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Abuso edilizio risalente: repressione sì repressione no

Abuso edilizio
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Indice

1. La fattispecie: ordine di demolizione di abuso edilizio risalente

2. Costruzione e motivazione della pronuncia

3. Nota conclusiva: istruttoria procedimentale e legittimo affidamento

 

La fattispecie: ordine di demolizione di abuso edilizio risalente

Il TAR Calabria – sezione distaccata di Reggio Calabria – ha pronunciato l’interessante sentenza n. 513 del 24.8.2019 in tema di ordine di demolizione di un abuso edilizio risalente giungendo a condivisibili, almeno in parte, conclusioni.

Il fatto trae origine da un accertamento compiuto dalla locale Polizia municipale all’esito del quale viene riscontrato, presso un’abitazione, un corpo, di modeste dimensioni, posto al primo piano fuori terra, adibito a cucina e collegato al soggiorno tramite apertura interna. Sull’accertamento dell’autorità di polizia si eleva l’ingiunzione, a firma del Dirigente tecnico comunale, di “… demolizione e sgombero dei lavori abusivi con il ripristino dello stato originario dei luoghi entro 90 giorni” previa comunicazione di inizio lavori ex articoli 22 e 23 D.P.R. 380/2001”.

Il proprietario impugna e contesta l’ordine di demolizione censurando, da un lato, un vizio procedimentale, ovvero la mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo e dunque la violazione degli articoli 7 e 8 Legge 241/1990; dall’altro, nel merito, la contraddittorietà degli atti, e, più in dettaglio, il legittimo affidamento maturato dalla proprietà in ordine alla regolarità edilizia dell’opera per aver reso noto, al Comune, la conformazione dell’immobile e l’esistenza del corpo oggetto di demolizione già nel 1991 allorquando venne richiesto il titolo edilizio per alcuni interventi di ristrutturazione edilizia.

La proprietà dimostra anche che la porzione dell’immobile per la quale è ordinata la demolizione risale a prima del 1967 (ante, quindi, Legge 765/1967, che obbligò a richiedere la licenza edilizia anche per gli interventi posti fuori dal centro urbano) insistendo sia sulla “risalenza” del manufatto che sulla convinzione ormai creatasi circa la regolarità dell’opera essendo stato, l’intero compendio, sottoposto al vaglio del Comune all’epoca della ristrutturazione del ’91 (la comunicazione di inizio lavori è del 1.8.1991).

 

2. Costruzione e motivazione della pronuncia

Il Collegio respinge il primo motivo ma apprezza e accoglie il secondo.

Il vizio intorno alla mancata comunicazione di avvio procedimentale non regge sotto la “scure” della vincolatività dell’atto qual è quello demolitorio.

Per giurisprudenza pressoché unanime sul punto, l’attività repressiva degli abusi edilizi è attività vincolata della pubblica amministrazione e pertanto il relativo iter non prevede, in quanto non necessario, l’avvio del procedimento… non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario” [cfr. Tar Campania, Napoli, sez. IV, 9.6.2015 n. 3119]. Lo stesso art. 21 octies L. 241/1990 deporrebbe, secondo il Collegio, per la non essenzialità della comunicazione di avvio, non essendo la violazione del relativo obbligo motivo di annullamento dell’atto conclusivo “… […] specie quando emerga che il contenuto dell’ordinanza conclusiva del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello che è stato in concreto adottato” [cfr. Tar Lecce, sezione II, 14.3.2019 n. 441].

L’affidamento del privato, invece, è ritenuto motivo valido idoneo a determinare l’annullamento della decisione comunale, con conseguente riesame della vicenda nel complesso considerata prima dell’adozione dell’eventuale, nuova, misura demolitoria. Senza discostarsi dalla nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017 secondo la quale, pur a distanza di molto tempo dall’abuso, la repressione resta quale potere proprio e tipico della pubblica amministrazione in grado di contrastare gli illeciti commessi in nome del superiore interesse all’ordinato governo del territorio, il TAR sottolinea come si debba al contempo tutelare, in situazioni eccezionali come questa, l’affidamento di chi abbia compiutamente reso noto all’Amministrazione la propria posizione e sia stato poi, dalla stessa, indotto a ritenere come legittimo il suo operato.

In altri termini, il Collegio esalta la condotta del privato il quale, in modo trasparente, ha rappresentato al Comune la condizione edilizia del manufatto ed ha ritenuto, una volta comunicati i lavori di ristrutturazione, che non vi fosse alcuna anomalia né tanto meno un intervento avente carattere abusivo.

Da qui, sempre secondo il Collegio, un particolare sforzo motivazionale cui si sarebbe dovuta sottoporre l’ordinanza impugnata; a fronte del lieve abuso perpetrato (tenuto anche conto che il manufatto insiste sulla corte privata che è peraltro interclusa alla pubblica via) e della particolare “risalenza” dello stesso per essere stato realizzato prima del ’67, l’Amministrazione avrebbe dovuto motivare meglio, tenuto conto dei differenti interessi in gioco, l’opportunità della repressione e soprattutto valorizzare, sempre che vi fosse stato, il prevalente interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, contestualizzando la decisione e la sua effettiva portata.

Non avendo compiuto tale “sforzo”, ed essendo la motivazione invero astratta e scollata dal reale contesto in cui si inserisce, l’ordinanza appare illegittima, priva di quel substrato motivazionale che deve esigersi e che deve risultare tanto più rigoroso quanto più, come in questo caso, la demolizione è destinata a colpire un intervento molto datato di modeste dimensioni.

 

3. Nota conclusiva: istruttoria procedimentale e legittimo affidamento

Una prima considerazione circa il primo motivo del ricorso, legato alla comunicazione di avvio del procedimento.

È noto, sulla base della giurisprudenza prevalente, che la comunicazione di inizio dell’iter non sia necessaria in considerazione della decisione amministrativa “vincolata”, la quale, pur con l’apporto dei privati attraverso il contraddittorio procedimentale, non sarebbe diversa da ciò che è.

Ebbene, a volere vedere con attenzione risulta, in realtà, che, in fattispecie come quella scrutinata dai Giudici, l’apporto del privato attraverso i momenti partecipativi nel corso dell’istruttoria procedimentale può contribuire a definire più chiaramente l’assetto degli interessi coinvolti e coadiuvare l’Amministrazione nella scelta da compiere.

L’assunzione di elementi importanti destinati a condizionare la decisione finale i quali, come in questo caso, possono addirittura determinare una scelta piuttosto che un’altra, evitando “a posteriori” situazioni patologiche e contenziosi, sembra assurgere a fase imprescindibile tutt’altro che superflua.

In concreto, infatti, se vi fosse stata la comunicazione di avvio procedimentale in merito al paventato abuso, la proprietà avrebbe potuto rappresentare in seno al procedimento amministrativo – anziché nel successivo processo – la risalenza del manufatto e, soprattutto, la precedente pratica edilizia sulla ristrutturazione con i documenti in essa versati portando alla luce gli elementi fondanti il legittimo affidamento.

La seconda considerazione, in parte ricollegabile alla prima, muove dalla giurisprudenza della CEDU richiamata nella parte finale della pronuncia, ed attiene all’interesse pubblico legato al territorio.

La Corte, nella sentenza (tra le altre) del 21 aprile 2016 ricorso n. 46577/15, in ambito di poteri demolitori dell’Amministrazione, sottolinea come il Giudice debba sempre valutare caso per caso se l’esecuzione dell’ordine incida sul diritto all’abitazione in violazione del principio di proporzionalità, e richiedere in tal caso una specifica motivazione.

In buona sostanza si contrappongono esigenze di ordinato assetto del territorio ad esigenze abitative proprie dei soggetti, ed il contemperamento le une con le altre spetta all’Amministrazione guidata nelle proprie scelte dal principio di proporzionalità.

La sede in cui bilanciare gli interessi e motivare la scelta finale è data dal provvedimento, e dunque dall’ordinanza di demolizione, dalla quale pertanto si dovranno trarre tutti quegli elementi idonei a spiegare il “perché” della decisione amministrativa in modo logico e coerente. La motivazione, dunque, in tali casi, appare più che mai come la cartina tornasole del pubblico potere la quale, se non adeguatamente spiegata, rischia di compromette l’intera attività repressiva svolta.