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L’abuso del diritto tributario nella Giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

1 - Premessa

Il tema dell’abuso del diritto “sembra l’Araba Fenice, perché rinasce dalle sue ceneri quante volte viene espulso dall’ordinamento”[1].

Ad esso, da sempre oggetto di studio nella teoria generale[2], si sono dedicati, ciclicamente, i cultori del diritto civile, che hanno approfondito soprattutto il problema della frode alla legge (art. 1344 c.c.), e quelli del diritto tributario, che si sono occupati dello sfuggente fenomeno dell’elusione fiscale.

Per abuso del diritto, secondo la migliore dottrina, si intende un comportamento apparentemente conforme al contenuto di una posizione giuridica soggettiva attribuita dall’ordinamento, ma, in realtà, in contrasto con la ragione sostanziale posta a fondamento di tale attribuzione: per cui mentre in apparenza, e solo formalmente, si esercita legittimamente un diritto, in realtà si entra in contrasto con le ragioni stesse e gli interessi per cui il diritto è riconosciuto dall’ordinamento giuridico, perpetrando un contrasto tra forma e sostanza, tra rispetto della lettera della norma e tradimento del suo spirito[3].

In ambito fiscale, in particolare, si ha abuso del diritto quando si pretende di applicare un diritto soggettivo del contribuente all’interno del rapporto impositivo (esenzioni, esclusioni, deduzioni, detrazioni, rimborsi o crediti di imposta), in situazioni di fatto concrete che non corrispondono al tipo astratto del presupposto assunto a propria base e giustificazione dalla norma attributiva del diritto[4]: secondo il vecchio adagio popolare “fatta la legge studiato l’inganno”[5].

Lo stratagemma è antichissimo, come ci testimoniano i giuristi romani Paolo ed Ulpiano[6], e riflette istinti umani profondi: “la lotta tra l’individualità, guidata per necessaria legge di natura da uno spirito egoistico, e la comunità, dominata per un’altrettanto necessaria legge di natura da uno spirito di solidarietà, che chiede a tutti i componenti di vivere ordinatamente, concorrendo al suo mantenimento, quindi partecipando anche alle relative spese”[7]. In questa lotta il diritto positivo mantiene, forzatamente, posizioni di retroguardia[8], nella costante preoccupazione di “inseguire” i più eclatanti meccanismi abusivi via via escogitati: un “serrate le fila” che lascia tuttavia, inevitabilmente, ampi varchi attraverso cui passare: “nei suoi limiti e nella sua vocazione, la dottrina dell’abuso finisce allora col testimoniare l’antica miseria del diritto e la pena del giurista che cerca di riscattarla”[9].

2 - Abuso del diritto,

1 - Premessa

Il tema dell’abuso del diritto “sembra l’Araba Fenice, perché rinasce dalle sue ceneri quante volte viene espulso dall’ordinamento”[1].

Ad esso, da sempre oggetto di studio nella teoria generale[2], si sono dedicati, ciclicamente, i cultori del diritto civile, che hanno approfondito soprattutto il problema della frode alla legge (art. 1344 c.c.), e quelli del diritto tributario, che si sono occupati dello sfuggente fenomeno dell’elusione fiscale.

Per abuso del diritto, secondo la migliore dottrina, si intende un comportamento apparentemente conforme al contenuto di una posizione giuridica soggettiva attribuita dall’ordinamento, ma, in realtà, in contrasto con la ragione sostanziale posta a fondamento di tale attribuzione: per cui mentre in apparenza, e solo formalmente, si esercita legittimamente un diritto, in realtà si entra in contrasto con le ragioni stesse e gli interessi per cui il diritto è riconosciuto dall’ordinamento giuridico, perpetrando un contrasto tra forma e sostanza, tra rispetto della lettera della norma e tradimento del suo spirito[3].

In ambito fiscale, in particolare, si ha abuso del diritto quando si pretende di applicare un diritto soggettivo del contribuente all’interno del rapporto impositivo (esenzioni, esclusioni, deduzioni, detrazioni, rimborsi o crediti di imposta), in situazioni di fatto concrete che non corrispondono al tipo astratto del presupposto assunto a propria base e giustificazione dalla norma attributiva del diritto[4]: secondo il vecchio adagio popolare “fatta la legge studiato l’inganno”[5].

Lo stratagemma è antichissimo, come ci testimoniano i giuristi romani Paolo ed Ulpiano[6], e riflette istinti umani profondi: “la lotta tra l’individualità, guidata per necessaria legge di natura da uno spirito egoistico, e la comunità, dominata per un’altrettanto necessaria legge di natura da uno spirito di solidarietà, che chiede a tutti i componenti di vivere ordinatamente, concorrendo al suo mantenimento, quindi partecipando anche alle relative spese”[7]. In questa lotta il diritto positivo mantiene, forzatamente, posizioni di retroguardia[8], nella costante preoccupazione di “inseguire” i più eclatanti meccanismi abusivi via via escogitati: un “serrate le fila” che lascia tuttavia, inevitabilmente, ampi varchi attraverso cui passare: “nei suoi limiti e nella sua vocazione, la dottrina dell’abuso finisce allora col testimoniare l’antica miseria del diritto e la pena del giurista che cerca di riscattarla”[9].

2 - Abuso del diritto,