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Area Metropolitana del Mezzogiorno

_L'abbraccio tra Mediterraneo e Ionio_ - Isola delle Correnti, Portopalo di Capo Passero
Ph. Simona Loprete / _L'abbraccio tra Mediterraneo e Ionio_ - Isola delle Correnti, Portopalo di Capo Passero

Indice:

1. Prologo

2. Il percorso normativo che istituzionalizza le Città Metropolitane

3. Dalla Cultura dell’adempimento alla New Public Management

4. Mancato trasferimento di funzioni dalla Regione alla Città Metropolitana

5. Processi di Democrazia partecipativa

 

1. Prologo

Il presente elaborato tende a sviluppare un percorso di studio sui riscontri normativi e territoriali (provinciali e regionali) che hanno determinato la nascita delle Città Metropolitane: partendo dalla istituzione del nuovo Ente, attraversando la fase storica che in Italia ha determinato la separazione delle competenze tra organi politici e funzioni gestionali, nonché l’introduzione dei principi di buon andamento della PA e cercando di comprendere le difficoltà di sviluppo delle Città Metropolitane

 

2. Il percorso normativo che istituzionalizza le Città Metropolitane

Il primo intervento istitutivo delle Città Metropolitane risale alla Legge n. 142/1990 sulla riforma dell’ordinamento degli Enti Locali. Tale legge prevedeva due diversi livelli di amministrazione locale – le Città Metropolitane (parificate a livello delle Province) ed i Comuni – e stabiliva che i nuovi confini amministrativi fossero individuati entro un anno dalla promulgazione della Legge.

Nel 2001, con la Riforma del Titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale n. 3/2001), le Città Metropolitane hanno acquistato dignità costituzionale nell’articolo 114 e sono entrate di diritto tra gli Enti Locali che costituiscono la Repubblica Italiana.

La Legge 7 aprile 2014, n. 56 Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, nell’art. 1 comma 2, ridisegna le competenze degli Enti Locali ed istituisce la Città Metropolitana quale nuovo Ente di governo del territorio, rappresentativo dei Comuni. Inizialmente le Città Metropolitane erano dieci, successivamente se ne sono aggiunte quattro (Cagliari, Messina, Catania e Palermo).

In questo processo, la Legge n.56/2014 ha permesso di rendere operativi tali Enti di area vasta nell’ordinamento italiano, ridisegnando i confini e le competenze delle amministrazioni locali attraverso le Città Metropolitane che, a partire dal 1° gennaio 2015, hanno sostituito le rispettive Province.

 

3. Dalla Cultura dell’adempimento alla New Public Management

Le esperienze avviate in Italia a partire dal decennio 1990-2000, mutuando attività già consolidate in Europa da qualche anno e negli Stati Uniti già a partire dagli anni ‘60-’70, rappresentano imprescindibili buone pratiche in un contesto nuovo in cui la Legge Delrio ha definito un rinnovato modello delle autonomie fondato su due soli livelli territoriali di diretta rappresentanza dei cittadini e, per ciò, elettivi di primo grado: le Regioni (perché dotate del potere legislativo) ed i Comuni (perché base fondamentale del principio di sussidiarietà).

Come conseguenza di quel periodo italiano denominato dalla cronica “Tangentopoli” e che dal 1992 rappresentò un sistema diffuso di corruzione politica che coinvolse enti pubblici, frazioni di partiti, amministratori pubblici, intermediari e, talvolta, boss mafiosi ed il cui funzionamento apparve dominato dalla ricerca di tangenti; si apre un’auspicabile nuova stagione di governo del territorio, con una governance (l’azione della PA incentrata sul buon andamento e finalizzata agli interessi della collettività) – più che con un government (l’azione della PA viene eseguita in quanto richiesto esclusivamente da una norma) – che dovrebbe garantirne il funzionamento e l’efficacia.

Un modello che sembra anche essere più indicato a recepire e “territorializzare” le opportunità e le risorse, a cominciare da quelle che derivano dalla nuova programmazione europea dei fondi comunitari 2014-2020. Di fatto si passa dalla cultura dell’adempimento alla cultura del buon andamento dell’azione amministrativa in linea con i principi della New public management che inizia tra la fine degli anni’70 e i primi anni ’80 nel Regno Unito e Stati Uniti, poi Nuova Zelanda e Canada.

Un processo di cambiamento dei sistemi amministrativi e delle metodologie utilizzate per gestire la cosa pubblica e la spesa pubblica (Public expenditure management), incentrato su principi di natura privatistica e che vengono istituzionalizzati in Italia dalla Legge 142/1990, 241/1990 e dal D.Lgs. 267/2000; ovvero di economicità, efficacia, efficienza, imparzialità, trasparenza, anticorruzione e legalità, discrezionalità dell’azione amministrativa – tutti principi assorbiti e provenienti dall’Unione Europea – e che nonostante sono ispirati dal mondo manageriale privatistico, restano comunque finalizzati al soddisfacimento degli interessi della collettività.

A seguito dei fenomeni di corruzione che hanno caratterizzato l’Italia negli anni ’90, prima dei suddetti elementi di mutamento che disciplinano l’agire della PA, si definisce una vera e propria rivoluzione attraverso una tangibile separazione di ruoli, poteri e competenze fra l’organo politico amministrativo e l’organo tecnico-gestionale della PA, nonché fra l’insieme di tutte quelle attività di indirizzo e programmazione politico-amministrativa che spetta ad organi collegiali e monocratici quali Giunta, Consiglio e Sindaco e quelle attività di carattere tecnico-amministrativo gestionale imputabili a funzionari, dirigenti, ovvero i medesimi servizi di riferimento.

 

4. Mancato trasferimento di funzioni dalla Regione alla Città Metropolitana

Il concreto ed attuativo avvio e funzionamento delle Città Metropolitane può avvenire soltanto attraverso il completo trasferimento di funzioni da parte delle rispettive Regioni.

Al fine di incentivare il completamento del riordino, a fronte dell'inerzia di alcune regioni, dapprima è stata introdotta una disposizione che prevedeva che le regioni che entro il 30 ottobre 2015 non avessero approvato in via definitiva le leggi relative al trasferimento delle funzioni provinciali non fondamentali, sono obbligate al versamento annuale (entro il 30 novembre per il 2015 e entro il 30 aprile per gli anni successivi), a ciascuna provincia e città metropolitana situata nel proprio territorio, delle somme corrispondenti alle spese sostenute da queste per l'esercizio delle funzioni non trasferite (art. 7, co. 9-quinquies, D.L. n. 78/2015).

Ferma restando l'applicazione di tale disposizione, la legge di stabilità 2016 (art. 1, co. 765-767, L. 208/2015) ha previsto la nomina di un Commissario al fine di assicurare nelle Regioni ancora inadempienti il completamento delle misure di attuazione del riordino delle funzioni delle Province e delle Città metropolitane e il conseguente trasferimento delle rispettive risorse umane, strumentali e finanziarie. Il completamento del trasferimento delle risorse deve avvenire entro il 30 giugno 2016. In particolare, al Commissario è attribuito il potere di adottare, sentita la Regione interessata, gli atti necessari per il trasferimento delle risorse relative a funzioni non fondamentali delle Province e delle Città metropolitane.

La Legge n. 56/2014 impone alle Regioni “di adeguare la propria legislazione alle disposizioni della presente legge entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore”.

Tuttavia conoscere le ragioni di questo incompleto trasferimento di funzioni non sembra essere totalmente comprensibile. Non è chiaro infatti delineare responsabilità di carattere politico o tecnico-gestionale, di fatto entrambe le competenze restano ancora non pienamente distinte in circostanze particolari, sia volontariamente che involontariamente, definendo quel rimpallo di responsabilità che accomuna purtroppo diversi ambiti della Pubblica Amministrazione italiana.

Inoltre non sembra ad oggi possibile sottovalutare le incidenze economiche consequenziali al trasferimento di funzioni da Regione a Città Metropolitana, siano queste più o meno favorevoli per l’uno o l’altro apparato amministrativo, senza considerare invece le molteplici opportunità di sviluppo per il territorio. Pertanto anche se resta complesso intervenire direttamente su tali procedure; indirettamente, anche se sembrerebbe l’ipotesi più razionale: ogni cittadino può offrire il proprio contributo attraverso la ricerca di soluzioni condivise che sappiano, nel loro insieme, dare forma ad una visione collettiva del futuro.

Tornando invece ai principi comunitari, è da evidenziare che fenomeni quali maggiore partecipazione e digitalizzazione siano utili a contrastare, anche se per lo più indirettamente i fenomeni di corruzione e maggiore trasparenza dell’azione amministrativa e quindi maggiore democrazia. La Partecipazione democratica dei cittadini attraverso pubbliche consultazioni ad esempio, e non solo, oltre ad essere strumento di valutazione della PA, esprime la consapevolezza civica della collettività ad autodeterminarsi e determinare, al contempo, l’azione politico-amministrativa di un territorio incentrato su principi di anticorruzione, trasparenza e legalità.

 

5. Processi di Democrazia partecipativa

Molti Statuti di Enti locali o di Area vasta, valorizzano i principi strettamente connessi alla partecipazione, alla trasparenza ed alla legalità dell’agire dell’ente. Principi che vengono introdotti in Italia attraverso la Legge 190/2012 e il D.lgs. n. 33/2013.

La partecipazione dei cittadini alla vita politico-amministrativa della PA è la massima e concreta espressione di democrazia diretta e attiva ad interessi e bisogni di una comunità, alla quale possiamo ricondurre esemplificativamente origini ben lontane geograficamente e temporalmente, come il bilancio partecipativo (o partecipato), nato in Brasile: una forma di partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica della propria città, consistente nell'assegnare una quota di bilancio dell'Ente locale alla gestione diretta dei cittadini, che vengono così messi in grado di interagire e dialogare con le scelte delle Amministrazioni per modificarle a proprio beneficio.

A partire dagli anni novanta del Novecento, esso si è venuto affermando - su scala globale - come pratica antonomastica della democrazia partecipativa, per poi essere gradualmente affiancato, negli anni recenti, dalla famiglia dei "bilanci orientati" (sociale, di genere, di pari opportunità, etc.) e ad altre forme di partecipazione tematica più mirate e meno comprensive.

Da un punto di vista più operativo e a buon senso, si avrà cura di mettere in pratica, il più possibile, il principio di inclusione/inclusività, cosi come sollecitato dall’Unione europea con l’approccio di governance, o da altri con approcci di democrazia deliberativa; ossia, dando l’opportunità di base informando la più ampia gamma di attori e cittadini con vari canali informativi. Sarà anche garantita la più ampia rappresentatività di interessi e possibili contributi esistenti sul territorio rispetto ad una decisione pubblica, attraverso la combinazione di diversi approcci e metodi lungo le varie fasi del processo e attraverso l’applicazione di vari livelli di partecipazione: informazione, consultazione, progettazione partecipata, partnership.

In altri termini, si cercherà di combinare situazioni dove chi è interessato possa partecipare apertamente, sempre nel contesto di regole da rispettare, a modalità che ricreino, in modo gestibile, diversi “mondi” (imprese, istituzioni, associazioni, ordini professionali, ecc.) per avere “prospettive e contributi di settore”, e “pareri” di singoli cittadini interpellati a campione in modo casuale, per evitare sia eccessi di tecnicismi di settore e autoreferenzialità, ma anche il rischio di partecipazione generica e comunque poco rappresentativa.

In quanto “processo nel processo”, la partecipazione necessiterà di un’attività di verifica continua dei bisogni informativi emergenti, delle “percezioni”, dei “comportamenti” e delle “motivazioni”, dell’efficacia delle azioni intraprese e degli strumenti per la comunicazione delle Città Metropolitane. In quanto “processo nel processo”, la partecipazione necessiterà di un’attività di verifica continua dei bisogni informativi emergenti, delle “percezioni”, dei “comportamenti” e delle “motivazioni”, dell’efficacia delle azioni intraprese e degli strumenti per la comunicazione delle Aree Metropolitane.