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Sui diversi tipi di sorriso, sulla “faccia” e sull’ospitalità

Cina
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L’orgoglio di poter mostrare agli ospiti il vero volto del popolo cinese.

 

Vi sono Paesi nei quali la convivenza tra le persone è regolata da corpi giuridici complessi ed assai articolati, altri invece scelgono soluzioni più snelle. In Cina, al di là delle leggi esistenti, ce ne è una che tutti (anche le persone più semplici) conoscono e che viene inesorabilmente applicata: “Arricchitevi pure, ma non criticate il potere, altrimenti…”.

Tutto questo convive con l’antico concetto di “faccia”, secondo il quale tutto si può perdere, tranne la reputazione (ma taluni possono pretendere di salvarla comunque, anche di fronte all’evidenza, in virtù della posizione che occupano).

La Cina è un Paese con una cultura elaborata nel corso di lunghi secoli di storia. Non sempre è agevole il tentativo di decifrarla andando oltre la superficie.

Alle volte, tuttavia, riescono ad avvicinarsi alla sua essenza persone con una sensibilità particolare, che non sono neppure sinologi. Questo, ad esempio, è capitato a un poeta cileno, Pablo Neruda, che nel suo “Confesso che ho vissuto” ha narrato delle sue esperienze di viaggio in quel Paese negli Anni ’50 del secolo scorso: “Il sorriso è il più bel raccolto che la moltitudine sgrana”, raccontava. Spiegava poi, tuttavia, che lui aveva dovuto imparare a distinguere i sorrisi veri della gente comune da quelli formali “metti e leva” dei funzionari.

La Cina che ho conosciuto la prima volta che lì mi sono recato, negli Anni ‘70, non era quella che avevo immaginato. Non era abitata da “uomini nuovi” che avevano realizzato il socialismo, ma assomigliava piuttosto alla descrizione di Pablo Neruda. Eppure, nelle persone spesso si percepiva l’insegnamento di taoismo, confucianesimo, buddhismo sulle generazioni susseguitesi nel tempo.

Dal mio diario:

“Gli occidentali l’hanno sempre chiamato Yang Tse Kiang, ma nessun cinese lo conosce con questo nome. Loro dicono Chang Jiang, che vuol dire Fiume Lungo. Infatti, è il corso d’acqua più esteso della Cina (circa 6.500 km).

I missionari stranieri a suo tempo l’hanno battezzato Fiume Azzurro, per contrapporlo al Fiume Giallo, che scorre più a settentrione. Si dice che la civiltà cinese sia nata tra questi due importanti corsi d’acqua.

Insieme al mio amico tedesco Rolf decidiamo di percorrerlo in nave: quattro giorni da Chongqing, nel Sichuan, fino a Shanghai. I paesaggi da attraversare includono le famose Tre Gole, cantate da poeti cinesi come Li Bo, conosciuto come uno dei più sottili e trasgressivi del suo tempo (epoca Tang).

Come tutti gli studenti, disponiamo di scarse risorse finanziarie e pertanto, non potendo concederci una cabina, acquistiamo il passaggio in cuccette a castello in una camerata per 12 persone su una delle navi della linea “Dong Fang Hong” (L’Oriente è rosso). Ci consoliamo pensando che è sempre meglio di come viaggiano i passeggeri più poveri, che bivaccavano sul ponte.

A bordo non ci sono altri stranieri (sono scarsi in tutta la Cina) e Rolf dà nell’occhio perché, in quanto tedesco, ha i capelli biondi. Una signora si avvicina e, sorridendo, ci chiede: “Di dove siete?”. Le spieghiamo che siamo europei, di due Paesi che nel corso della storia a volte sono stati antagonisti, ma che noi siamo amici.

“Allora venite da molto lontano” “Beh, circa diecimila chilometri da qui” “Ma, dunque, le vostre famiglie sono molto lontane. Allora, qui saremo noi la vostra famiglia”.

Detto questo, comincia ad impartire indicazioni agli altri: “Tu vai a prendere loro qualcosa da mangiare in mensa; tu vai a terra a comperare qualche rivista; tu vai a parlare con il comandante perché aprano per loro i locali doccia”.

Tutti si precipitano ad eseguire. In loro si legge l’orgoglio di poter mostrare agli ospiti il vero volto del popolo cinese”.