x

x

Tutela dell’ordine pubblico e responsabilità disciplinare delle società di calcio

Il tema in argomento si pone in stretto legame con quello più ampio afferente alla gestione della sicurezza degli impianti sportivi sotto il profilo della responsabilità disciplinare della società di calcio alla luce di quanto prevedono, specificamente, le disposizioni regolamentari contenute nel Codice di Giustizia Sportiva (C.G.S.) e nelle Norme Organizzative Interne F.I.G.C. (c.d. N.O.I.F.).

Mi riferisco, in particolare, agli artt. 4 C.G.S. (Responsabilità delle società), art. 11 C.G.S. (Responsabilità per comportamenti discriminatori), art. 12 C.G.S (Prevenzione dei fatti violenti), 13 C.G.S. (Esimente e attenuanti per comportamenti dei propri sostenitori) e 14 C.G.S. (Responsabilità delle società per fatti violenti dei sostenitori) e all’art. 62 N.O.I.F. (Tutela dell’ordine pubblico in occasione delle gare), quale disposizione regolamentare di carattere generale al cui contenuto si riporta, in maniera più specifica, la disciplina prevista dal C.G.S., così come appena individuata.

Infatti, l’art. 62 N.O.I.F., in sintesi, prevede:

- la responsabilità delle società in relazione al mantenimento dell’ordine pubblico sui propri campi di giuoco e al comportamento dei loro sostenitori anche su campi diversi dal proprio;

- il divieto di introduzione e/o di utilizzazione, negli impianti sportivi, di materiale pirotecnico di qualsiasi genere, di strumenti e di oggetti comunque idonei ad offendere, di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose, incitanti alla violenza o discriminatorie;

- l’obbligo delle società sportive di adottare tutti i provvedimenti idonei ad impedire che lo svolgimento della gara sia disturbato dal suono di strumenti che comunque rechino molestia, dal lancio e dallo sparo di materiale pirotecnico di qualsiasi genere, da cori, grida e da ogni altra espressione discriminatoria, nonché di far rimuovere, prima che la gara abbia inizio, qualsiasi disegno o dicitura in qualunque modo esposti, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose, incitanti alla violenza o discriminatorie.

E’ noto che ogni club, in occasione della disputa delle gare interne, assume il ruolo e la veste di organizzatore dell’evento sportivo e, come tale, in base alla disciplina domestica di settore, é tenuto ad adottare ogni più opportuna iniziativa volta a favorire la prevenzione dell’insorgere di disordini e quant’altro.

Pertanto, possiamo individuare due situazioni giuridiche contrapposte: una, attiva, che si manifesta nell’esercizio del potere disciplinare da parte della F.I.G.C., l’altra, invece, passiva, che, invece, va individuata nella responsabilità disciplinare in cui incorre società sportiva.

In definitiva, dunque, siamo in presenza di un potere di supremazia speciale, in base al quale viene imposto ad altri, ovvero ai soggetti che in virtù dell’affiliazione (per le società sportive) e del tesseramento (per le persone fisiche) l’osservanza di determinate regole.

L’esercizio di tale forma di potere é, da un lato, di natura precettiva, dall’altro, di natura punitiva, nel senso che la F.I.G.C. disciplina i comportamenti cui i soggetti dell’ordinamento sportivo sono tenuti ad uniformarsi e, nel contempo, disciplina l’applicazione delle sanzioni previste in ipotesi di violazione.

Convenzionalmente, possiamo distinguere le sanzioni in quattro categorie:

- le sanzioni puramente morali;

- le sanzioni che comportano la temporanea o definitiva privazione di diritti, con contenuto patrimoniale o meno;

- quelle che generano un’obbligazione patrimoniale;

- quelle espulsive.

Evidentemente, le sanzioni a carico delle società, in relazione alle fattispecie in argomento, hanno natura generalmente patrimoniale ma, nei casi più gravi, valutati con particolare riguardo alla recidiva (sanzione per fatti della stessa natura nel corso della medesima stagione sportiva), all’ammenda può aggiungersi l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse (art. 18, c. 1, lettera d, C.G.S.), l’obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori (art. 18, c. 1, lettera e, C.G.S.), nonché la squalifica del campo per una o più giornate di gara o a tempo determinato, fino a due anni (art. 18, c. 1, lettera f, C.G.S.).

Al riguardo, un sicuro ambito conflittuale é quello che afferisce al sempre controverso istituto della c.d. responsabilità oggettiva, in base alla quale un soggetto viene ritenuto responsabile di un illecito anche se esso non abbia avuto origine da un suo comportamento e non sia riconducibile al dolo o alla colpa del soggetto medesimo.

Nell’ottica dell’autonomia riconosciuta all’ordinamento sportivo (definitivamente sancita con l’entrata in vigore della L. n. 280/03 a seguito del noto caso Catania), le ipotesi di responsabilità oggettiva formulate dal Legislatore sportivo fondano la propria ragion d’essere nell’esigenza di assicurare il pacifico svolgimento dell’attività sportiva, anche se, da sempre, é netta la contrapposizione tra gli interpreti che assumono la piena legittimità (e l’opportunità) di tale istituto giuridico e quelli che, invece, la negano in toto.

Ad esempio, spesso viene sottolineato come l’inibizione dell’accesso all’impianto sportivo o a un singolo settore dello stesso stabilita da una decisione del G.S. (Giudice Sportivo) si riverberi troppo indiscriminatamente sia nei riguardi dei sostenitori che delle società sportive incolpevoli, manifestandosi ispirata da logiche di rappresaglia piuttosto che da un vero e proprio senso di giustizia.

In aggiunta, tale meccanismo sanzionatorio sarebbe inficiato, a detta di molti, da evidenti profili di incostituzionalità, e comunque, sarebbe inefficace, oltre che penalizzante proprio nei riguardi di coloro che, con tutta probabilità, sono vittime di certe situazioni in cui si sovrappongo le più diverse dinamiche delinquenziali.

In tema, potrebbe essere condivisibile l’impostazione, di cui di tanto in tanto si torna a discutere, per la quale la responsabilità oggettiva dovrebbe essere rivista in senso “temperato”, per così dire, in base al principio di sussidiarietà.

In sostanza, le società sportive sarebbero sottoposte a sanzioni soltanto nell’ipotesi di mancata individuazione dei responsabili dei comportamenti violenti e/o antisportivi, atteso che, ad oggi, proprio in virtù dei sofisticati sistemi di controllo a circuito chiuso presenti negli stadi, la loro identificazione risulta, generalmente, piuttosto agevole e immediata.

Per la verità, il predetto meccanismo sanzionatorio non ha, ad oggi, prodotto significativi risultati in termini di deterrenza dei fenomeni di violenza negli stadi e, non lo si può negare, rischia, sempre più, di rendere le società sportive, senza considerare ciò che si é verificato già nel corso degli anni passati, facile ostaggio di chi intenda sottoporle a ogni genere di ricatto.

In definitiva, la responsabilità oggettiva sussidiaria premierebbe i comportamenti civicamente virtuosi dei tifosi, incentivando l’isolamento e la denuncia dei soggetti più facinorosi e più violenti.

Dunque, se da un lato assume rilievo l’art. 4, c. 3 e c. 4, C.G.S., quale precetto generale, per cui:

- le società (oltre a rispondere oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti e dei tesserati, c. 1) rispondono oggettivamente anche dell’operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello delle società ospitanti, fatti salvi i doveri di queste ultime (c. 3);

- le società sono responsabili dell’ordine e della sicurezza prima, durante e dopo lo svolgimento della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti. La mancata richiesta della forza pubblica comporta, in ogni caso, un aggravamento delle sanzioni (c. 4),

dall’altro é particolarmente interessante focalizzare l’attenzione sull’art. 13 C.G.S., che, invece, disciplina le esimenti e le attenuanti, in presenza delle quali, i profili di responsabilità eventualmente ascritti alla società sportiva in relazione ai comportamenti illeciti dei propri sostenitori possono venire meno del tutto o, comunque, attenuati.

Va osservato, però, che il richiamato art. 13 C.G.S. opera espresso riferimento solo agli artt. 11 e 12 C.G.S., per cui le esimenti e le attenuanti di cui trattasi né possono assumere rilevanza in relazione a condotte tenute da altri soggetti, le quali comportino una responsabilità diretta o oggettiva delle società, né possono essere invocate in presenza di violazioni e/o di illeciti previsti da disposizioni regolamentari diverse da quelle espressamente citate.

Dunque, l’art. 13 C.G.S. prescrive, in particolare, che

- la società non risponde per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli artt. 11 e 12 se ricorrono congiuntamente tre delle seguenti circostanze:

a) la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo;

b) la società ha concretamente cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni;

c) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione;

d) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti;

e) non vi è stata omessa o insufficiente prevenzione e vigilanza da parte della società. La responsabilità della società per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli artt. 11 e 12 è attenuata se la società prova la sussistenza di alcune delle circostanze elencate nel precedente c. 1, mentre, addirittura, ex art. 14, c. 1 e c. 5, C.G.S., in ipotesi di fatti violenti commessi in occasione della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti, quando siano collegati ad altri comportamenti posti in essere all’interno dell’impianto sportivo, se dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica o un danno grave all’incolumità fisica di una o più persone (c. 1), la sussistenza di una delle circostanze di cui all’art. 13, c. 1, lettere a) e b), C.G.S. può costituire elemento valutativo per l’organo di giustizia sportiva al fine della non applicazione o dell’attenuazione delle sanzioni (c. 5).

E’ il caso, ad esempio, di una recentissima decisione del Giudice Sportivo c/o L.N.P. (C.U. n. 211 del 22/02/2010) la quale, in relazione agli incidenti occorsi sugli spalti dello Stadio Olimpico di Torino nel corso della partita Juventus-Genoa (14/02/2010), ha sanzionato entrambe le società tenendo conto, da un lato, della rilevanza disciplinare dei comportamenti tenuti dai sostenitori di entrambe le squadre (fitto lancio di petardi, sedili divelti, tentativo di abbattimento dei cancelli divisori), dall’altro, della sussistenza, per entrambe le società, delle circostanze attenuanti di cui all’art. 13, c. 1, lettere a) e b), C.G.S..

A mero titolo esemplificativo, sempre avuto specifico riguardo all’esimente di cui alla lettera a) dell’art. 13 C.G.S. (l’adozione e l’efficace attuazione, prima del fatto, di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo), la Corte di Giustizia Federale F.I.G.C. (C.U. n. 292 del 15/02/2008) ha stabilito che, ai fini della sua sussistenza “occorre provare non solo l’adozione di efficaci modelli di organizzazione e di gestione astrattamente idonei a prevenire i comportamenti sanzionati dalla norma, ma é, altresì, necessario fornire la prova che gli stessi siano stati efficacemente attuati prima del fatto”.

L’efficace attuazione dei predetti modelli organizzativo-gestionali, ad esempio, risulta pienamente realizzata qualora la società sportiva “impieghi risorse finanziarie e umane adeguate, prevedendo anche specifiche misure di prevenzione” (Giudice Sportivo L.N.P. C.U. n. 107 del 27/10/2008).

Invero, i modelli organizzativi e di gestione cui fa riferimento l’art. 13, c. 1, lettera a), C.G.S., in presenza dei quali, come detto, l’eventuale responsabilità del club viene del tutto meno o viene attenuata, non risultano compiutamente individuabili, né vige una disposizione regolamentare integrativa che ne disciplini al meglio i contenuti specifici.

La L.N.P., con circolare n. 14 del 22/08/2008, ha provveduto ad informare adeguatamente le società sportive in ordine alle direttive e alle istruzioni fornite dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive (O.N.M.S.), le quali possono costituire il contenuto minimo dei modello organizzativo-gestionali idonei a prevenire la commissione di fatti violenti o discriminatori che le varie società sportive sono invitate ad adottare, ma che, al momento, non possono essere considerate sufficientemente esaustive.

Peraltro, la predisposizione dei predetti modelli organizzativo-gestionali dovrebbe riguardare anche la prevenzione di condotte tenute (dalle persone fisiche riconducibili alla società sportiva) in violazione del principio di lealtà, correttezza e probità di cui all’art. 1, c. 1, C.G.S., così come espressamente prevede l’art. 7, c. 5, Statuto F.I.G.C. che riserva al Consiglio Federale il compito di emanare specifiche norme al riguardo, pur se, ad oggi, la richiamata disposizione statutaria non ha avuto ancora concreta attuazione.

In conclusione, si può affermare che il raggiungimento degli standard di sicurezza posti a presidio degli impianti sportivi (e delle relative adiacenze) attengono anche, e soprattutto, alle persone, non essendo sufficiente l’esclusiva corretta realizzazione dei prototipi.

La predisposizione di poltroncine ignifughe non protegge dagli atti di chi le sradica e le scaglia sugli altri spettatori o in campo, né alcuna barriera divisoria che isoli lo spazio destinato allo svolgimento dell’attività agonistica ha sinora impedito l’invasione del terreno di gioco o il lancio di fumogeni, petardi, oggetti contundenti e quant’altro.

Di conseguenza, educare il sostenitore a vivere lo sport con fair play è indispensabile, perché, diversamente, la società sportiva non potrà che continuare a subire ogni genere di nocumento:

- danno socio-sportivo, per cui ci si allontana dalla partecipazione allo sport e si smarriscono i valori positivi che il fenomeno sportivo generalmente inteso contiene;

- danno materiale, per cui si pone il problema dei danneggiamenti dello stesso impianto sportivo (sedie sradicate, vetri rotti, spazi bruciati o rovinati, etc.) e dei luoghi adiacenti;

- danno economico, per cui, anche in tal caso, si pone il problema di chi debba accollarsi gli oneri finanziari necessari per pagare i danni materiali;

- danno d’immagine, sempre difficile da contenere.

Il tema in argomento si pone in stretto legame con quello più ampio afferente alla gestione della sicurezza degli impianti sportivi sotto il profilo della responsabilità disciplinare della società di calcio alla luce di quanto prevedono, specificamente, le disposizioni regolamentari contenute nel Codice di Giustizia Sportiva (C.G.S.) e nelle Norme Organizzative Interne F.I.G.C. (c.d. N.O.I.F.).

Mi riferisco, in particolare, agli artt. 4 C.G.S. (Responsabilità delle società), art. 11 C.G.S. (Responsabilità per comportamenti discriminatori), art. 12 C.G.S (Prevenzione dei fatti violenti), 13 C.G.S. (Esimente e attenuanti per comportamenti dei propri sostenitori) e 14 C.G.S. (Responsabilità delle società per fatti violenti dei sostenitori) e all’art. 62 N.O.I.F. (Tutela dell’ordine pubblico in occasione delle gare), quale disposizione regolamentare di carattere generale al cui contenuto si riporta, in maniera più specifica, la disciplina prevista dal C.G.S., così come appena individuata.

Infatti, l’art. 62 N.O.I.F., in sintesi, prevede:

- la responsabilità delle società in relazione al mantenimento dell’ordine pubblico sui propri campi di giuoco e al comportamento dei loro sostenitori anche su campi diversi dal proprio;

- il divieto di introduzione e/o di utilizzazione, negli impianti sportivi, di materiale pirotecnico di qualsiasi genere, di strumenti e di oggetti comunque idonei ad offendere, di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose, incitanti alla violenza o discriminatorie;

- l’obbligo delle società sportive di adottare tutti i provvedimenti idonei ad impedire che lo svolgimento della gara sia disturbato dal suono di strumenti che comunque rechino molestia, dal lancio e dallo sparo di materiale pirotecnico di qualsiasi genere, da cori, grida e da ogni altra espressione discriminatoria, nonché di far rimuovere, prima che la gara abbia inizio, qualsiasi disegno o dicitura in qualunque modo esposti, recanti espressioni oscene, oltraggiose, minacciose, incitanti alla violenza o discriminatorie.

E’ noto che ogni club, in occasione della disputa delle gare interne, assume il ruolo e la veste di organizzatore dell’evento sportivo e, come tale, in base alla disciplina domestica di settore, é tenuto ad adottare ogni più opportuna iniziativa volta a favorire la prevenzione dell’insorgere di disordini e quant’altro.

Pertanto, possiamo individuare due situazioni giuridiche contrapposte: una, attiva, che si manifesta nell’esercizio del potere disciplinare da parte della F.I.G.C., l’altra, invece, passiva, che, invece, va individuata nella responsabilità disciplinare in cui incorre società sportiva.

In definitiva, dunque, siamo in presenza di un potere di supremazia speciale, in base al quale viene imposto ad altri, ovvero ai soggetti che in virtù dell’affiliazione (per le società sportive) e del tesseramento (per le persone fisiche) l’osservanza di determinate regole.

L’esercizio di tale forma di potere é, da un lato, di natura precettiva, dall’altro, di natura punitiva, nel senso che la F.I.G.C. disciplina i comportamenti cui i soggetti dell’ordinamento sportivo sono tenuti ad uniformarsi e, nel contempo, disciplina l’applicazione delle sanzioni previste in ipotesi di violazione.

Convenzionalmente, possiamo distinguere le sanzioni in quattro categorie:

- le sanzioni puramente morali;

- le sanzioni che comportano la temporanea o definitiva privazione di diritti, con contenuto patrimoniale o meno;

- quelle che generano un’obbligazione patrimoniale;

- quelle espulsive.

Evidentemente, le sanzioni a carico delle società, in relazione alle fattispecie in argomento, hanno natura generalmente patrimoniale ma, nei casi più gravi, valutati con particolare riguardo alla recidiva (sanzione per fatti della stessa natura nel corso della medesima stagione sportiva), all’ammenda può aggiungersi l’obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse (art. 18, c. 1, lettera d, C.G.S.), l’obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori (art. 18, c. 1, lettera e, C.G.S.), nonché la squalifica del campo per una o più giornate di gara o a tempo determinato, fino a due anni (art. 18, c. 1, lettera f, C.G.S.).

Al riguardo, un sicuro ambito conflittuale é quello che afferisce al sempre controverso istituto della c.d. responsabilità oggettiva, in base alla quale un soggetto viene ritenuto responsabile di un illecito anche se esso non abbia avuto origine da un suo comportamento e non sia riconducibile al dolo o alla colpa del soggetto medesimo.

Nell’ottica dell’autonomia riconosciuta all’ordinamento sportivo (definitivamente sancita con l’entrata in vigore della L. n. 280/03 a seguito del noto caso Catania), le ipotesi di responsabilità oggettiva formulate dal Legislatore sportivo fondano la propria ragion d’essere nell’esigenza di assicurare il pacifico svolgimento dell’attività sportiva, anche se, da sempre, é netta la contrapposizione tra gli interpreti che assumono la piena legittimità (e l’opportunità) di tale istituto giuridico e quelli che, invece, la negano in toto.

Ad esempio, spesso viene sottolineato come l’inibizione dell’accesso all’impianto sportivo o a un singolo settore dello stesso stabilita da una decisione del G.S. (Giudice Sportivo) si riverberi troppo indiscriminatamente sia nei riguardi dei sostenitori che delle società sportive incolpevoli, manifestandosi ispirata da logiche di rappresaglia piuttosto che da un vero e proprio senso di giustizia.

In aggiunta, tale meccanismo sanzionatorio sarebbe inficiato, a detta di molti, da evidenti profili di incostituzionalità, e comunque, sarebbe inefficace, oltre che penalizzante proprio nei riguardi di coloro che, con tutta probabilità, sono vittime di certe situazioni in cui si sovrappongo le più diverse dinamiche delinquenziali.

In tema, potrebbe essere condivisibile l’impostazione, di cui di tanto in tanto si torna a discutere, per la quale la responsabilità oggettiva dovrebbe essere rivista in senso “temperato”, per così dire, in base al principio di sussidiarietà.

In sostanza, le società sportive sarebbero sottoposte a sanzioni soltanto nell’ipotesi di mancata individuazione dei responsabili dei comportamenti violenti e/o antisportivi, atteso che, ad oggi, proprio in virtù dei sofisticati sistemi di controllo a circuito chiuso presenti negli stadi, la loro identificazione risulta, generalmente, piuttosto agevole e immediata.

Per la verità, il predetto meccanismo sanzionatorio non ha, ad oggi, prodotto significativi risultati in termini di deterrenza dei fenomeni di violenza negli stadi e, non lo si può negare, rischia, sempre più, di rendere le società sportive, senza considerare ciò che si é verificato già nel corso degli anni passati, facile ostaggio di chi intenda sottoporle a ogni genere di ricatto.

In definitiva, la responsabilità oggettiva sussidiaria premierebbe i comportamenti civicamente virtuosi dei tifosi, incentivando l’isolamento e la denuncia dei soggetti più facinorosi e più violenti.

Dunque, se da un lato assume rilievo l’art. 4, c. 3 e c. 4, C.G.S., quale precetto generale, per cui:

- le società (oltre a rispondere oggettivamente, ai fini disciplinari, dell’operato dei dirigenti e dei tesserati, c. 1) rispondono oggettivamente anche dell’operato e del comportamento delle persone comunque addette a servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo, intendendosi per tale anche l’eventuale campo neutro, sia su quello delle società ospitanti, fatti salvi i doveri di queste ultime (c. 3);

- le società sono responsabili dell’ordine e della sicurezza prima, durante e dopo lo svolgimento della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti. La mancata richiesta della forza pubblica comporta, in ogni caso, un aggravamento delle sanzioni (c. 4),

dall’altro é particolarmente interessante focalizzare l’attenzione sull’art. 13 C.G.S., che, invece, disciplina le esimenti e le attenuanti, in presenza delle quali, i profili di responsabilità eventualmente ascritti alla società sportiva in relazione ai comportamenti illeciti dei propri sostenitori possono venire meno del tutto o, comunque, attenuati.

Va osservato, però, che il richiamato art. 13 C.G.S. opera espresso riferimento solo agli artt. 11 e 12 C.G.S., per cui le esimenti e le attenuanti di cui trattasi né possono assumere rilevanza in relazione a condotte tenute da altri soggetti, le quali comportino una responsabilità diretta o oggettiva delle società, né possono essere invocate in presenza di violazioni e/o di illeciti previsti da disposizioni regolamentari diverse da quelle espressamente citate.

Dunque, l’art. 13 C.G.S. prescrive, in particolare, che

- la società non risponde per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli artt. 11 e 12 se ricorrono congiuntamente tre delle seguenti circostanze:

a) la società ha adottato ed efficacemente attuato, prima del fatto, modelli di organizzazione e di gestione della società idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo;

b) la società ha concretamente cooperato con le forze dell’ordine e le altre autorità competenti per l’adozione di misure atte a prevenire i fatti violenti o discriminatori e per identificare i propri sostenitori responsabili delle violazioni;

c) al momento del fatto, la società ha immediatamente agito per rimuovere disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, o per far cessare i cori e le altre manifestazioni di violenza o di discriminazione;

d) altri sostenitori hanno chiaramente manifestato nel corso della gara stessa, con condotte espressive di correttezza sportiva, la propria dissociazione da tali comportamenti;

e) non vi è stata omessa o insufficiente prevenzione e vigilanza da parte della società. La responsabilità della società per i comportamenti tenuti dai propri sostenitori in violazione degli artt. 11 e 12 è attenuata se la società prova la sussistenza di alcune delle circostanze elencate nel precedente c. 1, mentre, addirittura, ex art. 14, c. 1 e c. 5, C.G.S., in ipotesi di fatti violenti commessi in occasione della gara, sia all’interno del proprio impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti, quando siano collegati ad altri comportamenti posti in essere all’interno dell’impianto sportivo, se dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica o un danno grave all’incolumità fisica di una o più persone (c. 1), la sussistenza di una delle circostanze di cui all’art. 13, c. 1, lettere a) e b), C.G.S. può costituire elemento valutativo per l’organo di giustizia sportiva al fine della non applicazione o dell’attenuazione delle sanzioni (c. 5).

E’ il caso, ad esempio, di una recentissima decisione del Giudice Sportivo c/o L.N.P. (C.U. n. 211 del 22/02/2010) la quale, in relazione agli incidenti occorsi sugli spalti dello Stadio Olimpico di Torino nel corso della partita Juventus-Genoa (14/02/2010), ha sanzionato entrambe le società tenendo conto, da un lato, della rilevanza disciplinare dei comportamenti tenuti dai sostenitori di entrambe le squadre (fitto lancio di petardi, sedili divelti, tentativo di abbattimento dei cancelli divisori), dall’altro, della sussistenza, per entrambe le società, delle circostanze attenuanti di cui all’art. 13, c. 1, lettere a) e b), C.G.S..

A mero titolo esemplificativo, sempre avuto specifico riguardo all’esimente di cui alla lettera a) dell’art. 13 C.G.S. (l’adozione e l’efficace attuazione, prima del fatto, di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire comportamenti della specie di quelli verificatisi, avendo impiegato risorse finanziarie ed umane adeguate allo scopo), la Corte di Giustizia Federale F.I.G.C. (C.U. n. 292 del 15/02/2008) ha stabilito che, ai fini della sua sussistenza “occorre provare non solo l’adozione di efficaci modelli di organizzazione e di gestione astrattamente idonei a prevenire i comportamenti sanzionati dalla norma, ma é, altresì, necessario fornire la prova che gli stessi siano stati efficacemente attuati prima del fatto”.

L’efficace attuazione dei predetti modelli organizzativo-gestionali, ad esempio, risulta pienamente realizzata qualora la società sportiva “impieghi risorse finanziarie e umane adeguate, prevedendo anche specifiche misure di prevenzione” (Giudice Sportivo L.N.P. C.U. n. 107 del 27/10/2008).

Invero, i modelli organizzativi e di gestione cui fa riferimento l’art. 13, c. 1, lettera a), C.G.S., in presenza dei quali, come detto, l’eventuale responsabilità del club viene del tutto meno o viene attenuata, non risultano compiutamente individuabili, né vige una disposizione regolamentare integrativa che ne disciplini al meglio i contenuti specifici.

La L.N.P., con circolare n. 14 del 22/08/2008, ha provveduto ad informare adeguatamente le società sportive in ordine alle direttive e alle istruzioni fornite dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive (O.N.M.S.), le quali possono costituire il contenuto minimo dei modello organizzativo-gestionali idonei a prevenire la commissione di fatti violenti o discriminatori che le varie società sportive sono invitate ad adottare, ma che, al momento, non possono essere considerate sufficientemente esaustive.

Peraltro, la predisposizione dei predetti modelli organizzativo-gestionali dovrebbe riguardare anche la prevenzione di condotte tenute (dalle persone fisiche riconducibili alla società sportiva) in violazione del principio di lealtà, correttezza e probità di cui all’art. 1, c. 1, C.G.S., così come espressamente prevede l’art. 7, c. 5, Statuto F.I.G.C. che riserva al Consiglio Federale il compito di emanare specifiche norme al riguardo, pur se, ad oggi, la richiamata disposizione statutaria non ha avuto ancora concreta attuazione.

In conclusione, si può affermare che il raggiungimento degli standard di sicurezza posti a presidio degli impianti sportivi (e delle relative adiacenze) attengono anche, e soprattutto, alle persone, non essendo sufficiente l’esclusiva corretta realizzazione dei prototipi.

La predisposizione di poltroncine ignifughe non protegge dagli atti di chi le sradica e le scaglia sugli altri spettatori o in campo, né alcuna barriera divisoria che isoli lo spazio destinato allo svolgimento dell’attività agonistica ha sinora impedito l’invasione del terreno di gioco o il lancio di fumogeni, petardi, oggetti contundenti e quant’altro.

Di conseguenza, educare il sostenitore a vivere lo sport con fair play è indispensabile, perché, diversamente, la società sportiva non potrà che continuare a subire ogni genere di nocumento:

- danno socio-sportivo, per cui ci si allontana dalla partecipazione allo sport e si smarriscono i valori positivi che il fenomeno sportivo generalmente inteso contiene;

- danno materiale, per cui si pone il problema dei danneggiamenti dello stesso impianto sportivo (sedie sradicate, vetri rotti, spazi bruciati o rovinati, etc.) e dei luoghi adiacenti;

- danno economico, per cui, anche in tal caso, si pone il problema di chi debba accollarsi gli oneri finanziari necessari per pagare i danni materiali;

- danno d’immagine, sempre difficile da contenere.