Agenti sotto copertura, informatori e “collaboratori” della PG
Abstract
“Recht auf Gehör” (assicurare il principio del contraddittorio) e tutela adeguata dei collaboratori degli inquirenti e dei testi - che possono subire gravi pregiudizi attinenti alla vita e all’incolumità fisica a seguito della loro collaborazionee deposizione testimoniale - sono due principi, che devono essere salvaguardati nel caso di impiego di persone che, in vario modo, “collaborano” con gli inquirenti. Il presente articolo avrà per oggetto mezzi e modalità, attraverso i quali le legislazioni dell’Austria e della Svizzera hanno approntato la tutela di queste persone nonché la futura – migliore – disciplina che verrà, con ogni probabilità, introdotta nella RFT.
“Collaboratori” e informatori della PG – Problemi non soltanto per quanto riguarda la loro attendibilità
Il teste è un “persönliches Beweismittel” (un mezzo di prova “personale”). La prova per testi è - in linea di principio – non sostituibile da altro mezzo di prova (ved. BGHGrSSt 32, 115, 127). L’esame testimoniale, in sede dibattimentale, deve, salvo poche eccezioni, essere effettuato, secondo quanto disposto dai §§ 49 e seguenti StPO (CPP) e un’”informatorische Befragung”, nella fase dibattimentale, non è ammissibile.
Testi disposti a deporre, che – a seguito della loro “Aussagebereitschaft” – si prevede possano essere, fondatamente, oggetto di gravi minacce concernenti la vita, l’incolumità fisica, la libertà personale o i beni patrimoniali di rilevante valore, meritano una tutela particolare e, a tal fine, sono state introdotte, nella RFT, apposite misure di tutela (“Zeugenschutzmaßnahmen”); misure, che, all’occorrenza, possono essere estese anche a familiari del minacciato.
Il § 2, comma 4, dello ZSHG (“Zeugenschutzgesetz” – Legge di tutela dei testi) prevede, tra l’altro, che, per quanto concerne inizio e fine dello “Zeugenschutz”, debba esservi accordo tra giudice e Pm. Appare ovvio, che misure di “protezione” si rendano necessarie specialmente per gli informatori, “collaboratori” e agenti operanti sotto copertura, spesso necessari, anzi indispensabili, per poter anche “in die Leitungsschicht einzudringen” (avere notizie su chi dirige il “consorzio criminale”, dedito, per esempio, al traffico di armi e/o di stupefacenti).
Tenere riservato/segreto il nome (e le generalità) di queste persone (soltanto) nel corso delle indagini, non basta di certo. La cosiddetta Fürsorgepflicht esige, che V-Leute debbano fruire di misure di protezione anche in sede dibattimentale. Affinché possa essere esaminato – “in der Hauptverhandlung” – un “V-Mann (oder V-Frau)”, il giudice è tenuto a richiedere alla PA la “Freigabe” di questa persona ai fini della deposizione della stessa. Questo lo esige la cosiddetta Fürsorgepflicht, che incombe al giudice, mentre spetta, in linea di massima, al Pm, decidere, se a colui, che “collabora” con gli inquirenti, venga “Vertraulichkeit zugesichert” (assicurata riservatezza/segretezza sul nome e sulle generalità).
Appare ovvio, che, se un collaboratorevenisse chiamato a deporre in pubblica udienza come teste, declinando le generalità e mostrando persino il proprio volto, la predetta “Zusicherung” non varrebbe a nulla. Di scarsa utilità sarebbe pure l’esclusione del pubblico dal dibattimento.
In favore dei collaboratori è venuta in soccorso la tecnica degli ultimi decenni, che ha reso possibile la cosiddetta audiovisuelle Vernehmung a distanza, nella quale le generalità del teste sono attestate da un pubblico ufficiale, presente sul luogo, nel quale si trova il teste, che rende la testimonianza. All’occorrenza, non soltanto il volto del teste, può essere occultato oppure il teste può essere ripreso di spalle e la sua voce può essere “verfälscht”, per cui non è riconoscibile neppure sotto questo profilo. L’”audiovisuelle Vernehmung” consente soprattutto il contraddittorio tra le “parti” (il processo penale, nella RFT, non è un processo di parte), presupposto imprescindibile e indispensabile per un dibattimento secondo i canoni di uno Stato di diritto.
Essendosi la normativa dello “Zeugenschutzgesetz”, dimostrata, nella pratica di tutti i giorni, insufficiente o comunque inadeguata alle esigenze, da tempo, nella RFT, si discute, se il “reclutamento” e l’impiego di informatori, di agenti sotto copertura e delle cosiddette Vertrauenspersonen (VP), debba essere disciplinato espressamente per legge o meno.
Le riserve nei confronti dell’impiego di persone del genere, non sono poche, tenuto anche conto di un passato non remoto, in cui “heimliche Ermittlungen” (indagini segrete), erano state di frequente impiego e l’identità dei “collaboratori” non veniva rivelata, neppure in sede dibattimentale. Nella RFT, è ancora vivo il ricordo dei metodi, di cui si è, ampiamente, servita la “StaSi” nella “DDR”, contro chi la pensava diversamente dal regime.
È ovvio, che il non conoscere l’identità dei testi e, ancor più, di non poterli sottoporre a esame, costituisce un problema non certo lieve e non soltanto per il difensore dell’imputato. Chi è contrario all’impiego di “collaboratori” e informatori della PG, deduce, che essi provengono – spesso – dallo stesso ambiente, che è proprio del collaboratore(o informatore), per cui, le loro dichiarazioni, sono da valutare, già in sede di indagini, con (molta) prudenza o cautela, che dir si voglia. Altra ragione, che induce a “riserve” nei confronti di personaggi di questo genere (e dell’attendibilità delle loro dichiarazioni), possono essere i motivi, che hanno indotto questi soggetti alla collaborazioneo a offrirsi (anche spontaneamente) a fare l’informatore.
Sono, questi, tutti, “fattori”, che possono, per lo meno, “scalfire” la “Zuverlässigkeit” di persone di questo tipo. D’altra parte, nessuno può negare, che l’impiego di “collaboratori” e di informatori, in certi casi, sia, non soltanto necessario, ma indispensabile, specie quando “Ermittlungen” (indagini) riguardano la criminalità organizzata o la cosiddetta Clankriminalität.
Oggigiorno, in non poche legislazioni europee, a proposito di “collaboratori” e informatori, vige il cosiddetto Subsidiaritätsprinzip, nel senso che il ricorso alle predette persone è ammissibile, unicamente, se altri metodi di indagine, non si prospettano possibili o comunque “zielführend” oppure molto difficoltosi. Non di rado, il loro impiego è circoscritto a indagini riguardanti reati gravi e gravissimi.
Mantenere segreta la loro identità, è un’altra esigenza, che non contribuisce, di certo, a diminuire i problemi (anche di trasparenza), che una disciplina legislativa necessariamente comporterebbe.
Va, infine, accennato al non trascurabile rischio, che “collaboratori” e informatori, specie se provenienti da certi ambienti, possano indurre altri a commettere reati.
L’istituzione nella RFT di una commissione con il compito di elaborare una normativa espressa – Le proposte formulate
I motivi ora esposti, hanno indotto la RFT, a istituire una commissione di esperti, con il compito specifico, di elaborare linee direttive per una legge, atta a disciplinare questa materia, senz’altro spinosa e complessa.
La commissione ha, anzitutto, provveduto a definire, cosa s’intende per informatore, agente sotto copertura e “collaboratore”.
Il collaboratore(detto anche “Vertrauensperson – VP” o fiduciario), è un privato, non alle dipendenze della PG o, comunque, dello Stato, che si dichiara disposto ad aiutare gli inquirenti – durante un considerevole periodo di tempo e seguendo le direttive impartite dagli stessi – a patto che ne venga tenuta segreta l’identità, specie nell’ambiente di provenienza, al fine di salvaguardarne sicurezza e incolumità.
Informatore è persona disposta a fornire alla PG, in un caso singolo, informazioni dietro assicurazione della riservatezza/segretezza della propria identità. Questa persona si limita, quindi, a una collaborazionetutt’altro che continua (come abbiamo invece visto per il “collaboratore”).
“Verdeckter Ermittler”, è l’agente di polizia “provvisto” di documenti falsi, che svolge indagini (che possono protrarsi anche per un considerevole lasso di tempo), senza rivelare la propria, vera identità, nel corso delle indagini.
I “collaboratori”, come già accennato, agiscono rispettando le direttive imposte agli stessi da organi di polizia e hanno il compito specifico, di infiltrarsi in ambienti della criminalità e fornire, riservatamente, notizie alla PG, la quale ne verifica – ogni tanto – l’attendibilità e se gli stessi si sono attenuti alle direttive impartite. In casi di particolare “delicatezza” delle indagini, coloro, che “sorvegliano” i “collaboratori”, agiscono senza che sia nota (a chi svolge indagini di “ordinaria amministrazione”), l’identità del “collaboratore”, identità, che è conosciuta soltanto a chi è in contatto col “collaboratore”.
Ai fini della scelta dei “collaboratori”, saranno decisivi i seguenti criteri:
- i motivi, per i quali la persona si rende disponibile alla “collaborazione”.
- le condizioni personali della stessa
- i risultati di eventuali pregresse “collaborazioni”
- l’esclusione, che il collaboratore possa essere stato concorrente nella perpetrazione del reato, per il quale si intende procedere.
Non possono essere utilizzati come collaboratori, i minorenni e – soltanto raramente – coloro, che sono dediti al consumo di sostanze stupefacenti.
I motivi, per i quali una persona si decide di “collaborare” con gli inquirenti, possono essere vari, non ultimo quello di natura economica. Infatti, ai “collaboratori” viene corrisposto un emolumento per la loro attività, il cui ammontare è graduato in base all’entità del rischio, che il collaboratorecorre e ai risultati dell’opera prestata.
All’atto del reclutamento di un “collaboratore”, questi è informato (e di quest’informazione viene dato atto a verbale), che l’impegno a mantenerne segreta l’identità, viene meno:
- qualora fornisca, colposamente o volontariamente, informazioni false
- non ottemperi alle direttive a esso impartite dalla persona che lo “segue” nell’attività
- qualora risulti, che il collaboratoreabbia concorso nella perpetrazione del reato, per il quale si chiede la collaborazionedello stesso.
- se il collaboratoresi è reso responsabile di altro reato nel corso e nell’ambito della “collaborazione”.
Sono scelti come collaboratori soprattutto persone, che fanno parte dell’ambiente (criminale) o che presentano certe “vicinanze” (o “contiguità”, che dir si voglia) con il medesimo e nel quale l’infiltrazione di agenti sotto copertura, si appalesa troppo difficile o molto rischiosa.
Al fine di tenere segreta l’identità dei “collaboratori”, che, non di rado, corrono rischi per la vita o l’incolumità fisica, nelle informative dirette al Pm, non soltanto vengono tenuti segreti i nomi degli stessi, ma si evita pure, che dalle notizie ivi contenute, si possa risalire all’identità di queste persone. Ciò, indubbiamente, non è senza problemi, se in dibattimento si dovrebbe procedere all’esame del teste; avere a che fare con un teste “ignoto”, non è certo “piacevole” non soltanto per i difensori. Per garantire la segretezza dell’identità ai “collaboratori” esposti a particolare rischio, vengono fornite sistemazioni abitative e mezzi di trasporto, al fine che gli stessi possano continuare ad agire nell’ambiente, senza dare sospetto.
Quali sono, dunque, le proposte formulate dalla commissione di esperti, nominata nella RFT, per disciplinare reclutamento e impiego di “collaboratori”, tuttora privo di disciplina legislativa (almeno in gran parte)?
È ben vero, che il § 163 StPO (CPP) contiene la cosiddetta Ermittlungsklausel, ma non si tratta di una “speziellen gesetzlichen Regelung”.
La commissione di esperti ha esaminato la giurisprudenza della Corte costituzionale federale e della Cedu sul punto; è pervenuta alla conclusione, che la disciplina attuale (§ 163 StPO e l’”Anlage D” zur RiStBV) potrebbe bastare per legittimare il ricorso agli informatori. Diversa è la situazione per quanto concerne i “collaboratori”. Già nel 2001, l’Associazione dei Giudici (il “Richterbund”) della RFT, aveva chiesto, che l’impiego di queste persone venisse “gesetzlich geregelt” (disciplinato da apposita legge).
La commissione, preso atto, che il ricorso a “collaboratori”, è, da decenni, “gängige Praxis” (prassi abituale), si è espressa nel senso, che l’impiego di collaboratori venga disciplinato dal legislatore. Ciò nonostante, non sono state poche le obiezioni (pervenute da varie parti), che in tal modo, lo Stato si “servirebbe” di persone provenienti da ambienti, spesso della criminalità, che percepirebbero, inoltre, un emolumento per la loro “collaborazione”. C’è chi sottolinea, che dubbi circa l’attendibilità delle informazioni fornite da persone del genere, suscitano qualche (legittima) perplessità e che la verifica (della fondatezza) di quanto dichiarato, è tutt’altro che agevole, sia per gli organi giudiziari, che per i difensori. La motivazione, che spinge questi soggetti a “collaborare”, rimane spesso oscura.
Nonostante tutto, la commissione di esperti, si è espressa – quasi all’unanimità - nel senso che il ricorso ai “collaboratori” (che, ben inteso, non sono da paragonare ai cosiddetti pentiti della normativa italiana, che ottengono riduzioni di pena anche ragguardevoli), si appalesa indispensabile, specie per contrastare la criminalità organizzata, il terrorismo e la cosiddetta Clankriminalität, caratterizzata, quest’ultima, dal fatto, che i componenti di queste “bande”, sono legati tra di loro da vincoli familiari o comunque parentali o di affinità. Persone, che riescono a fornire segretamente notizie su consorterie (criminali) del genere, sono oltremodo “preziose” per gli inquirenti e per l’autorità giudiziaria. Si è reso conto, la commissione, che l’impiego di “collaboratori” e la loro “utilizzazione” in dibattimento, costituisce un non trascurabile “Eingriff in die Grundrechte” (diritti fondamentali). Tuttavia, con l’emananda legge verrebbero anche ben determinati, presupposti per l’impiego e per l’attività di “collaboratori”. Con l’occasione, il legislatore potrebbe dettare una disciplina unitaria valevole per tutto il territorio della RFT (mentre, attualmente, sono riscontrabili differenze, anche di rilievo, tra i singoli Länder).
Altro “aggiustamento” si potrebbe operare nel senso di una necessaria (o almeno opportuna) differenziazione della disciplina da dettare per i “collaboratori” e per i “meri” informatori.
Quando sarà lecito avvalersi dell’attività di “collaboratori”? Per quali reati?
Ammissibilità del ricorso a “collaboratori” soltanto nel caso di sospetto della commissione di determinati reati gravi?
È stato detto, che l’impiego di “collaboratori” (e di informatori) dovrebbe essere limitato per prevenire e per accertare soltanto reati gravi. In altre parole, avvalersi di questi soggetti, dovrebbe essere consentito, se si tratta di ben definite “Katalogtaten” o “Anlasstaten” (fatti, dai quali traggono poi spunto le indagini e nel corso delle quali, si reputa indispensabile “utilizzare” “collaboratori” ai fini del buon esito delle indagini stesse). Altrimenti, non sussisterebbe un “angemessenes Verhältnis” tra reato da accertare e gravità dello stesso; verrebbe violato il “Verhältnismäßigkeitsprinzip” (principio di proporzionalità) tra mezzo impiegato e risultato che si intende conseguire.
Hanno sostenuto, alcuni componenti della commissione, che sarebbe necessario redigere un elenco – tassativo – di reati (sulla falsariga di quanto previsto dal § 100 g StPO (CPP) per le ipotesi, in cui è lecita l’intercettazione delle conversazioni telefoniche). Anche a proposito della “Verkehrsdatenerhebung” (rilevazione di dati del traffico veicolare), gli “Straftatbestände” (fattispecie di reato) sono enumerati normativamente.
Si era discussa pure l’opportunità, di limitare l’impiego dei “collaboratori” ad alcune specie di delitti gravi, se vengono commessi in forma associata, per fini di lucro oppure “gewohnheitsmäßig”. Alla fine, la commissione, a maggioranza, si è pronunziata contro un’elencazione tassativa.
Tutti i componenti della commissione sono però stati unanimi nel ritenere l’esigenza, che l’emananda legge dovrebbe contenere la “Subsidiaritätsklausel”; il ricorso all’impiego di “collaboratori”, sarà lecito soltanto qualora l’impiego di altri mezzi di indagine si sia rivelato “infruttuoso” o di particolare difficoltà operativa oppure, ancora, molto rischiosa. Il segreto sull’identità del collaboratore si prospetta indispensabile, anche perché questi agisce per un periodo di tempo non breve e la segretezza è, quindi, necessaria pure per salvaguardare la continuità dell’opera del collaboratore(oltre che per preservarlo da atti di ritorsione), una volta che avrà cessato la propria attività in favore degli inquirenti. Se non venisse salvaguardata la segretezza dell’identità del “collaboratore”, sarebbe oltremodo difficoltoso “acquisire” nuovi “collaboratori”.
Secondo la commissione, la segretezza dell’identità del “collaboratore”, deve essere garantita non soltanto per preservare i beni della vita e dell’incolumità fisica del “collaboratore”, ma anche per evitare che possa subire “sonstige unzumutbare Nachteile” (altri inaccettabili svantaggi). Si pensi, per esempio, al “collaboratore”, titolare di un’azienda commerciale o al libero professionista, la cui identità non verrebbe mantenuta segreta.
Tuttavia, al fine di prevenire (facili e facilmente prevedibili) censure di incostituzionalità dell’emananda normativa, i presupposti per il mantenimento della segretezza dell’identità del “collaboratore”, devono essere rigorosi.
Per quanto concerne gli informatori, alcuni componenti della commissione sono stati dell’avviso, che per essi non sarebbe necessario mantenere il segreto dell’identità in quanto sarebbe tutela sufficiente quella offerta dal disposto del § 68 StPO (CPP), dettato a “protezione” dei testi (che potrebbero essere minacciati, oltre che nei loro beni della vita e dell’incolumità fisica, anche nella libertà personale (propria o di familiari).
Per questo motivo, il citato paragrafo prevede, che testi del genere siano esentati dal fare “Angaben zur Person” (ivi compresa la menzione del luogo di residenza). Si ricorre, spesso, in casi del genere, alla cosiddetta audiovisuellen Vernehmung (esame a distanza, servendosi di mezzi elettronici di trasmissione istantanea).
La commissione ha ritenuto, che è opportuno assicurare la segretezza dell’identità, in alcuni casi, agli informatori, perché, non di rado, dalle loro “confidenze”, gli inquirenti traggono spunto per un “Anfangsverdacht” (sospetto iniziale) e quindi per l’avvio di indagini. Mantenere segreta l’identità dell’informatore, dovrebbe, però, essere circoscritta ai casi, in cui la rivelazione della stessa implicherebbe “erhebliche Gefährdung oder unzumutbare Nachteile per la “gola profonda”. Il ricorso a informatori, è particolarmente frequente, in zone, in cui prospera l’opportunismo; si tratta spesso di soggetti, che hanno “Dreck am Stecken” (non sono proprio degli stinchi di santo) o nel cui ambiente familiare…
L’esistente normativa Svizzera
Qual è la normativa in Svizzera?
Va premesso, che nella StPO della Confoederatio Helvetica, troviamo le espressioni “verdeckte Ermittlungen” e “verdeckte Ermittler”, senza che il CPP svizzero contenga una distinzione tra impiego “verdeckt ermittelnder Polizeibeamten” (forze dell’ordine, che svolgono indagini sotto copertura) e “private Vertrauenspersonen” (privati, che “collaborano” con le forze dell’ordine).
Precisa il § 285 a StPO (CPP), che è il caso di parlare di “verdeckter Ermittlung” (indagini sotto copertura o “inchiesta mascherata”, come si esprime testualmente il codice): 1) se appartenenti alla polizia o persone, che, temporaneamente, sono dipendenti (“sind angestellt”) o comunque svolgono attività di indagine, 2) qualora, servendosi di un documento attestante una falsa identità e 3) se con un comportamento ingannevole, contattano persone allo scopo di carpirne la fiducia e di infiltrarsi in un ambiente criminale al fine di “far luce”, come dice testualmente il CPP, su reati particolarmente gravi.
I presupposti per la liceità “verdeckter Ermittlungen”, sono simili, ma non identici, a quelli dettati dal CPP della RFT in materia di intercettazioni telefoniche (deve sussistere un “Anfangsverdacht”, vale a dire, il sospetto, che sia stato commesso uno dei reati, tassativamente indicati).
Anche la normativa svizzera prevede la cosiddetta Subsidiaritätsklausel nel senso che il ricorso a “verdeckte Ermittlungen” è ammissibile (soltanto), se altre attività di indagine si prospettano senza “successo” (“erfolglos”) o particolarmente difficoltose. Infine, occorre, che le indagini siano state autorizzate dal giudice (“gerichtlich genehmigt”).
Ai fini della tutela (o, meglio, della riservatezza) dell’identità “verdeckter Ermittler”, gli stessi possono essere “provvisti” (“ausgestellt”) di una falsa (o fittizia) identità. Il PM non è tenuto a rivelare la – vera – identità di queste persone, neppure se depongono in qualità di testi (in dibattimento).
Per quanto concerne la cosiddetta Tatprovokation, va osservato, che il § 293 StPO, legittima l’impiego “verdeckter Ermittler” (agenti infiltrati) soltanto al fine “einen schon vorhandenen Tatentschluss des Täters zu konkretisieren” (a concretizzare la già sussistente “propensione” della persona, di commettere reato); in nessun caso, indurre una persona a commettere reato oppure a perpetrare un reato più grave di quello, che l’infiltrato (già) si era proposto. Se il “verdeckte Ermittler” trasgredisce il divieto de quo, la pena, per la persona che ha commesso reato, perché illecitamente indotta, deve essere ridotta oppure si deve “von Strafe absehen” (archiviare).
La persona, nei confronti della quale, si è fatto ricorso a una “verdeckten Ermittlung”, deve essere informata (avvisata) dell’avvenuto impiego, una volta che si siano concluse le indagini preliminari. Tuttavia, in casi eccezionali, il giudice ha facoltà di disporre, che si prescinda dall’”avviso” o che la comunicazione venga ritardata, qualora i “gewonnenen Erkenntnisse”, le risultanze delle indagini, non verranno utilizzate a fini probatori o se ciò si appalesa necessario allo scopo di tutelare prevalenti interessi pubblici o privati.
All’indagato, nei confronti del quale vi è stato “Einsatz verdeckter Ermittler”, compete il diritto di proporre “Beschwerde” (“sich zu beschweren”, di reclamare) contro il ricorso a questo mezzo di indagine.
Il ricorso alle “Vertrauenspersonen” in Austria
Per quanto concerne la legislazione austriaca, la StPO (CPP) disciplina presupposti ed esecuzione “verdeckter Ermittlungen”, sia da parte di appartenenti a organi di polizia, sia mediante ricorso a “Vertrauenspersonen” (“collaboratori”).
“Vertrauensperson”, secondo il CPP austriaco, è una persona, che, volontariamente, si dichiara disposta, ad agire – per conto della PG - durante un periodo di tempo non breve e previa assicurazione della segretezza della propria identità - al fine di procurarsi notizie atte ad accertare un fatto costituente reato oppure, se necessario - seguendo le direttive impartite dalla PG - a partecipare a “verdeckten Ermittlungen”, condotte dalla PG.
Informatore (“Informant”) è la persona, che – sua sponte – e dietro assicurazione della segretezza della propria identità - si dichiara disposta, in un determinato caso, a fornire alla PG, notizie riservate concernenti un fatto costituente reato.
La normativa austriaca conferisce al Pm la facoltà, di disporre “verdeckte Ermittlungen”, condotte sistematicamente e durante un considerevole lasso di tempo, qualora, senza il ricorso a misura del genere, l’accertamento di un reato doloso, punito con pena detentiva non inferiore a un anno, si rivelerebbe di notevole difficoltà; altresì, se si tratta di prevenire la commissione di un reato di natura terroristica o di associazione per delinquere, la cui perpetrazione è “geplant” e qualora l’attività di prevenzione si prospetterebbe, altrimenti, notevolmente difficoltosa.
Il ricorso a “verdeckte Ermittlungen”, purché di breve durata, è consentito anche a iniziativa della PG, se ciò si appalesa necessario al fine di accertare reati.
L’accesso a vani adibiti ad abitazione, ai “verdeckten Ermittler”, è lecito unicamente previo consenso del proprietario/del detentore dell’entità immobiliare. Dopo la conclusione delle indagini, all’indagato, va notificato il provvedimento, con il quale la misura è stata autorizzata e disposta.
L’identità della “Vertrauensperson” può essere mantenuta segreta anche nei confronti del giudice. Sussiste poi la possibilità di un’”anonymen Aussage” (di una deposizione anonima); parimenti, allo stesso fine, il pubblico può essere escluso dall’assistere al dibattimento.
È consentito dare lettura – in dibattimento – del verbale di una deposizione da utilizzare poi a fini probatori? La risposta è affermativa 1), se si tratta di procedimento per un reato particolarmente grave 2), qualora sia evidente, che l’incolumità fisica o la vita della “Vertrauensperson” – a seguito della deposizione della stessa – sarebbe in pericolo e 3) se una deposizione anonima, in dibattimento, sia pure con esclusione del pubblico, non sarebbe atta a salvaguardare la sicurezza della “Vertrauensperson – VP”).
Con riferimento alla “Tatprovokation”, il paragrafo 5, comma 3, StPO (CPP), prevede, che è inammissibile (“unzulässig”) indurre una persona a dichiarazioni di natura confessoria mediante ricorso a persona, di cui il “confitente” ignora la (vera) qualifica.
È da notare, che il § 133, comma 5, StPO, obbliga il Pm, “von der Verfolgung eines Beschuldigten wegen solcher strafbaren Handlungen abzusehen” (a procedere ad archiviazione), la cui perpetrazione è avvenuta, violando il disposto del § 5, comma 3, StPO.