Contratto di lavoro a tempo determinato, modifiche introdotte dal Decreto Legge 76/2013

L’articolo 7, comma 1, della Legge 9 Agosto 2013, n. 99 e l’articolo 12 della Legge 6 Agosto 2013, n. 97 hanno apportato alcune modiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato.

Come previsto dalla Direttiva 28 Giugno 1999, n 70 dell’Unione europea, è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e/o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

Le ragioni che giustificano la stipula di un contratto a termine devono:

-essere oggettive;

-sussistere fin dalla stipula del contratto;

-essere indicate specificatamente per iscritto.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 214 del 2009, afferma che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, deve risultare per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa del termine nonché l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto (Corte Costituzionale, sentenza n. 1724 del 25 gennaio 2011.).

L’obbligo di specificità si ritiene soddisfatto anche quando viene indicata l’esigenza di sostituire i lavoratori assenti e con l’aggiunta di ulteriori elementi quali:

-l’ambito territoriale di riferimento,

-le mansioni dei lavoratori da sostituire,

-il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro,

-il luogo della prestazione lavorativa,

-elementi che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ferma restando la verificabilità della sussistenza effettiva del presupposto di legittimità. Se mancano le ragioni il rapporto di lavoro viene convertito da tempo determinato a tempo indeterminato con l’aggiunta del pagamento di un’indennità ex articolo 32, comma 5, Legge n. 183/2010.

Contratto a termine senza causale

La Legge n. 92/2012 (cosiddetta Riforma Fornero) ha introdotto un’eccezione all’obbligo della sussistenza delle ragioni giustificatrici. Dal 18 luglio 2012 i datori di lavoro possono stipulare, per lo svolgimento di qualsiasi mansione, un contratto di lavoro a tempo determinato senza causale (senza, cioè, la necessità di indicare le ragioni giustificatrici) di durata non superiore ai dodici mesi purché si tratti di primo rapporto a tempo determinato.

Il Decreto Legge n. 76/2013 ha attribuito alla contrattazione collettiva, anche aziendale, il compito di individuare ogni altra ipotesi di causalità, senza che tali fattispecie debbano rientrare nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’articolo 5, comma 3, nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati dall’unità produttiva.

La circolare n. 35 del 29 agosto 2013 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha evidenziato che la disciplina introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di contratto a tempo determinato acausale, integra quanto disposto dal Legislatore e pertanto i contratti collettivi – anche aziendali – potranno prevedere che il contratto acausale abbia una durata maggiore di dodici mesi e che possa essere sottoscritto da soggetti che abbiano avuto precedentemente un rapporto di lavoro subordinato.

Proroga

Il Decreto Legge n. 76/2013 ha abrogato l’articolo 4, comma 2 bis, introdotto dalla Legge n. 92/2012 che prevedeva il divieto di proroga del contratto acasuale.

Il primo contratto a termine acausale può essere stipulato per un massimo di dodici mesi e può essere prorogato una sola volta nel caso in cui il primo contratto sia di durata inferiore ai dodici mesi e la proroga deve riferirsi alla stessa attività per la quale il contratto è stato stipulato.

Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con la Circolare 29 Agosto 2013, n. 35 ha chiarito che la proroga può riguardare anche i contratti non ancora scaduti prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge e che rispetto agli stessi trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 4 del Decreto Legislativo n.368/2001 ad eccezione del requisito relativo alla “esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga”.

Prosecuzione di fatto del contratto acausale (articolo 5, comma 2, Decreto Legislativo 368/2001)

Il Decreto Legge 76/2013 ha esteso la disciplina dell’articolo 5, comma 2, Decreto Legislativo 368/2001 anche al contratto a termine acausale. Pertanto “se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno, in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis (36 mesi), ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.

La prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro comporta il pagamento di una maggiorazione della retribuzione globale che ammonta al 20% fino al decimo giorno oltre il termine fissato e del 40% a partire dal giorno successivo.

Il Ministero del Lavoro nel “Vademecum Riforma del Lavoro” ha chiarito che la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato avviene ex lege e pertanto entro i limiti di prosecuzione del contratto a tempo determinato (30 e 50 giorni) non è applicabile la maxi sanzione per lavoro nero perché tali periodi sono considerati coperti ex lege dalla comunicazione di assunzione iniziale.

Il Decreto Legge 76/2013 ha abrogato il comma 2 bis dell’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 368/2001 che prevedeva l’obbligo di comunicazione al Centro per l’impiego della prosecuzione di fatto. Rimane invece in vigore l’obbligo di comunicare entro 5 giorni la proroga del termine inizialmente fissato o della trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato.

Intervalli tra due contratti a termine

La Riforma Fornero aveva esteso i termini entro i quali era possibile stipulare un successivo contratto a termine portandoli a 60 e 90 giorni, rispettivamente per il rinnovo di un contratto a termine di durata inferiore o superiore a sei mesi. Il Decreto Legge n. 76/2013 ha ridotto tale termine a 10 giorni per i contratti di durata inferiore ai sei mesi e 20 giorni per i contratti di durata superiore ai sei mesi. In caso di mancato rispetto dei suddetti termini il secondo contratto sarà considerato a tempo indeterminato.

Con questa novità il Legislatore ha corretto l’indirizzo della Riforma Fornero che più che scoraggiare l’utilizzo del contratto a tempo determinato a favore del contratto a tempo indeterminato causava un periodo di 60 o 90 giorni in cui il lavoratore era costretto a lavorare senza un regolare contratto di lavoro.

Le disposizioni introdotte dal Decreto Lavoro “non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali, definite dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1525/1963, nonché in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Lavoratori in mobilità e contingentamento dei contratti

Il Decreto Legge n. 76/2013 introduce una modifica all’articolo 10 del Decreto Legslativo. n. 368/2001 “volta a chiarire che, in relazione alle assunzioni a termine di lavoratori in mobilità ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della Legge n. 223/1991, non trovano applicazione le disposizioni di cui allo stesso Decreto Legislativo n. 368.

Pertanto, in relazione alle assunzioni di tale categoria di lavoratori, non è necessario il rispetto della disciplina concernente, ad esempio, l’indicazione delle ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” o il rispetto degli intervalli.

Il Legislatore, in sede di conversione del Decreto Legge, ha espressamente fatto salvo il rispetto della disciplina di cui agli articoli 6 e 8 del Decreto Legislativo n. 368/2001 relativa al principio di non discriminazione (al lavoratore assunto con contratto a termine spettano le ferie e la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili) e ai criteri di computo. In tale ultimo caso i lavoratori in mobilità interessati sono esclusivamente quelli assunti a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione e quindi a far data dal 23 agosto ultimo scorso.

Da ultimo, il Decreto Legge n. 76/2013 ha previsto la modifica del comma 7 dell’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 368/2001, affidando ai contratti collettivi nazionali, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi “l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato causale e acausale.

Agevolazioni per le assunzioni di lavoratori in mobilità

L’articolo 8 della Legge n. 223/1991 prevede che “i lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore ai dodici mesi. La quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti della Legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni (cioè il 10%). Nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, il predetto contratto venga trasformato a tempo indeterminato, il beneficio contributivo spetta per ulteriori dodici mesi in aggiunta a quello previsto dal comma 4”.

Nel caso in cui un datore di lavoro assuma a tempo indeterminato e tempo pieno un lavoratore iscritto nelle liste di mobilità è concesso un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore.

Contributo Addizionale

Dal 1° gennaio 2013, al fine di disincentivare l’utilizzo del contratto a termine, si applica su tali contratti un contributo addizionale, a carico del solo datore di lavoro, pari all’1, 4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Tale contributo addizionale non si applica:

  • ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti,

  • ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni,

  • agli apprendisti,

  • ai dipendenti della PA,

  • per i periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, delle assunzioni stagionali definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

Se il rapporto di lavoro a termine viene trasformato a tempo indeterminato al datore di lavoro potranno essere restituite le ultime sei mensilità del contributo addizionale.

L’articolo 7, comma 1, della Legge 9 Agosto 2013, n. 99 e l’articolo 12 della Legge 6 Agosto 2013, n. 97 hanno apportato alcune modiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato.

Come previsto dalla Direttiva 28 Giugno 1999, n 70 dell’Unione europea, è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e/o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro.

Le ragioni che giustificano la stipula di un contratto a termine devono:

-essere oggettive;

-sussistere fin dalla stipula del contratto;

-essere indicate specificatamente per iscritto.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 214 del 2009, afferma che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, deve risultare per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa del termine nonché l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto (Corte Costituzionale, sentenza n. 1724 del 25 gennaio 2011.).

L’obbligo di specificità si ritiene soddisfatto anche quando viene indicata l’esigenza di sostituire i lavoratori assenti e con l’aggiunta di ulteriori elementi quali:

-l’ambito territoriale di riferimento,

-le mansioni dei lavoratori da sostituire,

-il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro,

-il luogo della prestazione lavorativa,

-elementi che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ferma restando la verificabilità della sussistenza effettiva del presupposto di legittimità. Se mancano le ragioni il rapporto di lavoro viene convertito da tempo determinato a tempo indeterminato con l’aggiunta del pagamento di un’indennità ex articolo 32, comma 5, Legge n. 183/2010.

Contratto a termine senza causale

La Legge n. 92/2012 (cosiddetta Riforma Fornero) ha introdotto un’eccezione all’obbligo della sussistenza delle ragioni giustificatrici. Dal 18 luglio 2012 i datori di lavoro possono stipulare, per lo svolgimento di qualsiasi mansione, un contratto di lavoro a tempo determinato senza causale (senza, cioè, la necessità di indicare le ragioni giustificatrici) di durata non superiore ai dodici mesi purché si tratti di primo rapporto a tempo determinato.

Il Decreto Legge n. 76/2013 ha attribuito alla contrattazione collettiva, anche aziendale, il compito di individuare ogni altra ipotesi di causalità, senza che tali fattispecie debbano rientrare nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’articolo 5, comma 3, nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati dall’unità produttiva.

La circolare n. 35 del 29 agosto 2013 del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha evidenziato che la disciplina introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di contratto a tempo determinato acausale, integra quanto disposto dal Legislatore e pertanto i contratti collettivi – anche aziendali – potranno prevedere che il contratto acausale abbia una durata maggiore di dodici mesi e che possa essere sottoscritto da soggetti che abbiano avuto precedentemente un rapporto di lavoro subordinato.

Proroga

Il Decreto Legge n. 76/2013 ha abrogato l’articolo 4, comma 2 bis, introdotto dalla Legge n. 92/2012 che prevedeva il divieto di proroga del contratto acasuale.

Il primo contratto a termine acausale può essere stipulato per un massimo di dodici mesi e può essere prorogato una sola volta nel caso in cui il primo contratto sia di durata inferiore ai dodici mesi e la proroga deve riferirsi alla stessa attività per la quale il contratto è stato stipulato.

Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, con la Circolare 29 Agosto 2013, n. 35 ha chiarito che la proroga può riguardare anche i contratti non ancora scaduti prima dell’entrata in vigore del Decreto Legge e che rispetto agli stessi trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 4 del Decreto Legislativo n.368/2001 ad eccezione del requisito relativo alla “esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga”.

Prosecuzione di fatto del contratto acausale (articolo 5, comma 2, Decreto Legislativo 368/2001)

Il Decreto Legge 76/2013 ha esteso la disciplina dell’articolo 5, comma 2, Decreto Legislativo 368/2001 anche al contratto a termine acausale. Pertanto “se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno, in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis (36 mesi), ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.

La prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro comporta il pagamento di una maggiorazione della retribuzione globale che ammonta al 20% fino al decimo giorno oltre il termine fissato e del 40% a partire dal giorno successivo.

Il Ministero del Lavoro nel “Vademecum Riforma del Lavoro” ha chiarito che la trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato avviene ex lege e pertanto entro i limiti di prosecuzione del contratto a tempo determinato (30 e 50 giorni) non è applicabile la maxi sanzione per lavoro nero perché tali periodi sono considerati coperti ex lege dalla comunicazione di assunzione iniziale.

Il Decreto Legge 76/2013 ha abrogato il comma 2 bis dell’articolo 5 del Decreto Legislativo n. 368/2001 che prevedeva l’obbligo di comunicazione al Centro per l’impiego della prosecuzione di fatto. Rimane invece in vigore l’obbligo di comunicare entro 5 giorni la proroga del termine inizialmente fissato o della trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato.

Intervalli tra due contratti a termine

La Riforma Fornero aveva esteso i termini entro i quali era possibile stipulare un successivo contratto a termine portandoli a 60 e 90 giorni, rispettivamente per il rinnovo di un contratto a termine di durata inferiore o superiore a sei mesi. Il Decreto Legge n. 76/2013 ha ridotto tale termine a 10 giorni per i contratti di durata inferiore ai sei mesi e 20 giorni per i contratti di durata superiore ai sei mesi. In caso di mancato rispetto dei suddetti termini il secondo contratto sarà considerato a tempo indeterminato.

Con questa novità il Legislatore ha corretto l’indirizzo della Riforma Fornero che più che scoraggiare l’utilizzo del contratto a tempo determinato a favore del contratto a tempo indeterminato causava un periodo di 60 o 90 giorni in cui il lavoratore era costretto a lavorare senza un regolare contratto di lavoro.

Le disposizioni introdotte dal Decreto Lavoro “non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali, definite dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1525/1963, nonché in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Lavoratori in mobilità e contingentamento dei contratti

Il Decreto Legge n. 76/2013 introduce una modifica all’articolo 10 del Decreto Legslativo. n. 368/2001 “volta a chiarire che, in relazione alle assunzioni a termine di lavoratori in mobilità ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della Legge n. 223/1991, non trovano applicazione le disposizioni di cui allo stesso Decreto Legislativo n. 368.

Pertanto, in relazione alle assunzioni di tale categoria di lavoratori, non è necessario il rispetto della disciplina concernente, ad esempio, l’indicazione delle ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” o il rispetto degli intervalli.

Il Legislatore, in sede di conversione del Decreto Legge, ha espressamente fatto salvo il rispetto della disciplina di cui agli articoli 6 e 8 del Decreto Legislativo n. 368/2001 relativa al principio di non discriminazione (al lavoratore assunto con contratto a termine spettano le ferie e la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili) e ai criteri di computo. In tale ultimo caso i lavoratori in mobilità interessati sono esclusivamente quelli assunti a partire dall’entrata in vigore della legge di conversione e quindi a far data dal 23 agosto ultimo scorso.

Da ultimo, il Decreto Legge n. 76/2013 ha previsto la modifica del comma 7 dell’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 368/2001, affidando ai contratti collettivi nazionali, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi “l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato causale e acausale.

Agevolazioni per le assunzioni di lavoratori in mobilità

L’articolo 8 della Legge n. 223/1991 prevede che “i lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore ai dodici mesi. La quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è pari a quella prevista per gli apprendisti della Legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni (cioè il 10%). Nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, il predetto contratto venga trasformato a tempo indeterminato, il beneficio contributivo spetta per ulteriori dodici mesi in aggiunta a quello previsto dal comma 4”.

Nel caso in cui un datore di lavoro assuma a tempo indeterminato e tempo pieno un lavoratore iscritto nelle liste di mobilità è concesso un contributo mensile pari al cinquanta per cento della indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore.

Contributo Addizionale

Dal 1° gennaio 2013, al fine di disincentivare l’utilizzo del contratto a termine, si applica su tali contratti un contributo addizionale, a carico del solo datore di lavoro, pari all’1, 4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Tale contributo addizionale non si applica:

  • ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti,

  • ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni,

  • agli apprendisti,

  • ai dipendenti della PA,

  • per i periodi contributivi maturati dal 1° gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, delle assunzioni stagionali definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

Se il rapporto di lavoro a termine viene trasformato a tempo indeterminato al datore di lavoro potranno essere restituite le ultime sei mensilità del contributo addizionale.