differenti tipologie di società: nelle società commerciali di persone i soci rispondono illimitatamente, dopo l’escussione del capitale sociale, mentre nelle società di capitali è la società a rispondere con il proprio patrimonio.
Discorso a parte deve farsi per le società in accomandita semplice e per azioni la cui disciplina prevede due tipologie distinte di soci, accomandatari e accomandanti, che rispondono illimitatamente o limitatamente a seconda del differente modo in cui la legge configura la rispettiva responsabilità.
Producendosi l’effetto estintivo anche in presenza di debiti insoddisfatti o rapporti non definiti, alla cancellazione segue un fenomeno di tipo successorio con duplice effetto: le obbligazioni facenti capo alla società non si estinguono, bensì si trasferiscono agli ex soci[7] i quali ne rispondono in solido nei confronti dei creditori sociali nei limiti di quanto riscosso in base al bilancio finale di liquidazione, secondo quanto espressamente statuito dall’articolo 2495, comma 2 del codice civile. I diritti e i beni non compresi nel bilancio finale di liquidazione della società estinta, invece, si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi la cui inclusione nel bilancio finale di liquidazione avrebbe richiesto ulteriore un’ulteriore attività, sia giudiziale sia stragiudiziale, ed il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo[8].
L’articolo 2495, comma 2 del codice civile stabilisce altresì una responsabilità in capo ai liquidatori della società i quali rispondono però nei confronti dei creditori sociali solo se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. Il chiaro riferimento alla colpa conferisce natura aquiliana[9] all’eventuale responsabilità del liquidatore il cui accertamento ricade, in quanto tale, nella competenza del giudice ordinario. Ciò posto il liquidatore non pare rispondere tanto del debito della società quanto del danno che i creditori sociali hanno subito a causa della sua dolosa o colposa omissione con tutti gli oneri probatori che una simile azione in giudizio comporta.
Se l’amministrazione finanziaria agisse ai sensi della disciplina civilistica dovrebbe dimostrare, oltre all’elemento soggettivo, anche il nesso eziologico ed il danno. Trattandosi di un danno connesso alla mancata riscossione di un tributo, sarà necessario provare la certezza legale del medesimo al momento in cui viene esercitata l’azione di risarcimento e l’effettività della mancata riscossione[10]. Buona parte di questi elementi sono stati delineati dalla giurisprudenza tributaria in riferimento all’articolo 36 del D.P.R. 602/73 il quale nella sua vecchia formulazione configurava una azione di responsabilità sui generis nei confronti del liquidatore, ma che poneva l’onere della prova in capo all’Agenzia delle entrate secondo le ordinarie regole. Posto che la strada dell’azione ai sensi dell’articolo 2495, comma 2 nei confronti del liquidatore è sempre aperta all’amministrazione finanziaria in qualità di creditore della società estinta, restano questi gli elementi da dimostrare anche in sede civilistica.
La disciplina di cui all’articolo 2495 c.c. rimane tutt’ora un punto di riferimento importante in particolare per determinare o meglio limitare la responsabilità dei soci ai quali la precedente formulazione dell’articolo 36, D.P.R. 603/72 non faceva riferimento.
3. La disciplina tributaria
Sul piano strettamente tributario, la regola per cui la cancellazione della società comporta il venir meno della società medesima dovrebbe implicare che, una volta estinta, la stessa non possa essere più destinataria di atti di liquidazione, accertamento, contenzioso o riscossione dei tributi.
La nuova norma civilistica è stata però ritenuta inidonea a tutelare gli interessi erariali motivo per cui, nel 2014, il legislatore ha deciso d’introdurre nuove norme ad hoc dedicate alla tutela specifica dei crediti tributari destando peraltro non poche perplessità sia sotto il profilo della formulazione lessicale[11] sia sotto il profilo giuridico.
La riforma del diritto tributario in materia ha inciso su di un duplice piano: da un lato l’articolo 28, comma 4 D. Lgs. 175/2014 introduce una sospensione per un periodo di cinque anni degli effetti estintivi conseguenti alla cancellazione di una società dal registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2495 c.c. e, dall’altro, l’articolo 28, comma 5 D. Lgs. 175/2014, che modifica l’articolo 36 del D.P.R. 602/73, disciplina diversamente l’onere probatorio in capo ai soggetti nei cui confronti l’amministrazione finanziaria può agire per il recupero delle imposte accertate in capo a società di capitali cancellate oltre ad ampliare il novero dei soggetti nei cui confronti agire in base alla nuova disciplina.
Secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione a sezioni semplici con la sentenza del 02/04/2015, n. 6743, l’articolo 28, co. 4 del D. Lgs. 175/2014 troverebbe comunque applicazione anche nei confronti delle società di persone. Tale affermazione, che si pone in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite della medesima Cassazione, non sembra condivisibile proprio alla luce della differente disciplina della responsabilità in capo ai soci i quali, nelle società di persone, continuano a rispondere anche dei debiti tributari personalmente ed illimitatamente a prescindere dagli effetti sospensivi previsti dalla norma succitata, nel rispetto dei termini di decadenza fissati per l’accertamento.
Per quel che riguarda gli effetti estintivi, la Corte di Cassazione in più occasione ha evidenziato che le disposizioni di cui all’articolo 28 co. 4, D.Lgs. 175/2014 hanno effetti di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese[12]. Il differimento quinquennale, che opera solo a favore dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti specificati dalla norma di cui al citato articolo 28, co. 4, dovrebbe applicarsi solo ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese sia stata presentata nella vigenza della nuova disciplina ossia dal 13 dicembre 2014 o successivamente[13].
Viene pertanto espressamente esclusa dalla Corte di Cassazione una qualsivoglia valenza interpretativa o efficacia retroattiva della norma in questione, quest’ultima peraltro esclusa anche dal limite dell’osservanza delle norme di cui allo Statuto del contribuente imposta al legislatore delegato. Va poi sottolineato che il differimento degli effetti dell’estinzione non dovrebbe operare per un quinquennio, ma per l’eventuale minor periodo che risulta al netto dello scarto temporale tra la richiesta di cancellazione e l’estinzione[14].
Ai sensi del nuovo articolo 36, D.P.R. 603/72 i liquidatori rispondono in proprio del pagamento delle imposte non pagate nel corso della liquidazione salvo che non dimostrino o di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni a soci o associati o di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari.
Rispetto alla formulazione precedente, il primo comma dell’articolo 36 configura un preciso onere della prova in capo al liquidatore che sarà liberato da responsabilità solo ove dimostri o di aver soddisfatto crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci ovvero associati o di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Il legislatore ha pertanto introdotto espressamente un’inversione dell’onere della prova rispetto alla disciplina precedente che gravava l’amministrazione finanziaria dell’onere di provare gli elementi costitutivi del danno[15].
La responsabilità dei liquidatori è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. Tale formulazione, rimasta invariata rispetto alla disciplina precedente, si riferisce alle cause di prelazione dei crediti disciplinata dal codice civile.
La nuova versione dell’articolo 36, D.P.R. 603/72 si rivolge espressamente anche a soci e associati i quali sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai liquidatori nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile, lasciando così impregiudicata la facoltà per l’amministrazione finanziaria di agire anche ai sensi della disciplina civilistica.
Tale responsabilità scatta per i soci se negli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione abbiano ricevuto beni sociali o danaro in assegnazione ovvero qualora abbiano ricevuto beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione. La norma si riferisce in modo confusionario sia a somme di denaro, sia a beni ma solo con riferimento ai due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione, mentre torna a parlare solo di beni con riferimento al periodo della liquidazione vera e propria[16].
La responsabilità dei soci è limitata, apparentemente nel solo caso dei beni al valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità di cui al codice civile. Sia il valore dei beni sia il valore del denaro assegnati si presume però proporzionale alle quote di capitale detenute, salvo prova contraria. Il riferimento al valore della quota senza ulteriori specificazioni può risultare a sua volta fuorviante poiché detto valore può essere in realtà determinato secondo diversi criteri[17].
La nuova disciplina tributaria non presenta, a differenza della disciplina civilistica, un riferimento al bilancio finale di liquidazione, ma il presupposto affinché sorga la responsabilità del socio resta comunque l’assegnazione di beni o la riscossione di somme di denaro condizione questa che dovrà essere dimostrata in ogni caso dall’amministrazione finanziaria procedente[18]. Il bilancio finale di liquidazione rappresenta pertanto ancora uno strumento probatorio essenziale.
La disciplina del codice civile è infine espressamente fatta salva con riferimento ad eventuali maggiori responsabilità.
Restano gli amministratori che, a norma del secondo comma, rispondono innanzitutto al posto dei liquidatori qualora questi ultimi non siano stati nominati. In questa ipotesi sugli amministratori graverà il medesimo onere probatorio previsto per i liquidatori.
Se, invece, vi è stata nomina dei liquidatori, la responsabilità degli amministratori si configura se, negli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione hanno compiuto a loro volta operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche con omissioni nelle scritture contabili. Con una formulazione ancora una volta ambigua, la norma estende in questi casi la responsabilità configurata in capo a liquidatori e soci anche agli amministratori.
L’articolo 36, comma 5 D.P.R. 603/72 specifica che le responsabilità in capo a liquidatori, soci e amministratori possono essere accertate con avviso di accertamento motivato da notificare ai sensi dell’articolo 60, D.P.R. 600/73 contro il quale è possibile proporre ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario. Trattasi di una specificazione opportuna che la precedente formulazione dell’articolo 36, D.P.R. 603/72 non contemplava. Ciononostante l’Agenzia delle entrate era solita già prima del 2014 procedere nei confronti di liquidatori, amministratori e soci con avviso di accertamento nonostante non fosse lo strumento più idoneo se si considera che la responsabilità dei soci non veniva toccata dalla disciplina tributaria, mentre la posizione degli ex liquidatori era gravata da una responsabilità civile concorrente[19]. Posto che la nuova disciplina non ha cambiato la posizione degli ex liquidatori da un lato e, dall’altro, si rivolge espressamente a soci e amministratori, la possibilità per l’Agenzia delle entrate di poter ricorre allo strumento dell’avviso di accertamento rappresenta un vantaggio notevole.
In tutte le ipotesi considerate dall’articolo 36 D.P.R. 602/73 spetterà all’amministrazione finanziaria altresì l’onere di dimostrare la certezza legale del tributo nel momento in cui notificherà l’avviso di accertamento, mentre sul destinatario dell’atto incomberà viceversa l’onere di dimostrare o l’insussistenza dei presupposti del debito o l’incertezza del debito stesso.[20]
Il co. 7, dell’articolo 28 D.Lgs. 175/2014 infine modifica l’articolo 19, co. 1 del D.Lgs. 46/1999 che a sua volta specifica, con riferimento a tutta una serie di articoli del D.P.R. 602/73 compreso il 36, che detti articoli si riferiscono alle sole imposte sui redditi. L’Agenzia delle entrate sostiene a sua volta che in forza di tale specificazione il nuovo regime di responsabilità delineato dall’articolo 36 si estenderebbe a tutte le imposte, anche alle indirette e non solo a quelle dirette.
4. Capacità processuale e legittimazione
La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che, anche in vigenza della nuova disciplina, deve darsi corso a quel consolidato orientamento secondo cui la cancellazione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento fa venir meno la capacità processuale della società medesima poiché inesistente[21].
L’inesistenza della società e la conseguente incapacità processuale dispiega inevitabilmente i suoi effetti anche nei confronti degli organi a mezzo dei quali questa, a mente dell’articolo 75 del codice di procedura civile, dovrebbe stare in giudizio ovvero liquidatori ed amministratori nell’ipotesi in cui i primi non fossero stati nominati.
Ciò si traduce, a detta della Corte di Cassazione, in una pronuncia declinatoria di merito trattandosi di una impugnazione improponibile in forza dell’inesistenza della ricorrente, inesistenza che sarebbe rilevabile anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo.
Diversa l’ipotesi in cui la cancellazione della società avvenga in pendenza di giudizio. Essendo la cancellazione della società equiparata alla morte di una persona fisica, infatti, trova applicazione la disciplina di cui all’articolo 300 c.p.c.. Il difensore continua pertanto a rappresentare la parte come se l’evento estintivo non si fosse verificato poiché, in forza del principio di ultrattività del mandato alla lite, la mancata dichiarazione o notifica ai sensi della disciplina processualcivilistica comporta una vera e propria stabilizzazione della posizione della società estinta rendendo di conseguenza valida anche la notifica dell’impugnazione al procuratore costituito[22].
Alla luce delle suesposte considerazioni, una volta cancellata la società, atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi ai quali espressamente si riferisce la disciplina di cui all’articolo 28, comma 4 D.lgs. 175/2014 dovranno essere necessariamente impugnati in proprio dai destinatari e non nelle qualità un tempo collegate alla società estinta.
Il problema della legittimazione attiva pone a monte altresì una differente questione ovvero quella della legittimazione a ricevere degli atti dell’amministrazione finanziaria e di conseguenza della notificazione dei medesimi.
Secondo l’impostazione sostenuta dall’Agenzia delle entrate gli atti della medesima indirizzati alla società estinta ben possono essere notificati presso la sede dell’ultimo domicilio fiscale poiché, in forza dell’introdotta sospensione, l’effetto dell’estinzione si produrrebbe appena dopo cinque anni dalla data della cancellazione mantenendo in vita anche la sede sociale[23].
Si tratta di una affermazione poco condivisibile alla luce della lettera dell’articolo 28, comma 4 D.Lgs. 175/2014 in merito al modo in cui debbano operare gli effetti sospensivi sull’estinzione disciplinata dall’articolo 2495 del codice civile. Detti effetti sono, infatti, espressamente limitati agli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi la cui validità[24] ed efficacia[25] è fatta salva per cinque anni dalla cancellazione. Per raggiungere tale effetto, il co. 5 dell’articolo 28, D.Lgs. 175/2014 lega la validità ed efficacia degli atti espressamente indicati alla responsabilità in capo a liquidatori, amministratori e soci che sorge però nell’ipotesi in cui siano soddisfatti i requisiti indicati dalla norma medesima.
Così letta, la nuova disciplina in esame sembra estendere la responsabilità dei soggetti indicati, alle condizioni stabilite, per un periodo di cinque anni più che sospendere propriamente gli effetti della cancellazione. Affermare la sospensione degli effetti estintivi della cancellazione dal registro delle imprese ai soli fini tributari è difficile se non impossibile una volta che la società è civilisticamente estinta tenuto conto altresì che l’estinzione di una società è equiparata alla morte di una persona fisica. Inoltre, se davvero vi fosse una sospensione degli effetti della cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione della società dovrebbe essere differita di modo che dovrebbe continuare a rispondere direttamente la società di capitali con il proprio patrimonio sociale delle obbligazioni tributarie e non i soci.
La tesi sostenuta dall’Agenzia delle entrate pare porsi in netto contrasto altresì con la posizione che la Corte di Cassazione pare aver assunto nella parte in cui evidenzia come la cancellazione di una società dal registro delle imprese determini l’inesistenza della società, la perdita della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla in capo a liquidatori e amministratori.
Dello stesso avviso pareva peraltro essere la giurisprudenza di merito già prima dell’entrata in vigore della normativa nel 2014. La CTR Toscana, ad esempio, ha dichiarato “nulla la notificazione di un avviso di accertamento ad una società giuridicamente estinta perché cancellata dal registro delle imprese e quindi priva di ogni capacità sostanziale e processuale”[26]. Con riferimento ad una società di persone, la CTR Emilia Romagna ha invece osservato come la cancellazione dal registro delle imprese della società determini l’estinzione del soggetto e la perdita in capo alla stesso della legittimazione processuale. Conseguentemente “il provvedimento amministrativo in capo al soggetto estinto risulta, perciò inficiato ab origine da nullità in ossequio alla sanzione prevista dall’articolo 21septies della L. 241/90 ”[27].
4. Conclusioni
Nel tentativo di tutelare meglio le pretese erariali il legislatore è intervenuto con una disciplina che s’ispira a quella civilistica, ma che garantisce nel contempo all’amministrazione finanziaria strumenti per agevolare le sue funzioni di contrasto all’evasione.
Una disciplina ambigua e di difficile interpretazione che solleva troppi dubbi in sede di concreta applicazione come da subito evidenziato da molti giuristi. La poca chiarezza sia lessicale sia giuridica si presta inevitabilmente ad abusi da parte dell’amministrazione finanziaria come testimoniano le due circolari citate con le quali si tentava di sostenere una applicazione retroattiva delle nuove norme e ciò senza considerare la marcata differenza di trattamento tra Agenzia delle entrate e le altre classi di creditori che, a differenza della prima, non possono beneficiare di alcuna sospensione degli effetti della cancellazione dal registro delle imprese o d’inversioni dell’onere della prova.
Spetterà dunque ancora una volta ai giudici il compito di dare la giusta interpretazione alle norme in commento di modo da riequilibrare la posizione delle parti e permettere al contribuente un efficace esercizio del proprio diritto di difesa.
[1] Cfr. ad es. Cass. civ., sez. VI - 5 Ord., 09/10/2017, n. 23625; Cass. civ. Sez. VI - 5, Ord., 02/10/2017, n. 23029. Cass. civ., sez. VI - 5, Ord.,04/09/2017, n. 20752; Cass. civ., sez. VI - 5 Ord., 23/05/2017, n. 12953;
[2] V. Cass. civ., Sez. Un., 22/02/2010, n. 4060; Cass. civ., Sez. Un., 22/02/2010, n. 4061; Cass. civ., Sez. Un., 22/02/2010, n. 4062.
[3] Cfr. Corte cost., 21/07/2000, n. 319.
[4] V. Corte Cost., 12/03/1999, n. 66.
[5] Il decreto legislativo del 17/01/2003, n. 6 è entrato in vigore con il 1 gennaio 2004.
[6] La norma è inserita nel capo VIII, del titolo V, del libro V del c.c. rubricato scioglimento e liquidazione delle società di capitali.
[7] La cancellazione è legittima anche se l'attivo residuo non è ancora stato ripartito. V. Cass. civ., sez V, 16/05/2012, n. 7676.
[8] Cfr. Cass. civ., sez. V, 02/04/2015, n. 6743 che a sua volta richiama le sentenze delle sezioni unite nn. 6070, 6071, 6072 del 2013.
[9] Cass. civ., sez. V, 16/05/2012, n. 7676.
[10] Cass. Civ., sez. VI - 5 Ord., 08/01/2014, n. 179 e giurisprudenza ivi citata.
[11] Sul punto la sentenza Cass. civ, sez. V, 02/04/2015, n. 6743 evidenzia, inter alia, l'uso di espressioni scorrette quali "cancellazione del Registro delle imprese" anziché "cancellazione dal Registro delle imprese".
[12] Merita peraltro segnalare come l'Agenzia delle entrate abbia provato a sostenere la natura procedurale e la conseguente efficacia retroattiva della norma in questione con ben due circolari una del 2014 ed una del 2015. Cfr. circolare Agenzia delle entrate n. 31/E del 30/12/2014 e n. 6/E del 12/02/2015.
[13] V. Cass. civ., sez. VI - 5 Ord., 02/10/2017, n. 23029.
[14] Cfr. Cass. civ, sez. V, 02/04/2015, n. 6743.
[15] Sul punto v. anche circolare Agenzia delle entrate n. 31/E del 30/12/2014.
[16] È indubbio che il denaro sia un bene mobile ai sensi dell'art. 812, co. 3 c.c., tuttavia, la formulazione della norma lascia trasparire non poche ambiguità soprattutto se si considera che nella materia in esame distinguere i beni assegnati ai soci dalle somme di denaro ha un suo significato.
[17] Si pensi ad esempio all'art. 2437 - ter c.c. in materia di criteri di determinazione del valore delle azioni nell'ipotesi di socio recedente che fa riferimento inter alia alla consistenza patrimoniale, alle prospettive reddituali e all'eventuale valore di mercato.
[18] Cfr. Cass. civ., sez. V, 26/06/2015, n. 13259.
[19] V. Cass. civ, sez. V Ord., 16/05/2012, n. 7676.
[20] Cfr. Cass. civ., sez. VI - 5 Ord., 08/01/2014, n. 179.
[21] V. Cass. civ., sez. VI - 5 Ord., 09/10/2017, n. 23625.
[22] Cfr. Cass. civ., sez. VI - 5 Ord., 04/09/2017, n. 20752.
[23] Cfr. Agenzia delle entrate, circolare 06/02/2015, n. 6/E.
[24] In teoria generale del diritto, la validità è l’appartenenza di una norma o un atto ad un sistema. Un atto giuridico è valido se è conforme ai criteri che il singolo ordinamento stabilisce per l’appartenenza ad esso.
[25] Per efficacia s'intende l'idoneità di un fatto, atto, negozio a produrre effetti giuridici di natura costitutiva, modificativa o estintiva di una situazione o posizione giuridica.
[26] V. Comm. Trib. Reg. Toscana Firenze Sez. XXIV, 19/01/2012.
[27] Cfr. Comm. Trib. Reg. Emilia-Romagna,Bologna, sez. III, 15/05/2012, n. 49.