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Appalti pubblici: obblighi dichiarativi, omissioni e obbligo di collaborazione

Appalti pubblici
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Una recente pronuncia del TAR Lazio, sede di Roma (sentenza n. 8821 del 28.07.2020, resa dalla Sezione II quater) offre lo spunto per operare delle brevi e sintetiche riflessioni in ordine alla corretta delimitazione dell’ampiezza degli obblighi dichiarativi gravanti sui partecipanti alle procedure d’appalto, con specifico riferimento alle previsioni dettate dall’articolo 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016, ed alla luce, altresì, degli orientamenti giurisprudenziali, invero non del tutto univoci e concordanti, formatisi in subiecta materia.

Con la sentenza sopra rammentata è stato respinto il ricorso proposto dall’operatore economico classificatosi al secondo posto della graduatoria, avverso l’aggiudicazione disposta dalla Città Metropolitana di Roma relativamente all’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti del Comune di Ladispoli.

Prescindendo, in questa sede, per amor di brevità, dall’esame puntuale delle varie doglianze sollevate dal ricorrente, come già accennato ritenute non meritevoli di accoglimento dal Tribunale adito, occorre evidenziare come il profilo di maggiore interesse sia costituito dal ricorso incidentale proposto dalla controinteressata aggiudicataria.

Il predetto ricorso incidentale postulava, in buona sostanza, la necessità di escludere dalla procedura di gara il ricorrente principale per avere questi violato gli obblighi dichiarativi imposti dal menzionato articolo 80 del Codice, avendo omesso di dichiarare fatti di significativa importanza, sotto il profilo della affidabilità del partecipante.

La riferita circostanza, nella prospettiva del ricorrente incidentale, avrebbe dovuto integrare gli estremi dei gravi illeciti professionali, ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lett. c), del Codice, con conseguente esclusione della ricorrente principale, giusta quanto statuito dalle successive lettere c-ter e f-bis del medesimo comma 5.

In particolare, la controinteressata evidenziava che la ricorrente principale aveva omesso di dichiarare, quanto al Presidente:

a) la pendenza di un procedimento penale presso il Tribunale di Latina, per frodi in pubbliche forniture e truffa (che riguardava anche l’amministratore delegato);

b) la pendenza di un procedimento penale per riciclaggio presso il Tribunale di Avellino;

c) la pendenza di procedimento penale attinente alla gestione dei rifiuti presso il Tribunale di Salerno;

d) la condanna a 40 giorni di arresto e 600,00 euro di ammenda patteggiata in data 29.11.2016 presso il Tribunale di Frosinone, per violazioni delle prescrizioni in tema di rifiuti pericolosi,

sottolineando, inoltre, come le ulteriori dichiarazioni rese dalla ricorrente principale, relative a procedimenti penali pendenti presso i Tribunali di Nola, Latina e Salerno, fossero connotate da reticenza, in quanto generiche, con conseguente alterazione del corretto iter procedimentale ed induzione in errore della stazione appaltante.

Orbene, tale ultima censura è stata immediatamente rigettata dal Tribunale investito della controversia che ha rilevato come le dichiarazioni rilasciate alla stazione appaltante recassero l’indicazione del titolo di reato per il quale l’Autorità Giudiziaria procedeva, e consentivano, per l’effetto, ove ritenuto opportuno e necessario, alla Città Metropolitana di operare ulteriori approfondimenti.

In ordine agli ulteriori procedimenti penali i giudici amministrativi rilevavano, in via preliminare, come la pendenza di procedimento penale presso il Tribunale di Salerno fosse stata regolarmente dichiarata dal ricorrente principale, con conseguente infondatezza in fatto della doglianza relativa.

In prosieguo il TAR ha operato un’analitica ricostruzione della normativa applicabile nell’ambito materiale considerato, evidenziando come la gara fosse stata bandita il 03.05.2019 ed era perciò soggetta alla disciplina dettata dall’articolo 80 del Codice, nella formulazione introdotta dall’articolo 5, comma 1, del Decreto Legge n. 135 del 2018 e relativa legge di conversione n. 12 del 2019.

Il percorso argomentativo seguito dal TAR muove da una distinzione fondamentale fra le ipotesi per le quali l’articolo 80, comma 1, del Codice, in corrispondenza al paragrafo 1 dell’articolo 57 della direttiva 2014/24/UE, che costituiscono un numerus clausus, prevede l’esclusione obbligatoria dell’impresa dalla gara, da quelle che sono oggetto di una valutazione discrezionale della stazione appaltante.

Da ciò non discende, peraltro, che le ulteriori ipotesi di reato previste dalla legge penale, rispetto a quelle cc.dd. autoescludenti, non abbiano giuridico rilievo e ciò in quanto il paragrafo 4 dell’articolo 57 sopra menzionato della fonte sovranazionale, trasfuso nel corpo dell’articolo 80, comma 5, lett. c), del Codice, consente alla stazione appaltante di escludere il concorrente che si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.

In tale evenienza l’elemento fattuale che integra l’illecito professionale può essere valutato, con apprezzamento, si ribadisce, discrezionale, alla luce delle condanne penali riportate dai vertici dell’impresa, ovvero anche in relazione alla sussistenza di procedimenti penali, in ordine ai riflessi determinati da detto stato di fatto, sull’affidabilità dell’operatore economico.

Al riguardo il TAR adito manifesta la propria adesione all’orientamento più restrittivo formatosi nella giurisprudenza amministrativa.

Muovendo, infatti, dalla considerazione che la violazione, anche se non ancora definitivamente accertata, della norma penale “costituisce la più grave rottura della legalità”, la pronuncia in esame giunge ad affermare che “in linea di principio, il partecipante alla gara abbia l’obbligo di dichiarare tutte le condanne penali subite, o anche solo le contestazioni mosse nell’ambito di procedimenti penali, anche qualora la lex specialis di gara non lo stabilisca espressamente”, in ciò conformandosi alla posizione espressa dal massimo organo di giustizia amministrativa con sentenza  n. 7749 del 12.11.2019, resa dalla Sezione V.

Ad ulteriore conferma dell’arresto sopra raggiunto, la sentenza de qua afferma, in buona sostanza, la sussistenza di un obbligo di collaborazione generalizzato in capo al partecipante ad una procedura d’appalto e ciò in quanto la stazione appaltante non è in grado, di regola, di ricostruire i fatti da cui desumere il grave illecito professionale, ove essi non siano stati segnalati dal concorrente: “questi ha perciò l’obbligo di indicarli, e viene infatti escluso se presenta dichiarazioni non veritiere (articolo 80, comma 5, lett. f-bis), o se ometta le informazioni dovute (articolo 80, comma 5, lett. c-bis), con conseguente individuazione dell’esistenza nell’ordinamento giuridico del cd. principio di onnicomprensività della dichiarazione, che deve farsi carico di fornire quante più informazioni possibili ..., purché pertinenti, in linea astratta, rispetto al giudizio della stazione appaltante in ordine alla affidabilità ed integrità del concorrente”.

Con specifico richiamo ai fatti di rilievo penale tale pertinenza, nella visione del TAR Lazio, sussiste in re ipsa, poiché essi costituiscono “indice di una potenziale attitudine alla più severa infrazione delle regole della convivenza civile, così riflettendosi sull’affidabilità professionale del soggetto dichiarante”.

Dalle superiori considerazioni non discende, ovviamente, che ogni illecito penale sia, al contempo e sempre, illecito professionale, atteso che detta acritica conclusione si porrebbe, in modo piuttosto evidente, in problematica tensione con alcuni principi fondamentali ricavabili dalla carta costituzionale.

L’argomentazione viene, infatti, utilizzata per affermare “che il sospetto recato in sé dalla natura penale dell’illecito, quanto alla capacità di riverberarsi sugli indici di affidabilità professionale dell’operatore economico, ne rende necessaria in linea di principio l’ostensione alla stazione appaltante, perché essa possa compiere le proprie valutazioni”.

Pare opportuno ribadire, sul punto, che non tutto ciò che va dichiarato, in quanto penalmente rilevante, si presta poi ad essere utilizzato per escludere l’operatore economico: nella prospettazione del TAR tali circostanze rileveranno solo a condizione che siano suscettibili di evolvere in illecito professionale, a seguito di valutazione discrezionale della stazione appaltante, con il conseguente corollario della ineludibilità di una dichiarazione esaustiva da parte di chi partecipa ad una procedura di gara pubblica.

La sentenza di che trattasi ribadisce, dunque, l’obbligo di dichiarazione integrale  dei precedenti penali, e ciò a prescindere dalla rilevanza in concreto che essi abbiano con riguardo alla attività professionale, poiché risulta irrevocabile in dubbio come sia demandato unicamente alla stazione appaltante la valutazione, in concreto, sulla incidenza che tali profili possano avere sui requisiti di affidabilità del concorrente che non può, per contro, sostituire il proprio apprezzamento discrezionale a quello della stazione appaltante.

In detto contesto occorre rilevare come l’articolo 80, comma 5, lett. c-bis, del Codice preveda l’esclusione del concorrente che abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di gara, ovvero abbia fornito informazioni false o fuorvianti, suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione.

Per quel che concerne la nozione di “illecito professionale” essa non può che essere desunta dal diritto comunitario e in particolare dalla direttiva 2014/24/UE, di cui il Decreto Legislativo n. 50 del 2016 è, in modo parziale e non del tutto fedele, atto di recepimento.

Dall’esame della richiamata direttiva, e dell’interpretazione che della stessa è stata data dalla Corte di Giustizia, il TAR Lazio giunge ad affermare che “ad avere rilievo sono i fatti che minano l’affidabilità dell’operatore economico, producendo un grave deficit di fiducia nei suoi confronti”, con specifico riferimento al carattere prevalentemente extracontrattuale di tali comportamenti.

La valutazione di competenza della stazione appaltante non deve avere, ovviamente, impronta atomistica; essa, per contro, richiede necessariamente una considerazione complessiva della condotta anteatta del concorrente, poiché “anche il concorso in capo al medesimo soggetto di una pluralità di contestazioni penali, ciascuna in sé di minor rilievo e persino apparentemente lontana dalla sfera professionale, può convergere a delineare un quadro complessivo di sostanziale inaffidabilità professionale dell’operatore economico, tale da permettere alla stazione appaltante di esercitare la prerogativa, esclusivamente sua propria circa la opportunità di non avervi contatti, escludendolo dalla gara”.

Per l’effetto il TAR afferma, expressis verbis, la propria convinzione circa la configurabilità di una presunzione relativa di pertinenza della condanna penale nell’ambito delle gare pubbliche, tale che spetta all’operatore economico, in caso di contestazione, vincerla, dimostrando che, per lievità, occasionalità e marginalità, il fatto non sarebbe stato considerato pertinente, quanto alla sfera professionale e non avrebbe perciò dovuto essere dichiarato.

Il TAR perviene, inoltre, come l’attento lettore avrà certamente intuito, alle medesime conclusioni raggiunte per le condanne, anche per i procedimenti penali.

Detti procedimenti, come già più volte rammentato, non hanno, di per sé, valenza escludente, ma costituiscono indicatori di un fatto materiale che la stazione appaltante potrà e dovrà valutare, ai fini dell’ammissione alla gara, con conseguente affermazione della genesi di un obbligo dichiarativo nascente in dipendenza del mero avvio del procedimento penale, senza la possibilità di configurare alcun possibile apprezzamento discrezionale in capo all’operatore economico.

Quanto al concreto esercizio di detto potere di valutazione “la giurisprudenza ammette che possano essere valorizzati gli atti di indagine compiuti nel procedimento penale …, con particolare riferimento all’adozione di misure cautelari o al rinvio a giudizio, che segna una valutazione del GUP in ordine alla tenuta del quadro probatorio definito dalle indagini”.

In relazione alle affermazioni che precedono sia consentito esprimere, sin d’ora, tutte le perplessità dello scrivente sulla conclusione cui giunge la sentenza in esame, anche in considerazione della circostanza che il nostro ordinamento è caratterizzato dalla presenza di una Costituzione rigida, come tale sovraordinata a tutte le altre fonti normative, che prevede, come ben noto, una presunzione di non colpevolezza, operante in favore di coloro che sono sottoposti a procedimento penale, stante anche l’obbligatorietà, parimenti affermata nella Carta, dell’esercizio dell’azione penale, con conseguente necessità di perseguire un prudente bilanciamento fra esigenze di tutela di interessi pubblici e privati, tendenzialmente confliggenti.

A guisa di, parziale, contraltare alla rigidità della posizione assunta, i giudici laziali rammentano come l’ordinamento si sia preoccupato di individuare meccanismi volti ad attenuare la gravosità delle conseguenze connesse all’attivazione di un procedimento penale pendente ovvero conclusosi con una sentenza di condanna.

Il comma 10 bis dell’articolo 80 prevede, infatti, quanto ai motivi di esclusione basati sul precedente comma 5, che non abbiano rilievo i fatti risalenti a più di tre anni dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che li abbia accertati, conformemente, del resto, a quanto statuito dall’articolo 57, ultimo paragrafo, della direttiva 2014/24/UE.

Il TAR si produce, inoltre, in una articolata ricostruzione dei rapporti fra procedimento penale e attività valutativa delle PP.AA. in funzione di stazioni appaltanti, che si ritiene opportuno, onde non travisare le posizioni espresse nella sentenza in commento, riportare pedissequamente: “quanto al comma 5 dell’articolo 80: a) non rileva in sé la condanna definitiva, ma il fatto emergente dagli atti; b) quest’ultimo è sempre rivalutato autonomamente dalla stazione appaltante, con riguardo ai riflessi che possa avere sulla affidabilità professionale del concorrente; c) ove il fatto sia accertato definitivamente con sentenza di assoluzione o condanna passata in giudicato, l’amministrazione, ferma l’autonomia del proprio apprezzamento, non potrà rispettivamente affermarne la sussistenza materiale o negarla, se non incorrendo in travisamento dei fatti; d) in ogni altra ipotesi, la stazione appaltante potrà prendere spunto dagli atti del procedimento penale; e) in tali casi, l’autonomia della valutazione amministrativa in ordine alla materiale sussistenza del fatto sarà comunque influenzata dall’andamento di tale procedimento, dal quale si potranno trarre elementi probatori tanto più significativi, quanto più esso è progredito (la mera pendenza del procedimento, ad esempio, nulla permetterà di dire per relationem, mentre il contrario va postulato in caso di ordinanze cautelari, di rinvio a giudizio, e, soprattutto, di condanne non definitive)”.

Nella consapevolezza, evidente, della particolare afflittività del meccanismo sopra delineato i Giudici ricorrono ad una sorta di excusatio non petita, affermando che esso non lede la presunzione di non colpevolezza di cui all’articolo 27 della grundnorm del nostro ordinamento giuridico, poiché un vulnus sussisterebbe solo nell’ipotesi in cui “la legge preveda una misura che costituisca, nella sostanza, una sanzione anticipata in assenza di un accertamento definitivo di responsabilità”, ma non quando la norma risponde “a una logica in senso lato cautelare”, ravvisata nella circostanza che le PP.AA. non possono essere obbligate a contrattare con soggetti ritenuti non pienamente affidabili, sulla base di elementi aventi consistenza oggettiva, sebbene non ancora accertati definitivamente in sede giurisdizionale[1].

L’inevitabile conclusione della parabola argomentativa prescelta dal TAR Lazio è rappresentata dall’affermazione che “l’operatore economico che intenda partecipare ad una gara ha l’onere di dichiarare, nel modo più ampio possibile, tutti i fatti che siano stati, o siano, oggetto di procedimento penale nel triennio antecedente”, onde consentire alla stazione appaltante la possibilità di procedere alle conseguenti valutazioni e ciò anche prescindendo dalla circostanza che detto adempimento non sia espressamente richiesto dalla lex specialis di gara.

E ciò in quanto, nella ricostruzione del TAR, la garanzia della legalità della procedura finalizzata alla stipula di un contratto di appalto pubblico, non si raggiunge necessariamente attraverso l’introduzione di specifiche clausole escludenti nella legge di gara, essendo consentito, per contro, “stabilizzare la giurisprudenza attualmente del tutto prevalente, sull’obbligo dichiarativo delle emergenze penali, sul crinale di regole univoche, di minimo impatto e sacrificio per i partecipanti che le devono soddisfare, e tali da preservare l’esigenza che la stazione appaltante possa valutare l’affidabilità dei soggetti con cui contratta, al pari di ogni altro operatore giuridico, sulla base del più ampio quadro cognitivo”.

I principi di diritto sopra sinteticamente enunciati hanno condotto il Tribunale adito a dichiarare che la ricorrente principale avrebbe dovuto essere esclusa dalla stazione appaltante poiché essa ha omesso di dichiarare la sussistenza di procedimento penale per il reato di riciclaggio che ben “può essere compiuto nell’esercizio di un’attività professionale, o comunque valendosi di essa (la movimentazione del conto corrente di un imprenditore si presta particolarmente ad “ostacolare l’identificazione della (…) provenienza delittuosa” del corpo del reato)” e che le “giustificazioni” da esso fornite non valgono a superare la presunzione di pertinenza del procedimento medesimo alla sfera professionale, e ciò in quanto dette “giustificazioni” si risolvono in affermazioni prive di riscontro processuale puntuale.

Il TAR Lazio ha censurato, inoltre, la mancata dichiarazione da parte dell’operatore economico di un procedimento penale relativo a frode in pubbliche forniture e truffa, nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di appalto sui rifiuti.

Il ricorrente principale ha controbattuto che detto procedimento si era chiuso con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, pronunciata circa due mesi prima della pubblicazione del bando di gara che viene in rilievo.

Sul punto il TAR ha evidenziato che l’operatore economico è incorso in inerzia probatoria poiché non ha fornito la prova, per l’appunto, dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di che trattasi.

Ma vi è di più: la sentenza in esame, infatti, giunge ad affermare che, anche nell’ipotesi in cui la pronuncia dichiarativa dell’intervenuta prescrizione fosse divenuta res iudicata, sussistesse, in ogni caso, l’obbligo di comunicazione alla stazione appaltante.

A sostegno della propria conclusione il TAR rileva che l’assetto ordinamentale attribuisce all’amministrazione procedente la capacità di autonoma valutazione  prima della definizione del giudizio penale, ma ciò non significa che, sopraggiunta tale definizione, la stazione appaltante perda in ogni caso un’attribuzione che è sua propria e che la legge rimette alla sfera della discrezionalità amministrativa (fatta salva la sopravvenienza di accertamenti definitivi in termini assolutori o di condanna).

La pronuncia dichiarativa della prescrizione, peraltro, non costituisce tecnicamente una sentenza di assoluzione, bensì di proscioglimento.

Detta pronuncia, ovviamente, ha forza di giudicato nel precludere un rinnovato esercizio dell’azione penale sul medesimo fatto (anche in applicazione del principio del ne bis in idem), ma non vale a impedire, ad altri fini estranei all’accertamento penale, la rilevanza di un fatto, la cui sussistenza non è stata esclusa, con conseguente possibilità di esercizio, da parte dell’amministrazione procedente, della propria discrezionalità.

Al riguardo, peraltro, corre l’obbligo di evidenziare come, con la magmaticità che caratterizza, purtroppo, l’esercizio della potestà legislativa in Italia, che complica in modo significativo l’attività degli operatori del diritto e, più in generale, le relazioni dei cittadini con i soggetti rientranti nel perimetro pubblicistico, anche l’articolo 80 del Codice sia stato interessato, ad onta del breve lasso di tempo decorso dall’entrata in vigore, da una pluralità di modifiche.

Volendo schematizzare al massimo i termini della questione possiamo affermare che la previgente formulazione della richiamata disposizione normativa sanzionava, con l’esclusione automatica, la sola ipotesi di dichiarazione falsa, ovvero che rappresenti una circostanza diversa dal vero[2], mentre, per quel che concerne la fattispecie dell’omissione, ossia quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come grave illecito professionale, sussisteva uno spazio decisionale, con conseguente esercizio della discrezionalità amministrativa, in capo alla stazione appaltante, in merito all’affidabilità o meno del partecipante.

Nella prospettiva rigoristica del TAR Lazio, ed a seguito delle novelle apportate alla statuizione normativa sopra richiamata, l’omissione costituisce in sé causa di esclusione, ai sensi della lett. c-bis del comma 5, ed è perciò distinta dall’apprezzamento discrezionale della P.A. in tema di grave illecito professionale, ora oggetto della lett. c, con ciò equiparandosi de facto et de iure le casistiche della dichiarazione falsa e mendace e della dichiarazione omessa, “nei casi in cui cada su fatti che senza dubbio alcuno avrebbero dovuto essere portati a conoscenza della stazione appaltante (come nell’ipotesi dei procedimenti penali)”.

Prescindendo in questa sede, per amore di brevità, dall’approfondito esame del percorso motivazionale sotteso alla pronuncia in commento, ed evidenziando che l’impugnativa proposta dal ricorrente principale è stata dichiarata infondata nel merito, con condanna al pagamento delle spese legali e processuali, pare opportuno operare delle considerazioni di natura più sistemica.

All’esito di un sommario esame degli orientamenti giurisprudenziali formatisi in relazione alla vicenda oggetto di questi brevi considerazioni, occorre evidenziare che, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR Lazio, la cui posizione si connota, come già accennato, per evidente rigore, non si riscontri una particolare univocità ed omogeneità delle posizioni in campo.

A riprova di ciò depone in maniera icastica una pronuncia di pochi giorni susseguente alla sentenza del TAR Lazio, resa dal Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4937 del 05.08.2020, con la quale è stata riformata una decisione del TAR Campania, sede di Napoli, Sezione VIII, sentenza n. 1689 del 08.05.2020, che aderendo alla tesi, non condivisa da chi scrive, di un’autonoma valenza escludente della dichiarazione omessa, ovvero reticente, aveva affermato che l’omessa rappresentazione dell’esistenza di una sentenza di condanna patteggiata, legittimava ex sel’estromissione dalla gara, posto che la condotta reticente della partecipante non ha fornito un quadro completo della situazione dell’impresa in relazione agli accertamenti di cui all’articolo 80 del D. Lgs. n. 50/2016 ed ha impedito che il processo decisionale della Stazione Appaltante si svolgesse in maniera esauriente, non consentendo di esprimere ogni necessaria considerazione sulla sussistenza di eventuali gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia la integrità ed affidabilità dell’impresa”.

La sentenza del massimo organo di giustizia amministrativa, pur concordando con la decisione del TAR Lazio, precedentemente analizzata, in ordine alla sussistenza di un limite di operatività dell’obbligo dichiarativo “ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi”[3], ritenuta applicabile, in forza di un’interpretazione estensiva che appare pienamente condivisibile, a tutte le ipotesi di grave illecito professionale, afferma, tuttavia, principi alquanto distonici rispetto agli arresti raggiunti sia dal TAR Lazio e sia dal TAR Campania.

I giudici di Palazzo Spada, infatti, hanno ritenuto di accedere ad una diversa lettura della valenza giuridica da attribuire alla statuizione dettata dall’articolo 80, comma 5, lett. c-bis, del Codice, rilevando come tale disposizione presuppone un obbligo dichiarativo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione.

Nella prospettiva considerata, pertanto, rileva l’omissione in sé rispetto ad un presupposto obbligo dichiarativo e in ciò si esprime il disvalore di tale causa di esclusione.

Il punto nodale, però, finisce con il divenire, muovendo da tali premesse, un altro, ossia la corretta perimetrazione, in sede normativa o negli atti di gara, dell’effettiva latitudine applicativa del menzionato obbligo dichiarativo.

Il Consiglio di Stato, infatti, recte: la Sezione IV di detto organo giurisdizionale, pare non attribuire all’articolo 80, comma 5, lett. c-bis, del decreto legislativo n. 50 del 2016, lo status di norma di “chiusura” in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, postulando, per contro, che “una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi palesemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono predicabili esclusioni a sorpresa a carico dello stesso[4]”   

E del resto che la concordia non regni sovrana nell’ambito materiale considerato, e che si rinvengano, per contro, profonde discrasie nelle letture che i giudici amministrativi di prime cure e di appello danno del medesimo quadro normativo, ad ulteriore riprova della sostanziale labilità, per non dire totale inconsistenza del principio della certezza del diritto, risulta dimostrato, per tabulas, dalla circostanza che la Sezione V. del Consiglio di Stato, preso atto dell’esistenza di orientamenti significativamente divergenti in giurisprudenza in relazione alla problematica oggetto delle presenti riflessioni, ha ritenuto di dover rimettere, con ordinanza n. 2332 del 09.04.2020, “al fine di conferire determinatezza e concretezza all’elemento normativo della fattispecie, ovvero al carattere dovuto dell’informazione” e di “individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione”, la questione all’Adunanza Plenaria (onde sollecitare il concreto esercizio della funzione nomofilattica ad essa demandata)  che, allo stato, non si è ancora pronunciata.

Nelle more di un’auspicabilmente tempestiva decisione dell’Adunanza Plenaria, che consenta di superare la condizione attuale connotata da significativi, ed inammissibili, elementi di incertezza ed opinabilità, ad ogni buon conto, la Sezione IV del massimo organo di giustizia amministrativa, con la richiamata sentenza n. 4937/2020, si pone in totale contrapposizione con la tesi propugnata dal TAR Lazio, ritenendo non concepibile l’equiparazione degli effetti giuridici derivanti da dichiarazioni false e da dichiarazioni omesse, ovvero reticenti.

Nella pronuncia del Consiglio di Stato, infatti, si legge, testualmente, che nell’omissione dichiarativa accertata in sede giurisdizionale non può essere insito alcun automatismo escludente, atteso che l’omissione “a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità, postula infatti sempre un apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente”, con la conclusione che: “dall’esame dei rapporti tra le diverse fattispecie dell’articolo 80, comma 5, del Codice dei contratti pubblici si ricava che omissione e falsità dichiarativa rispettivamente previste dalle lettere c-bis) e f-bis) non sono equiparabili e che diverse sono le conseguenze da esse derivanti, posto che solo da quest’ultima, e non anche dalla prima, deriva l’automatica esclusione dalla gara”[5] e ciò, a fortiori ratione, quando, come nel caso di specie, la legge di gara non prescrivesse esplicitamente l’obbligo dei concorrenti di dichiarare “tutte” le condanne riportate dagli esponenti aziendali, diverse da quelle indicate dall’articolo 80, comma 1, del Codice.

All’esito dell’excursus sopra tracciato, forzatamente sintetico ed incompleto, e con l’intento di fornire qualche modesto suggerimento operativo a coloro che sono preposti allo svolgimento di funzioni di amministrazione attiva, pare possibile evidenziare – in attesa di un definitivo consolidamento delle posizioni giurisprudenziali relative all’effettiva delimitazione della consistenza degli obblighi dichiarativi posti a carico dei partecipanti, in materia di procedure di appalto – l’opportunità di inserire expressis verbis negli atti di gara, ed anche nel modello di autocertificazione dell’insussistenza di cause ostative a contrarre con la P.A., la previsione della doverosità della comunicazione di tutte le condanne penali non comportanti l’esclusione automatica, di tutti i procedimenti penali pendenti e di tutti gli illeciti professionali, fermo restando il limite dell’irrilevanza di tali elementi se risalenti ad oltre un triennio rispetto agli atti indittivi[6], così come pure, ad abundantiam, l’obbligo di notiziare, con la massima tempestività, la stazione appaltante, qualora le riferite circostanze dovessero sopravvenire in itinere, e ciò all’evidente scopo, da un lato, di responsabilizzare gli operatori economici e, dall’altro, di addivenire ad una diminuzione del tasso di contenzioso.

 

[1] Se la conseguenza della pendenza di un procedimento penale, tuttavia, si risolve, di fatto, nell’esclusione da una procedura di gara, appare piuttosto singolare non attribuire a detta circostanza il significato di una misura sanzionatoria anticipata rispetto al definitivo accertamento dell’innocenza o della colpevolezza dell’imputato o, peggio ancora, di chi riveste il ruolo di mero indagato. Ad ulteriore riprova dell’oltranzismo che connota le posizioni di taluna giurisprudenze si consideri, ed il rilievo viene formulato a titolo esclusivamente esemplificativo, gli avvisi di garanzia notificati al Presidente del Consiglio dei Ministri ed a sei componenti l’Esecutivo, per molteplici ipotesi di reato connesse alla gestione dell’emergenza da COVID 19 (fra cui: delitto di epidemia, delitti colposi contro la salute pubblica, abuso d’ufficio, omicidio colposo, attentato contro la Costituzione dello Stato, delitti contro i diritti politici). Orbene se i predetti soggetti rivestissero ruoli rilevanti all’interno di una società operante, ad esempio, nel settore delle forniture di apparecchiature medicali alle varie articolazioni del SSN, la società in discorso rischierebbe di essere esclusa da una procedura di gara, magari dal valore di poche decine di migliaia di euro, semplicemente sulla scorta di quello che la Costituzione considera atto dovuto e che la scienza penalistica qualifica come atto a tutela dell’indagato. La paradossalità della conclusione cui si perviene costituisce, a giudizio di chi scrive, la prova più solida della fallacia della premessa argomentativa.

[2] Sul concetto di falsa dichiarazione pare opportuno segnalare al lettore la massima espressa dal Consiglio di Stato, Sezione VI, con sentenza n. 4660 del 21.07.2020, a mente della quale “In tema di false dichiarazioni rese dall’operatore economico nell’ambito delle gare di appalto, va precisato che il concetto di “falso”, nell’ordinamento vigente, si desume dal codice penale, nel senso di attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera. Dunque, il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso”. Per completezza d’esposizione si segnala che la giurisprudenza amministrativa configura anche l’ipotesi della dichiarazione reticente; per un’efficace schematizzazione si veda Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 5171 del 22.07.2019, secondo cui “La dichiarazione resa dall’operatore economico nella domanda di partecipazione circa le pregresse vicende professionali suscettibili di integrare “gravi illeciti professionali” può essere omessa, reticente o completamente falsa. V’è omessa dichiarazione quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come “grave illecito professionale”; v’è dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell’ottica dell’affidabilità del concorrente; è, infine, configurabile la falsa dichiarazione se l’operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero” e, in ordine ai conseguenti effetti giuridici, con la precisazione che “solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l’automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso”.

[3] In ciò aderendo al principio di diritto affermato dal Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 1605 del 05.03.2020. Si veda anche, sul punto, quanto statuito, altresì, dal Consiglio di Stato, ancora Sezione V, sentenza n. 5142 del 03.09.2018, secondo cui l’imposizione di un obbligo dichiarativo totalizzante, senza la individuazione di un generale limite di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa”. Il TAR Lazio, sede di Roma, con sentenza n.. 2442 del 25.02.2020, resa dalla Sezione III quater, ha precisato che: “Le stazioni appaltanti debbono effettuare una preliminare valutazione di affidabilità professionale dell’impresa che chiede di partecipare alla gara. Fondamentale, ai fini della valutazione di cui sopra, è la comunicazione di ogni eventuale rapporto contrattuale che non si è concluso in modo fisiologico (risoluzione, revoca, etc.). Una siffatta comunicazione deve essere tempestivamente compiuta anche all’indomani della domanda di partecipazione, e sino alla conclusione del procedimento di gara, allorché simili circostanze (risoluzioni contrattuali) intervengano, come nella specie, in corso di gara. L’omessa dichiarazione di simili circostanze (omissione che può essere originaria ma anche sopravvenuta) costituisce ragione, in sé, di inaffidabilità dell’impresa e dunque motivo di esclusione dalla gara”. 

[4] In tal senso si veda Consiglio di Stato, Sezione V, sentenza n. 4316 del 06.07.2020. A riprova, peraltro, della tendenziale schizofrenia che sembra contraddistinguere l’esercizio della funzione giurisdizionale nel nostro Paese, si segnala al lettore, che la medesima Sezione IV del Consiglio di stato, con sentenza n. 4227 del 01.07.2020, ha affermato che l’ ultimo inciso dell’articolo 80, comma 5, lett. c), deve essere intrepretato nel senso di attribuirgli “il rigoroso significato di una norma di chiusura che impone agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione”. 

[5] In senso conforme si veda TAR Campania, sede di Napoli, sentenza n. 2634 del 25.06.2020, resa dalla Sezione VIII, laddove, con riferimento alla fattispecie previste dalle lettere c-bis e f-bis del comma 5 dell’articolo 80,  si legge che:  “la differenza tra le due ipotesi è sostanziale, atteso che, nell’ipotesi di cui al comma 5, lett. c), la valutazione in ordine alla rilevanza in concreto ai fini dell’esclusione dei comportamenti accertati è rimessa alla Stazione appaltante, mentre nel caso del comma 5, lett. f-bis) l’esclusione dalla gara è atto vincolato, discendente direttamente dalla legge, che ha la sua fonte nella mera omissione da parte dell’operatore economico. Resta fermo che, da un punta di vista strutturale, anche l’omessa dichiarazione può concretare un’ipotesi di dichiarazione non veritiera, ragion per cui il discrimen tra le due fattispecie sembra doversi incentrare sull’oggetto della dichiarazione, che assumerà rilievo, ai sensi e per gli effetti di cui alla lettera f-bis), nei soli casi di mancata rappresentazione di circostanze specifiche, facilmente e oggettivamente individuabili e direttamente qualificabili come cause di esclusione a norma della disciplina in commento, ricadendosi altrimenti – alle condizioni previste dalla corrispondete disposizione normativa – nella previsione di cui alla fattispecie prevista al comma 5, lett.c)”.

[6] Ovviamente anche nel caso della rilevanza, o irrilevanza, triennale delle circostanze richiamate nel testo, si registrano, in giurisprudenza, opinioni discordanti; a titolo esemplificativo il TAR Basilicata, con sentenza n. 853 del 21.11.2019, resa dalla Sezione I, ha affermato, in virtù di un’interpretazione restrittiva delle previsioni dettate dall’ articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice, l’obbligo di un operatore economico di dichiarare una precedente esclusione da procedura di gara, come risultante dal Casellario ANAC, con conseguente sanzione espulsiva, a nulla rilevando, in senso contrario a tale conclusione, il carattere risalente dell’iscrizione e l’intervenuta sentenza di assoluzione (…), in quanto circostanze che, per quanto esposto, non posseggono alcuna idoneità a derogare all’obbligo di clare loqui, normativamente imposto a salvaguardia della pienezza delle attribuzioni della stazione appaltante, in specie vulnerate dall’omissione di cui si è resa responsabile l’impresa coinvolta.