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Violenza sessuale di gruppo: risponde del reato anche chi non compie atti sessuali con la vittima

Visuale
Ph. Enrico Gusella / Visuale

La rilevanza della partecipazione attiva ovvero omissiva nel reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-octies codice penale è stata una tematica affrontata più volte dalla giurisprudenza di legittimità, in tutta la sua delicatezza e complessità.

Prima di esaminare nello specifico la suddetta questione, occorre brevemente accennare all’evoluzione legislativa che ha interessato la materia dei reati a sfondo sessuale.

All’interno del Codice Rocco, i reati di violenza sessuale rientravano nei “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”, come, ad esempio, il reato di cui all’articolo 519 codice penale rubricato “Della violenza carnale”; il reato di cui all’articolo 520 codice penale “Congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale”; il reato di “Atti di libidine violenti ex articolo 521 codice penale

Il regime fascista era caratterizzato dal controllo assoluto sulla società e sulla vita dei cittadini. In quel contesto così autoritario e patriarcale, la libertà sessuale era considerata come un bene appartenente allo Stato e non alla persona, difatti l’interesse pubblico e il potere che il marito o la famiglia esercitava sulla donna prevalevano sulla libertà individuale di manifestare in modo indipendente le proprie scelte di natura sessuale.

A seguito della legge n. 66 del 1996 i predetti reati sono stati abrogati, sicché la novella legislativa ha segnato il passaggio dal regime totalitario, che vedeva compromesse le libertà personali, alla Repubblica che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, ossia quei diritti appartenenti per natura all’essere umano, quindi inviolabili, inalienabili e imprescrittibili, in quanto preesistenti alla legge scritta. Tra i diritti innati rientra quello all’autodeterminazione, che presuppone la massima espressione di libertà in capo ad un soggetto consapevole e involge maggiormente le scelte di natura sessuale, quali manifesto della libertà personale all’interno della società in cui l’individuo si esprime.

La legge 66/1996 ha introdotto il reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis codice penale e ss., tra cui il reato ex articolo 609 octies codice penale, nel Titolo XII del Codice penale dedicato ai “Delitti contro la persona”, atteso che il bene giuridico tutelato dall’ordinamento consiste nella dignità personale e nella libertà di ciascun individuo di autodeterminarsi liberamente e autonomamente con riguardo alla propria sfera più intima e privata.

Il reato di violenza sessuale di gruppo è previsto e punito dall’articolo 609 octies codice penale e “consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite ad atti di violenza sessuale di cui all’articolo 609 bis”. La nozione di “partecipazione” ha sollevato qualche dubbio in merito alla sua portata applicativa. Nello specifico, la giurisprudenza di legittimità è stata chiamata a dirimere la quaestio iuris che concerne l’estensibilità del concetto di partecipazione alla mera presenza dei singoli componenti sul locus commissi delicti e il tipo di presenza richiesta ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo. In tale prospettiva, è opportuno esaminare più accuratamente la norma di cui all’articolo 609 octies codice penale

A tenore del secondo comma dell’articolo 609 octies codice penale “Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. Sotto il profilo sanzionatorio, giova evidenziare la volontà del legislatore di introdurre un complesso di circostanze attenuanti e aggravanti modellate sulla falsariga di quelle previste per il concorso di persone nel reato.

In particolare, il terzo comma dell’articolo 609 octies codice penale prevede l’aumento di pena se sussiste taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 609 ter codice penale, cioè nell’ipotesi in cui l’abuso sessuale sia commesso ai danni di una donna in stato di gravidanza o di una persona minore di anni quattordici, specie se perpetrato all’interno dell’istituto scolastico frequentato da quest’ultima; se durante l’esecuzione del reato i compartecipi abbiano fatto uso di armi o abbiano agito con il volto travisato; se tra la persona offesa dal reato e gli aggressori intercorra un legame affettivo e via discorrendo.

La norma di cui all’articolo 609 octies, co. 4, codice penale pone un esplicito richiamo agli artt. 112, co. 1 nn. 3, 4 e 112, co. 3 codice penale Così, sulla falsariga dell’articolo 114 codice penale, il legislatore ha previsto un trattamento sanzionatorio più lieve nell’ipotesi in cui l’apporto del compartecipe alla preparazione o all’esecuzione della violenza sessuale di gruppo sia stato di minima importanza. La norma penale dispone altresì una pena più mite laddove: uno dei compartecipi o tutti siano stati indotti a commettere la violenza sessuale da un altro soggetto che, abusando della propria autorità, abbia strumentalizzato la propria posizione per convincere i suoi sottoposti ad agire; persone minori di anni diciotto o affette da infermità o deficienza psichica siano state indotte da altri a compiere la violenza sessuale di gruppo; uno o tutti i compartecipi siano stati determinati a commettere il reato dal genitore della vittima.

La consumazione o il tentativo del reato di violenza sessuale di gruppo è soggetta all’arresto obbligatorio in flagranza, così come previsto dall’articolo 380, co. 2 lett. d) bis codice penalep. e alle misure cautelari personali dell’allontanamento dalla casa familiare o della custodia cautelare in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza o di esigenze cautelari ex articolo 274 codice penalep. In quest’ottica, occorre precisare che nella determinazione della pena ex articolo 278 codice penalep. il giudice deve sempre tener conto del principio di proporzionalità tra la gravità del reato commesso e il sacrificio imposto alla libertà personale, in ossequio alla finalità rieducativa della pena ex articolo 27 Cost., realizzabile solo attraverso una pena percepita dal reo come giusta.

La ratio della fattispecie incriminatrice è quella di riservare un trattamento sanzionatorio più severo alla violenza sessuale di gruppo rispetto alla pena che deriverebbe dall’applicazione del combinato disposto degli artt. 100 e 609 bis codice penale, quale concorso di persone nel reato monosoggettivo. Il reato di cui all’articolo 609 octies codice penale è un reato plurisoggettivo, che necessita la partecipazione di almeno due persone riunite ed è caratterizzato da un maggiore disvalore sociale, atteso che l’offesa al bene giuridico tutelato imprime al fatto un grado di lesività più intenso. Difatti, la libertà di autodeterminazione della vittima e la possibilità di opporre resistenza all’aggressione sono limitate “ab origine” e questo giustifica la previsione di un apparato sanzionatorio più rigido.

Il principio di offensività subordina la sanzione penale all’offesa di un bene giuridico, tanto nella forma della lesione, quanto in quella dell’esposizione a pericolo, concepita in termini di nocumento potenziale[1]e, nella fattispecie criminosa in esame, la percezione del pericolo da parte della vittima dinanzi al “branco”, o gruppo di due persone, è maggiore rispetto a quella che si configurerebbe in presenza di un singolo, tanto che inconsciamente paralizza ogni possibilità di reazione della vittima.

Dalla lettura dell’articolo 609 octies codice penale appare “ictu oculi” che la norma contenga un rinvio “per relationem” all’articolo 609 bis codice penale, quindi è dall’analisi della fattispecie di violenza sessuale che può ricavarsi la struttura del delitto di violenza sessuale di gruppo.

La norma di cui all’articolo 609 bis, codice penale è una norma a più fattispecie: la prima incrimina il comportamento di chi, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali; la seconda punisce nella stessa misura chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali, abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la stessa. Nella seconda fattispecie rientra così la condotta dell’agente che, attraverso un’opera di persuasione sottile e subdola, spinge, istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che diversamente quest’ultima non avrebbe tollerato.

Posto che il bene giuridico protetto dalla norma è la libertà di ciascun individuo di manifestare liberamente le proprie inclinazioni sessuali, l’intangibilità della propria sfera intima e la possibilità di decidere, attraverso il proprio consenso, con chi avere relazioni sessuali, il reato di violenza sessuale è da considerarsi come reato a c.d. dissenso implicito. Di preciso, il consenso rende il fatto non punibile, perché esclude il fatto tipico descritto dagli artt. 609 bis e 609 octies codice penale

Il legislatore si è mostrato sensibile in tema di libertà sessuale esigendo la sussistenza di un consenso effettivo e consapevole, che deve sussistere all’inizio dell’atto sessuale e perdurare per tutta la durata del rapporto. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il consenso venisse meno durante l’amplesso, vuoi perché la vittima abbia cambiato idea, vuoi perché il partner abbia mostrato troppa irruenza, si configurerebbe il reato di violenza sessuale individuale o di gruppo.

Inoltre, per la giurisprudenza di legittimità è pacifico che la mancanza di consenso non deve necessariamente ricavarsi da gesti eclatanti della vittima, sintomatici della sua resistenza attiva e disapprovazione, come la presenza di ecchimosi sul corpo o di indumenti strappati, essendo sufficiente anche un suo contegno meramente passivo, un dissenso implicito, indotto, ad esempio, dal timore per la propria incolumità fisica.

A tal proposito, la Corte di Cassazione ha precisato che ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale “è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei confronti della vittima in un contesto di sopraffazione e umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima ai compimento di atti sessuali”.[2]

In tema di consenso e rapporti sessuali con persona che abbia fatto uso di sostanze alcoliche, la giurisprudenza più accorta ha precisato che lo stato di ubriachezza - sia se provocato dolosamente dall’autore materiale dell’abuso sessuale sia se derivante dalla volontaria assunzione di alcol da parte della vittima - rileva di per sé ai fini della valutazione circa la sussistenza di un “valido consenso”, cioè quello libero e non condizionato. L’ubriachezza prende forma quando l’alcol agisce sul sistema nervoso centrale del soggetto coinvolto, influenzandone le funzionalità emotive e sensoriali, nonché la capacità di giudizio e la memoria. L’aumento del tasso alcolemico nell’organismo impatta fortemente, seppur in modo transitorio, sul potere di autodeterminazione della vittima e tale situazione potrebbe, di contro, essere sfruttata dall’agente, o dai compartecipi in caso di violenza sessuale di gruppo, per il proprio soddisfacimento sessuale.

Ne deriva che l’assunzione volontaria dell’alcol esclude la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 609 ter codice penale, configurabile qualora l’agente somministri volutamente sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti alla vittima per scemare gravemente le sua capacità, ma incide sul giudizio di valutazione ex ante con prognosi postuma del valido consenso, effettuato dal giudice del merito alla luce delle risultanze probatorie.

In riferimento agli “atti sessuali” che rilevano ai fini dell’articolo 609 octies codice penale, rientra tra questi qualsiasi gesto compiuto “ioci causa” o con finalità di irrisione nei confronti della vittima, specie se questa minorenne, allorquando ci sia un’intrusione violenta e destabilizzante nella sfera sessuale del soggetto passivo, come ad esempio atti di palpeggiamento accompagnati da esclamazioni volgari o da un atteggiamento irridente, beffeggiante.

Ancora, gli atti sessuali di cui all’articolo 609 bis codice penale devono essere subiti o compiuti dalla vittima, pertanto è pacifico ritenere che integrano il reato di violenza sessuale anche gli atti diautoerotismo che la vittima è costretta o indotta a porre il essere per il soddisfacimento personale dell’agente.

Superate le argomentazioni sin qui esposte, occorre soffermarsi sul concetto di “partecipazione” nel reato di violenza sessuale di gruppo e sull’interpretazione estensiva che i giudici di legittimità ne hanno fornito.

Il reato di violenza sessuale di gruppo è configurabile tutte le volte in cui due o più persone riunite costringano o inducano taluno a compiere o subire gli atti sessuali descritti dalla norma ex articolo 609 bis codice penale La recente giurisprudenza di legittimità ha ribadito che ai fini del delitto di cui all’articolo 609 octies codice penale “è necessario che più persone riunite partecipino alla commissione del fatto, costituendo tale delitto una fattispecie autonoma di reato necessariamente plurisoggettivo proprio[3], in cui la pluralità di agenti è richiesta come elemento costitutivo del reato stesso.

La recente giurisprudenza di legittimità ha precisato che la norma di cui all’articolo 609 octies codice penale non richiede che tutti i componenti del gruppo compiano gli atti tipici di violenza sessuale, essendo sufficiente un contributo causale, cioè la mera presenza del compartecipe nel luogo e nel momento in cui si stata perpetrata la violenza.

Siffatta interpretazione ha sollevato qualche dubbio, in quanto la mera presenza del compartecipe sul locus commissi delicti ben potrebbe essere paragonata alla “connivenza”, definita, dalla giurisprudenza pressoché unanime in tema di concorso di persone nel reato, come il comportamento meramente passivo del soggetto presente sul luogo in cui si sta consumando il reato. Presenza che non è in grado di rafforzare il proposito criminoso altrui, neanche attraverso un implicito compiacimento circa l’azione intrapresa e che esonera il soggetto così descritto da qualsiasi pena. Ci si è chiesti, dunque, quale sia il tipo di presenza che rilevi ai fini della violenza sessuale di gruppo.

In soccorso al suddetto quesito è giunta una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione[4], mediante la quale i giudici di legittimità hanno chiarito che la presenza rilevante ai fini della violenza sessuale di gruppo non è la presenza passiva del compartecipe, quella da mero “spettatore”, da “voyeur”, bensì la presenza attiva, nel senso che il compartecipe deve aver fornito un contributo causale, materiale o morale, all’abuso sessuale, quindi deve aver agevolato la condotta illecita o rafforzato il proposito criminoso altrui.

Il discrimen del penalmente rilevante è certamente ravvisabile in concreto, sulla base degli elementi fattuali raccolti, dovendosi intendere per “connivenza” un comportamento di totale estraneità, disapprovazione del soggetto presente sul luogo del delitto, mentre per presenza attiva qualsiasi contributo causale fornito dal compartecipe agli altri durante la preparazione o l’esecuzione del reato, anche nella forma di un consiglio, potendo questi fare affidamento sul primo.

A parere dei giudici, il concetto di partecipazione non può essere limitato all’attività di violenza sessuale descritta dall’articolo 609 bis codice penale, ma deve estendersi a tutte quelle condotte che manifestano una chiara ed inequivocabile adesione alla violenza di gruppo, come, ad esempio, la realizzazione di un video dell’abuso a mezzo di smartphone o telecamera, lo scatto di fotografie ritraenti gli atti sessuali, la predisposizione di un ambiente nascosto o soffuso in cui porre in essere la violenza di gruppo o, ancora, l’aver procurato sostanze alcoliche o psicotrope per scemare gravemente la capacità di intendere e di volere della vittima.

La recente pronuncia in tema di violenza sessuale di gruppo mostra come il c.d. diritto vivente sia in continua evoluzione e cerchi di adattarsi al mutato panorama delle attività poste in essere dai consociati. Tuttavia i giudici, nell’interpretazione di termini generici presenti nelle norme penali, “non possono mai surrogarsi integralmente alla praevia lex scripta[5]- andando a segnare i confini tra il lecito e l’illecito -, posto che il principio di legalità di cui agli artt. 25, co. 2, Cost., 1 e 199 codice penale riserva al legislatore il momento formativo della disposizione.

Al riguardo, una breve analisi economica del diritto penale consente di ritenere che il legislatore compia le scelte di politica criminale tenendo conto dei fattori sociali e ambientali che influenzano sensibilmente la capacità a delinquere dei consociati e predilige la regola giuridica capace di orientare i medesimi ad agire nel modo più efficiente per il benessere collettivo, al minor costo sociale possibile, inteso come insieme dei costi umani ed economici.

Il c.d. monopolio legislativo è altresì influenzato dall’interpretazione criminologica del reato che trova il proprio sostegno nel concetto sociologico di condotta deviante, cioè in quei fenomeni di “devianza” che si manifestano attraverso la violazione delle regole riconosciute valide nel sistema. Il continuo evolversi del contesto socio economico e culturale della Nazione comporta la trasformazione dei fatti socialmente pericolosi, sicché la legge penale deve adeguarsi al cambiamento e predisporre misure che incentivino i comportamenti corretti e disincentivino quelli lesivi dei diritti altrui.

Anche la libertà di autodeterminazione si conforma al contesto storico in cui il soggetto manifesta le proprie inclinazioni e varia proporzionalmente alle condizioni imposte dal sapere scientifico. La scienza economica, la medicina e tutte le discipline che gravitano intorno al diritto penale ristrutturano alcune delle basi su cui si regge il nostro ordinamento costituzionale, tra cui l’autonomia individuale e la libertà personale. Il diritto cambia quando cambia tutto ciò che lo circonda e si adatta alle esigenze imposte dalla comunità scientifica, oltre che dalla società.

L’autodeterminazione in ambito sessuale è il frutto dell’evoluzione sociale e culturale del nostro Paese e, costituendo la massima espressione di libertà, necessita di essere preservata e tutelata attraverso previsioni legislative che tengano conto anche di quei comportamenti apparentemente invisibili, che si insidiano sempre più frequentamene tra i soggetti più deboli.

L’attenzione e l’impegno costante che il legislatore rivolge nei confronti dei reati contro la libertà sessuale consente di prevenire, ancor prima di punire, la “violenza di genere”, nonché tutti quelli comportamenti subdoli e degradanti che riflettono una società ancora acerba e maschilista, che non ha compreso appieno l’inviolabilità della donna.

 

 

[1] Nel Diritto Editore, I Manuali Superiori diretti da G. Alpa e R. Garofoli, Manuale di diritto penale Parte Generale, XV Edizione 2018/2019.

[2] Cassazione Penale, Sezione III, sentenza n.37364 del 16/09/2015.

[3] Cassazione Penale, Sezione III, sentenza n. 36036 del 18/07/2012, Rv.253687; Cassazione Penale, Sezione III, sentenza n. 3348 del 13//11/2003, dep.29/01/2004, Rv 227496;Cassazione Penale, Sez. III, sentenza n. 11541 del 11.10.1999, ric. Bombaci ed altri.

[4] Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21/07/2020) 21-10-2020, n. 29096.

[5] Nel Diritto Editore, I Manuali Superiori diretti da G. Alpa e R. Garofoli, Manuale di diritto penale Parte Generale, XV Edizione 2018/2019, Capitolo I, parag. 4.1.1.F.2.“Corte giust., 5 dicembre 2017, caso M.A.S. (“Taricco II”) e Corte cost., 10 aprile 2018, n. 115.”

Manuale di diritto penale Parte Generale Garofoli, XV Edizione 2018/2019, Nel Diritto Editore;

Codice Penale annotato con la giurisprudenza, Gruppo Editoriale Simone;

Cassazione penale, sentenza n. 29096 del 21/10/2020;

Cassazione penale, sentenza n. 37364 del 16/09/2015.