Stupefacenti: connivenza non punibile e concorso morale del convivente
Abstract
Nella sentenza in commento, la Suprema Corte si sofferma sulla distinzione tra connivenza non punibile e concorso morale nel reato di detenzione di sostanza stupefacente, evidenziando come la mera convivenza non possa essere assunta quale prova del concorso morale.
In the judgment under review, focuses on the difference between not punishable consent and moral cooperation in the crime of drug dealing, highlighting how the mere cohabitation could not be considered as an evidence of moral cooperation.
Indice:
1. Contributo causale nel concorso di persone nel reato
2. Il concorso di persone nel reato. La rilevanza del contributo causale
3. La connivenza non punibile e la detenzione di sostanze stupefacenti
4. Il caso di specie e la soluzione adottata dalla Suprema Corte
1. Contributo causale nel concorso di persone nel reato
In tema di concorso di persone nel reato, centrale rilievo assume l’elemento del contributo causale: la responsabilità di ciascun concorrente presuppone, infatti, che sia apportato un contributo causale – materiale o morale – alla realizzazione dell’illecita condotta comune.
In proposito merita attenzione una recente pronuncia della Sezione Terza della Suprema Corte (18.11.2020, n. 32406) in tema di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, la quale si sofferma proprio sulla distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da un altro soggetto.
Il caso da cui muove la sentenza in esame è relativo ad un’ipotesi di detenzione di sostanza stupefacente all’interno di un immobile di proprietà comune tra due coniugi: all’esito di una perquisizione domiciliare, che si concludeva con il ritrovamento di circa 2 chilogrammi di marjiuana, entrambi venivano tratti in arresto per il reato di cui all’articolo 110 Codice Penale e 73 d.P.R. n. 309/90, nonostante il marito avesse decisamente escluso il coinvolgimento della consorte nell’attività di detenzione a fini di spaccio. Il Tribunale del Riesame riteneva però idoneo a qualificare il comportamento della medesima ai sensi dell’articolo 110 Codice Penale, in quanto la sua permanenza in casa nonostante l’assenza del marito con un rilevante quantitativo di droga – tra l’altro custodito con modalità non particolarmente occulte – non riteneva compatibile la condotta della donna con quella di una mera tolleranza all’agire criminoso del marito stesso.
Il quesito sotteso al caso di specie era quindi relativo all’elemento oggettivo dell’ipotesi concorsuale, è più specificamente al delicato confine intercorrente tra concorso morale e la mera connivenza non punibile.
2. Il concorso di persone nel reato. La rilevanza del contributo causale
Prima di analizzare compiutamente l’approccio ermeneutico della Suprema Corte in relazione al caso di cui si discorre, vale la pena soffermarsi preliminarmente sull’elemento oggettivo del reato concorsuale, in quanto il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha specificato che ciò non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione, almeno nella fase ideativa e preparatoria del reato, e di precisare sotto quale forma si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’articolo 110 Codice Penale con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Cass., SS.UU., 30 ottobre 2003, n. 45276).
Come è stato infatti correttamente osservato (Mantovani F., Diritto penale, Padova, 2017, 561) problema centrale del concorso è costituito dal contributo atipico minimo, necessario per concorrere nel reato. Infatti, la dottrina maggioritaria ha evidenziato che, mentre nella logica di un sistema penale oggettivistico puro avrebbe rilevanza la mera partecipazione materiale, in un sistema di carattere soggettivistico sarebbe viceversa sufficiente anche la mera adesione della volontà al reato. Diversamente, per il nostro ordinamento, di carattere misto e garantista, il problema va affrontato alla luce del principio di materialità e di responsabilità personale.
In relazione al primo, ciascun concorrente deve porre in essere un comportamento materiale esteriore, percepibile dai sensi, in quanto nella partecipazione criminosa vale l’esigenza garantista del cogitationis poenam nemo patitur. Di conseguenza, la mera adesione morale, puramente interna, all’altrui fatto criminoso è penalmente del tutto irrilevante.
In ossequio al secondo principio, in tema di responsabilità personale, il comportamento esteriore deve concretizzarsi in un contributo rilevante, materiale o morale, alla realizzazione del reato.
Ancora più specificatamente, si è affermato che si ha partecipazione penalmente rilevante quando l’agente, in fase ideativa, preparatoria od esecutiva del reato, abbia fornito un contributo che può qualificarsi alternativamente come necessario o agevolatore.
Necessario, avendo posto in essere una condicio sine qua non del reato stesso, nel senso che senza di esso questo non si sarebbe realizzato. Tale contributo può verificarsi al livello di partecipazione morale (dando luogo ad esempio alla determinazione dell’altrui proposito criminoso) o di partecipazione materiale, concretizzandosi in tutte le possibili forme di estrinsecazione del contributo fisico essenziale.
Agevolatore, laddove l’agente abbia soltanto facilitato la realizzazione del reato, nel senso di averla resa più probabile, più facile o più grave. Sicché senza la condotta il reato sarebbe stato egualmente commesso, ma con maggiori certezze di riuscita o difficoltà, oppure con minore gravità.
A seconda quindi che il contributo possa essere qualificato come necessario o agevolatore, il medesimo potrà poi realizzarsi in una forma di partecipazione materiale o morale: quest’ultima costituisce una figura minimale – ma rilevante – di partecipazione, sia in rapporto alla natura e alle peculiarità del fatto tipico e delle sue circostanze, sia in relazione alla concreta realizzazione di fatti sussumibili nella fattispecie di reato (Lattanzi G. – Lupo E., Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Milano, 2015, 165).
Come detto, proprio sul concorso morale si innesta il tema del labile confine tra il medesimo e la mera connivenza non punibile, oggetto della pronuncia in commento. Infatti, mentre quest’ultima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, la responsabilità concorsuale richiede sempre un contributo partecipativo positivo all’altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all’altro concorrente lo stimolo all’azione criminosa o un maggior senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa (Cass., Sez. V, 21 gennaio 2014, n. 2805). Ad esempio, si è precisato che la mera presenza fisica, nel luogo e nel momento di realizzazione del fatto, possa integrare un’ipotesi di concorso morale penalmente rilevante qualora si attui in modo tale da realizzare rafforzamento del proposito dell’autore materiale del reato e da agevolare la sua opera, sempre che il concorrente si sia rappresentato l’evento del reato ed abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell’autore materiale (Cass., Sez. II, 8 luglio 2013, n. 28885), e non invece quando si limiti ad un comportamento di mera passività senza esprimere in alcun modo un rafforzamento del proposito criminoso degli autori materiali (Cass., Sez. VI, 17 luglio 2012, n. 28698).
La casistica giurisprudenziale al riguardo è naturalmente ampia.
Ad esempio, in tema di furto, risponde del reato anche colui che si presti ad accompagnare l’autore materiale del delitto con la propria automobile sul luogo dell’azione, a seguirne le mosse o ad assicurargli il veicolo per la fuga. Tale condotta non è di mera connivenza o presenza passiva, ma integra gli estremi del concorso di persone nel reato, sia sul piano materiale, che psicologico (Cass. 26 ottobre 1981, Lombardi, Cass. pen. 1983, 280).
In relazione invece al delitto di violenza a pubblico ufficiale, è stato ritenuto non concorrere il soggetto che, pur presente all’aggressione ed alla minaccia al pubblico ufficiale perpetrate da altri per costringerlo a fare un atto contrario ai doveri di ufficio, si fosse limitato ad un comportamento di mera passività, senza esprimere in alcun modo un rafforzamento del proposito criminoso degli autori materiali (Cass., Sez. VI, 17 luglio 2012, n. 28698). Diversamente, integra il concorso morale nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, la condotta di colui che, assistendo ad una resistenza attiva posta in essere con violenza nei confronti di un pubblico ufficiale da un altro soggetto con il quale partecipi di una comune manifestazione collettiva, rafforzi l’altrui azione offensiva o ne aggravi gli effetti mettendo in discussione il corretto operato delle forze dell’ordine (Cass., Sez. VI, 15 maggio 2012, n. 18485).
È quindi evidente come in tema di connivenza non punibile domini un approccio casistico: i giudici hanno infatti avallato di volta in volta diverse interpretazioni con l’intento di conferire maggiore chiarezza all’istituto.
Ad esempio, in materia di violenza sessuale di gruppo si è affermato che, mentre è punibile l’istigatore, altrettanto non si può dire per il semplice spettatore (Cass., Sez. III, 20 aprile 2012, n. 15211). In un’altra ipotesi, la Suprema Corte ha accolto il rilievo per il quale mentre il concorso nel reato si realizza quando un soggetto arreca un apporto materiale/morale al comportamento criminoso altrui (con coscienza e volontà di cooperare), la connivenza non punibile prescinde da tale contributo e si configura come un atteggiamento passivo circoscritto ad un’adesione psicologica o ad una mera presenza sul luogo del reato (Cass., Sez. IV, 11 giugno 2014, n. 24615).
3. La connivenza non punibile e la detenzione di sostanze stupefacenti
Come è stato correttamente osservato (Manna A., Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, Giuffrè, 2020, 539) la fattispecie extracodicistica in cui la connivenza ha trovato maggior spazio è proprio quella relativa alle sostanze stupefacenti.
In diverse pronunce, i Supremi Giudici avevano già chiarito come, in materia di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato vada individuata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, nel concorso di persona punibile è richiesto un contributo partecipativo – morale o materiale – alla condotta criminosa altrui, caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell’evento illecito (Cass., Sez. III, 20 settembre 2012, n. 38716).
Il concorso ex articolo 110 Codice Penale esige infatti un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l’adesione morale, l’assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale.
Più precisamente, in tema di detenzione illecita di sostanza stupefacente, la giurisprudenza della Corte - spesso con riferimento al caso del coniuge o convivente - ha costantemente escluso il concorso ex articolo 110 Codice Penale in ipotesi di semplice comportamento negativo di chi assiste passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisce ed ostacola in vario modo la esecuzione, dato che non sussiste in tal caso un obbligo giuridico (articolo 40 comma 2 Codice Penale) di impedire l’evento (cfr. Cass. Sez. VI, 22 dicembre 1994, n. 12725).
Ne consegue che il solo comportamento omissivo, di mancata opposizione alla detenzione di droga da parte di "altri" non costituisce segno univoco di partecipazione morale; ferma restando la regola che, ai fini della configurabilità del concorso nel reato di cui all’articolo 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, è necessario e sufficiente che taluno partecipi all’altrui attività criminosa con la semplice volontà di adesione, che può manifestarsi in forme di agevolazione della detenzione anche solo assicurando al correo una “relativa sicurezza”, consistente nella consapevolezza dell’agente di apportare un contributo causale alla condotta altrui, già in atto ovvero nella disponibilità, anche implicitamente manifestata, di addurre, in caso di bisogno e necessità, comunque una propria attiva collaborazione, per cui l’aiuto che in seguito dovesse essere prestato viene a rientrare nella fattispecie del concorso di persona nel reato e non del favoreggiamento.
Va inoltre sottolineato che, per altrettanto pacifico indirizzo, il concorso è parimenti configurabile anche in ragione della semplice presenza, purché non meramente casuale, sul luogo dell’esecuzione del reato, quando essa sia servita a fornire all’autore del fatto stimolo all’azione o un maggior senso di sicurezza nella propria condotta (Cass., Sez. VI, 4 dicembre 1996, n. 1108).
È quest’ultima situazione che, a ben vedere, presenta i maggiori problemi di inquadramento, potendo non palesarsi con facilità quando la "presenza" sul luogo del reato possa presentare le caratteristiche del contributo penalmente rilevante sotto il profilo dello stimolo o anche solo della maggiore sicurezza all’azione dell’autore materiale.
Certo è, però, che la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime affatto il giudice di merito – come in precedenza ricordato – dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una "reale" partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale - pur prevista dall’articolo 110 Codice Penale - con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Cass., Sez. U, n. 45276 del 30 ottobre 2013).
La sentenza in commento affronta il tema della configurabilità del concorso con il coimputato convivente, nonché il difetto dei presupposti del contributo causale apportato all’azione delittuosa, atteso che, nel caso di specie, l’interessato aveva tenuto una condotta meramente passiva, concretatasi nella mancata opposizione alla detenzione della droga; tale atteggiamento, al più, per l’appunto avrebbe potuto integrare gli estremi della connivenza non punibile, poiché la frequentazione da parte di costui dei luoghi nei quali veniva detenuta la droga non era sufficiente ad integrare un contributo (neppure materiale) alla causazione del reato. La questione posta è, quindi, quella relativa alla qualificazione della condotta di colui che è consapevole della detenzione di sostanze stupefacenti da parte del soggetto con il quale convive, e se tale consapevolezza possa configurare un concorso nel reato o una mera connivenza non punibile.
Come evidenziato dalla dottrina (Manna A., op. cit., 540 e Grosso C.F. – Padovani T. – Pagliaro A., Trattato di diritto penale, Milano, Giuffrè, 2007, 387) è necessario far riferimento alla distinzione tra connivenza non punibile e concorso morale. La prima condotta presuppone, come ricordato in precedenza, un atteggiamento passivo o di inerzia da parte del soggetto preso in esame, il quale, nonostante sia a conoscenza della commissione di un reato, resta estraneo allo svolgimento e alla configurazione dello stesso. La condotta di concorso invece richiede un contributo causale, materiale o psicologico, che abbia consentito una più agevole commissione del delitto, stimolando o rafforzando il proposito criminoso del concorrente.
Secondo la Suprema Corte, l’applicazione concreta di tali principi al reato di detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute in un immobile nella proprietà o nel possesso comune con chi è in maniera incontrovertibile dedito al traffico di droga, si interseca con la necessità di individuare il limite che il godimento comune dell’immobile comporta rispetto al concorso nella detenzione della droga. Pertanto, la semplice condotta omissiva del connivente il quale si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo l’esecuzione, non è sufficiente a fondare un’affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato in quanto non sussiste in tale caso, un obbligo giuridico di impedire l’evento, come invece dispone l’articolo 40 comma 2 Codice Penale (Cass., Sez. III, 20 settembre 2012, n. 38716).
4. Il caso di specie e la soluzione adottata dalla Suprema Corte
La sentenza in commento non pare discostarsi dal consolidato orientamento in tema di concorso nell’ipotesi di cui all’articolo 73 d.P.R. 309/90, da parte del convivente. Ad avviso della Suprema Corte, la mera conoscenza dell’altrui attività criminosa non implica di per sé una responsabilità a titolo concorsuale, dovendosi verificare l’esistenza di un comportamento idoneo a incidere sulla dinamica dell’illecito.
In definitiva, ai fini della configurabilità del concorso di persone, è necessario un contributo causale, seppur in termini minimi di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l’adesione morale, l’assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale.
I Supremi Giudici, evidenziano che la responsabilità a titolo concorsuale del familiare convivente nel delitto di cui all’articolo 73 non può desumersi dalla circostanza che la droga sia custodita in luoghi accessibili della casa familiare, dal momento che la mera convivenza non può essere assunta quale prova del concorso morale.