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Una notte di inverno un civilista; viaggio nel disorientamento tributario

Estratto dal nuovo numero della rivista Trust, impresa e famiglia
Maurizio Tangerini Via Indipendenza olio su tela 120x80, 2013
Maurizio Tangerini Via Indipendenza olio su tela 120x80, 2013

Abstract

Il susseguirsi di provvedimenti tributari di merito e legittimità o di prassi dell’amministrazione finanziaria, tutti accomunati dalle medesime caratteristiche di contraddittorietà rispetto a quelli immediatamente precedenti, o successivi, spesso sconfessandosi l’uno con l’altro, e dando una lettura del trust che ne conferma, purtroppo ancora, una sostanziale incomprensione di fondo, disorienta il civilista e conseguentemente il cittadino che, attraverso i suoi professionisti, non trova l’approdo sicuro che cerca per il soddisfacimento delle sue esigenze o la risposta ai suoi quesiti con buona pace di un diritto che è tutto meno che certo.

 

Tutti ricordiamo gli anni delle scuole elementari quando, come mantra diffuso, ci sentivamo dire: “studia, studia”.

È un monito che vale ancora per il civilista adulto che si occupi di trust e che sta provando a studiare, davvero seriamente, il diritto tributario dei trust da almeno 20 anni.

Peccato però che al suo esemplare impegno faccia da contraltare la percezione di essere diventato un soldato semplice che tenti di attraversare una spianata campestre che ritiene campo neutrale e dove, invece, senza comprenderne le ragioni, esperti cecchini con il grado di ufficiali sparano tutt’intorno.

Quando disorientato chiede spiegazioni, si sente rispondere che la questione è “troppo tecnica, complessa e delicata” perché ne possa comprendere le ragioni sicché le soluzioni che gli sono offerte constano nell’attraversare il campo con un robusto giubbotto antiproiettile o cambiare strada.

Al disorientamento segue lo sconcerto quando però il diligente studioso si avvede che alla base dei ragionamenti degli esperti tributaristi, vi sono evidenti incomprensioni dell’istituto e gravi lacune sui principi minimi della materia sicché, all’incipit “studia, studia”, vorrebbe replicare che il monito ha portata ambivalente.

Lo sconcerto diviene poi vera e propria incredulità nel momento in cui il civilista assiste al paradosso di enti o soggetti che non comunicano fra loro, palesemente ignorandosi, sebbene spesso occupino stanze poste sullo stesso corridoio, al cui interno ci sono persone che trattano la medesima materia, producendo il risultato che una dice “nero” e l’altra, a 5 metri di distanza, dice “bianco”.

Con buona pace della certezza del diritto e nell’indifferenza più totale.

Il giurista neofita del diritto tributario comincia allora a pensare che sussista un manifesto e diffuso disinteresse sulle ricadute pratiche delle scelte tributarie nella vita quotidiana, come se chi ne è l’artefice le considerasse decisioni destinate ad operare in contesti avulsi dalla realtà; stanze “felpate” dove si contrappongono solo speculazioni dottrinali e accademiche.

Ma non è proprio così ed è giunto il momento di capirlo, sarebbe troppo facile liquidare questa breve riflessione come il solito retorico pamphlet privo di sostanza.

È indubbio che noi civilisti non siamo, di massima, studiosi del diritto tributario, risultando prestati alla materia per mere ragioni di sopravvivenza professionale.

Sin dall’inizio della professione abbiamo compreso come qualsiasi strategia difensiva, anche la più pregevole, sarebbe inesorabilmente crollata se avesse prodotto ricadute fiscali negative per il cliente. Quanti fra noi certo rammenteranno le volte in cui hanno dovuto desistere dal richiedere decreti ingiuntivi che avrebbero inferto un colpo significativo alla controparte, solo perché il nostro cliente non era in grado di anticipare l’imposta di registro. Ancora, tante volte siamo stati costretti a malincuore a ridurre la domanda di condanna per danni a carico di scellerati amministratori di società fallite, solo perché l’imposta avrebbe assorbito il poco attivo della procedura. Per non parlare, infine, delle soluzioni stragiudiziali che siamo stati costretti ad adottare, solo per ragioni fiscali, in danno di altre molto più efficienti.

Da qui, gli equilibrismi della soluzione alternativa, una sorta di “male minore” divenuto un salvifico rifugio da pericoli ben più gravi.

Radicalmente errato sarebbe però pensare che ciò dipenda esclusivamente dal fisiologico bisogno di soddisfare appetiti elusivi; la spiegazione sarebbe semplicistica e grossolana.

Il caos tributario che disciplina la materia che ci occupa è tale da scatenare un senso di profonda irritazione e insofferenza anche negli animi più ligi e rispettosi delle leggi posto che, con frequenza sempre più serrata, ci imbattiamo in paradossi ingiustificabili; situazioni al confine con l’anarchia tributaria, come se non esistessero un legislatore o tre gradi di giurisdizione.

Documenti di prassi degli uffici che diventano più importanti di decine di sentenze di Cassazione, agenzie che continuano ad applicare imposte ad atti di trust, nonostante le commissioni tributarie abbiamo dichiarato tali applicazioni illegittime e, soprattutto, argomentando con motivazioni sostanziali talmente sbagliate da far comprendere come nessuno studio della materia sia alla base della decisione assunta.

Allora il civilista calviniano di questo racconto si siede sconsolato e, dopo averne sentite di ogni, viene sopraffatto dalle domande senza risposta mentre i suoi elementari studi di diritto tributario si dimostrano destituiti di qualsivoglia valenza.

Si chiede come sia possibile, dopo le decine di sentenze di Cassazione degli ultimi anni[1] che finalmente hanno fatto chiarezza sulla tassazione indiretta alla quale sono soggetti i trust al momento dell’istituzione, imbattersi in una recente ordinanza di Cassazione[2] che recita: “l’atto con cui una s.r.l., disponente e trustee di un trust, cede un complesso immobiliare a due società verso corrispettivo va soggetta non a imposta di registro ma a imposizione Iva, poiché la normativa in tema di imposte indirette non riconosce al trust un’autonoma soggettività tributaria e quindi le imposte sulla cessione vanno applicate al trustee, soggetto giuridico provvisto di partita Iva”.

Il povero civilista non capisce il ragionamento e, ostinatamente, si chiede: “ma se il trust non ha soggettività tributaria, come assume la Corte, come mai allora i trustee ottengono il codice fiscale a nome del trust con il quale fanno la dichiarazione dei redditi e aprono i conti correnti?”

L’animo viene assalito da una lieve ansia: gli pareva di ricordare, con un elevato grado di certezza, che il trust avesse soggettività tributaria. È una conclusione che ha tratto nel momento in cui è stato deciso[3] di assoggettare i trust, direttamente (e dunque non il trustee) all’imposta prevista per i redditi delle società (Ires).

 

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[1] Cass. ordinanze: 16.12.2020, n. 28796; 08.07.2020, n. 14207; 03.03. 2020, n.5766; 11.03. 2020, n. 7003; 19.02.2020, n. 4163; 07.02.2020, nn. da 2897 a 2902; 14.06.2021, n. 16688; 10.06.2021, n.16372; 20.05.2021, nn. 13818 e 13819, nonché sentenza 30 marzo 2021, n.8719.

[2] Cass, V sez. civ., n. 20808 del 29 giugno 2022.

[3] Art. 1, comma 74, Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria 2007).