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Avvocati “vittime” per garantire la giustizia

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Ph. Paolo Panzacchi / reclaim

Il 24 gennaio è la giornata internazionale degli avvocati in pericolo. Una data per commemorare i colleghi vittime di persecuzioni e intraprendere a livello globale azioni di informazione e di solidarietà per sollecitare la protezione degli avvocati minacciati e sensibilizzare le persone al rispetto dei diritti e delle garanzie

In questo periodo si assiste a una identificazione strisciante e perniciosa dell’avvocato con l’accusato, dell’esercizio della funzione difensiva degli assistiti con la difesa dei reati. Sempre più spesso l’avvocato è minacciato, intimidito per aver assunto la difesa in un caso ove la gogna mediatica e giudiziaria non vuole attendere il processo per giudicare, ma ha già condannato.

Le cronache sono zeppe di manifestazioni di insofferenza verso tutto ciò che è rispetto delle regole e degli istituti di garanzia previsti nel nostro codice di procedura penale. Non è pensabile che gli avvocati debbano vedere la propria incolumità personale e quella dei propri cari in pericolo a causa del libero esercizio della professione.

L’avvocato è visto come un ostacolo all’esercizio della giurisdizione. Come società, aderiamo al principio di un processo equo per chiunque sia accusato di un crimine grave, ma sempre con maggiore frequenza si rincorre la giustizia veloce.

Il criterio della “velocità di trattazione” è foriero di limitazione delle garanzie. E giustizia è qualsiasi cosa riteniamo lo sia in base a un criterio individuato caso per caso.

In Italia, secondo un recente sondaggio è in crescita il desiderio dell’introduzione nel nostro sistema della pena di morte.

Le percentuali indicano che oltre il 43% degli italiani sarebbe favorevole alla reintroduzione della pena di morte, percentuale che sale al 44,7% se si considera solo la fascia di popolazione compresa tra i 18 e i 34 anni.

È questo il dato che emerge dall’ultimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. Si tratta  di un trend in crescita da anni: secondo un sondaggio realizzato da Swg sempre nel 2020, il 37% degli intervistati si è dichiarato favorevole alla pena di morte. Tre anni fa la percentuale era del 35%, mentre nel 2010 si fermava al 25%. Dieci anni dopo, la percentuale è quasi raddoppiata.

Alla voglia di morte si associa il desiderio di legislazioni che “garantiscano la celerità dei giudizi” o il “fine processo mai”, il quadro è preoccupante e se volgiamo lo sguardo in altri Paesi appare ancora più fosco.

Nel Mondo sono in aumento gli Stati che adottano legislazioni di emergenza con disposizioni eccezionali, molte volte liberticide, in base alle quali è sufficiente l’utilizzo dei social network, la partecipazione ad una manifestazione di protesta o dissenso, la sottoscrizione di un appello per essere accusati di terrorismo o sovversione, per identificare l’avvocato con il proprio assistito. In Turchia, in Egitto, nelle Filippine, in Russia, in Cina, nell’Azerbaijan si utilizzano le medesime dinamiche per trasformare l’avvocato in complice della commissione dei presunti reati di cui è incolpato l’assistito.

In questi paesi gli avvocati conoscono le torture, il carcere e una giustizia sommaria.

Un diritto penale del nemico che utilizza la carcerazione preventiva sine die e il processo penale non come mezzo di accertamento della verità ma come strumento di repressione.

In Turchia nel 2018 erano 539 gli avvocati denunciati, 580 arrestati, 103 condannati. Numeri spaventosi della repressione in Turchia, presentati al Cnf dalla “Arrested Lawyers Initiative”, l’associazione che raggruppa gli avvocati perseguitati dal governo Erdogan, costretti a operare in un paese in cui il rispetto dei diritti umani e del diritto di difesa è costantemente leso.

Secondo l’avvocato Ugur Tok, direttore della Piattaforma per la Pace e la Giustizia, con sede a Bruxelles, dal 2016 al 2018 sono stati denunciati 1539 avvocati. Una situazione che non riguarda solo la categoria degli avvocati ma anche magistrati, giornalisti e mondo accademico.

In Egitto gli avvocati impegnati nel rispetto dei diritti sono i primi a conoscere il carcere e le "carezze" del regime. La vicenda del collega Ibrahim Metwally Hegazy è emblematica.

Ibrahim Metwally Hegazy è un avvocato specializzato nella difesa dei diritti fondamentali e membro della Commissione egiziana per i diritti e le libertà. Dalla scomparsa nel 2013 del figlio Abdelmoneim durante la sanguinosa repressione dei raduni di Rabea Al-Adawiya e delle piazze Nahda del Cairo, si è occupato della questione delle sparizioni forzate.

Ibrahim Metwally Hegazy ha fondato nel 2016 l’Associazione egiziana delle famiglie delle persone scomparse (EAFD), che riunisce persone i cui parenti sono stati vittime di sparizioni forzate o involontarie. Rappresenta regolarmente anche le famiglie delle vittime delle sparizioni forzate in Egitto.

La EAFD ha registrato 1300 scomparse negli anni 2016 e 2017. Ibrahim Metwally Hegazy, attraverso la sua associazione, ha formato dei dossier di denuncia per il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate e involontarie. L’obiettivo è quello di evidenziare queste sparizioni per fare pressione sulle autorità egiziane.

Il 10 settembre 2017, Ibrahim Metwally Hegazy è stato arrestato all’aeroporto del Cairo mentre si recava a Ginevra per incontrare il gruppo di lavoro. È sospettato di “finanziare e dirigere un’organizzazione creata illegalmente e di diffondere informazioni che minano la sicurezza nazionale”, altrimenti detta la EAFD.

Per due giorni il suo luogo di detenzione è stato tenuto segreto. Durante questo periodo l’avvocato è stato sottoposto a torture fisiche e psicologiche, compresa la sottoposizione a scosse elettriche.

Ibrahim Metwally Hegazy è stato poi detenuto nella sezione di alta sicurezza del carcere di Tora. I familiari e gli avvocati non possono fargli visita. Ibrahim Metwally Hegazy, secondo quanto riferito, non ha accesso alle cure mediche necessarie nonostante le sue condizioni di salute critiche. L’amministrazione penitenziaria si rifiuta di trasferirlo in ospedale anche se le sue condizioni di salute lo richiedono.

Il 14 ottobre 2019 viene emesso un ordine di rilascio per Ibrahim Metwally Hegazy. Tuttavia, rimane in carcere fino al 5 novembre 2019. È stato poi accusato, nell’ambito di un’altra indagine di “appartenenza a un gruppo terroristico” e “finanziamento di un gruppo terroristico”.

Questa nuova accusa sembra essere un mezzo per aggirare il limite massimo di due anni di detenzione preventiva previsto dalla legge egiziana.

Nel novembre del 2020 Ibrahim Metwally Hegazy, come annunciato dal comunicato del CNF; ha ricevuto, insieme ad altri avvocati egiziani : “il premio diritti umani del CCBE 2020 attribuito a sette avvocati egiziani detenuti.  Premio straordinario alla memoria all’avvocata turca Ebru Timtik.

Riconosciuto a sette avvocati egiziani attualmente detenuti, Haytham Mohammadein, Hoda Abdelmoniem, Ibrahim Metwally Hegazy, Mahienour El Massry, Mohamed El Baqer, Mohamed Ramadan, Zyad El-Eleimy il Premio CCBE per i diritti umani, assegnato ogni anno dal Consiglio degli Ordini forensi europei. Il suo scopo è quello della sensibilizzazione ai valori della professione di avvocato e ricompensa gli avvocati per il loro impegno e sacrificio a favore dei diritti umani.

Un premio straordinario alla memoria è stato assegnato all’avvocata turca Ebru Timtik, deceduta in stato di detenzione il 27 agosto 2020, dopo 238 giorni di sciopero della fame

Nel 2019 il premio era stato assegnato agli avvocati iraniani detenuti Nasrin Sotoudeh, Abdolfattah Soltani, Mohammad Najafi e Amir Salar Davoodi per il loro coraggio, la determinazione e l’impegno nella difesa dei diritti umani in Iran. 

Un altro caso da evidenziare di avvocata perseguitata è la collega Mahienour EL-MASSRY che da anni si prodiga per la difesa dei diritti umani in Egitto. Più volte arrestata sotto il regime del presidente Hosni Mubarak, è stata perseguita anche sotto i regimi di Mohamed Morsi e Abdel Fattah al-Sissi.

Mahienour El-Massry ha difeso i diritti degli studenti, i diritti delle donne, il diritto allo sciopero, il diritto all’assistenza legale. Nel 2014 ha ricevuto il premio Ludovic-Trarieux, assegnato ogni anno ad un avvocato che si è distinto nella difesa dei diritti umani. Il premio le è stato assegnato mentre scontava una pena detentiva di due anni per “aver partecipato a una manifestazione non autorizzata”. Mahienour El-Massry è stata di nuovo arrestata dalla polizia il 22 settembre 2019 al Cairo, dopo aver partecipato agli interrogatori di persone che avevano manifestato contro il presidente Al-Sisi ed è detenuta nella prigione femminile di Al Qanatar”.

Ricordiamo la figura dell’avvocato Karim Hamdy, che venne sequestrato dalle forze di sicurezza e selvaggiamente torturato fino alla sua morte nel febbraio del 2015 al Cairo. Una vicenda che ricorda la tragedia di Giulio Regeni. 

Il 28 dicembre del 2020 in Cina, l’ex avvocato Zhang Zhan, è stata condannata a 4 anni di carcere semplicemente per aver raccontato in diretta da Wuhan della crisi del Covid-19. La sentenza del tribunale di Shanghai, maturata dopo una breve udienza, ha motivato la colpevolezza per aver “raccolto litigi e provocato problemi” per aver documentato la situazione degli ospedali, nella città focolaio del virus.

Nel giugno del 2020 si è avuta notizia che l’avvocato per i diritti umani Yu Wensheng è stato condannato a 4 anni di prigione per “sovversione”. La sentenza è stata comminata dalla corte intermedia del popolo a Xuzhou (Jiangsu), in un processo a porte chiuse, senza la presenza dei difensori e di pubblico.

Le autorità cinesi hanno disprezzato in modo totale la legge e le regole processuali senza alcun rispetto dei diritti internazionalmente riconosciuti. Basti dire che l’avvocato Xie Yang difensore di Yu Wensheng non ha mai potuto incontrare il suo assistito. Per lui la sentenza è dovuta a quanto Yu Wensheng ha scritto e pubblicato su internet.

Yu è stato incriminato nel febbraio 2019. Da allora è stato rinchiuso in una “prigione nera”, un luogo segreto, senza poter avere contatto con nessuno.

Yu è noto per essere parte del gruppo di avvocati per i diritti umani in difesa della minoranza cattolica in Cina e per la libertà di espressione.

Questi sono solo alcuni racconti che rappresentano una realtà sempre più diffusa di “avvocati minacciati e in pericolo”. Come appaiono lontani i principi dell’Avana quando l’ottavo Congresso delle Nazioni Unite nel 1990 elaborò i “Principi fondamentali sul ruolo degli avvocati”.

I detti principi ricordano che non è possibile un’adeguata protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali se tutte le persone non hanno un accesso effettivo ai servizi legali forniti da professionisti legali indipendenti. Inoltre, si ribadisce il ruolo dell’avvocatura “nel sostenere standard ed etica professionali, nel proteggere i loro membri da persecuzioni e improprie limitazioni e violazioni dei loro diritti, nel fornire servizi legali a tutti coloro che ne hanno bisogno”.

All’articolo 16, dei Principi dell’Avana, si stabilisce che i governi garantiscono che gli avvocati: “siano in grado di svolgere tutte le loro funzioni professionali senza intimidazioni, ostacoli, molestie o interferenze improprie;

siano in grado di viaggiare e di consultare liberamente i propri clienti sia all’interno del proprio paese che all’estero;

non soffrano, né siano minacciati di essere perseguiti penalmente o con sanzioni amministrative, economiche o di altro tipo per qualsiasi azione intrapresa in conformità con i doveri professionali, gli standard di comportamento ed etici”.

Mentre all’articolo 17 si proclama: “Laddove la sicurezza degli avvocati sia minacciata in conseguenza dell’espletamento delle loro funzioni, essi devono essere adeguatamente salvaguardati dalle autorità”. Il paradosso è che sono proprio le autorità i principali nemici e persecutori degli avvocati.

Il paragone dell’Italia con altri paesi ove è presente un sistema non democratico, ad alcuni potrebbe apparire improvvido. Ma se pensiamo allo svilimento della figura dell’avvocato con una strisciante dissacrazione del ruolo difensivo (i casi sempre più frequenti delle intercettazioni dei colloqui con l’assistito, le incriminazioni che incombono sul professionista legale, qualora quest’ultimo si trovi ad assistere uno o più clienti affiliati a consorterie di stampo mafioso, e ponga in essere attività di consulenza che, in qualche modo, si pongono ai margini di un legittimo e doveroso espletamento dell’incarico professionale) sono tutti segnali e sintomi prodromici di una stagione tesa a minimizzare e demonizzare il ruolo della funzione difensiva.

Anche l’avvocatura italiana ha avuto i suoi caduti sul campo, che non vengono ricordati come dovrebbero. Ne cito solo alcuni: Pietro Riccio, Salvatore Cariello, Enrico Pedenovi, Fulvio Croce, Ugo Triolo, Pasquale Cappuccio, Giorgio Ambrosoli, Piersanti Mattarella, Marcello Torre, Silvio Sesti, Lorenzo Alberto Claris Appiani e decine e decine di colleghi morti per essere stati: “Non era né un eroe né un santo: era semplicemente un avvocato”.