Email è prova dell’incarico al professionista e i documenti in lingua straniera sono producibili e ammissibili come quelli in italiano
Email è prova dell’incarico al professionista e i documenti in lingua straniera sono producibili e ammissibili come quelli in italiano
La Corte di Cassazione ha statuito che è sufficiente una email per provare il conferimento del mandato ad un professionista. La posta elettronica, anche non certificata, risulta quindi essere sufficiente ad instaurare un rapporto contrattuale tra le parti. La Corte si è inoltre occupata dell’ammissibilità e della valutazione dei documenti prodotti in lingua straniera.
Il caso specifico concerne la vicenda di un avvocato non ammesso al passivo di un fallimento poiché il giudice delegato aveva ritenuto che lo stesso avesse effettuato prestazioni per società diverse dalla fallita e senza un formale mandato.
I giudici della Suprema Corte, ritenendo di dare continuità al proprio orientamento, hanno affermato che “il mandato professionale per l’espletamento dell’attività di consulenza e comunque di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ovvero ad probationem, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice – nella specie, in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare – tenuto conto della qualità della parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, ammettere l’interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto”.
Prosegue la Cassazione “l’inopponibilità, per difetto di data certa ex articolo 2704 Codice Civile, non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, pertanto il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso”.
Il principio elaborato dalla Corte è applicabile non solo ai legali, ma a qualsiasi altro tipo di incarico a professionisti o partite IVA. Tuttavia, con specifico riferimento ai soli avvocati, l’email può costituire valido conferimento di mandato professionale per le attività di consulenza comunque stragiudiziale, ma non per le attività processuali.
Sul fronte della lingua dei documenti prodotti, la Cassazione ha ricordato ancora una volta il proprio orientamento (12525/2015), secondo cui: “anche nel processo tributario come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non anche per i documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha, pertanto, la facoltà e non l’obbligo di procedere alla nomina di un traduttore, ex articolo 123 Codice Procedura Civile, di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, mentre al di fuori di queste ipotesi è necessario procedere alla nomina di un traduttore, non potendosi ritenere acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera”.
(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 5 febbraio 2016, n. 2319)
La Corte di Cassazione ha statuito che è sufficiente una email per provare il conferimento del mandato ad un professionista. La posta elettronica, anche non certificata, risulta quindi essere sufficiente ad instaurare un rapporto contrattuale tra le parti. La Corte si è inoltre occupata dell’ammissibilità e della valutazione dei documenti prodotti in lingua straniera.
Il caso specifico concerne la vicenda di un avvocato non ammesso al passivo di un fallimento poiché il giudice delegato aveva ritenuto che lo stesso avesse effettuato prestazioni per società diverse dalla fallita e senza un formale mandato.
I giudici della Suprema Corte, ritenendo di dare continuità al proprio orientamento, hanno affermato che “il mandato professionale per l’espletamento dell’attività di consulenza e comunque di attività stragiudiziale non deve essere provato necessariamente con la forma scritta, ad substantiam ovvero ad probationem, potendo essere conferito in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti e potendo il giudice – nella specie, in sede di accertamento del relativo credito nel passivo fallimentare – tenuto conto della qualità della parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, ammettere l’interessato a provare, anche con testimoni, sia il contratto che il suo contenuto”.
Prosegue la Cassazione “l’inopponibilità, per difetto di data certa ex articolo 2704 Codice Civile, non riguarda il negozio, ma la data della scrittura prodotta, pertanto il negozio e la sua stipulazione in data anteriore al fallimento possono essere oggetto di prova, prescindendo dal documento, con tutti gli altri mezzi consentiti dall’ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall’oggetto del negozio stesso”.
Il principio elaborato dalla Corte è applicabile non solo ai legali, ma a qualsiasi altro tipo di incarico a professionisti o partite IVA. Tuttavia, con specifico riferimento ai soli avvocati, l’email può costituire valido conferimento di mandato professionale per le attività di consulenza comunque stragiudiziale, ma non per le attività processuali.
Sul fronte della lingua dei documenti prodotti, la Cassazione ha ricordato ancora una volta il proprio orientamento (12525/2015), secondo cui: “anche nel processo tributario come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non anche per i documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha, pertanto, la facoltà e non l’obbligo di procedere alla nomina di un traduttore, ex articolo 123 Codice Procedura Civile, di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, mentre al di fuori di queste ipotesi è necessario procedere alla nomina di un traduttore, non potendosi ritenere acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera”.
(Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 5 febbraio 2016, n. 2319)