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Appalto: sul committente incombe la concreta valutazione dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

Con una recentissima sentenza (3 giugno 2021, n. 21553), la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità del committente per l’infortunio occorso all’appaltatore nell’esecuzione dell’appalto.

 

Nel caso di specie, i giudici di merito avevano ritenuto sussistente in capo al legale rappresentante di una società edile la responsabilità penale ex articolo 590, comma terzo, Codice Penale e in capo alla società stessa la responsabilità amministrativa dipendente da reato di cui agli articoli 5 e 25-septies Decreto Legislativo n. 231/2001 per l’infortunio occorso ad un lavoratore autonomo che, incaricato di svolgere attività in quota di pulizia del tetto di un immobile, era precipitato a seguito del cedimento di una porzione del tetto, così procurandosi lesioni personali gravi.

 

Le sentenze di merito avevano accertato la sussistenza di profili di colpa consistenti:

  1. nel non aver previamente fornito all’appaltatore precise indicazioni sull’ambiente di lavoro (art. 26, comma 1, Decreto Legislativo n. 81/2008);
  2. nell’aver omesso di predisporre il Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze (art. 26, commi 2 e 3, Decreto Legislativo n. 81/2008);
  3. nell’aver omesso la verifica della capacità tecnico-professionale del lavoratore ad operare in quota (art. 77, comma 5, e 90 Decreto Legislativo n. 81/2008).

La Corte di Cassazione si è pronunciata a seguito dei ricorsi presentati sia dall’imputato persona fisica che dalla società, chiamata come responsabile civile e condannata per responsabilità dipendente da reato ai sensi del Decreto Legislativo n. 231/2001.

In particolare, i ricorrenti lamentavano la mancata qualificazione come “abnorme” (e conseguentemente interruttiva del rapporto di causalità) della condotta dell’appaltatore, il quale si era portato in quota senza previamente assicurarsi con le linee guida, operazione che avrebbe consentito di scongiurare il rischio di precipitazione dall’alto.

Peraltro, a parere dei ricorrenti, non poteva essere imputato come profilo di colpa specifica la mancata condivisione con l’appaltatore del D.U.V.R.I., non predisposto in quanto si era ritenuto che per il lavoro richiesto fossero sufficienti due giorni.

Infine, negli atti di gravame si evidenziava come l’appaltatore fosse operaio esperto nel settore edile, perfettamente consapevole delle regole per l’effettuazione delle operazioni richieste, come poteva ragionevolmente dedursi dal fatto che lo stesso era titolare di impresa regolarmente iscritta alla Camera di Commercio, nonché dai rapporti economici precedenti all’evento, accertati dalle fatture emesse negli anni dall’impresa del prevenuto a quella dell’appaltatore per acquisto di materiale edile, da ritenersi essere la miglior prova dell’idoneità tecnico-professionale dello stesso.

La Cassazione, pur ricordando che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, al fine di saggiarne la oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa una rilettura o diversa interpretazione delle risultanze processuali poste a fondamento della decisione, offre alcune interessanti coordinate ermeneutiche, utili ai fini di una corretta individuazione del contenuto degli specifici obblighi cui il committente è chiamato ad adempiere in tale ambito in base alla normativa vigente.

In primo luogo, i giudici di legittimità evidenziano come dalle risultanze istruttorie fosse emerso che per eseguire i lavori dell’appalto era stata programmata una durata di circa una settimana e ciò sulla base di quanto direttamente affermato dallo stesso lavoratore autonomo, chiamato ad eseguire l’appalto senza l’ausilio di collaboratori.

Di qui, l’assoluta mancanza di pregio delle doglianze con cui i ricorrenti avevano lamentato che, nel caso di specie, non fosse necessaria la predisposizione del D.U.V.R.I..

In particolare, i giudici di Cassazione hanno ritenuto immune da censure il passaggio logico-argomentativo della sentenza della Corte territoriale con cui la stessa ha affermato come “la mancata predisposizione di tale documento di valutazione dei rischi da parte del prevenuto ha certamente inciso sul verificarsi dell’evento lesivo, poiché esso avrebbe consentito di prendere in esame le caratteristiche proprie del tetto del capannone, la sua vetustà, la capacità di tenuta in caso di intervento del lavoratore e le modalità di installazione delle linee vita”.

L’appaltatore, si aggiunge, “se reso edotto in maniera più dettagliata dei rischi conseguenti al suo accesso al tetto, si sarebbe potuto comportare in maniera diversa, astenendosi dalla pericolosa (ma non abnorme) manovra che lo ha condotto su quel tetto senza essersi previamente assicurato dal rischio di caduta”.

Per quanto concerne l’obbligo di verifica della capacità tecnico-professionale dell’appaltatore posto in capo al committente, la Cassazione ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d’appello che ha accertato la mancanza di una adeguata valutazione delle capacità tecnico-professionali della persona offesa, con particolare riguardo allo specifico addestramento richiesto per i lavori in quota, risultando insufficiente la verifica formale in ordine alla titolarità da parte del lavoratore di una ditta iscritta alla Camera di Commercio.

Ciò in ragione di un consolidato orientamento interpretativo secondo cui, “in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l’obbligo di verifica di cui all’art. 90, lett. a), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, non può risolversi nel solo controllo dell’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo” (Sez. 4, n. 28728 del 22/09/2020, Rv. 280049 - 01).

In particolare, affermano i giudici di Cassazione, le considerazioni dei ricorrenti secondo cui il possesso dei requisiti di idoneità tecnico-professionale sarebbe provato dalle fatture emesse dall’impresa del prevenuto a favore dell’impresa dell’appaltatore per l’acquisto di materiali edili sarebbero prive di pregio perché tali fatti non consentirebbero di desumere l’asserita esperienza professionale specifica del lavoratore per i lavori in quota.

Infine, secondo i giudici di legittimità, la condotta dell’appaltatore non poteva ritenersi “abnorme” e, dunque, interruttiva del nesso di causalità, essendo la stessa collocata all’interno dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini, la complessiva condotta del lavoratore, per come accertata in sede di merito, non poteva definirsi eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il ricorrente, quale committente, era chiamato a governare, adottando i comportamenti richiamati in sentenza (previa indicazione delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro e predisposizione del D.U.V.R.I.).

Per queste ragioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione, in solido fra loro, delle spese del giudizio sostenute dalla parte civile costituitasi (INAIL).