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Spamming: illegittimo sì, ma non è reato se non vi è un effettivo pregiudizio per l’interessato

Spamming
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L’invio massivo di email, per integrare la fattispecie di trattamento illecito di dati di cui all’articolo 167 Codice Privacy, deve cagionare un effettivo nocumento ai soggetti interessati, ciò anche a seguito delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 101/2018 di adeguamento della legislazione nazionale alle disposizioni del GDPR. Lo ha stabilito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con sentenza 10 ottobre 2019, n. 41604.

Nel caso di specie, un avvocato era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di sei mesi di reclusione per aver proceduto al trattamento illecito dei dati personali degli iscritti ad una associazione, per la quale aveva svolto diversi incarichi professionali, inviando reiteratamente agli stessi numerose email di pubblicizzazione dei propri corsi di aggiornamento, “in tal modo agendo al fine di procurarsi un profitto, consistito nell’ottenere la partecipazione a corsi e convegni da lui patrocinati o organizzati, e procurando altresì agli associati un nocumento, consistente nella necessità di controllare e vagliare le numerose email inviate senza il loro consenso”.

Esaminando gli elementi costitutivi della fattispecie, rimasti invariati nonostante la diversa formulazione della norma disposta dalla riforma del Codice Privacy, i giudici di legittimità hanno ritenuto insussistente, da una parte, l’elemento soggettivo richiesto dall’ipotesi criminosa, costituito dal fine dell’agente di trarre per sé o per altri un profitto o di recare ad altri un danno (dolo specifico), e, dall’altra, l’elemento oggettivo del nocumento, da intendersi come pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale e no, subito dai soggetti cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi quale conseguenza dell’illecito trattamento dei dati protetti.

Detto elemento, se, nella vigenza della precedente formulazione della disposizione (l’agente “è punito, se dal fatto deriva nocumento”), era stato, in un primo momento, qualificato quale condizione obiettiva di punibilità e solo successivamente ricondotto tra gli elementi costitutivi del reato, a seguito dell’intervento legislativo del 2018 (“chiunque […] arreca nocumento all’interessato, è punito”) è pacificamente individuato quale elemento costitutivo, “con la conseguenza che lo stesso deve essere previsto e voluto o comunque accettato dall’agente come effetto della propria azione”.

Svolte dette considerazioni, la Cassazione, pur convenendo per la illegittimità del trattamento per violazione dell’articolo 130 del Codice Privacy, che subordina al consenso dell’interessato la divulgazione di materiale pubblicitario, ha ritenuto che nel caso in esame la condotta del professionista non avesse integrato la fattispecie criminosa di cui all’articolo 167 Codice Privacy per insussistenza dell’elemento oggettivo del pregiudizio giuridicamente apprezzabile, essendo stato ciascun iscritto destinatario di un numero esiguo di email (in media non più di tre o quattro nell’arco di cinque mesi), tale da escludere una significativa invasione dello spazio informatico.

Pertanto, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.