Aporofobia: odio, rifiuto e disprezzo per i poveri

Acquario di Genova
Ph. Simona Balestra / Acquario di Genova

La povertà è un fenomeno che può assumere diverse concezioni e definizioni, secondo lo studio o l’analisi preso in considerazione. Ma è altro tanto vero che la povertà è uno di quei fenomeni che deve essere compreso al massimo nei suoi meccanismi, tendenze e dinamiche.

Uno dei meccanismi in cui la povertà si manifesta è attraverso la discriminazione. Sembrerebbe strano, probabilmente perché non si tiene in mente che le persone povere possano essere discriminate per la propria condizione svantaggiata. Ma la realtà dei fatti è altra. Infatti, le persone in difficoltà economiche subiscono delle discriminazioni fisiche o psicologiche, o meglio, subiscono discriminazioni per aporofobia.

 

Ma cos’è Aporofobia?

L’espressione aporofobia unisce due termini greci, ἄπορος áporos 'privo di risorse' e – fobos 'paura o timore'. E quindi, l’aporofobia è il rifiuto, odio o disprezzo per il povero, per la povertà.

Il termine è il risultato della ricerca da parte della filosofa spagnola Adela Cortina, durante la crisi migratoria in Europa negli anni Novanta del secolo scorso. L’obiettivo della Cortina è stato dare un nome ad un fenomeno che era presente ma non era riconosciuto e di conseguenza non era combattuto.

La Real Academia Espanola (RAE) ha riconosciuto ufficialmente il termine soltanto nel 2017, appena la Fundación del Español Urgente (Fundéu BBVA) scelse come parola dell’anno “aporofobia”, approvandola come un neologismo valido nella lingua spagnola per far riferimento all’odio o rifiuto del povero.

Se si vuole cercare una definizione in lingua italiana, realizzata da un’istituzione simile a quella spagnola, ad esempio nell’enciclopedia Treccani nell’Accademia della Crusca, purtroppo non ne esiste una. E di conseguenza, l’aporofobia non è riconosciuta nel nostro vocabolario.

 

Aporofobia: relazioni e differenze

L’aporofobia è un tipo di comportamento sociale negativo, di spregio nei confronti dei poveri, che non causa subito delle conseguenze o si manifesta immediatamente. Tant’è vero che, la maggior parte di noi, se non tutti, almeno una volta è stato aporofobo. E non sa di esserlo mai stato, perché tendiamo ad applicare la fallacia della generalizzazione distorta, ovvero, considerare pochi casi specifici (quel barbone puzza o quel povero ruba) per trarre delle conclusioni universali: “tutti i barboni puzzano” o “tutti i poveri rubano”.

È vero però, che l’aporofobia è molto difficile da riconoscere, perché si mimetizza con altri fenomeni sociali – xenofobia o razzismo, ad esempio – e di conseguenza, risulta ancor più difficile contrastarla. Quindi, non discriminiamo una persona perché straniera o immigrata (xenofobia) ma perché rappresenta, secondo la generalizzazione distorta, povertà (aporofobia). Perché la si ritiene di essere povera probabilmente a causa del paese di cui proviene con pessime condizioni di vita o comunque meno sviluppato socio-economicamente. Mentre, ciò non avviene laddove lo straniero è percepito come fonte di ingresso, ad esempio, quando è turista.

Per quanto riguarda il razzismo invece, la discriminazione non è più per il colore della pelle né quanto meno per la razza, ma piuttosto perché generalizzando nuovamente, le persone con quelle caratteristiche fisiche rappresentano disagi, problemi, e quindi, povertà.

 

Crimini e discorsi d’odio: il mancato riferimento all'aporofobia

La definizione con la quale vengono interpretati i crimini d’odio è quella redatta dall’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR) dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), secondo la quale «il crimine d’odio è un reato, compiuto contro un individuo e/o beni ad esso associati, motivato da un pregiudizio che l’autore nutre nei confronti della vittima”. Un crimine d’odio, quindi, per essere tale deve presentare due elementi essenziali: da una parte esso sia penalmente un reato e dall’altra vi sia un pregiudizio che lede qualcuno.

Per quanto riguarda, invece, il discorso d’odio, uno dei problemi è che non vi è una definizione esatta a livello internazionale. Se si prende come punto di riferimento la raccomandazione no. R (97) 20 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, con l’espressione “hate speech” (discorso d’odio) si indicano tutte quelle forme che diffondono, incitano, promuovono o giustifichino l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo oppure altre forme di odio basate sull’intolleranza, comprese le intolleranze espresse attraverso il nazionalismo aggressivo e l’etnocentrismo, la discriminazione e l’ostilità contro le minoranze, i migranti e le persone di origine migrante.

Il problema ora riguarda il mancato riferimento esplicito nella normativa europea per quanto riguarda l’aporofobia come reato, infatti, nella risoluzione del Parlamento europeo del 21 gennaio 2021 sull'accesso a un alloggio dignitoso e a prezzi abbordabili per tutti, nella sezione “Combattere il fenomeno dei senza dimora e lottare contro la discriminazione”, punto 20, si invita all’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali di aumentare il monitoraggio dei crimini d’odio e degli incidenti motivati dall’aporofobia, ma evidenzia che “la povertà e il fenomeno dei senza dimora non sono un reato” e inoltre, esorta agli Stati membri a introdurre l'aporofobia nelle proprie politiche di pubblica sicurezza come reati generati dall'odio.

 

Aporofobia: la normativa EU, Spagna e Italia

Secondo FEANTSA (European Federation of National Organisations Working with the Homeless) attualmente, tranne il caso della Spagna, non vi è nessuno altro Stato membro dell'UE che disponga di una legislazione specifica sulla criminalità basata sull'odio nei confronti delle persone Clochard. Tuttavia, vi sono alcuni, come la Germania, che considerano i crimini commessi come una conseguenza di odio o pregiudizi discriminatori, come fattore aggravante. Infatti, vi è la possibilità per i giudici di aumentare la pena per un crimine che mostra motivi pregiudiziali.

In Spagna, attraverso la Legge organica 10/1995, 23 novembre, del Codice penale, l’aporofobia è stata introdotta come circostanza che aggrava un reato ai sensi degli articoli: 22, comm., 4; 314; 511 comm., 1 e 2; 512; 515 comm., 4.

Mentre, con Ley Orgánica de protección integral a la infancia y la adolescencia frente a la violencia, approvata il 5 giungo 2021 è stata modificata tale legge per garantire l’eliminazione dell’aporofobia ai sensi dell’art. 3, comm., 10: “Garantire l'eradicazione e la protezione contro qualsiasi forma di discriminazione e il superamento stereotipi sessisti, razzisti, omofobici, bifobici, transfobici o per motivi estetici, di disabilità, di malattia, di aporofobia o di esclusione sociale o per qualsiasi altra circostanza o condizione personale, familiare, sociale o culturale”.

Inoltre, sempre con lo stesso disegno di legge, l’aporofobia è stata introdotta ai sensi dell’art.510 come particolarmente perseguitata nei discorsi che incoraggiano, promuovono o incitano direttamente o indirettamente all'odio. In tal caso, la pena sarà detentiva da uno a tre anni oppure una multa da 12 a 24 mesi. Allo stesso modo, sarà reato giustificare, negare, minimizzare gravemente o esaltare reati contro persone per motivi di aporofobia. Quindi, discriminare qualcuno per la sua condizione di povertà quando si tratta di accedere a un lavoro o di ricevere un servizio, come andare dal medico o entrare in un bar, è attualmente un reato.

L’obiettivo del testo legislativo spagnolo è quello di rispondere a un fenomeno sociale la cui base criminale si fonda sul rifiuto, l’odio o il disprezzo per i poveri, motivo espressamente citato nell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (o Carta di Nizza):  “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

In Italia, invece, l’aporofobia secondo la normativa di riferimento che tutela penalmente in materia di discriminazione non è considerata tale da rientrare nel cosiddetto “Impianto Mancino-Reale”, ovvero, la Legge Mancino (Legge 25 giugno 1993, n. 205 sulle misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) e la Legge Reale (Legge 13 ottobre 1975, n. 654 che ha ratificato la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale). Inoltre, nell’art. 604 bis CP – Propaganda o istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa – non vi è nessun riferimento a punire alcun atto di discriminazione per aporofobia.