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Stop alle risse tra tesserati F.I.G.C. in occasione delle competizioni agonistiche: oltre alla giustizia sportiva può intervenire il questore con un D.A.SPO.

L’innovativo principio giurisprudenziale, di recente espresso dalla Corte di Cassazione, III Sez. Pen., può trovare applicazione, però, solo quando le condotte costituenti, in astratto, fattispecie di reato, siano poste in essere in un contesto del tutto avulso dall’attività agonistica in svolgimento e traggano solo occasione da quest’ultima.

Con sentenza n. 33864 del 08/06/2007, la S.C. ha stabilito che anche nei riguardi dei soggetti tesserati in ambito F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio) il Questore territorialmente competente può assumere un provvedimento di divieto di accesso alle manifestazioni sportive, nel caso in cui quei soggetti, in occasione del loro svolgimento, tengano comportamenti che, in astratto, integrino gli estremi di fattispecie di reati.

In ciò consiste il c.d. D.A.SPO., sino al momento della pronuncia in commento previsto esclusivamente a carico degli ultrà più facinorosi, eventualmente responsabili di comportamenti lesivi dell’integrità fisica e/o morale altrui, in occasione dello svolgimento di una manifestazione sportiva.

Prima, però, di procedere all’esame della sentenza citata, è opportuno, a beneficio dei lettori, operare un sintetico richiamo agli elementi fondamentali che caratterizzano un D.A.SPO..

Trattasi di un provvedimento di natura amministrativa, mediante cui viene disposto il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive a carico di coloro che si rendano responsabili di episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa delle stesse o che, anche, ad esempio, commettano delitti di matrice razziale, violino le norme anti bagarinaggio o introducano striscioni senza la preventiva autorizzazione.

Disciplinata originariamente dall’art. 6, L. n. 401/89, la misura cautelare-repressiva è stata oggetto di reiterate modifiche, l’ultima delle quali è contenuta nell’art. 2, L. n. 41/07 (di conversione del D.L. n. 8/07, c.d. Decreto Amato, emesso a seguito della morte dell’Ispettore di Polizia Filippo Raciti, avvenuta nel corso dei tafferugli tra la tifoseria catanese e le forze dell’ordine in occasione della gara Catania-Palermo del 02/02/2007).

Il provvedimento è valido ed efficace anche nei riguardi dei soggetti minori di età, purché almeno quattordicenni, è il divieto può essere imposto sia dall’Autorità nazionale con riferimento alle manifestazioni sportive aventi luogo all’estero cui si rechino ad assistere i cittadini italiani, sia dalle Autorità degli Stati membri U.E. per quelle in svolgimento in Italia.

Ex art. 6, L. n. 401/89, la misura in questione deve contenere la specifica indicazione delle manifestazioni sportive rispetto alle quali viene disposta, comprese le gare a carattere amichevole, a condizione che queste ultime, però, siano preventivamente e adeguatamente pubblicizzate; altrimenti il destinatario del D.A.SPO. sarebbe costretto a subire un divieto di carattere indeterminato, rispetto al quale, dunque, il soggetto non sarebbe in grado di ottemperare (Cass., III Sez. Pen., n. 9793 08/03/2007).

Il D.A.SPO. é disposto dal Questore, anche unitamente, e in via accessoria, (con comunicazione immediata alla Procura della Repubblica competente) alla comparizione personale, di una o più volte, del soggetto ritenuto responsabile, presso l’ufficio o il comando di Polizia specificamente individuato, nel corso della giornata in cui hanno luogo le manifestazioni sportive per cui il divieto è divenuto operativo (c.d. obbligo di firma).

Il divieto e la prescrizione accessoria possono avere una durata compresa tra 1 e 5 anni che, però, si estende da 2 a 8 anni nel caso in cui intervenga un provvedimento di condanna del giudice per la violazione del D.A.SPO. e dell’obbligo di firma (è prevista la reclusione da 1 a 3 anni e la multa da € 10.00,00 a € 40.00,00) o per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui le medesime hanno svolgimento.

Di fondamentale rilievo, infine, è la circostanza per cui, entro 48 ore dalla notifica del provvedimento, il P.M. deve chiederne la convalida al G.I.P., a pena di inefficacia delle prescrizioni imposte.

Ebbene, proprio la mancata convalida di un D.A.SPO., assunto dal Questore di Caserta nei riguardi di due soggetti tesserati F.I.G.C. (un calciatore e un dirigente della società sportiva Calvi Risorta -CE- militante nel Campionato di 3° categoria), ha determinato l’intervento della Cassazione.

Infatti, i predetti tesserati F.I.G.C., in occasione della gara del 23/04/2006 Rocca D’Evandro-Calvi Risorta, ritenuti responsabili di gravi e violenti comportamenti sugli spalti e sul terreno di gioco, venivano sanzionati con il divieto di accesso agli stadi per 18 mesi e, in via accessoria, con l’obbligo di presentarsi presso la stazione dei Carabinieri in occasione delle partite (c.d. obbligo di firma).

Invero, il G.I.P del Tribunale di S. Maria Capua Vetere (CE) non convalidava il provvedimento, ritenendo che certi generi di restrizioni “non potessero essere applicate in relazione a condotte poste in essere nei campi di gioco, o nelle immediate vicinanze, da tesserati di Federazioni sportive, atteso che, in tali ipotesi, è possibile irrogare specifiche sanzioni da parte degli organi di giustizia federale”.

Tuttavia, avverso il diniego di convalida, il P.M. interponeva ricorso presso la S.C., ottenendo un ampio e, forse, inatteso riscontro positivo.

Il ragionamento che i giudici di P.zza Cavour hanno posto a fondamento della pronuncia in esame, colpisce, in un certo senso, per la sua linearità argomentativa, nella misura in cui è stato rilevato come la conferma del provvedimento di diniego di convalida da parte del G.I.P. di S. Maria Capua Vetere sarebbe equivalso ad accettare che “lo svolgimento di attività sportive può divenire causa di giustificazione per condotte astrattamente costituenti reato”.

Se da un lato, però, il principio generale affermato dalla S.C. potrà trovare, da subito, applicazione (si presume che il calcio sferrato dall’allenatore del Catania (Baldini) a quello del Parma (Di Carlo), in un contesto del tutto avulso dall’attività agonistica -Parma-Catania del 26/08/2007- o lo schiaffo del calciatore della Juventus Zebina indirizzato ad uno steward in servizio allo stadio S. Elia di Cagliari -Cagliari-Juventus del 02/09/2007-, costituiscano comportamenti dal disvalore sociale non più oltremodo tollerabile, anche, e soprattutto, in considerazione, dell’intervento dell’Autorità statale, oltre che di quella appartenente all’ordinamento federale), dall’altro, il medesimo non mancherà di suscitare polemiche e contrastanti giudizi in ordine al sempre attuale tema relativo al rapporto tra ordinamento statuale e ordinamento sportivo.

Si potrebbe riflettere, in effetti, su come un provvedimento D.A.SPO., di considerevole durata, assunto a carico di un calciatore professionista, si ponga in relazione al fondamentale obbligo di natura contrattuale su quest’ultimo incombente (prestazione sportiva) il cui adempimento, però, risulterebbe pregiudicato proprio a causa della misura restrittiva disposta.

In tale ipotesi, la società sportiva di appartenenza, avrebbe legittimo titolo a rivolgersi al competente Collegio Arbitrale ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento?

Vero è, peraltro, a mero titolo esemplificativo, come la risoluzione del contratto sia prevista (alternativamente ad altre sanzioni commisurate alla gravità dell’inadempimento) anche in ipotesi di violazione, da parte dell’atleta, di uno degli obblighi di cui all’art. 10. (art. 10.3), Accordo Collettivo per i calciatori professionisti della Lega Nazionale Professionisti (L.N.P.), in vigore dal 01/07/2005, secondo il quale “il calciatore deve evitare comportamenti che siano tali da arrecare pregiudizio all’immagine della società”. E non vi è dubbio che le intemperanze di un tesserato, estranee al contesto agonistico (ma occasionate dal medesimo) e connotate da un certo grado di violenza, integrino gli estremi della richiamata violazione.

Ancora una volta, la fattispecie in esame induce ad osservare come emerga, in tutta la sua evidenza, il carattere di trasversalità del diritto dello sport, ovvero la sua predisposizione, quasi connaturata, a doversi rapportare con altre prescrizioni normative che involgono altrettanto distinti ambiti di applicazione.

Pertanto, non sarà mai agevole, come la vicenda in commento, in qualche modo, dimostra, attivare, in ambito giuridico-sportivo, un processo interpretativo del tutto chiaro e sufficientemente esaustivo.

In tal senso, però, la circostanza che la S.C., ai fini della legittima applicazione del D.A.SPO., abbia operato, e non avrebbe potuto essere altrimenti, una netta distinzione tra i comportamenti (posti in essere dai tesserati) funzionalmente connessi alla competizione sportiva e quelli del tutto avulsi dalla medesima, va senza dubbio evidenziata.

Infatti, il giudice di legittimità ha stabilito che “il provvedimento del Questore è stato emesso a tutela dell’ordine pubblico, posto in pericolo da condotte la cui materialità è del tutto avulsa dall’esplicazione di attività agonistica e trae dal contesto sportivo mera occasione, all’origine del comportamento illecito”.

Non si abbia mai a verificare che a seguito di un fallo violento di gioco, oltre all’espulsione, l’atleta debba subire le conseguenze di un D.A.SPO.!

L’innovativo principio giurisprudenziale, di recente espresso dalla Corte di Cassazione, III Sez. Pen., può trovare applicazione, però, solo quando le condotte costituenti, in astratto, fattispecie di reato, siano poste in essere in un contesto del tutto avulso dall’attività agonistica in svolgimento e traggano solo occasione da quest’ultima.

Con sentenza n. 33864 del 08/06/2007, la S.C. ha stabilito che anche nei riguardi dei soggetti tesserati in ambito F.I.G.C. (Federazione Italiana Giuoco Calcio) il Questore territorialmente competente può assumere un provvedimento di divieto di accesso alle manifestazioni sportive, nel caso in cui quei soggetti, in occasione del loro svolgimento, tengano comportamenti che, in astratto, integrino gli estremi di fattispecie di reati.

In ciò consiste il c.d. D.A.SPO., sino al momento della pronuncia in commento previsto esclusivamente a carico degli ultrà più facinorosi, eventualmente responsabili di comportamenti lesivi dell’integrità fisica e/o morale altrui, in occasione dello svolgimento di una manifestazione sportiva.

Prima, però, di procedere all’esame della sentenza citata, è opportuno, a beneficio dei lettori, operare un sintetico richiamo agli elementi fondamentali che caratterizzano un D.A.SPO..

Trattasi di un provvedimento di natura amministrativa, mediante cui viene disposto il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive a carico di coloro che si rendano responsabili di episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa delle stesse o che, anche, ad esempio, commettano delitti di matrice razziale, violino le norme anti bagarinaggio o introducano striscioni senza la preventiva autorizzazione.

Disciplinata originariamente dall’art. 6, L. n. 401/89, la misura cautelare-repressiva è stata oggetto di reiterate modifiche, l’ultima delle quali è contenuta nell’art. 2, L. n. 41/07 (di conversione del D.L. n. 8/07, c.d. Decreto Amato, emesso a seguito della morte dell’Ispettore di Polizia Filippo Raciti, avvenuta nel corso dei tafferugli tra la tifoseria catanese e le forze dell’ordine in occasione della gara Catania-Palermo del 02/02/2007).

Il provvedimento è valido ed efficace anche nei riguardi dei soggetti minori di età, purché almeno quattordicenni, è il divieto può essere imposto sia dall’Autorità nazionale con riferimento alle manifestazioni sportive aventi luogo all’estero cui si rechino ad assistere i cittadini italiani, sia dalle Autorità degli Stati membri U.E. per quelle in svolgimento in Italia.

Ex art. 6, L. n. 401/89, la misura in questione deve contenere la specifica indicazione delle manifestazioni sportive rispetto alle quali viene disposta, comprese le gare a carattere amichevole, a condizione che queste ultime, però, siano preventivamente e adeguatamente pubblicizzate; altrimenti il destinatario del D.A.SPO. sarebbe costretto a subire un divieto di carattere indeterminato, rispetto al quale, dunque, il soggetto non sarebbe in grado di ottemperare (Cass., III Sez. Pen., n. 9793 08/03/2007).

Il D.A.SPO. é disposto dal Questore, anche unitamente, e in via accessoria, (con comunicazione immediata alla Procura della Repubblica competente) alla comparizione personale, di una o più volte, del soggetto ritenuto responsabile, presso l’ufficio o il comando di Polizia specificamente individuato, nel corso della giornata in cui hanno luogo le manifestazioni sportive per cui il divieto è divenuto operativo (c.d. obbligo di firma).

Il divieto e la prescrizione accessoria possono avere una durata compresa tra 1 e 5 anni che, però, si estende da 2 a 8 anni nel caso in cui intervenga un provvedimento di condanna del giudice per la violazione del D.A.SPO. e dell’obbligo di firma (è prevista la reclusione da 1 a 3 anni e la multa da € 10.00,00 a € 40.00,00) o per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui le medesime hanno svolgimento.

Di fondamentale rilievo, infine, è la circostanza per cui, entro 48 ore dalla notifica del provvedimento, il P.M. deve chiederne la convalida al G.I.P., a pena di inefficacia delle prescrizioni imposte.

Ebbene, proprio la mancata convalida di un D.A.SPO., assunto dal Questore di Caserta nei riguardi di due soggetti tesserati F.I.G.C. (un calciatore e un dirigente della società sportiva Calvi Risorta -CE- militante nel Campionato di 3° categoria), ha determinato l’intervento della Cassazione.

Infatti, i predetti tesserati F.I.G.C., in occasione della gara del 23/04/2006 Rocca D’Evandro-Calvi Risorta, ritenuti responsabili di gravi e violenti comportamenti sugli spalti e sul terreno di gioco, venivano sanzionati con il divieto di accesso agli stadi per 18 mesi e, in via accessoria, con l’obbligo di presentarsi presso la stazione dei Carabinieri in occasione delle partite (c.d. obbligo di firma).

Invero, il G.I.P del Tribunale di S. Maria Capua Vetere (CE) non convalidava il provvedimento, ritenendo che certi generi di restrizioni “non potessero essere applicate in relazione a condotte poste in essere nei campi di gioco, o nelle immediate vicinanze, da tesserati di Federazioni sportive, atteso che, in tali ipotesi, è possibile irrogare specifiche sanzioni da parte degli organi di giustizia federale”.

Tuttavia, avverso il diniego di convalida, il P.M. interponeva ricorso presso la S.C., ottenendo un ampio e, forse, inatteso riscontro positivo.

Il ragionamento che i giudici di P.zza Cavour hanno posto a fondamento della pronuncia in esame, colpisce, in un certo senso, per la sua linearità argomentativa, nella misura in cui è stato rilevato come la conferma del provvedimento di diniego di convalida da parte del G.I.P. di S. Maria Capua Vetere sarebbe equivalso ad accettare che “lo svolgimento di attività sportive può divenire causa di giustificazione per condotte astrattamente costituenti reato”.

Se da un lato, però, il principio generale affermato dalla S.C. potrà trovare, da subito, applicazione (si presume che il calcio sferrato dall’allenatore del Catania (Baldini) a quello del Parma (Di Carlo), in un contesto del tutto avulso dall’attività agonistica -Parma-Catania del 26/08/2007- o lo schiaffo del calciatore della Juventus Zebina indirizzato ad uno steward in servizio allo stadio S. Elia di Cagliari -Cagliari-Juventus del 02/09/2007-, costituiscano comportamenti dal disvalore sociale non più oltremodo tollerabile, anche, e soprattutto, in considerazione, dell’intervento dell’Autorità statale, oltre che di quella appartenente all’ordinamento federale), dall’altro, il medesimo non mancherà di suscitare polemiche e contrastanti giudizi in ordine al sempre attuale tema relativo al rapporto tra ordinamento statuale e ordinamento sportivo.

Si potrebbe riflettere, in effetti, su come un provvedimento D.A.SPO., di considerevole durata, assunto a carico di un calciatore professionista, si ponga in relazione al fondamentale obbligo di natura contrattuale su quest’ultimo incombente (prestazione sportiva) il cui adempimento, però, risulterebbe pregiudicato proprio a causa della misura restrittiva disposta.

In tale ipotesi, la società sportiva di appartenenza, avrebbe legittimo titolo a rivolgersi al competente Collegio Arbitrale ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento?

Vero è, peraltro, a mero titolo esemplificativo, come la risoluzione del contratto sia prevista (alternativamente ad altre sanzioni commisurate alla gravità dell’inadempimento) anche in ipotesi di violazione, da parte dell’atleta, di uno degli obblighi di cui all’art. 10. (art. 10.3), Accordo Collettivo per i calciatori professionisti della Lega Nazionale Professionisti (L.N.P.), in vigore dal 01/07/2005, secondo il quale “il calciatore deve evitare comportamenti che siano tali da arrecare pregiudizio all’immagine della società”. E non vi è dubbio che le intemperanze di un tesserato, estranee al contesto agonistico (ma occasionate dal medesimo) e connotate da un certo grado di violenza, integrino gli estremi della richiamata violazione.

Ancora una volta, la fattispecie in esame induce ad osservare come emerga, in tutta la sua evidenza, il carattere di trasversalità del diritto dello sport, ovvero la sua predisposizione, quasi connaturata, a doversi rapportare con altre prescrizioni normative che involgono altrettanto distinti ambiti di applicazione.

Pertanto, non sarà mai agevole, come la vicenda in commento, in qualche modo, dimostra, attivare, in ambito giuridico-sportivo, un processo interpretativo del tutto chiaro e sufficientemente esaustivo.

In tal senso, però, la circostanza che la S.C., ai fini della legittima applicazione del D.A.SPO., abbia operato, e non avrebbe potuto essere altrimenti, una netta distinzione tra i comportamenti (posti in essere dai tesserati) funzionalmente connessi alla competizione sportiva e quelli del tutto avulsi dalla medesima, va senza dubbio evidenziata.

Infatti, il giudice di legittimità ha stabilito che “il provvedimento del Questore è stato emesso a tutela dell’ordine pubblico, posto in pericolo da condotte la cui materialità è del tutto avulsa dall’esplicazione di attività agonistica e trae dal contesto sportivo mera occasione, all’origine del comportamento illecito”.

Non si abbia mai a verificare che a seguito di un fallo violento di gioco, oltre all’espulsione, l’atleta debba subire le conseguenze di un D.A.SPO.!