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Storia giuridica della coltivazione della cannabis

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Storia giuridica della coltivazione della cannabis

La Legislazione nell'ultimo secolo trascorso

La cannabis, unitamente al luppolo, è una pianta psicoattiva che reca oggi circa mille varianti botaniche, di cui solamente 62 legali nell'UE. Essa reca da millenni usi agroindustriali, ricreativi, cosmetici, ma anche terapeutici. La canapa contiene, principalmente, due principi attivi: il CBD, con potenzialità terapeutiche, ed il THC, con effetto psicotropo e tendenzialmente illegale. In Italia, da centinaia di anni, si impiega cannabis per farne tessuti e cordame, come dimostrano i “maceri” nelle cascine novecentesche dell'Emilia, della Campania, del Piemonte, de Veneto e della Lombardia. Nella prima parte del Novecento, l'Italia, con l'URSS, deteneva il primato mondiale della produzione di tessuti di canapa. P.e., in Italia, negli Anni Quaranta del Novecento, erano coltivati a cannabis bel 100.000 ettari, divenuti solo 1.000 nel 1970 a causa della concorrenza delle nuove fibre sintetiche, meno costose e più resistenti.

Il Regno d'Italia firmò, nel 1921, la prima Convenzione internazionale sugli stupefacenti, convertita nella L. 395/1923. Tale Normazione era decisamente proibizionistica, in tanto in quanto l'Art. 1 L. 395/1923 recitava che “chiunque […] vende o in qualsiasi altro modo somministra al pubblico, cocaina, morfina, loro composti o derivati e, in genere, sostanze velenose che in piccole dosi hanno azione stupefacente […] è punito con la reclusione da due a sei mesi e con la multa da 1.000 a 4.000 lire”. La L. 395/1923 non vietava la coltivazione, bensì il commercio tossico-voluttuario della marjuana e dell'haschisch. In breve, la tossicologia forense si rese conto che non tutte le sostanze d'abuso sono catalogabili con il lemma “stupefacente”, che si riferisce solo a quell'”ottundimento psicomotorio” definito tecnicamente “stupor”. Sicché, sempre negli Anni Venti del Novecento, il Ministro dell'Interno allegò delle tabelle alla L. 395/1923; era l'inizio di quel “sistema tabellare” tutt'oggi previsto dall'Art. 14 TU 309/90. Dette tabelle contemplavano pure il THC, ma ciò creava il problema della canapa ad uso agroalimentare, cosmetico, tessile ed industriale.

Più coerente, viceversa, nel 1937, fu la Legislazione statunitense, che vietò qualunque coltura di cannabis, compresa quella hemp. Tuttavia, da segnalare è che, sotto il profilo pratico, fumare marjuana o haschisch, perlomeno in Italia, non era per nulla una moda diffusa, men che meno tra i tessitori della Valle Padana. Non adeguato era pure l'Art. 4 L. 1041/1954, ai sensi del quale “la coltivazione del papaver somniferum L e di altre piante dalle quali si possono ricavare sostanze comprese nell'elenco degli stupefacenti […] è punita con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 100.000 lire a 2.000.000 di lire”. Di nuovo, la L. 1041/1954 non risolveva il problema della libera coltivazione della cannabis per uso tessile, ma è pur vero che, negli Anni Cinquanta del Novecento, in Italia soltanto le élites coltivavano marjuana ed haschisch per usi tossicovoluttuari; dunque la problematica non si poneva. Soltanto la L. 685/1975 dovette affrontare il nodo criminologico dei primi  gruppi giovanili che fumavano cannabis per finalità ludico-ricreative. In special modo, l'Art. 26 L. 685/1975 disponeva che “[...] è vietata, nel territorio dello Stato, la coltivazione di piante di coca di qualsiasi specie, di piante di canapa indiana, di funghi allucinogeni e delle specie di papavero (papaver somniferum) da cui si ricava oppio grezzo”. Inoltre, ex Art. 12 L. 685/1975, nella tabella II, era espressamente citata e vietata “la cannabis indica ed i prodotti da essa ottenuti”.

Va notato, tuttavia, che la L. 685/1975 vietava solamente la canapa indiana. Nella realtà concreta, la L. 685/1975 non menzionava la cannabis sativa e la cannabis ruderalis, che, se botanicamente incrociate, danno luogo a circa duemila varianti, il più delle quali psicoattive ed illecite. Anzi, secondo la University of British Columbia, non esiste più una cannabis indica “pura” e le varietà hanno preso il sopravvento sulla cannabis sativa coltivata nel secolo scorso. Dopodiché, la L. 162/1990 vietò, nella tabella, la cannabis indica, ma chiamandola con il nome del proprio principio attivo, ovverosia il Delta-9-THC. Secondo taluni, tuttavia, esistono varianti di canapa con un Delta-9-THC inferiore al 2%, dunque non psicoattive. Ciononostante, in Giurisprudenza, prima dell'odierno dibattito sulla canapa light, era vietata qualunque variante, anche quelle contenenti un tenore di THC inferiore al 2%. Proibizionista è pure la L. 49/2006, la quale vieta la coltivazione ed il commercio “della cannabis indica e dei prodotti da essa ottenuti”, ma, di nuovo, a livello tabellare, era menzionato il Delta-9-THC e non delle specifiche tipologie botaniche. Bisognerà attendere il DM 11 aprile 2006, in tema di QMD, per vedere il divieto espresso della “cannabis”, non solo indica. Come noto, Consulta 32/2014 provocò l'illegittimità costituzionale e la conseguente caducazione della L. 49/2006, sostituita dalla ZL. 79/2014.

 

La coltivazione di marjuana per uso personale

Le Normazioni del 1975 e del 1990 avevano depenalizzato l'uso personale di marjuana, ma non le coltivazioni “domestiche e rudimentali” di uno scarso numero di piantine per il consumo individuale. A tal proposito, basilare è stata Consulta 360/1995. Secondo tale Precedente, la coltivazione “non professionale” di canapa non lede la ratio della tutela della salute, purché dalle colture si estraggano “quantità irrisorie” di THC; nel qual caso, manca una offensività penale concreta e non astrattamente pericolosa. In Dottrina, molti hanno contestato i lemmi “quantità irrisorie”, in tanto in quanto molto dipende dal tenore finale di THC delle piante, dalle reazioni psicofisiche individuali e dall'eventuale mescolanza con altre sostanze, come, ad esempio, le bevande alcoliche. Inoltre, Consulta 360/1995 obbligava il Magistrato del merito a creare criteri a-tecnici utili per interpretare l'attributo “irrisorie”, per il quale non esistevano parametri ermeneutici certi e stabili. A loro volta, Sezioni Unite Di Salvia 2008 precisarono, con evidente proibizionismo, che “costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale”. Tuttavia, pure Sezioni Unite Di Salvia 2008 non forniva al Magistrato del merito dei parametri per la qualificazione della concreta offensività della piantagione.

Soltanto, Consulta 360/1995 e Sezioni Unite Di Salvia 2008 creavano un panorama esegetico ancor più confuso ove si ribadiva la centralità del comma 1 Art. 32 Cost., senza, però, fornire alcun criterio concreto. P.e., invece, Sezioni Unite Biondi hanno introdotto parametri ponderali certi che aiutano assai la formazione di un “libero e prudente convincimento del giudice”. In buona sostanza, parlare di tutela della salute e di quantità irrisorie genera un ginepraio che si concretizza in filoni interpretativi arzigogolati ed incerti. Consulta 360/1995 e Sezioni Unite Di Salvia 2008 hanno violato, seppur inconsapevolmente, quel principio della certezza del Diritto che è fondamentale all'interno della Giuspenalistica.

 

Le odierne incertezze interpretative sul tema della canapa

Negli Anni Novanta del Novecento, in tema di canapa hemp, l'incertezza dominava sovrana. Basti pensare, ad esempio, che, nel 1943, venivano coltivati a cannabis 105.000 ettari, mentre, nel 2002, tale superficie era di soli 290 ettari. In Italia, specificamente in Piemonte, veniva messa a semente la Carmagnola, variante tra le più famose ed apprezzate in tutta Europa. Gli incroci di tale varietà avevano dato vita a quasi tutte le 62 tipologie ammesse dal Catalogo dell'UE. Fondamentale, da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali, è stata la Circolare 2 dicembre 1997, n. 734, recante “disposizioni relative alla coltivazione della cannabis sativa L (canapa da tiglio)”. L'espressione “canapa da tiglio” si riferiva, nella predetta Circolare, alla cannabis sativa, che si differenzia da quella “indica”, utilizzata per fini illeciti di matrice tossicovoluttuaria. Detta Circolare 734/1997 imponeva di annunciare l'inizio della coltivazione alla più vicina caserma di PG.

Nel 1999, l'UE ha allestito finanziamenti alla coltivazione della canapa, con una conseguente reviviscenza delle coltivazioni, disciplinate dalla nuova Circolare ministeriale 8 maggio 2002, n. 1, rubricata “Regime di sostegno a favore dei coltivatori di canapa destinata alla produzione di fibre (cannabis sativa – NC 5302 10 00)”. In sostanza, con la nuova Normativa del 2002, la coltura a base di canapa beneficia dei finanziamenti europei soltanto se la variante finale reca un tenore drogante di THC inferiore allo 0,2 %. Le tipologie ammesse nell'UE sono, in totale, 62, molte delle quali derivanti dalla Carmagnola piemontese

 

La svolta del 2014 e la relativa Giurisprudenza

La L. 79/2014 ha novellato l'Art. 26 TU 309/90, che, al comma 1, dispone: “salvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata, nel territorio dello Stato, la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all'Art. 14, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all'Art. 27, consentiti dalla normativa dell'unione europea”. Ecco, dunque, la centralità del Catalogo UE contemplante le 62 varietà non proibite. Nella tabella I, la L. 79/2014 ha inserito, a titolo di sostanza stupefacente proibita, il Delta-9-trans-tetraidrocannabinolo (THC). Nella tabella II, la nuova Normazione del 2014 proibisce la coltivazione e la vendita della cannabis, non solo indica, sotto forma di foglie, infiorescenze, olio e resina.

In Dottrina, molti hanno criticato la formulazione delle tabelle I e II. P.e., nell'Art. 14 TU 309/90, si vietano “l'oppio e le sostanze oppiacee” e non la pianta del papavero, mentre la tabella II vieta il tipo vegetale della cannabis. Oltretutto, la L. 79/2014 non tiene conto del fatto che la canapa hemp è legale, nell'UE e per la Suprema Corte, allorquando il proprio tenore drogante non superi lo 0,2 %. A sua volta, la Giurisprudenza di legittimità non chiarisce se il divieto valga per la canapa indiana o anche per quella sativa. P.e., Cass., sez. pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254 esclude il reato per la canapa indiana. Del pari, Cass., sez. pen. VI, 17 febbraio 2016, n. 8058 scrimina la coltivazione della cannabis indica. Contraddittoria è Cass., sez. pen. IV, 18 gennaio 2013, n. 10618, che impone una misurazione tossicologico-forense del Delta-9-THC contenuto nella canapa sativa. Pure Cass., sez. pen. VI, 8 ottobre 2015, n. 46074 definisce sempre come “stupefacente” la canapa sativa, senza  imporre analisi chimico-forensi. Allucinante è Cass., sez. pen. VI, 8 ottobre 2015, n. 46074, la quale ignora completamente il Catalogo UE e, nelle Motivazioni, statuisce che “il principio attivo Delta-9-THC non è più espressamente indicato nella tabella II per la semplice ragione che tutte la specie di cannabis, nessuna esclusa, sono assoggettate alla disciplina di settore”. Ora, quanto asserito da Cass., sez. pen. VI, 8 ottobre 2015, n. 46074 è falso, in tanto in quanto la cannabis sativa L non rientra nel campo precettivo del TU 309/90.

In sostanza, la Giurisprudenza di legittimità, dal 2014 al 2016, non aveva presente la distinzione tecnico-botanica tra cannabis indica (vietata) e cannabis sativa (legale, poiché non contiene o non contiene molto THC). Inoltre, la variante indiana non rileva, sotto il profilo penale, se il tenore drogante, dunque la presenza di THC, è inferiore allo 0,2 %. Uno stare decisis giurisprudenziale di tal fatta danneggiava la coltivazione della canapa hemp ex comma 1 Art. 26 TU 309/90. Basti pensare che, in Italia, nel 2021, gli ettari seminati a cannabis legale erano ben 4.000. Gli agricoltori iniziarono a chiedere una Normazione meno nebulosa, che giunse con la L. 242/2016.

 

La L. 242/2016

Fondamentale è il comma 2 Art. 1 L. 242/2016, ai sensi del quale “la presente legge si applica alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse [e] iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'Art. 17 della Direttiva 2002/53/CE del Consiglio [d'Europa] del 13 giugno 2002, le quali non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti”. In totale, le varietà di cannabis attualmente ammesse dal Catalogo UE sono 62. Altro dettaglio fondamentale, ex L. 242/2016, è che la coltura di canapa hemp non necessita di alcuna autorizzazione e non va nemmeno comunicata alla più vicina caserma di PG. Rimane soltanto, in capo all'agricoltore, il dovere di conservare i “cartellini” della semente per almeno 12 mesi, unitamente alle fatture di acquisto dei semi. Ex comma 2 Art. 2 L. 242/2016, la canapa hemp può avere soltanto sette utilizzi legalmente consentiti, ovverosia: “dalla canapa coltivata ai sensi del comma 1 è possibile ottenere:

a. alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi             settori

b. semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, olio o carburanti, per forniture alle             industrie ed alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico

c. materiale destinato alla pratica del sovescio

d. materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia

e. materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati

f. coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di           istituti pubblici o privati

g. coltivazioni destinate al florovivaismo

Quanto all'eventuale tenore drogante di THC, la L. 242/2016 è assai dettagliata. In primo luogo, ex L. 242/2016, la coltura di canapa ha accesso al finanziamento UE soltanto qualora il prodotto finito contenga THC in misura inferiore allo 0,2 %. A tal fine, sono previsti prelievi di controllo al comparire delle infiorescenze. In secondo luogo, è tollerato un tenore drogante sino allo 0,6 %, il che non comporta l'obbligo di distruggere le piante, ma viene perduto il finanziamento dell'UE. In terzo luogo, qualora il tenore drogante superi lo 0,6 %, l'AG dispone il sequestro e la distruzione della piantagione, ma l'agricoltore non è penalmente responsabile, in tanto in quanto è materialmente impossibile prevedere un eventuale eccessivo sviluppo di THC quando le piante saranno fiorite. Si tratta, infatti, di un incidente naturalistico-botanico non doloso. Come dichiarato nei Lavori Preparatori, la L. 242/2016 reca la ratio di “garantire la tracciabilità e la stabilità delle varietà di canapa regolarmente iscritte negli appositi registri”. Ognimmodo, a parere di chi redige, la coltivazione di canapa hemp si situa in una zona grigia dominata dall'ambiguità. Sarà, infatti,  ben difficile trovare agricoltori insensibili al fascino sinistro del mercato nero, qualora il tenore di THC superi lo 0,6 %. Il mondo della cannabis non brilla certo per trasparenza e legalità.

 

Il CBD e la canapa “leggera”

La marjuana contiene, principalmente, il THC, il cui effetto stupefacente si sostanzia in tachicardia, sonnolenza, analgesia e reazione inebriante. Tuttavia, la cannabis contiene anche il CBD, che non è psicoattivo e che, altresì, “corregge” gli effetti negativi dello stupor cagionato dal Delta-9-tetraidrocannabinolo. Da tali asserti tossicologici è nato il mito radical chic di una marjuana “light” ove il CBD reca ad effetti benefici.

In effetti, nella Dottrina tossicologico-forense globale non manca chi esalta le presunte proprietà terapeutiche del cannabidiolo. P.e., molti medici consigliano il CBD per la cura del dolore cronico, delle infiammazioni, delle emicranie, delle artriti, degli spasmi, dell'epilessia e della schizofrenia. In buona sostanza, soprattutto nei Paesi anglofoni, è nata la moda pseudo-scientifica della marjuana a scopo terapeutico.

La scoperta che ha rivoluzionato l'impiego della cannabis consta nel fatto che tra quasi tutte le 62 varianti ammesse dal Catalogo europeo contengono poco THC e molto CBD, dunque si tratta di una marjuana “light” munita di un buon potenziale curativo e, viceversa, di uno scarso effetto psicoattivo medicalmente controindicato.

Dunque, negli Anni Duemila, la botanica è giunta ad individuare almeno tre tipologie di canapa. In primo luogo, esiste la “canapa agro-industriale”, utilizzata per finalità tessili o manifatturiere ex comma 1 Art. 26 TU 309/90. A sua volta, la L. 242/2016 rinvia al Catalogo dell'UE, il quale ha legalizzato 62 varianti di questa canapa, il cui ceppo principale è la “cannabis sativa L”, priva di tenore drogante. In secondo luogo, nell'Ordinamento giuridico italo-europeo, è ammessa la “cannabis light”, contenente una quantità infima di THC, ancorché molto CBD “terapeutico”. Con afferenza alla canapa “leggera”, il Legislatore italiano ha fissato un tenore di THC non superiore allo 0,2 %, ma nulla è disposto con attinenza al CBD. Trattasi di una lacuna che crea un imbarazzante vuoto de jure condito non risolto né dalla Normativa UE né dalla L. 242/2016. In terzo ed ultimo luogo il Diritto italiano vieta la coltivazione e lo smercio della canapa impiegata per fini tossicovoluttuari. La L. 242/2016 denomina tale variante “cannabis indica”, ovverosia la canapa fumata solo per assumere Delta-9-THC, incriminato dagli Artt. 14 e 26 TU 309/90. In estrema sintesi, la canapa industriale, ex L. 242/2016, è sempre legale, soprattutto per finalità tessili, alimentari o agro-industriali; la cannabis light, dunque il CBD, è lecita per scopi medici; la canapa “per uso stupefacente”, quindi contenente THC, è proibita e rientra nell'ambito precettivo delle disposizioni penali del TU 309/90 (Artt. 14, 26 e 73 TU 309/90).

Ora, quanto all'atto del “coltivare”:

  1. coltivare canapa hemp (per uso agro-industriale) è legale, purché il THC prodotto sia inferiore allo 0,2 %, con un limite massimo di tolleranza dello 0,6 %, che, però, determina la decadenza dal diritto ai finanziamenti dell'UE
  2. coltivare cannabis light, dunque senza THC ma con CBD, è legale, purché la variante botanica coltivata appartenga ad una delle 62 tipologie ammesse dal Catalogo europeo. Tuttavia, si tratta di una zona applicativa ambigua, specialmente perché la L. 242/2016 non fissa alcun range relativo alla quantità di CBD presente. Trattasi di una coltivazione oggetto di molte lacune tanto normative quanto giurisprudenziali, in tanto in quanto è facile rivolgere la coltivazione al mercato nero.
  3. coltivare marjuana munita di THC per uso tossicomanico è vietato, tranne nella fattispecie di una coltivazione rudimentale quantitativamente scarsa, non professionale e destinata ad un uso meramente personale, dunque rilevante solo in via amministrativa ex Art. 75 TU 309/90

Quanto all'atto del “commercializzare”:

  1. commercializzare cannabis agroindustriale (hemp) è legale purché nei limiti delle sette tipologie di commercio tipicamente previste dall'Art. 2 L. 242/2016. Dunque, la canapa hemp non può avere impieghi umani o animali non strettamente catalogati nell'Art. 2 L. 242/2016.
  2. commercializzare cannabis per fini tossicofiliaci è sempre illegale, come p. e p. ex Art. 73 TU 309/90
  3. commercializzare cannabis light, allo stato attuale, è una condotta ambigua e normata in maniera assai confusa. Senza dubbio, l'unica canapa leggera ammessa deve contenere un tenore di THC inferiore allo 0,2 % e deve provenire da una delle 62 sementi ammesse dal Catalogo europeo. Tuttavia, è pur vero che buona parte della Giurisprudenza di legittimità qualifica il THC come “illegale” anche al di sotto della quota dello 0,2 %. Viceversa, altri Precedenti della Suprema Corte reputano che “il fatto non sussiste” qualora il tenore di Delta-9-tetraidrocannabinolo sia inidoneo a produrre un vero e proprio effetto psicoattivo. Anzi, in Dottrina, non è mancato chi ha fatto notare che la cannabis light, tossicologicamente parlando, annichilisce gli effetti avversi del THC grazie all'abbondante presenza di CBD. Inoltre, molti hanno evidenziato la frequente malafede delle imprese agricole che vendono le sementi. Senz'altro, quello della marjuana leggera non è un mercato cristallino o privo di contraddizioni empiriche.

 

La Giurisprudenza in tema di coltivazione e commercio della cannabis light

Il Consiglio Superiore di Sanità, addì 10/04/2018, ha espresso parere negativo alla legalizzazione dei canapai “nel rispetto del principio di precauzione e tutela dei consumatori inconsapevoli […]. Infatti, gli effetti del THC, anche a bassa concentrazione, su alcuni consumatori, come soggetti anziani, Madri in allattamento o persone con patologie, sono ancora poco studiati”. Scettico è pure il Ministero delle politiche agricole, che, con Circolare del 23/05/2018, ha ammesso l'uso “ornamentale” delle piante di canapa, ma ha manifestato un sottile sfavore normativo nei confronti della marjuana detenuta per “florovivaismo”. Altrettanto tendenzialmente proibizionista è la Circolare del Ministero dell'Interno recante data 31/07/2018, a norma della quale “la L. 242/2016 disciplina esclusivamente la promozione della coltivazione [hemp] e della filiera agroindustriale della canapa e non già la libera commercializzazione delle infiorescenze [fumabili, ndr] della stessa, anche se risultino contenere un principio attivo in linea con quanto stabilito dal Legislatore” Pertanto, in tema di canapa e canapai, domina la massima prudenza. E' anche interessante notare che la predetta Circolare del Viminale del 31/07/2018 reputa “stupefacente” un tenore di THC, nelle infiorescenze, superiore allo 0,5 %, ma si tratta di un limite privo di riscontri nella Letteratura medico-forense.

Secondo talune Sentenze, i canapai si sono spesso resi responsabili del delitti p. e p. ex Art. 515 CP (frode in commercio), in tanto in quanto fiori di canapa, tisane ed infiorescenze sono destinati ad essere, in definitiva, fumati o ingeriti nonostante le indicazioni sulle confezioni. Altre Sentenze simili hanno condannato la vendita di marjuana light come una “immissione in commercio di prodotti pericolosi” ex Art. 112 DLVO 206/2005. Infine, in taluni Precedenti, la commercializzazione della cannabis light in qualità di “farmaco alternativo” è stata qualificata alla stregua di un esercizio abusivo della professione medica, come p. e p. ex Art. 348 CP

Secondo un primo filone esegetico, inaugurato da Cass., sez. pen. IV; 13 giugno 2018, n. 34332, “la L. 242/2016 disciplina esclusivamente la coltivazione della canapa, consentendola, alle condizioni ivi indicate, soltanto per i fini commerciali elencati dall'Art. 1 comma 3 [L. 242/2016]; pertanto, la commercializzazione dei derivati della canapa (haschisch e marjuana light) diversi da quelli previsti costituisce il reato di cui all'Art. 73 comma 4 TU 309/90. Né occorre accertare il principio attivo presente nella sostanza commercializzata, perché il limite dello 0,6 % è previsto solo per i coltivatori [per avere accesso ai finanziamenti pubblici, ndr]”. Entro tale ottica interpretativa, pure Cass., sez. pen. VI, 27 novembre 2018, n. 56737 consente gli usi agroalimentari, ma non l'alienazione della marjuana light. La vendita dei peli ghiandolari e delle infiorescenze fumabili è proibita anche da Cass., sez. pen. VI; 10 ottobre 2018, n. 52003

Secondo un diverso orientamento, rappresentato, ex multis, da Cass., sez. pen. IV, 4 dicembre 2018, n. 14017, “dalla liceità della coltivazione della canapa alla stregua della L. 242/2016, discende la liceità della commercializzazione [di tutti, ndr] i prodotti che ne derivano, se contenenti un principio attivo inferiore allo 0,6 % […]. E' nella natura dell'attività economica che [tutti, ndr] i prodotti della filiera agroindustriale della canapa, che la legge espressamente mira a promuovere, siano commercializzabili”. Come si può notare, Cass., sez. pen. IV, 4 dicembre 2018, n. 14017 reca un impianto decisamente anti-proibizionistico. Parimenti, la vendita della marjuana light è sottratta alla precettività dell'Art. 73 TU 309/90 anche da Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920, ovverosia “la fissazione del limite dello 0,6 % di THC rappresenta, nell'ottica del Legislatore, un ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e dell'ordine pubblico e quelle inerenti alla commercializzazione dei prodotti delle coltivazioni; al di sotto di questo limite, i possibili effetti della cannabis non possono essere considerati, sotto il profilo giuridico, psicotropi o stupefacenti”. Dunque, Cass., sez. pen. VI, 29 novembre 2018, n. 4920 postula la non pericolosità anti-sociale ed anti-normativa della canapa con un tenore drogante inferiore allo 0,6 %, il che conferma la dannosità astratta, quindi non penalmente perseguibile. Della marjuana light alla luce del comma 1 Art. 32 Cost. in tema di tutela della salute individuale e collettiva

Un terzo orientamento, recato innanzi da Cass., sez. pen. III, 7 dicembre 2018, n. 10809, sostiene la commerciabilità della cannabis light, ma abbassa il limite del THC contenibile allo 0,2 %.

Visto il comma 1 Art. 618 Cpp ed alla luce della contraddittorietà fra le varie posizioni, ermeneutiche, Cass., sez. pen. IV, 8 febbraio 2019, n. 8654 ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito di Diritto: “se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al Catalogo indicato nell'Art. 1 comma 2 L. 242/2016 – e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L – rientrino o meno nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale Normativa”.

 

Cass., SS.UU., 30 maggio 2019, n. 30475, Castignani

Sezioni Unite Castignani 2019, nel dispositivo, hanno sentenziato che “la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, infiorescenze, olio e resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della L. 242/2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell'Art. 17 della Direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.

In primo luogo, Sezioni Unite Castignani 2019 consente solamente la coltivazione di piante di canapa appartenenti alle 62 varietà ammesse dal Catalogo europeo del 2002, recepito dalla L. 242/2016. Pertanto, è vietata la “semina di varietà di canapa non certificate”, così come proibito pure dalla Circolare del Ministero delle politiche agricole e forestali datata 23/05/2018. Detto divieto di seminare qualità botaniche non consentite vale anche se la pianta, una volta maturata, contenesse un THC compreso nel range 0,2-0,6 %.

In secondo luogo, Sezioni Unite Castignani 2019 ammette “tassativamente” solo la vendita dei cannabinoderivati contemplati dalla L. 242/2016, dunque fibre, cosmetici, carburanti, ma non le parti fumabili della pianta (haschisch e marjuana, dunque resina, foglie ed infiorescenze), anche qualora tali derivati denotassero un tenore drogante infimo. Da notare è che la L. 242/2016 consente la commercializzazione di “alimenti” a base di canapa, ma, nella Giurisprudenza italiana, la resina, le foglie e le infiorescenze non vengono qualificate alla stregua di “alimenti”. Anzi, l'Art. 5 L. 242/2016 manifesta il massimo rigore restrittivo nei confronti dei “prodotti alimentari” a base di canapa, probabilmente nella consapevolezza che si tratta di una zona ambigua esposta ad abusi e strumentalizzazioni. Si consideri pure che il DM della Salute dello 04/11/2019 ha statuito che negli alimentari cannabinoderivati (quindi semi, olio ed integratori) il limite del THC è fissato in 2 mg/Kg, pari dunque allo 0,002 %; per l'olio di canapa, il massimo di Delta-9-THC contenibile è di 5 mg/Kg. In buona sostanza, di nuovo, domina un sottile sfavore legislativo, in tanto in quanto Sezioni Unite Castignani 2019 è consapevole circa la semi-illegalità del mondo dei cannabinoderivati, specialmente quelli commestibili.

In terzo luogo, Sezioni Unite Castignani 2019 esclude dalla ratio degli incentivi agricoli della L. 242/2016 le foglie, le infiorescenze, l'olio e la resina della cannabis. Pertanto, Sezioni Unite Castignani 2019 asserisce che la cessione, la vendita, la commercializzazione delle parti fumabili della canapa rientra nell'alveo normativo penale dell'Art. 73 TU 309/90. Detto in altri termini, foglie, infiorescenze, olio e resina della canapa sono e rimangono “sostanze stupefacenti” non commercializzabili

In quarto ed ultimo luogo, Sezioni Unite Castignani 2019, non senza creare ambiguità, ribadisce che foglie, infiorescenze, olio e resina non sono alienabili, ma “il fatto non sussiste” qualora tali sostanze risultino prive di tenore drogante, giacché viene a mancare il requisito penale della “pericolosità” non astratta. Tuttavia, il tallone d'Achille di Sezioni Unite Castignani 2019 è quello di vietare la vendita della marjuana light, salvo successivamente richiamare la ratio scriminante dell'assenza di tenore drogante. Si tratta di un'ambiguità sottile che sfocia nella probatio diabolica.

 

La nozione di “efficacia drogante”

Sezioni Unite Castignani 2019 concludono, non senza ambiguità, che “ciò che occorre verificare è l'idoneità della sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante”. Similmente Cass., sez. pen. IV, 27 ottobre 2015, n. 4324 (anticipata da Cass., sez. pen. III, 9 ottobre 2014, n. 47670) evidenzia che l'Art. 73 TU 309/90 non è applicabile “a quelle condotte afferenti a quantitativi di sostanze stupefacenti talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l'assetto neuropsichico dell'utilizzatore”. Ecco, nuovamente, l'esclusione della pericolosità astratta dal campo del Diritto Penale. In effetti, nelle Motivazioni, Sezioni Unite Castignani 2019 ribadisce che “alla luce del canone ermeneutico fondato sul principio di offensività, occorre verificare la rilevanza penale della singola condotta collegata alla reale efficacia drogante delle sostanze oggetto di cessione”. Dunque, in Sezioni Unite Castignani 2019 domina, come sempre e come normale, la ratio della “contestualizzazione” concreta.

Rimane, perciò, basilare domandarsi cosa sia e come vada misurata l'efficacia drogante. In Sezioni Unite 47472/2007, l'efficacia drogante è “la quantità di principio attivo, per singola assunzione, idonea a produrre un effetto stupefacente”. Secondo Cass., sez. pen. VI, 10 novembre 2015, n. 5254 è necessario analizzare la “efficacia” psicotropa sulla base della “offensività in concreto”. Anche in Sezioni Unite 28605/2008, l'applicabilità dell'Art. 73 TU 309/90 dipende dalla “misura dell'offensività” della sostanza.

Tuttavia, almeno per la fattispecie della canapa, come notato da Cassazione 8393/2013, manca un parametro tossicologico numerico che indichi la soglia oltre la quale l'effetto stupefacente è “offensivo”. In effetti, Cassazione 8393/2013 avrebbe preferito una qualificazione “numerica”, dunque certa del limite dell'efficacia drogante. Più nel dettaglio, Cassazione 8393/2013 precisa che “sulla questione della rilevanza del concreto effetto drogante permane un contrasto nella Giurisprudenza di questa Corte, anche successivamente alla decisione di Sezioni Unite 9973/1998; decisione in forza della quale, è bene rammentarlo, la circostanza che il principio attivo contenuto nella singola sostanza oggetto di spaccio possa non superare la cosiddetta soglia drogante, in mancanza di ogni riferimento parametrico previsto per legge o per decreto, non ha rilevanza ai fini della punibilità del fatto”. Come si può notare, Cassazione 8393/2013 si manifesta favorevole all'introduzione “per legge o per decreto” di “riferimenti parametrici” algebrici in grado di oggettivizzare la ratio del “tenore drogante”; il che è già stato effettuato con successo in Sezioni Unite Biondi per la nozione di QMD. Nella Dottrina tossicologico-forense, taluni Autori hanno asserito che è impossibile pre-determinare limiti alla c.d. “ efficacia drogante”, in tanto in quanto ciascun soggetto ha una sua propria reazione personale di “resistenza” allo stupefacente. Oppure ancora, nella canapa, un contenuto elevato di CBD “corregge” assai lo stupor e l'ottundimento veicolato dal THC. Sarebbe come decretare dopo quanti bicchieri di una bevanda alcolica il fisico non reggerà; trattasi di una variabile molto soggettiva. In buona sostanza, per molto Tossicologi, è fuorviante, in Sezioni Unite Castignani 2019, parlare di “efficacia drogante”, giacché tale parametro dipende dalla robustezza psicofisica di ciascun singolo assuntore. Anche a parere di chi redige, Sezioni Unite Castignani 2019 ha generato confusioni ermeneutiche che richiedono l'intervento esplicito del Legislatore