Amministratore - Cassazione Civile: lo stipendio dell’amministratore societario è totalmente pignorabile
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che lo stipendio dell’amministratore societario può essere pignorato nella sua interezza e non fino ad un quinto come previsto dal Codice di Procedura Civile, all’Articolo 545 comma 4: “tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo stato, alle province ed ai comuni, ed in egual misura per ogni altro credito.”.
La sentenza è di notevole interesse in quanto ha cercato di arrivare ad una soluzione riguardo al contrasto giurisprudenziale sul rapporto tra società ed amministratore.
Il fatto
La controversia, nata a seguito dell’espropriazione presso terzi intentata da una banca contro il suo debitore, nella sentenza di primo grado vedeva l’assegnazione all’istituto procedente della totale somma accantonata dai terzi a titolo di emolumenti per l’attività. Il debitore era infatti amministratore di una delle società terze pignorate e membro del consiglio di amministrazione dell’altra.
Il debitore si opponeva all’ordinanza di assegnazione deducendo che vi era stata una diversa qualificazione della propria attività, secondo lui riconducibile all’ambito di applicazione dell’Articolo 409 numero 3 del Codice di Procedura Civile, e che quindi vi era una limitazione alla pignorabilità (solo fino ad un quinto).
Il tribunale accoglieva la sua opposizione, qualificando l’attività lavorativa del debitore come lavoro parasubordinato e dunque limitava ad un quinto l’assegnazione di quanto i terzi pignorati avevano accantonato.
La banca creditrice ha proposto ricorso in cassazione per alcuni motivi. Quelli di interesse sono i seguenti: il giudice ha omesso di accertare in modo concreto il grado di subordinazione del soggetto debitore in quanto egli svolgeva lo stesso ruolo di amministratore presso diversi enti; inoltre, dandosi atto del contrasto giurisprudenziale in tema di identificabilità dell’attività parasubordinata nella figura dell’amministratore, si chiede di riconoscere e applicare la teoria che esclude il rapporto parasubordinato, in quanto non vi sono riscontrabili le caratteristiche della continuità e della coordinazione.
Dottrina e giurisprudenza a confronto
La dottrina a riguardo identifica due principali orientamenti: il primo, cosiddetto contrattualista, individua la presenza di un vero e proprio contratto che lega l’amministratore e la società, che però sono autonomi centri d’interesse; il secondo, cosiddetto organico, configura solo un’immedesimazione dell’organo nella persona giuridica che rappresenta, senza possibilità di un regolamento negoziale interno.
L’orientamento contrattualistico apre all’ipotesi di un rapporto parasubordinato tra i due soggetti distinti, mentre quello organico lo esclude.
La giurisprudenza ha parimenti evidenziato due principali orientamenti, discendenti da quelli dottrinali. Un primo orientamento esclude l’individuazione di un rapporto tra i due distinti poli d’interesse rappresentati dalla figura dell’amministratore e da quella della società, dato che nella società per azioni si attribuisce all’amministratore rappresentante le caratteristiche di organo. Altro orientamento, invece, ritiene che il rapporto tra amministratore e società per azioni presenti i caratteri della continuità e del coordinamento necessari per affermare la competenza della materia al giudice del lavoro.
Una svolta a questo dibattito è avvenuta con una sentenza degli anni ‘90 secondo cui la controversia nella quale l’amministratore di una società per azioni chieda la condanna della società al pagamento di una somma dovuta per effetto dell’attività di esercizio delle funzioni gestorie è soggetta al rito del lavoro. Nonostante ciò negli anni non è stato risolto il contrasto giurisprudenziale.
Dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che il coordinamento, presupposto dall’Articolo 409 sopra citato a cui fa capo questo orientamento, è di tipo verticale e quindi soggetto ad ingerenze e direttive altrui; ma ciò non è individuabile rispetto all’attività di amministratore societario. Egli, infatti, è l’unico gestore dell’impresa, con il solo limite di quegli atti che non rientrano nell’oggetto sociale. Dunque, l’amministratore unico di una società per azioni è legato da un rapporto di tipo societario, che non è compreso tra quelli previsti dall’Articolo 409.
Decisione
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha accolto i motivi di ricorso sopra menzionati (il terzo e quarto), cassando la sentenza impugnata e rigettando l’opposizione proposta dal debitore.
In sostanza, secondo la Cassazione, la sentenza impugnata ha errato nell’affermare la limitata pignorabilità dei crediti e da ciò ne deriva che i compensi spettanti agli amministratori per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili nella loro totalità.
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza del 20 gennaio 2017, n. 1545)
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito che lo stipendio dell’amministratore societario può essere pignorato nella sua interezza e non fino ad un quinto come previsto dal Codice di Procedura Civile, all’Articolo 545 comma 4: “tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo stato, alle province ed ai comuni, ed in egual misura per ogni altro credito.”.
La sentenza è di notevole interesse in quanto ha cercato di arrivare ad una soluzione riguardo al contrasto giurisprudenziale sul rapporto tra società ed amministratore.
Il fatto
La controversia, nata a seguito dell’espropriazione presso terzi intentata da una banca contro il suo debitore, nella sentenza di primo grado vedeva l’assegnazione all’istituto procedente della totale somma accantonata dai terzi a titolo di emolumenti per l’attività. Il debitore era infatti amministratore di una delle società terze pignorate e membro del consiglio di amministrazione dell’altra.
Il debitore si opponeva all’ordinanza di assegnazione deducendo che vi era stata una diversa qualificazione della propria attività, secondo lui riconducibile all’ambito di applicazione dell’Articolo 409 numero 3 del Codice di Procedura Civile, e che quindi vi era una limitazione alla pignorabilità (solo fino ad un quinto).
Il tribunale accoglieva la sua opposizione, qualificando l’attività lavorativa del debitore come lavoro parasubordinato e dunque limitava ad un quinto l’assegnazione di quanto i terzi pignorati avevano accantonato.
La banca creditrice ha proposto ricorso in cassazione per alcuni motivi. Quelli di interesse sono i seguenti: il giudice ha omesso di accertare in modo concreto il grado di subordinazione del soggetto debitore in quanto egli svolgeva lo stesso ruolo di amministratore presso diversi enti; inoltre, dandosi atto del contrasto giurisprudenziale in tema di identificabilità dell’attività parasubordinata nella figura dell’amministratore, si chiede di riconoscere e applicare la teoria che esclude il rapporto parasubordinato, in quanto non vi sono riscontrabili le caratteristiche della continuità e della coordinazione.
Dottrina e giurisprudenza a confronto
La dottrina a riguardo identifica due principali orientamenti: il primo, cosiddetto contrattualista, individua la presenza di un vero e proprio contratto che lega l’amministratore e la società, che però sono autonomi centri d’interesse; il secondo, cosiddetto organico, configura solo un’immedesimazione dell’organo nella persona giuridica che rappresenta, senza possibilità di un regolamento negoziale interno.
L’orientamento contrattualistico apre all’ipotesi di un rapporto parasubordinato tra i due soggetti distinti, mentre quello organico lo esclude.
La giurisprudenza ha parimenti evidenziato due principali orientamenti, discendenti da quelli dottrinali. Un primo orientamento esclude l’individuazione di un rapporto tra i due distinti poli d’interesse rappresentati dalla figura dell’amministratore e da quella della società, dato che nella società per azioni si attribuisce all’amministratore rappresentante le caratteristiche di organo. Altro orientamento, invece, ritiene che il rapporto tra amministratore e società per azioni presenti i caratteri della continuità e del coordinamento necessari per affermare la competenza della materia al giudice del lavoro.
Una svolta a questo dibattito è avvenuta con una sentenza degli anni ‘90 secondo cui la controversia nella quale l’amministratore di una società per azioni chieda la condanna della società al pagamento di una somma dovuta per effetto dell’attività di esercizio delle funzioni gestorie è soggetta al rito del lavoro. Nonostante ciò negli anni non è stato risolto il contrasto giurisprudenziale.
Dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che il coordinamento, presupposto dall’Articolo 409 sopra citato a cui fa capo questo orientamento, è di tipo verticale e quindi soggetto ad ingerenze e direttive altrui; ma ciò non è individuabile rispetto all’attività di amministratore societario. Egli, infatti, è l’unico gestore dell’impresa, con il solo limite di quegli atti che non rientrano nell’oggetto sociale. Dunque, l’amministratore unico di una società per azioni è legato da un rapporto di tipo societario, che non è compreso tra quelli previsti dall’Articolo 409.
Decisione
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha accolto i motivi di ricorso sopra menzionati (il terzo e quarto), cassando la sentenza impugnata e rigettando l’opposizione proposta dal debitore.
In sostanza, secondo la Cassazione, la sentenza impugnata ha errato nell’affermare la limitata pignorabilità dei crediti e da ciò ne deriva che i compensi spettanti agli amministratori per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili nella loro totalità.
(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza del 20 gennaio 2017, n. 1545)