x

x

Il fair play finanziario nel calcio professionistico ai blocchi di partenza

Una nuova filosofia di gestione economico-finanziaria delle società di calcio professionistico europee sta per imporsi nel sistema: non spendere più di quanto si incassa, ovvero, in una parola, il c.d. fair play finanziario.

Un concetto semplice, lineare ma di fondamentale importanza al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione di un “calcio sostenibile”.

Si pensi, ad esempio, che nel corso della stagione sportiva 2009-2010 i clubs europei hanno introitato 11,7 miliardi di euro, mentre ne hanno spesi 12,9, di cui ben 7 soltanto in relazione alla voce “emolumenti”.

L’evidente e diffusa situazione di deficit economico-finanziario, ormai fuori controllo, ha determinato la necessità di un intervento deciso da parte della U.E.F.A., per cui dalla stagione sportiva 2011-2012 dovrà necessariamente essere recuperata una dimensione gestionale più virtuosa da parte delle società sportive in Europa, in assenza della quale sarà compromessa la partecipazione alle competizioni europee.

Tuttavia, pur entrando in vigore dalla stagione sportiva 2011-2012, le regole del fair play finanziario cominceranno a trovare applicazione concreta solo a far data da quella 2012-2013, in quanto, nell’impossibilità di conseguire il “pareggio di bilancio” nell’immediato, si è ritenuto che tale obiettivo possa essere perseguito in maniera progressiva.

In sintesi, un breve schema riepilogativo:

PRIMA FASE

Nel primo triennio (s.s. 2011-2012, 2012-2013, 2013-2014) l’indebitamento dei clubs non potrà superare i 45 milioni di euro;

SECONDA FASE

Nel secondo triennio (s.s. 2014-2015, 2015-2016, 2016-2017) l’indebitamento dei clubs non potrà superare i 30 milioni di euro;

TERZA FASE

A far data dalla s.s. 2017-2018, la misura (da decidere) del deficit consentito sarà ulteriormente ridotta, con l’obiettivo “pareggio di bilancio” nell’arco del triennio successivo (ad ogni buon conto, un deficit fisiologico, che non necessita di alcuna copertura, è stato individuato e quantificato, in termini generali, in 5 milioni di euro).

Va precisato, tuttavia, che il deficit economico-finanziario in argomento non sarà calcolato sulla base della semplice differenza tra incassi e spese, poiché, ad esempio, tra queste ultime, non dovranno essere contemplate quelle relative alla realizzazione o alla ristrutturazione di impianti sportivi (stadi), agli investimenti nei settori giovanili o anche ai progetti sociali, esborsi, i predetti, considerati "virtuosi".

Al riguardo, peraltro, si consideri che gli indebitamenti previsti dovranno essere ripianati esclusivamente mediante aumenti di capitale o donazioni, ma non mediante prestiti; la ragione è ovvia, atteso che, a differenza di un prestito, che grava sul bilancio e incide sull’indebitamento, una donazione favorisce il ristabilimento dell’equilibrio finanziario senza alcun obbligo di rimborso da parte del club beneficiario e, dunque, senza il rischio che la richiesta di restituzione di un prestito, eventualmente non soddisfatta, possa, determinare un eventuale fallimento.

Ciò posto, è evidente che i clubs saranno progressivamente impegnati a condurre una gestione societaria il più corretta possibile, che tenga soprattutto conto del rapporto tra fatturato e costo del lavoro: trattasi, probabilmente, dell’“indicatore” fondamentale mediante cui poter effettivamente valutare e monitorare, per così dire, lo stato di salute dei clubs.

In tema, con particolare riferimento alle società sportive di Serie A, vi è da dire che il quadro è tutt’altro che confortante, poiché il rapporto di cui in precedenza è, ad oggi, in misura del 68/70%, vale a dire che di ogni euro incassato ben 68/70 centesimi sono destinati alla copertura della voce “emolumenti”, mentre detta misura percentuale é al 67% per la Premier League (Inghilterrra), al 62% per la Liga (Spagna) e al 51% per la Bundesliga (Germania).

Non ci si può meravigliare, di conseguenza, se, con riferimento alla s.s. 2009-2010 l’indebitamento lordo complessivo delle 20 società sportive di Serie A è stato calcolato in 2 miliardi di euro, a fronte di un patrimonio netto pari a 300 milioni di euro; è ovvio che alla luce dei numeri indicati qualsiasi realtà aziendale verserebbe in stato di default.

Non così, tuttavia, per quanto concerne la realtà domestica in seno alla quale, nella consapevolezza della scarsità di risorse disponibili, si è diffusa, negli ultimi tempi, tra le altre, una nuova tendenza: il c.d. presito del calciatore con diritto-obbligo di riscatto. Di che si tratta?

Lo schema consiste nell’acquisire un calciatore in prestito il primo anno a costo zero e pagarne il riscatto, mediante rateizzazione dell’importo, negli anni successivi; in tal modo, poiché in Italia è vietato rateizzare gli esborsi legati all’acquisizione delle prestazioni sportive dei calciatori per più di tre anni, non si ottiene altro che una dilatazione dei tempi di pagamento. Perché allungare i tempi?

Perché l’aspettativa del club è quella che un margine temporale più ampio possa (ma non è detto) giocare in favore della discesa del costo del lavoro e, dunque, di un riequilibrio finanziario, con conseguente possibilità di ammortizzare l’acquisto senza trovarsi in eccessiva difficoltà.

Tuttavia, il tutto sembra non tenere conto del fatto che i controlli indotti dal fair play finanziario incombono e gli esborsi effettuati per acquistare i calciatori in prestito con diritto-obbligo di riscatto incideranno tra i costi (ammortamenti) per un numero di esercizi pari a quello degli anni di contratto concordati.

Il vicolo è cieco e il rischio di non individuare una via d’uscita è elevatissimo, mentre è verosimile che ci sarà molto lavoro sia per il Panel di esperti deputati a vigilare sul rispetto delle regole che per la Commissione Disciplinare U.E.F.A., la quale, in caso di inadempienze, procederà all’assunzione di provvedimenti disciplinari sulla base delle sanzioni proposte dall’organo di vigilanza (dall’ammenda alla penalizzazione di punti in classifica, sino all’esclusione dalle competizioni).

Una nuova filosofia di gestione economico-finanziaria delle società di calcio professionistico europee sta per imporsi nel sistema: non spendere più di quanto si incassa, ovvero, in una parola, il c.d. fair play finanziario.

Un concetto semplice, lineare ma di fondamentale importanza al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione di un “calcio sostenibile”.

Si pensi, ad esempio, che nel corso della stagione sportiva 2009-2010 i clubs europei hanno introitato 11,7 miliardi di euro, mentre ne hanno spesi 12,9, di cui ben 7 soltanto in relazione alla voce “emolumenti”.

L’evidente e diffusa situazione di deficit economico-finanziario, ormai fuori controllo, ha determinato la necessità di un intervento deciso da parte della U.E.F.A., per cui dalla stagione sportiva 2011-2012 dovrà necessariamente essere recuperata una dimensione gestionale più virtuosa da parte delle società sportive in Europa, in assenza della quale sarà compromessa la partecipazione alle competizioni europee.

Tuttavia, pur entrando in vigore dalla stagione sportiva 2011-2012, le regole del fair play finanziario cominceranno a trovare applicazione concreta solo a far data da quella 2012-2013, in quanto, nell’impossibilità di conseguire il “pareggio di bilancio” nell’immediato, si è ritenuto che tale obiettivo possa essere perseguito in maniera progressiva.

In sintesi, un breve schema riepilogativo:

PRIMA FASE

Nel primo triennio (s.s. 2011-2012, 2012-2013, 2013-2014) l’indebitamento dei clubs non potrà superare i 45 milioni di euro;

SECONDA FASE

Nel secondo triennio (s.s. 2014-2015, 2015-2016, 2016-2017) l’indebitamento dei clubs non potrà superare i 30 milioni di euro;

TERZA FASE

A far data dalla s.s. 2017-2018, la misura (da decidere) del deficit consentito sarà ulteriormente ridotta, con l’obiettivo “pareggio di bilancio” nell’arco del triennio successivo (ad ogni buon conto, un deficit fisiologico, che non necessita di alcuna copertura, è stato individuato e quantificato, in termini generali, in 5 milioni di euro).

Va precisato, tuttavia, che il deficit economico-finanziario in argomento non sarà calcolato sulla base della semplice differenza tra incassi e spese, poiché, ad esempio, tra queste ultime, non dovranno essere contemplate quelle relative alla realizzazione o alla ristrutturazione di impianti sportivi (stadi), agli investimenti nei settori giovanili o anche ai progetti sociali, esborsi, i predetti, considerati "virtuosi".

Al riguardo, peraltro, si consideri che gli indebitamenti previsti dovranno essere ripianati esclusivamente mediante aumenti di capitale o donazioni, ma non mediante prestiti; la ragione è ovvia, atteso che, a differenza di un prestito, che grava sul bilancio e incide sull’indebitamento, una donazione favorisce il ristabilimento dell’equilibrio finanziario senza alcun obbligo di rimborso da parte del club beneficiario e, dunque, senza il rischio che la richiesta di restituzione di un prestito, eventualmente non soddisfatta, possa, determinare un eventuale fallimento.

Ciò posto, è evidente che i clubs saranno progressivamente impegnati a condurre una gestione societaria il più corretta possibile, che tenga soprattutto conto del rapporto tra fatturato e costo del lavoro: trattasi, probabilmente, dell’“indicatore” fondamentale mediante cui poter effettivamente valutare e monitorare, per così dire, lo stato di salute dei clubs.

In tema, con particolare riferimento alle società sportive di Serie A, vi è da dire che il quadro è tutt’altro che confortante, poiché il rapporto di cui in precedenza è, ad oggi, in misura del 68/70%, vale a dire che di ogni euro incassato ben 68/70 centesimi sono destinati alla copertura della voce “emolumenti”, mentre detta misura percentuale é al 67% per la Premier League (Inghilterrra), al 62% per la Liga (Spagna) e al 51% per la Bundesliga (Germania).

Non ci si può meravigliare, di conseguenza, se, con riferimento alla s.s. 2009-2010 l’indebitamento lordo complessivo delle 20 società sportive di Serie A è stato calcolato in 2 miliardi di euro, a fronte di un patrimonio netto pari a 300 milioni di euro; è ovvio che alla luce dei numeri indicati qualsiasi realtà aziendale verserebbe in stato di default.

Non così, tuttavia, per quanto concerne la realtà domestica in seno alla quale, nella consapevolezza della scarsità di risorse disponibili, si è diffusa, negli ultimi tempi, tra le altre, una nuova tendenza: il c.d. presito del calciatore con diritto-obbligo di riscatto. Di che si tratta?

Lo schema consiste nell’acquisire un calciatore in prestito il primo anno a costo zero e pagarne il riscatto, mediante rateizzazione dell’importo, negli anni successivi; in tal modo, poiché in Italia è vietato rateizzare gli esborsi legati all’acquisizione delle prestazioni sportive dei calciatori per più di tre anni, non si ottiene altro che una dilatazione dei tempi di pagamento. Perché allungare i tempi?

Perché l’aspettativa del club è quella che un margine temporale più ampio possa (ma non è detto) giocare in favore della discesa del costo del lavoro e, dunque, di un riequilibrio finanziario, con conseguente possibilità di ammortizzare l’acquisto senza trovarsi in eccessiva difficoltà.

Tuttavia, il tutto sembra non tenere conto del fatto che i controlli indotti dal fair play finanziario incombono e gli esborsi effettuati per acquistare i calciatori in prestito con diritto-obbligo di riscatto incideranno tra i costi (ammortamenti) per un numero di esercizi pari a quello degli anni di contratto concordati.

Il vicolo è cieco e il rischio di non individuare una via d’uscita è elevatissimo, mentre è verosimile che ci sarà molto lavoro sia per il Panel di esperti deputati a vigilare sul rispetto delle regole che per la Commissione Disciplinare U.E.F.A., la quale, in caso di inadempienze, procederà all’assunzione di provvedimenti disciplinari sulla base delle sanzioni proposte dall’organo di vigilanza (dall’ammenda alla penalizzazione di punti in classifica, sino all’esclusione dalle competizioni).