Tribunale Torre Annunziata: continuazione della snc dopo la morte del socio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA

II SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Torre Annunziata, 2^ sezione civile, nelle persone di

1) Dott. Antonio Greco Presidente f.f.

2) Dott.ssa Stefania Starace Giudice

3) Dott.ssa Lara Vernaglia Lombardi Giudice rel.

riunito nella camera di consiglio del 23.9.2009 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa avente ad oggetto: “accertamento continuazione società”

TRA

Tizio, nella duplice qualità di socio collettivista e amministratore della “SURRIENTO di Caio & Tizio s.n.c.”, rapp.to e difeso, come da procura a margine dell’atto di citazione

ATTORE

E

Caio1, Caio2, nato a XXXXX il XXXXX, nella qualità di procuratore generale e speciale di Mevia e di Ottavia, e Caio3, nato a XXXX il XXXXX, nella qualità di procuratore generale e speciale di Caio4, rapp.ti e difesi, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTI

NONCHE’

Scribonia, rapp.ta e difesa, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTA

E

Caio5, Caio6 e Caio7

CONVENUTI CONTUMACI

Conclusioni: come da atti.

SVOLGIMENTO DELLA CAUSA

Per lo svolgimento del processo ci si riporta, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. e dell’art. 16 comma 5° del decreto legislativo 17.1.2003 n.5, all’atto di citazione, alle memorie di costituzione e risposta, alle memorie di repliche (sia di parte attorea che di parte convenuta), ed infine all’istanza di fissazione di udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda in questione è tesa ad accertare, a seguito del decesso di Caio, socio al 50% della società di cui in epigrafe, l’avvenuta continuazione della società stessa con gli eredi di quest’ultimo.

In particolare, parte attrice pone a sostegno della prospettazione appena esposta l’esistenza di una clausola contenuta nell’art. VII dei Patti Sociali secondo cui il consenso degli eredi del socio defunto alla continuazione della società si intende tacitamente prestato in mancanza di esplicita manifestazione di volontà in tal senso entro tre mesi dall’apertura della successione.

Essendo mancata una comunicazione tempestiva in questo senso da parte di alcuni eredi ed essendo mancato del tutto qualsiasi tipo di comunicazione da parte di altri eredi, secondo la tesi di parte attrice, quest’ultima desume dall’accettazione dell’eredità e dal tacito consenso alla continuazione della società, intervenuti prima del decorso di sei mesi dal decesso di Caio, l’avvenuta continuazione della società e l’esclusione della configurabilità, nella specie, di un’ipotesi di estinzione della società.

I convenuti hanno eccepito l’invalidità ed inopponibilità della clausola di continuazione richiamata nonché l’avvenuto scioglimento della società ex art. 2272 c.c.

Tanto premesso in fatto, ai fini di una corretta pronuncia in ordine alla questione sottoposta all’attenzione di questo Collegio, occorre analizzare la clausola in oggetto e inquadrarla nell’ambito delle norme che disciplinano le c.d. clausole di continuazione nelle società.

Occorre muovere dalla disposizione di cui all’art. 2284 c.c. che, nell’ipotesi di morte del socio nelle società di persone, prevede testualmente la possibilità che l’autonomia privata deroghi alla disciplina legislativa.

Delicati e controversi sono, tuttavia, i profili attinenti ai limiti oltre i quali l’autonomia negoziale non può operare, limiti da individuare alla luce di alcuni inderogabili principi vigenti in materia successoria e societaria tra i quali, in particolare, il divieto dei patti successori e il principio generale che impone, perché possa essere assunta responsabilità illimitata, la manifestazione di una volontà al riguardo.

Orbene, quanto alle clausole di continuazione, quale quella sottoposta all’esame di questo Collegio, esse si distinguono in tre distinte categorie rappresentate dalle clausole di continuazione facoltativa, dalle clausole di continuazione obbligatoria e dalle clausole di continuazione automatica.

In particolare, la clausola di continuazione facoltativa è caratterizzata dal fatto di attribuire agli eredi del socio defunto il diritto potestativo di continuare la società con i soci superstiti o di chiedere la liquidazione della quota, laddove la clausola di continuazione obbligatoria prevede l’obbligazione, in capo agli eredi del socio defunto, di porre in essere un atto di continuazione della società, con la conseguenza che essi saranno tenuti a risarcire i danni ai soci superstiti qualora non prestino il proprio consenso a tale continuazione, mentre la clausola di continuazione automatica prevede che gli eredi del socio defunto entrino automaticamente in società contestualmente all’accettazione dell’eredità.

Alla luce di tale distinzione, non può essere revocata in dubbio la configurabilità, nella specie, di una clausola di continuazione facoltativa prevedendo l’art. VII dei Patti sociali l’obbligo dei soci superstiti di continuare la società con gli eredi del socio defunto, obbligo, tuttavia, sospensivamente condizionato alla manifestazione espressa o tacita di consenso da parte di questi ultimi.

Invero, la suddetta clausola rispecchia le caratteristiche della clausola di continuazione facoltativa con la quale agli eredi del socio defunto viene riconosciuto il diritto di entrare a far parte della società in luogo del de cuius mentre a soci superstiti viene sottratta tale facoltà di scelta, loro riconosciuta dall’art. 2284 c.c.

E’ opportuno sottolineare, quanto alla natura della clausola in questione, che si discute, in dottrina, se essa debba essere ricondotta alla figura dell’opzione contrattuale (art. 1331 c.c.) o a quella del contratto a favore di terzi (i terzi che acquistano il diritto contro i promittenti per effetto della stipulazione, secondo il paradigma dell’art. 1411 c.c., sarebbero, naturalmente, gli eredi del defunto), tesi, quest’ultima, cui ha aderito anche una parte della giurisprudenza.

Certo è che, con essa, gli eredi divengono titolari di un diritto potestativo di origine contrattuale loro concesso attraverso una clausola che ha come scopo esclusivo la tutela degli interessi degli eredi medesimi di cui privilegia la volontà evitando problemi successori in quanto, da una parte, gli eredi non sono vincolati dalle stipulazioni del loro autore, dall’altra parte i soci superstiti sono tenuti a rispettare quanto preventivamente consentito senza contropartita, con la conseguenza che gli eredi sono liberi di profittare o meno del patto senza esporsi a sanzioni.

In virtù della clausola, insieme alle quote sociali cadute in successione, si trovano gli ulteriori diritti alle medesime connessi che quindi passano al chiamato, non già per atto inter vivos ma bensì iure hereditatatis con l’accettazione dell’eredità (cfr. Cass. 27 aprile 1968 n.1311 e Cass. 26 marzo 1974 n. 435), (App. Milano 7.5.1974, GI, 1975, I, 2, 295-33).

Inoltre, come statuito dalla giurisprudenza, “ secondo la tesi più attendibile, si configura tecnicamente come contratto a favore di terzi il patto con cui i soci riconoscono e stabiliscono la trasmissibilità per la causa di morte della quota di partecipazione di quel socio (o di quei soci) che premoriranno. In virtù di tale patto, perciò, (clausola con facoltà di continuazione, quale è quella prevista dall’art. 8 del contratto dedotto in giudizio) l’erede (o gli eredi) a favore del quale (o dei quali) il socio premorto aveva convenuto la trasmissibilità della quota, sarà libero di avvalersi del beneficio e, qualora se ne vorrà avvalere, dovrà farne espressa dichiarazione ai soci superstiti, promittenti del patto”.

Sempre ragionando nell’ambito del delineato schema del contratto a favore di terzi, non può quindi dubitarsi che la dichiarazione dell’erede di avvalersi del beneficio opera, per un verso, come condicio iuris sospensiva per l’acquisto della titolarità della quota e, per altro verso, è funzionalmente idonea a risolvere la situazione di incertezza che, alla morte del socio, inevitabilmente si viene a creare nella compagine sociale in relazione all’adempimento dei diversi possibili obblighi facenti capo ai soci superstiti: ammissione in società dell’erede o degli eredi che abbiano dichiarato di volersi avvalere del beneficio, liquidazione della quota all’erede o agli eredi che del beneficio non si siano avvalsi. (Trib. Milano 17.6.1974, GI, 1977, I, 2, 609).

Dai principi, appena richiamati, recepiti in dottrina e in giurisprudenza, si desume che la ratio sottesa alla validità della clausola di continuazione facoltativa è rispettata qualora la clausola sia articolata in modo tale da tutelare e porre in primo piano gli interessi e la volontà degli eredi.

Inoltre, appare imprescindibile dall’operatività della clausola l’acquisto, da parte del destinatario del diritto potestativo di entrare nella compagine sociale, della qualità di erede connessa all’accettazione del’eredità.

Tant’è che, perfino nell’ipotesi di clausola c.d. automatica, della cui legittimità attualmente si dubita fortemente, è intervenuta una pronuncia risalente nel tempo, prima che si consolidasse l’orientamento circa l’esclusione della validità della stessa, secondo cui “la clausola, contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto di una società, con cui si stabilisce che in caso di decesso la società continui automaticamente con gli eredi del socio defunto, non opera automaticamente nei confronti dell’erede designato, ma richiede pur sempre l’accettazione dell’eredità devoluta, nella quale sono comprese le quote sociali quale bene patrimoniale del socio defunto; pertanto l’acquisto delle quote si verifica per successione ereditaria e non iure proprio per effetto del patto sociale” (Cass. 27.4.1968, DF, 1968, II, 69).

Ne consegue che, nel caso di specie, la clausola in oggetto appare criticabile sotto un duplice profilo.

Il primo, più rilevante, è legato alla previsione di un termine di tre mesi, previsto per la manifestazione del consenso da parte degli eredi, decorrente dall’apertura della successione laddove non si è tenuto conto che l’apertura della successione è evento ben diverso dall’acquisto della qualità di erede connesso all’accettazione dell’eredità, ben potendo il chiamato all’eredità rinunziarvi o accettarla con beneficio di inventario.

In realtà, che parte attrice si sia resa conto di tanto emerge chiaramente dalla circostanza che in data 7.2.2005 depositò un ricorso ex art. 481 c.c. chiedendo la fissazione di un termine per l’accettazione di eredità, come si legge nel ricorso, proprio perché, esistendo la clausola di continuazione nei Patti Sociali, la società aveva “interesse a conoscere – per le implicazioni societarie correlate alla accettazione dei singoli chiamati dello status di erede, anche con riferimento alla illimitatezza della responsabilità personale dei soci propria del tipo societario di appartenenza – chi, dei chiamati all’eredità, intende acquisire lo status di coerede.”.

Orbene, agli atti vi sono le raccomandate dei convenuti, datate 5-7.3.2005 e ricevute prima dello spirare di tre mesi dal deposito del ricorso nonchè, per quanto riguarda Scribonia, raccomandata ricevuta l’8.2.2005 in cui si esprime il dissenso alla continuazione della società.

La circostanza che parte attrice è dovuta ricorrere al Giudice per la fissazione di un termine è illuminante circa il fatto che fino ad allora non vi era stata accettazione di eredità e, d’altra parte, in mancanza di qualsivoglia lettera o comunicazione, prima del deposito e della notificazione del ricorso suddetto, con le quali venissero comunicate ai chiamati all’eredità l’esistenza della clausola e la possibilità di esercitare una manifestazione di consenso o dissenso, non si vede come essi avrebbero potuto uniformarsi al contenuto della clausola.

Quanto, infine, al consenso tacitamente espresso secondo la previsione dell’ultima parte della clausola nella parte in cui stabilisce che “ in caso di mancata esplicita manifestazione di volontà in tal senso nel termine di cui sopra, il consenso degli eredi alla continuazione della Società si intenderà tacitamente prestato”, anche sotto tale profilo il consenso tacitamente espresso deve intendersi sempre espresso per fatti concludenti, fatti non provati da parte attrice, in ossequio al principio per cui in materia non si può prescindere dalla volontà degli eredi.

La domanda dell’attore, pertanto, non può essere accolta in quanto destituita di fondamento.

Quanto alla domanda spiegata in via riconvenzionale dai convenuti in ordine all’accertamento dell’avvenuto scioglimento della società e conseguente messa in liquidazione della stessa, osserva questo Collegio che essa deve essere rigettata.

Invero, come statuito dalla giurisprudenza, “nelle società di persone (nella specie: società di fatto), gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest’ultimo nell’ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga; pertanto, gli eredi non sono legittimati a chiedere la liquidazione della società nè possono vantare un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione, che, nella società di persone, è facoltativa, potendo i soci sostituirla con altre modalità di estinzione o chiedere al giudice nei modi ordinari di definire i rapporti di dare e avere.” (Cassazione civile, sez. I, 14 marzo 2001, n. 3671).

Così, la mancata assunzione della qualità di soci in capo ai convenuti non legittima questi ultimi a chiedere lo scioglimento della società ad opera dell’autorità giudiziaria.

Sussistono giusti motivi, atteso il rigetto sia della domanda principale che delle domande riconvenzionali, per dichiarare interamente compensate, tra le parti, le spese di lite.

Infine, ricorrendo un’ipotesi di mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi, si ritiene opportuno segnalare la sussistenza della stessa al Registro delle Imprese giusta il disposto dell’art. 3 lettera d) del D.P.R. 27.7.2004 n. 247 che disciplina la procedura da avviare anche a seguito di segnalazione da parte di altro pubblico ufficio.

P. Q. M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

a) rigetta la domanda dell’attore;

b) rigetta la domanda riconvenzionale dei convenuti;

c) dichiara interamente compensate, tra le parti, le spese di lite;

d) manda alla Cancelleria di segnalare al Registro delle Imprese la sussistenza di un’ipotesi di mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di legge.

Torre Annunziata, 27.9.2009.

Il Presidente

Dott. Antonio Greco

Il Giudice

Dr.ssa Lara Vernaglia Lombardi

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TORRE ANNUNZIATA

II SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Torre Annunziata, 2^ sezione civile, nelle persone di

1) Dott. Antonio Greco Presidente f.f.

2) Dott.ssa Stefania Starace Giudice

3) Dott.ssa Lara Vernaglia Lombardi Giudice rel.

riunito nella camera di consiglio del 23.9.2009 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa avente ad oggetto: “accertamento continuazione società”

TRA

Tizio, nella duplice qualità di socio collettivista e amministratore della “SURRIENTO di Caio & Tizio s.n.c.”, rapp.to e difeso, come da procura a margine dell’atto di citazione

ATTORE

E

Caio1, Caio2, nato a XXXXX il XXXXX, nella qualità di procuratore generale e speciale di Mevia e di Ottavia, e Caio3, nato a XXXX il XXXXX, nella qualità di procuratore generale e speciale di Caio4, rapp.ti e difesi, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTI

NONCHE’

Scribonia, rapp.ta e difesa, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTA

E

Caio5, Caio6 e Caio7

CONVENUTI CONTUMACI

Conclusioni: come da atti.

SVOLGIMENTO DELLA CAUSA

Per lo svolgimento del processo ci si riporta, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. e dell’art. 16 comma 5° del decreto legislativo 17.1.2003 n.5, all’atto di citazione, alle memorie di costituzione e risposta, alle memorie di repliche (sia di parte attorea che di parte convenuta), ed infine all’istanza di fissazione di udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda in questione è tesa ad accertare, a seguito del decesso di Caio, socio al 50% della società di cui in epigrafe, l’avvenuta continuazione della società stessa con gli eredi di quest’ultimo.

In particolare, parte attrice pone a sostegno della prospettazione appena esposta l’esistenza di una clausola contenuta nell’art. VII dei Patti Sociali secondo cui il consenso degli eredi del socio defunto alla continuazione della società si intende tacitamente prestato in mancanza di esplicita manifestazione di volontà in tal senso entro tre mesi dall’apertura della successione.

Essendo mancata una comunicazione tempestiva in questo senso da parte di alcuni eredi ed essendo mancato del tutto qualsiasi tipo di comunicazione da parte di altri eredi, secondo la tesi di parte attrice, quest’ultima desume dall’accettazione dell’eredità e dal tacito consenso alla continuazione della società, intervenuti prima del decorso di sei mesi dal decesso di Caio, l’avvenuta continuazione della società e l’esclusione della configurabilità, nella specie, di un’ipotesi di estinzione della società.

I convenuti hanno eccepito l’invalidità ed inopponibilità della clausola di continuazione richiamata nonché l’avvenuto scioglimento della società ex art. 2272 c.c.

Tanto premesso in fatto, ai fini di una corretta pronuncia in ordine alla questione sottoposta all’attenzione di questo Collegio, occorre analizzare la clausola in oggetto e inquadrarla nell’ambito delle norme che disciplinano le c.d. clausole di continuazione nelle società.

Occorre muovere dalla disposizione di cui all’art. 2284 c.c. che, nell’ipotesi di morte del socio nelle società di persone, prevede testualmente la possibilità che l’autonomia privata deroghi alla disciplina legislativa.

Delicati e controversi sono, tuttavia, i profili attinenti ai limiti oltre i quali l’autonomia negoziale non può operare, limiti da individuare alla luce di alcuni inderogabili principi vigenti in materia successoria e societaria tra i quali, in particolare, il divieto dei patti successori e il principio generale che impone, perché possa essere assunta responsabilità illimitata, la manifestazione di una volontà al riguardo.

Orbene, quanto alle clausole di continuazione, quale quella sottoposta all’esame di questo Collegio, esse si distinguono in tre distinte categorie rappresentate dalle clausole di continuazione facoltativa, dalle clausole di continuazione obbligatoria e dalle clausole di continuazione automatica.

In particolare, la clausola di continuazione facoltativa è caratterizzata dal fatto di attribuire agli eredi del socio defunto il diritto potestativo di continuare la società con i soci superstiti o di chiedere la liquidazione della quota, laddove la clausola di continuazione obbligatoria prevede l’obbligazione, in capo agli eredi del socio defunto, di porre in essere un atto di continuazione della società, con la conseguenza che essi saranno tenuti a risarcire i danni ai soci superstiti qualora non prestino il proprio consenso a tale continuazione, mentre la clausola di continuazione automatica prevede che gli eredi del socio defunto entrino automaticamente in società contestualmente all’accettazione dell’eredità.

Alla luce di tale distinzione, non può essere revocata in dubbio la configurabilità, nella specie, di una clausola di continuazione facoltativa prevedendo l’art. VII dei Patti sociali l’obbligo dei soci superstiti di continuare la società con gli eredi del socio defunto, obbligo, tuttavia, sospensivamente condizionato alla manifestazione espressa o tacita di consenso da parte di questi ultimi.

Invero, la suddetta clausola rispecchia le caratteristiche della clausola di continuazione facoltativa con la quale agli eredi del socio defunto viene riconosciuto il diritto di entrare a far parte della società in luogo del de cuius mentre a soci superstiti viene sottratta tale facoltà di scelta, loro riconosciuta dall’art. 2284 c.c.

E’ opportuno sottolineare, quanto alla natura della clausola in questione, che si discute, in dottrina, se essa debba essere ricondotta alla figura dell’opzione contrattuale (art. 1331 c.c.) o a quella del contratto a favore di terzi (i terzi che acquistano il diritto contro i promittenti per effetto della stipulazione, secondo il paradigma dell’art. 1411 c.c., sarebbero, naturalmente, gli eredi del defunto), tesi, quest’ultima, cui ha aderito anche una parte della giurisprudenza.

Certo è che, con essa, gli eredi divengono titolari di un diritto potestativo di origine contrattuale loro concesso attraverso una clausola che ha come scopo esclusivo la tutela degli interessi degli eredi medesimi di cui privilegia la volontà evitando problemi successori in quanto, da una parte, gli eredi non sono vincolati dalle stipulazioni del loro autore, dall’altra parte i soci superstiti sono tenuti a rispettare quanto preventivamente consentito senza contropartita, con la conseguenza che gli eredi sono liberi di profittare o meno del patto senza esporsi a sanzioni.

In virtù della clausola, insieme alle quote sociali cadute in successione, si trovano gli ulteriori diritti alle medesime connessi che quindi passano al chiamato, non già per atto inter vivos ma bensì iure hereditatatis con l’accettazione dell’eredità (cfr. Cass. 27 aprile 1968 n.1311 e Cass. 26 marzo 1974 n. 435), (App. Milano 7.5.1974, GI, 1975, I, 2, 295-33).

Inoltre, come statuito dalla giurisprudenza, “ secondo la tesi più attendibile, si configura tecnicamente come contratto a favore di terzi il patto con cui i soci riconoscono e stabiliscono la trasmissibilità per la causa di morte della quota di partecipazione di quel socio (o di quei soci) che premoriranno. In virtù di tale patto, perciò, (clausola con facoltà di continuazione, quale è quella prevista dall’art. 8 del contratto dedotto in giudizio) l’erede (o gli eredi) a favore del quale (o dei quali) il socio premorto aveva convenuto la trasmissibilità della quota, sarà libero di avvalersi del beneficio e, qualora se ne vorrà avvalere, dovrà farne espressa dichiarazione ai soci superstiti, promittenti del patto”.

Sempre ragionando nell’ambito del delineato schema del contratto a favore di terzi, non può quindi dubitarsi che la dichiarazione dell’erede di avvalersi del beneficio opera, per un verso, come condicio iuris sospensiva per l’acquisto della titolarità della quota e, per altro verso, è funzionalmente idonea a risolvere la situazione di incertezza che, alla morte del socio, inevitabilmente si viene a creare nella compagine sociale in relazione all’adempimento dei diversi possibili obblighi facenti capo ai soci superstiti: ammissione in società dell’erede o degli eredi che abbiano dichiarato di volersi avvalere del beneficio, liquidazione della quota all’erede o agli eredi che del beneficio non si siano avvalsi. (Trib. Milano 17.6.1974, GI, 1977, I, 2, 609).

Dai principi, appena richiamati, recepiti in dottrina e in giurisprudenza, si desume che la ratio sottesa alla validità della clausola di continuazione facoltativa è rispettata qualora la clausola sia articolata in modo tale da tutelare e porre in primo piano gli interessi e la volontà degli eredi.

Inoltre, appare imprescindibile dall’operatività della clausola l’acquisto, da parte del destinatario del diritto potestativo di entrare nella compagine sociale, della qualità di erede connessa all’accettazione del’eredità.

Tant’è che, perfino nell’ipotesi di clausola c.d. automatica, della cui legittimità attualmente si dubita fortemente, è intervenuta una pronuncia risalente nel tempo, prima che si consolidasse l’orientamento circa l’esclusione della validità della stessa, secondo cui “la clausola, contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto di una società, con cui si stabilisce che in caso di decesso la società continui automaticamente con gli eredi del socio defunto, non opera automaticamente nei confronti dell’erede designato, ma richiede pur sempre l’accettazione dell’eredità devoluta, nella quale sono comprese le quote sociali quale bene patrimoniale del socio defunto; pertanto l’acquisto delle quote si verifica per successione ereditaria e non iure proprio per effetto del patto sociale” (Cass. 27.4.1968, DF, 1968, II, 69).

Ne consegue che, nel caso di specie, la clausola in oggetto appare criticabile sotto un duplice profilo.

Il primo, più rilevante, è legato alla previsione di un termine di tre mesi, previsto per la manifestazione del consenso da parte degli eredi, decorrente dall’apertura della successione laddove non si è tenuto conto che l’apertura della successione è evento ben diverso dall’acquisto della qualità di erede connesso all’accettazione dell’eredità, ben potendo il chiamato all’eredità rinunziarvi o accettarla con beneficio di inventario.

In realtà, che parte attrice si sia resa conto di tanto emerge chiaramente dalla circostanza che in data 7.2.2005 depositò un ricorso ex art. 481 c.c. chiedendo la fissazione di un termine per l’accettazione di eredità, come si legge nel ricorso, proprio perché, esistendo la clausola di continuazione nei Patti Sociali, la società aveva “interesse a conoscere – per le implicazioni societarie correlate alla accettazione dei singoli chiamati dello status di erede, anche con riferimento alla illimitatezza della responsabilità personale dei soci propria del tipo societario di appartenenza – chi, dei chiamati all’eredità, intende acquisire lo status di coerede.”.

Orbene, agli atti vi sono le raccomandate dei convenuti, datate 5-7.3.2005 e ricevute prima dello spirare di tre mesi dal deposito del ricorso nonchè, per quanto riguarda Scribonia, raccomandata ricevuta l’8.2.2005 in cui si esprime il dissenso alla continuazione della società.

La circostanza che parte attrice è dovuta ricorrere al Giudice per la fissazione di un termine è illuminante circa il fatto che fino ad allora non vi era stata accettazione di eredità e, d’altra parte, in mancanza di qualsivoglia lettera o comunicazione, prima del deposito e della notificazione del ricorso suddetto, con le quali venissero comunicate ai chiamati all’eredità l’esistenza della clausola e la possibilità di esercitare una manifestazione di consenso o dissenso, non si vede come essi avrebbero potuto uniformarsi al contenuto della clausola.

Quanto, infine, al consenso tacitamente espresso secondo la previsione dell’ultima parte della clausola nella parte in cui stabilisce che “ in caso di mancata esplicita manifestazione di volontà in tal senso nel termine di cui sopra, il consenso degli eredi alla continuazione della Società si intenderà tacitamente prestato”, anche sotto tale profilo il consenso tacitamente espresso deve intendersi sempre espresso per fatti concludenti, fatti non provati da parte attrice, in ossequio al principio per cui in materia non si può prescindere dalla volontà degli eredi.

La domanda dell’attore, pertanto, non può essere accolta in quanto destituita di fondamento.

Quanto alla domanda spiegata in via riconvenzionale dai convenuti in ordine all’accertamento dell’avvenuto scioglimento della società e conseguente messa in liquidazione della stessa, osserva questo Collegio che essa deve essere rigettata.

Invero, come statuito dalla giurisprudenza, “nelle società di persone (nella specie: società di fatto), gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest’ultimo nell’ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga; pertanto, gli eredi non sono legittimati a chiedere la liquidazione della società nè possono vantare un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione, che, nella società di persone, è facoltativa, potendo i soci sostituirla con altre modalità di estinzione o chiedere al giudice nei modi ordinari di definire i rapporti di dare e avere.” (Cassazione civile, sez. I, 14 marzo 2001, n. 3671).

Così, la mancata assunzione della qualità di soci in capo ai convenuti non legittima questi ultimi a chiedere lo scioglimento della società ad opera dell’autorità giudiziaria.

Sussistono giusti motivi, atteso il rigetto sia della domanda principale che delle domande riconvenzionali, per dichiarare interamente compensate, tra le parti, le spese di lite.

Infine, ricorrendo un’ipotesi di mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di sei mesi, si ritiene opportuno segnalare la sussistenza della stessa al Registro delle Imprese giusta il disposto dell’art. 3 lettera d) del D.P.R. 27.7.2004 n. 247 che disciplina la procedura da avviare anche a seguito di segnalazione da parte di altro pubblico ufficio.

P. Q. M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

a) rigetta la domanda dell’attore;

b) rigetta la domanda riconvenzionale dei convenuti;

c) dichiara interamente compensate, tra le parti, le spese di lite;

d) manda alla Cancelleria di segnalare al Registro delle Imprese la sussistenza di un’ipotesi di mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine di legge.

Torre Annunziata, 27.9.2009.

Il Presidente

Dott. Antonio Greco

Il Giudice

Dr.ssa Lara Vernaglia Lombardi