x

x

La nuova maxisanzione per il lavoro “nero”

La nuova maxisanzione per il lavoro “nero”
La nuova maxisanzione per il lavoro “nero”

Consulente del Lavoro e presidente dell’associazione “giovani consulenti del lavoro di Cosenza”, svolge la libera professione dal 2014. Docente e coordinatore di corsi e master di formazione per addetti paghe e contributi, avvocati, consulenti del lavoro.

Il primo comma dell’articolo 22 del Decreto Legislativo n. 151/2015 (attuativo del Jobs Act) modifica completamente l’apparato sanzionatorio previsto dall’articolo 3, comma 3, del Decreto Legge n. 12/2002, convertito dalla Legge n. 73/2002, più volte modificato (da ultimo con il Decreto Legge n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014).

Prima dell’entrata in vigore del Jobs Act la maxisanzione era prevista in cifra fissa (da euro 1.950 ad euro 15.600 per ogni lavoratore) oltre ad un’ulteriore somma variabile (euro 195 di maggiorazione per ogni giornata di lavoro cosiddetto nero).  Un alleggerimento degli importi (1.300, 10.400 e 39 euro) era previsto nell’ipotesi di “periodo di prova in nero”, ossia nei casi in cui un lavoratore fosse stato impiegato per un periodo totalmente in nero e successivamente regolarizzato. Se il pagamento avveniva entro 60 giorni dalla contestazione immediata o dalla notifica delle violazioni, la sanzione si riduceva al doppio del minimo o a 1/3 del massimo (importo più favorevole al trasgressore) mentre non era possibile avvalersi dell’istituto della diffida.

Conseguentemente alle introdotte modifiche il comportamento sanzionato resta “l’impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con l’esclusione del datore di lavoro domestico” (Circolare n. 26/2015 del 12/10/2015 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali), viene però eliminata la cosiddetta maxisanzione affievolita, la previsione cioè, di un trattamento sanzionatorio più favorevole, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo a quello prestato “in nero”, con la conseguente equiparazione di tale fattispecie alla condotta tipica.

La nuova sanzione amministrativa viene completamente rimodulata in chiave progressiva proporzionale, sulla base di specifiche fasce o soglie che variano in relazione alla durata del comportamento illecito.

Il nuovo impianto sanzionatorio (in vigore dal 24 settembre 2015) è strutturato nelle seguenti tre soglie di gravità:

1) Da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo;

2) Da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni effettivo;

3) Da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore irregolare per ciascun lavoratore irregolare, i caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo.

Le sanzioni aumentano del 20% nel caso di impiego di lavoratori stranieri non in possesso di un valido permesso di soggiorno o di minori in età non lavorativa; in questi casi, inoltre, non trova applicazione la procedura di diffida.

Per minori in età non lavorativa si intendono coloro che non possono far valere i dieci anni di scuola dell’obbligo con il compimento dei sedici anni, tenendo presente che gli anni diventano quindici nell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale.

Pertanto, la nuova maxisanzione aggravata espone il datore di lavoro alle seguenti sanzioni amministrative:

1) Da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo;

2) Da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni lavoro effettivo;

3) Da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo.

Non è soggetto alla maxisanzione il datore di lavoro che, antecedentemente al primo accesso in azienda del personale ispettivo o di una eventuale convocazione per l’espletamento del tentativo di conciliazione monocratica, regolarizzi spontaneamente e integralmente, per l’intera durata, il rapporto di lavoro, avviato originariamente senza una preventiva comunicazione obbligatoria di instaurazione.

La nuova normativa non prevede una disciplina specifica riguardo all’importo delle sanzioni civili previdenziali connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore in “nero”.

Pertanto, torna ad essere applicato il regime sanzionatorio dettato dall’articolo 116, comma 8, della legge n. 388/2000. 

La procedura di diffida

L’articolo 3, comma 3 del Decreto Legge del 22 febbraio 2002 n. 12, come modificato dall’articolo 22 del Decreto Legislativo n.151/2015, prevede l’applicazione della procedura di diffida da parte del personale ispettivo, fatta eccezione per le ipotesi di cui al comma 3 - quater (lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno e minori).

La circolare del Ministero chiarisce che ai fini della regolarizzazione della violazione, fermi restando i connessi adempimenti formali (istituzione ovvero compilazione LUL, consegna lettera di assunzione, comunicazione al Centro per l’impiego ecc.), è necessario:

1) Procedere alla stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell’orario non superiore al 50%, o con contratti a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi;

2) ovvero, mantenere in servizio i lavoratori oggetto di regolarizzazione per un periodo non inferiore a “tre mesi”.

La stipulazione di tali contratti è sottratta alle eventuali connesse agevolazioni già previste dalla vigente disciplina (prima fra tutte quella di cui all’articolo 1, comma 118 e 119, della Legge n. 190/2014), attesa peraltro la violazione del disposto di cui all’articolo 1 comma 1175 della Legge n. 296/2006 che subordina l’accesso ad eventuali benefici “normativi e contributivi” anche al rispetto degli “altri obblighi di legge”.

Entro il termine di 120 giorni dalla notifica del verbale unico, il datore di lavoro deve dimostrare di aver provveduto:

1) alla regolarizzazione dell’intero periodo di lavoro prestato in “nero” secondo le modalità accertate ivi compreso il versamento dei relativi contributi e premi;

2) alla stipulazione del contratto di lavoro secondo le tipologie contemplate dalla norma;

3) al mantenimento in servizio del lavoratore per almeno “tre mesi” e cioè almeno 90 giorni di calendario, da comprovare attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine di adempimento;

4) nonché al pagamento della maxisanzione.

Da quanto sopra esposto si evince:

a) l’impossibilità di adempiere alla diffida mediante la stipula di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato;

b) il contratto di lavoro stipulato a seguito dell’accesso ispettivo avrà decorrenza dal primo giorno di lavoro “nero” , mentre il periodo afferente i tre mesi, necessari a dimostrare l’avvenuto adempimento della diffida, viene individuato dalla data di accesso ispettivo.

 Ove il datore di lavoro non ottemperi alla diffida nel termine di 120 giorni, il verbale ispettivo assume valore di contestazione e notificazione degli addebiti in esso contenuti.

L’adempimento alla diffida non si verifica qualora, indipendentemente dai motivi, il rapporto di lavoro duri meno di tre mesi nei 120 giorni dalla notifica del verbale.

Il datore di lavoro, in caso di lavoratori che “risultino regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo” a quello prestato in “nero”, dovrà provvedere esclusivamente alla regolarizzazione del periodo di lavoro prestato in nero.

Il datore di lavoro, entro il termine di 45 giorni dalla notificazione della diffida, dovrà dare dimostrazione della copertura del precedente periodo di occupazione irregolare attraverso:

1) la rettifica della data di effettivo inizio del rapporto di lavoro;

2) il pagamento delle sanzioni nella misura minima;

3) il pagamento dei contributi riferibili al periodo “in nero”.

Non si applica, nel caso di irrogazione della maxisanzione, il regime sanzionatorio previsto per la mancata comunicazioni obbligatoria, la mancata consegna della lettera di assunzione, nonché le sanzioni relative alle violazioni in materia di Libro Unico del Lavoro.

Regine intertemporale

La nuova disciplina della maxisanzione trova applicazione per gli illeciti commessi successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 151/2015 e pertanto:

1) se la condotta illecita è iniziata e cessata durante il periodo di vigenza della precedente disciplina si applica il precedente regime sanzionatorio e, pertanto, non trova applicazione la procedura della diffida.

2) In caso di condotte iniziate sotto la precedente disciplina e proseguite dopo l’entrata in vigore del nuovo regime sanzionatorio all’intero periodo oggetto di accertamento saranno applicate le disposizioni previste dalla nuova normativa.

Fonte:

1) Ministero del Lavoro;

2) Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.

Consulente del Lavoro e presidente dell’associazione “giovani consulenti del lavoro di Cosenza”, svolge la libera professione dal 2014. Docente e coordinatore di corsi e master di formazione per addetti paghe e contributi, avvocati, consulenti del lavoro.

Il primo comma dell’articolo 22 del Decreto Legislativo n. 151/2015 (attuativo del Jobs Act) modifica completamente l’apparato sanzionatorio previsto dall’articolo 3, comma 3, del Decreto Legge n. 12/2002, convertito dalla Legge n. 73/2002, più volte modificato (da ultimo con il Decreto Legge n. 145/2013, convertito dalla legge n. 9/2014).

Prima dell’entrata in vigore del Jobs Act la maxisanzione era prevista in cifra fissa (da euro 1.950 ad euro 15.600 per ogni lavoratore) oltre ad un’ulteriore somma variabile (euro 195 di maggiorazione per ogni giornata di lavoro cosiddetto nero).  Un alleggerimento degli importi (1.300, 10.400 e 39 euro) era previsto nell’ipotesi di “periodo di prova in nero”, ossia nei casi in cui un lavoratore fosse stato impiegato per un periodo totalmente in nero e successivamente regolarizzato. Se il pagamento avveniva entro 60 giorni dalla contestazione immediata o dalla notifica delle violazioni, la sanzione si riduceva al doppio del minimo o a 1/3 del massimo (importo più favorevole al trasgressore) mentre non era possibile avvalersi dell’istituto della diffida.

Conseguentemente alle introdotte modifiche il comportamento sanzionato resta “l’impiego di lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con l’esclusione del datore di lavoro domestico” (Circolare n. 26/2015 del 12/10/2015 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali), viene però eliminata la cosiddetta maxisanzione affievolita, la previsione cioè, di un trattamento sanzionatorio più favorevole, nel caso in cui il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo a quello prestato “in nero”, con la conseguente equiparazione di tale fattispecie alla condotta tipica.

La nuova sanzione amministrativa viene completamente rimodulata in chiave progressiva proporzionale, sulla base di specifiche fasce o soglie che variano in relazione alla durata del comportamento illecito.

Il nuovo impianto sanzionatorio (in vigore dal 24 settembre 2015) è strutturato nelle seguenti tre soglie di gravità:

1) Da euro 1.500 a euro 9.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo;

2) Da euro 3.000 a euro 18.000 per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni effettivo;

3) Da euro 6.000 a euro 36.000 per ciascun lavoratore irregolare per ciascun lavoratore irregolare, i caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo.

Le sanzioni aumentano del 20% nel caso di impiego di lavoratori stranieri non in possesso di un valido permesso di soggiorno o di minori in età non lavorativa; in questi casi, inoltre, non trova applicazione la procedura di diffida.

Per minori in età non lavorativa si intendono coloro che non possono far valere i dieci anni di scuola dell’obbligo con il compimento dei sedici anni, tenendo presente che gli anni diventano quindici nell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale.

Pertanto, la nuova maxisanzione aggravata espone il datore di lavoro alle seguenti sanzioni amministrative:

1) Da euro 1.800 a euro 10.800 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di lavoro effettivo;

2) Da euro 3.600 a euro 21.600 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni lavoro effettivo;

3) Da euro 7.200 a euro 43.200 per ciascun lavoratore straniero o minore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro effettivo.

Non è soggetto alla maxisanzione il datore di lavoro che, antecedentemente al primo accesso in azienda del personale ispettivo o di una eventuale convocazione per l’espletamento del tentativo di conciliazione monocratica, regolarizzi spontaneamente e integralmente, per l’intera durata, il rapporto di lavoro, avviato originariamente senza una preventiva comunicazione obbligatoria di instaurazione.

La nuova normativa non prevede una disciplina specifica riguardo all’importo delle sanzioni civili previdenziali connesse all’evasione dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore in “nero”.

Pertanto, torna ad essere applicato il regime sanzionatorio dettato dall’articolo 116, comma 8, della legge n. 388/2000. 

La procedura di diffida

L’articolo 3, comma 3 del Decreto Legge del 22 febbraio 2002 n. 12, come modificato dall’articolo 22 del Decreto Legislativo n.151/2015, prevede l’applicazione della procedura di diffida da parte del personale ispettivo, fatta eccezione per le ipotesi di cui al comma 3 - quater (lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno e minori).

La circolare del Ministero chiarisce che ai fini della regolarizzazione della violazione, fermi restando i connessi adempimenti formali (istituzione ovvero compilazione LUL, consegna lettera di assunzione, comunicazione al Centro per l’impiego ecc.), è necessario:

1) Procedere alla stipulazione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell’orario non superiore al 50%, o con contratti a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi;

2) ovvero, mantenere in servizio i lavoratori oggetto di regolarizzazione per un periodo non inferiore a “tre mesi”.

La stipulazione di tali contratti è sottratta alle eventuali connesse agevolazioni già previste dalla vigente disciplina (prima fra tutte quella di cui all’articolo 1, comma 118 e 119, della Legge n. 190/2014), attesa peraltro la violazione del disposto di cui all’articolo 1 comma 1175 della Legge n. 296/2006 che subordina l’accesso ad eventuali benefici “normativi e contributivi” anche al rispetto degli “altri obblighi di legge”.

Entro il termine di 120 giorni dalla notifica del verbale unico, il datore di lavoro deve dimostrare di aver provveduto:

1) alla regolarizzazione dell’intero periodo di lavoro prestato in “nero” secondo le modalità accertate ivi compreso il versamento dei relativi contributi e premi;

2) alla stipulazione del contratto di lavoro secondo le tipologie contemplate dalla norma;

3) al mantenimento in servizio del lavoratore per almeno “tre mesi” e cioè almeno 90 giorni di calendario, da comprovare attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine di adempimento;

4) nonché al pagamento della maxisanzione.

Da quanto sopra esposto si evince:

a) l’impossibilità di adempiere alla diffida mediante la stipula di un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato ovvero a tempo determinato;

b) il contratto di lavoro stipulato a seguito dell’accesso ispettivo avrà decorrenza dal primo giorno di lavoro “nero” , mentre il periodo afferente i tre mesi, necessari a dimostrare l’avvenuto adempimento della diffida, viene individuato dalla data di accesso ispettivo.

 Ove il datore di lavoro non ottemperi alla diffida nel termine di 120 giorni, il verbale ispettivo assume valore di contestazione e notificazione degli addebiti in esso contenuti.

L’adempimento alla diffida non si verifica qualora, indipendentemente dai motivi, il rapporto di lavoro duri meno di tre mesi nei 120 giorni dalla notifica del verbale.

Il datore di lavoro, in caso di lavoratori che “risultino regolarmente occupati per un periodo lavorativo successivo” a quello prestato in “nero”, dovrà provvedere esclusivamente alla regolarizzazione del periodo di lavoro prestato in nero.

Il datore di lavoro, entro il termine di 45 giorni dalla notificazione della diffida, dovrà dare dimostrazione della copertura del precedente periodo di occupazione irregolare attraverso:

1) la rettifica della data di effettivo inizio del rapporto di lavoro;

2) il pagamento delle sanzioni nella misura minima;

3) il pagamento dei contributi riferibili al periodo “in nero”.

Non si applica, nel caso di irrogazione della maxisanzione, il regime sanzionatorio previsto per la mancata comunicazioni obbligatoria, la mancata consegna della lettera di assunzione, nonché le sanzioni relative alle violazioni in materia di Libro Unico del Lavoro.

Regine intertemporale

La nuova disciplina della maxisanzione trova applicazione per gli illeciti commessi successivamente all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 151/2015 e pertanto:

1) se la condotta illecita è iniziata e cessata durante il periodo di vigenza della precedente disciplina si applica il precedente regime sanzionatorio e, pertanto, non trova applicazione la procedura della diffida.

2) In caso di condotte iniziate sotto la precedente disciplina e proseguite dopo l’entrata in vigore del nuovo regime sanzionatorio all’intero periodo oggetto di accertamento saranno applicate le disposizioni previste dalla nuova normativa.

Fonte:

1) Ministero del Lavoro;

2) Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.